SCRUTATIO

Domenica, 22 giugno 2025 - San Tommaso Moro ( Letture di oggi)

Prefazione Bibbia Volgare opera del 1471, ristampata da Carlo Negroni nel 1882

Carlo Negroni

Prefazione Bibbia Volgare opera del 1471, ristampata da Carlo Negroni nel 1882
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La Bibbia Volgare la puoi trovare in prima pagina, nella sezione italiana.

AL COMMENDATORE FRANCESCO ZAMBRINI PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PEI TESTI DI LINGUA

Mio illustre e caro Presidente, offro a Voi questo, che fra tutti i libri è il maggiore; e Ve l'offro in una versione, che tra le scritture del secol d'oro primeggia, siccome quella che giunse nella letteratura sacra al medesimo grado di eccellenza che il Decamerone nella profana. È questo un omaggio, che per ogni ragione Vi è dovuto. Giacchè se della presente edizione mio fu per la più gran parte il lavoro, a voi ne spetta poco meno che tutto il merito. Senza di Voi questa pubblicazione, o non si sarebbe potuta intraprendere, o intrapresa non si sarebbe potuta condurre a quel buon termine che in grazia del benevolo vostro intervento è oramai sicuro. E qui vorrebbe la consuetudine delle dedicatorie, che io parlassi della vostra persona e del quanto Vi devono gli umani studj e più specialmente quelli della buona lingua. Nè dovrei tacere delle virtù vostre, pubbliche e private. Ma nè questo sarebbe discorso piacevole alla vostra modestia; nè io saprei dir cose le quali già non fossero universalmente note, e al solo pronunziare il vostro nome non fossero già presenti al pensiero e alla memoria di tutti. Meglio è dunque che senz' altro io qui venga ad esporre il come e il perchè siasi posto mano alla presente edizione.

Nel 1471, quando appena l'arte della tipografia incominciava a fiorire in Italia, due stampe si sono fatte della Bibbia tradotta in volgare. La prima nell'alma patria de Venecia, colla data del 1 di agosto, e col nome del volgarizzatore Nicolò Malermi. Non vi è indicato il tipografo, ma si sa essere stato il Vindelino di Spira. La seconda, colla data del 1 di ottobre, ma senza menzione di volgarizzatore, nè di luogo, nè di stamperia. È accertato non di meno tra i bibliografi, che il luogo fu la stessa città di Venezia, regina allora de' mari e delle lettere, e che lo stampatore fu il celebre Nicolò Jenson. La prima però, sebbene compaia col nome di Nicolò Malermi, è tuttavia indubitato, e anche Voi lo avete detto nell' ottimo vostro libro delle Opere volgari a stampa dei secoli XIII e XIV, che il Malermi si servi di volgarizzamenti antichi, i quali correvano manoscritti, raffazzonandoli o per dir meglio guastandoli a modo suo, specialmente nei libri del vecchio testamento, e mandandoli poi in luce come se egli ne fosse stato il solo autore. La seconda è invece fattura tutta quanta del buon secolo; e questo è provato non solamente dall' universale consenso de' valentuomini, i quali dotati, come Voi siete, di rara perspicacia, e per lunga pratica esercitati, sentono la fragranza del trecento, come altri sente il profumo degli aromi e de' fiori; ma è provato altresì, e in maniera più diretta, pei codici che sono scritti nel secolo XIV, e contengono gli stessi libri del volgarizzamento Jensoniano, quale affatto senza, e quale con pochissima e insignificante varietà di lezione.

E non di meno, vedete destino! il raffazzonamento del Malermi, bizzarro e incondito miscuglio dell' oro del trecento col metallo assai meno prezioso che si spendeva nella seconda metà del secolo seguente, ebbe l'onore di parecchie ristampe; dove che la Bibbia del Jenson, la quale per antonomasia fu chiamata di poi la Bibbia volgare, o sia che pochissime copie se ne sieno tirate, o che si sieno perdute, o quale altra che ne sia stata la cagione, è divenuta al dì d' oggi siffattamente rara, da doverla gli studiosi reputare come l'araba fenice, secondo che un amico argutamente mi scrisse. In Italia non vi sono più di tre o quattro privati che la posseggano: e delle pubbliche biblioteche non altre, che io sappia, se non la Marciana di Venezia e la Magliabechiana di Firenze, dove la cercano e la consultano per il loro Vocabolario gli Accademici della Crusca. Un esemplare, ma imperfettissimo, se ne conserva anche nell' Ambrosiana di Milano; il quale manca di tutto il nuovo testamento, e di non poche carte eziandio del vecchio.

Quanto a me, sono andato per ben dodici anni facendo ricerche e diligenze molte, a fine di trovare questa edizione del Jenson, e arricchirne la mia raccolta delle edizioni di Crusca; ma sempre indarno. Finalmente nello scorso anno 1881 mi fu la fortuna propizia; e n' ebbi una copia, la quale se agli occhi di un bibliofilo non è un bello esemplare, ben può dirsi per la singolarità delle sue vicende un esemplare storico. Fu per lunga età prezioso ornamento della libreria di un Convento di Francescani a Venezia. Ma caduta la repubblica Veneta, e decretata nei primi anni di questo secolo la soppressione delle case religiose, quel raro cimelio sarebbe andato Dio sa dove a finire, se al P. Antonio Bravin da Venezia non fosse riuscito di sottrarlo alla confiscazione. Ripristinato il Convento nel 1835, vi ritornò anche il libro; e là se ne poterono servire, non solamente i frati, ma per cortesia del superiore se ne poterono servire anche gli studiosi, e cavarne a generale profitto le miniere di ottima lingua che vi sono racchiuse. Nel 1846 la Società Veneta de' Bibliofili ne trasse copia de' cinque. libri del Pentateuco, e li pubblicò coll' opera del tipografo Sebastiano Tondelli nel formato di ottavo grande, conducendone la stampa sotto l'abile direzione del Professore Berlan e dell' Ab. De Andreis, sino al capo XXIX del Deuteronomio. Proposito della Società era di ristampare la intiera Bibbia volgare; ma arrivata al punto sopradetto, non fu proseguita più oltre, ed anzi ne furono distrutte o disperse le copie rimaste nella tipografia; di guisa che questa ristampa dei primi cinque libri del vecchio testamento difficilmente si può al di d'oggi trovare, e si è fatta poco meno che una rarità bibliografica.

Del medesimo esemplare, e nel medesimo Convento, si valse eziandio quel gran filologo che fu Bartolomeo Sorio per trascriverne le epistole di S. Paolo, delle quali pubblicò poi nel 1848 quella indirizzata agli Efesini, e nel 1861 l'altra ai Galati, commentandola colla scorta di S. Tommaso e dedicandola al nuovo VeScovo di Verona.

Ma venuto il 1866, i Conventi Veneti furono di nuovo aboliti. E allora la Bibbia del 1471 si pose, per opera degli agenti fiscali, sotto sequestro insieme con molti altri libri di quella Congregazione. E sebbene il trattato politico, per cui la Venezia era stata unita al regno d' Italia, avesse in chiari termini riservata la libera disposizione di tutti i beni mobili ed immobili agl' Istituti religiosi, de' quali per la legislazione italiana non era permessa la giuridica sussistenza, ci vollero non di meno sei anni di lunghe e fastidiose pratiche prima che si levasse il sequestro. E poichè questa giustizia fu resa, venne la Bibbia in podestà di un pio e dotto Ecclesiastico, il quale nello scorso anno consenti a farmene cessione per impiegare il prezzo nella ristampa, cui egli attende, di una ponderosa opera di geografia e di storia, della quale molto si onorano il suo Ordine e la nostra letteratura. E in ragione dello scopo a cui egli mirava, io m'acconciai anche a pagarne maggior somma, che a verun libraio non avrei fatto. Così egli ebbe la doppia soddisfazione, di mandare innanzi la pubblicazione sua e di render possibile questa mia. E doppiamente fui anch'io soddisfatto del suo piacere e del compimento di un forte e antico mio desiderio.

Se non che negli anni del sequestro era avvenuto che la custodia e la cura de' libri non fossero, quali il dovere e la convenienza avrebbero richiesto. Chiusa in una stanzaccia umida, la Bibbia ne riportò parecchie di quelle che nel linguaggio librario si chiamano macchie d'acqua. Ne furono malamente danneggiati i ricchi e artistici fregi e rabeschi d'oro e di colori, che vi stanno a decoro delle iniziali de' libri e de' capi. Guaste le miniature di soggetti biblici, onde sono abbellite le prime carte; così che ne rimase appena una smorta imagine, come quella del famoso Cenacolo di Leonardo nel refettorio che già fu de' frati delle Grazie a Milano. Malconcia l'antica legatura, e strappati e portatine via gli ornati e le borchie metalliche di fino e squisito lavoro. Oltre di che se ne trovarono sei carte mancanti; quattro intieramente perdute, e due per metà, essendone l' altra metà lacerata. A siffatta mancanza potei però supplire, mercè la cortesia somma del Conte Alessandro Melzi, il quale nel suo palazzo di Milano possiede, raccolta da lui e dal padre suo, una biblioteca principesca; e in essa un esemplare della Bibbia Jensoniana, che è il più bello di quanti io ne conosco. E così potei finalmente proporvi, e Voi avete subito accettato, che questa Bibbia volgare, monumento insigne de' primi tempi della nostra lingua, facesse parte della Collezione di opere inedite o rare, intorno alla quale da ben ventidue anni sta lavorando con sollecitudine amorosa la nostra Commissione sotto il savio indirizzo del suo Presidente.

Nella edizione di Nicolò Jenson la Bibbia è in foglio. Il mio esemplare, assai marginoso e poco meno che intonso, ha di lunghezza 420 millimetri, e di larghezza 382. Ogni pagina piena è di cinquanta linee; le quali cinquanta linee occupano uno spazio lungo 279 millimetri, e largo 162. Non vi sono altri segni ortografici, che il punto e i due punti; e anche questi collocati bene spesso così malamente da generare, non chiarezza, ma oscurità e confusione. Le abbreviature, usitate ne' primordii della stampa, poche e facili. E tutta la Bibbia si divide in tre volumi. Il primo, di carte 314, reca nelle prime cinque la tavola de' libri che vi sono contenuti, cioè dire i libri del vecchio testamento dal Genesi insino a tutto il Salterio Davidico; e il volume si chiude colle parole: FINISSE IL PSALTERIO DI DAVID. Il secondo ha in principio una carta, dove sta la tavola de' rimanenti libri del vecchio testamento; i quali vanno sino al retto della carta 207, leggendosi in essa dopo poche righe: QUIVI FINISCIE LULTIMO LIBRO DELTESTAMENTO VECCHIO. Nel terzo volume, il nuovo testamento; e al verso della carta 123: QUIVI FINISSE LAPOCALIPSIS ET E IL FINE DEL NOVO TESTAMETO M. CCCC. LXXI. INKALENDE. DE OCTOBRIO. Segue poi un' ultima carta, la quale nel retto ha la tabula de testamento novo, e nel verso è bianca, come la 207 del volume secondo. Però in quasi tutti gli esemplari, e così anche nel mio, il secondo e il terzo volume sono legati insieme, formando fra entrambi una mole presso a poco eguale al primo. La edizione non ha registro, nè segnature, nè numerazione di carte o di facciate; sola norma al legatore le tavole sopradette, e il titolo scritto in capo a ciascheduna. pagina.

L'ordine de' libri è il medesimo che si trova nella Volgata; salvo che nel testamento nuovo gli Atti degli apostoli sono nella edizione Jensoniana anteposti alle Epistole apoštoliche, laddove nella Volgata. sono posposti. Innanzi a ciascun libro sono pure volgarizzati i prologhi di S. Gerolamo. E oltre ai prologhi, che veramente furono composti da S. Gerolamo, e si possono da ognuno riscontrare nelle sue opere, ne abbiamo certi altri nella Bibbia volgare, i quali tra quelle opere non si vedono. Di che avendo io interrogato un teologo assai erudito e cortese, mi fu risposto ciò essere probabilmente intervenuto, perchè nel secolo XIV, e anche più tardi, correvano col nome di S. Gerolamo non poche scritture, che una critica più sagace dimostrò non essere cosa sua.

In generale il volgarizzamento, che qui si ristampa, non è d'altro che del testo scritturale, colla stessa divisione di capi, che ha la Volgata. Solo in pochissimi luoghi s'incontra, in ordine a tal divisione, qualche lieve differenza; la quale io tolsi nella presente edizione, come già aveva fatto la Società veneta de' Bibliofili. In aggiunta al testo sonovi però nel Salterio gli argomenti, con un po' di spiegazione per ciascun salmo. Il Cantico de' cantici è ridotto a dialogo, cogl' interlocutori postivi secondo la sua intenzione mistica. E medesimamente si hanno gli argomenti ai libri d' Isaia, di Geremia, di Naum, di Abacuc, di Sofonia, di Aggeo, di Zacaria e di Malachia; e così pure alle Epistole apostoliche, eccetto quelle di S. Pietro, di S. Giovanni e di S. Giuda.

È poi da notare, circa ai libri di Esdra, che nella Bibbia Jensoniana, dopo il primo di essi libri, ne sèguita un altro col solo titolo di Neemia, e poi viene il secondo libro di Esdra. In parecchie delle antiche Bibbie i libri di Esdra erano quattro, comprendendosi in questo numero anche il libro di Neemia, che è il secondo. Ma già in antico era nato il sospetto, e lo conferma S. Gerolamo nella sua prefazione, che gli ultimi due di questi libri non avessero a tenersi come apocrifi. Tutti poi sanno che il Concilio di Trento, nell' approvare lo elenco de' libri sacri, ne lasciò fuori il terzo e il quarto d' Esdra; ai quali, dopo il decreto Tridentino, non rimase più altra autorità, che di storie private. Nulla di meno, anche dopo il Concilio, si continuarono ad imprimere, cogli altri libri della Scrittura sacra, gli ultimi due d' Esdra, come si può vedere nella edizione de' Gioliti di Venezia del 1588; la quale io cito, siccome quella che, non registrata dal Brunet, è forse l'ultima, e certamente è delle ultime, che si stamparono innanzi alla ricognizione ordinata da Sisto V. Quattro anni più tardi, il decreto del 9 di novembre 1592 di Papa Clemente VIII non solamente approvò e privilegiò la edizione allora uscita dalla Tipografia Vaticana, ma severamente proibi che in avvenire altre stampe si dessero fuori della Bibbia latina, che non fossero conformi a quella. Ma pur nella stessa Bibbia di Clemente VIII, la quale divenne il testo autentico della Volgata, se i libri terzo e quarto d' Esdra non si trovano riuniti coi due primi, vi sono però aggiunti in un' appendice. E a questa si premette la semplice avvertenza, che quantunque i due ultimi libri di Esdra non appartengano, secondo il Concilio, alla serie de' libri canonici, si ristampano non di meno, affinchè non si perdano, ma sieno invece conosciuti, siccome quelli che sono allegati nelle opere di alcuni Santi Padri, e si trovano in parecchie delle Bibbie antiche, sia a stampa e sia manoscritte.

Di questi due ultimi libri d' Esdra la edizione Jensoniana ha solamente il terzo, il quale vi è posto come secondo per la ragione già detta, cioè che quello, il quale è veramente il secondo, compare in essa col semplice nome di Neemia. E questo secondo, che meglio direbbesi terzo libro, ha nella Bibbia nostra volgare una divisione di capi notevolmente diversa dalla latina, essendovi in questa IX capi soltanto, dove nell'altra i capi sommano a XXVII. Siccome però si tratta di libro non canonico, pensai di lasciarlo tal quale esso fu stampato dal Jenson. E per la stessa ragione omisi in questo libro di porre a piè di pagina il testo latino della Volgata.

A chi ora mi domandasse, chi sia stato l'autore di quest' aurea versione, io dovrei rispondere che su tal punto assai si è disputato, e ancora si disputa; nè può dirsi che la lite sia finita. Taluno congetturò che si debba quest'opera attribuire al Beato Giovanni Tavelli da Tossignano, il quale fu prima religioso Gesuato, e poi vescovo di Ferrara. Ma innanzi che si possa così fatta congettura accettare, fa d' uopo che sieno sciolte due altre controversie. I. È cosa veramente provata e certa, che il B. Giovanni da Tossignano abbia tradotta la Bibbia? II. Dato pure che l'abbia tradotta, possiamo noi credere che la presente versione sia la sua? o non dobbiamo invece credere il contrario?

Sulla prima questione Frate Faustino Maria di S. Lorenzo, Carmelitano scalzo, nel capitolo XXXI della Storia ch' egli scrisse del B. Giovanni, e che fu impressa a Mantova dal Pazzoni nel 1753, in 4.o, ci dà per certo che il Beato tradusse dall' idioma latino nel nostro volgare linguaggio la sacra Bibbia, e che questa versione egli compose nel tempo della sua dimora a Venezia. E Voi colla cortese lettera vostra del 16 scorso febbraio mi avete anche fatto sapere che il Morigi, milanese, nella Storia degli uomini illustri Gesuati aveva già detto la stessa cosa, affermando che il Tavelli" a supplicazione di una sorella carnale di Eugenio IV, molto divota, recò in lingua toscana i Sermoni di S. Bernardo, la Bibbia e la maggior parte dei Morali di S. Gregorio Il fatto venne ultimamente ripetuto da un altro Carmelitano scalzo, Fr. Anselmo di S. Luigi, il quale nello stampare i detti Sermoni di S. Bernardo (Firenze, Ducci, 1855, in 16.°) accennò, tra le opere del B. Giovanni doversi annoverare anche la versione della Bibbia. Tale accenno però egli fece senz' altra autorità, che quella di Frate Faustino. Ma il Morigi ha scritto poco meno di due, e Frate Faustino un po' più di tre secoli dopo la morte del Beato Vescovo di Ferrara. E pertanto le affermazioni loro non possono aver fede, se non si trovino avvalorate da più antiche memorie e documenti.

Ne documenti più antichi si conoscono, fuori che una vita del B. Giovanni, la quale si conserva manoscritta in Ferrara. Da una annotazione, che vi sta in fine, rilevasi che autore di essa vita fu un altro Vescovo di Ferrara, e che dettata nel 1597 si lasciò poi dallo autore nell' archivio episcopale. Di questa vita, la quale mi sembra la medesima che fu pubblicata dai Bollandisti, io vi posso addurre le parole testuali; e ciò per gentile condiscendenza del dotto collega nostro Prof. Crescentino Giannini, il quale me le mandò trascritte di sua mano propria dal codice originale. E le parole testuali sono, che il B. Giovanni traslatò Bernardi sermones, Bibliae ac Moralium Gregorii MAJOREM PARTEM eleganti stilo in maternum sermonem. Come vedete, sono le stesse cose che Voi trovaste nel Morigi, e persino le stesse parole; salvo che il Morigi, voltandole in italiano, ha riferito il majorem partem solamente ai Morali di S. Gregorio,

dove nel latino si riferisce evidentemente anche alla Bibbia, e più forse a questa, che a quelli. Risalendo alla fonte cui attinsero i biografi del Beato da Tossignano, si vede adunque, che egli non avrebbe recata nella sua lingua materna la Bibbia intiera, ma ne avrebbe recata bensì una gran parte. Se non che anche questa fonte primitiva non è del tutto limpida e chiara, dovendosi avvertire che l' età dello scrittore dista dai tempi del B. Giovanni per lo spazio di poco meno che tre generazioni. Aggiungete che nessuno ha mai veduta questa Bibbia, fatta volgare dal Tavelli e gli stessi suoi biografi non la conoscono e nemmeno sanno quale e dove ella sia. E se ne volete di più, aggiungete ancora che l' Ughelli nella sua Italia sacra, sive de episcopis Italiae, tace affatto di questo volgarizzamento, e che i Bollandisti nel tomo V degli Acta sanctorum del mese di luglio, annotando l'antica vita di questo Beato, mettono grave dubbio sul fatto, che veramente sieno da tenersi per sue le molte versioni che gli si attribuiscono, e segnatamente quella della Bibbia; e solo dànno per certa la versione sua de' Sermoni di S. Bernardo.

Circa alla seconda questione possiamo anche con più certezza asserire, che pure ammesso che il Tavelli abbia volgarizzata la Bibbia, non solo non vi sono argomenti per credere che quella edita da Nicolò Jenson il primo di agosto 1471 sia la sua versione; ma vi sono argomenti decisivi per credere l'opposto. Chiunque abbia qualche pratica degli altri volgarizzamenti del Beato da Tossignano vi riscontra con questo una tale diversità di stile, da non poterli in verun modo ascrivere a un solo traduttore. Ma quel che più importa, non conviene dimenticare che il Beato da Tossignano è nato nel 1386, e che per conseguenza allo uscire del secolo XIV egli era ancora fanciullo, nè poteva avere tradotta la Bibbia. Ora sapendosi che vi sono codici, indubbiamente scritti verso la metà del secolo XIV, nei quali sta il medesimo volgarizzamento de' libri biblici che fu poi impresso a Venezia dal Jenson, la conclusione viene da sè; ed è che questo volgarizzamento non è e non può essere lavoro del B. Giovanni.

Vi è tuttavia chi pensa che se non la versione de' libri biblici, sia del B. Giovanni almeno quella de' prologhi di San Gerolamo. E per verità la lingua e il tutto insieme di cotesti prologhi, pei latinismi crudi che vi sono sparsi, anzi che alle scritture del trecento, sembra rassomigliare ai libri del secolo successivo, e approssimarsi ai modi e alle forme proprie del Beato da Tossignano. Ma qualunque sia più o meno probabile induzione, è forza che cada dinanzi al fatto certissimo, che quei prologhi si trovano scritti anch'essi in alcuno de' sopra detti codici del trecento.

Esclusa pertanto la ipotesi che la presente versione sia stata fatta dal B. Giovanni, la sentenza dei letterati pende ora dubbiosa tra Jacopo Passavanti e Domenico Cavalca; che è quanto dire tra i due principi della prosa divota. Io propenderei per Frate Domenico più tosto che per Frate Jacopo. E ve ne dirò brevemente i motivi. Prima di tutto si scorge nella Bibbia volgare assai più distinta la semplicità del Cavalca, che l'artificio del Passavanti. Ed è poi verità al di d'oggi dimostrata, sopra la quale alle altre autorità si è pure aggiunta la vostra validissima, che al Cavalca si appartiene il volgarizzamento degli Atti apostolici, quale trovasi nella stampa Jensoniana. Ora tra questo, e gli altri libri della Bibbia volgare, sono così chiare affinità e corrispondenze, da non poterci troppo facilmente persuadere che il volgarizzatore non sia stato il medesimo. Nè queste affinità e corrispondenze sono limitate ai soli Atti apostolici, ma sono manifeste e apertissime anche rispetto alle altre opere del Cavalca. Vi ha inoltre una singolare e notabilissima conformità fra la Bibbia volgare, e presso che tutti i numerosissimi passi della Sacra Scrittura, i quali sono allegati da esso Cavalca ne' suoi libri ascetici; conformità che non può reputarsi l'effetto del mero caso; tanto essa è costante e replicata. Vero è bene, che la notata medesimezza tra lo scrivere del Cavalca, e quello della nostra edizione, non si mantiene da per tutto in grado eguale; anzi vi sono libri nei quali essa diminuisce, e direi quasi che si oscura. Ma anche in questi libri Voi incontrate qua e colà alcune parti, in cui la mano di Frate Domenico è pur visibilissima. Onde mi par ovvio lo inferire che questi libri, se egli non li ha per intiero tradotti, ne abbia almeno ritoccata e corretta la traduzione che altri ne aveva fatta. La qual cosa facilmente e spesso accadeva, prima che fosse inventata la stampa, e che si avesse o si potesse avere la idea di ciò che noi adesso diciamo la proprietà letteraria. Allora ogni studioso, ossia ch'egli medesimo ricopiasse un manoscritto, il quale non fosse di autore già venuto in rinomanza, ossia che da altri lo facesse ricopiare, nè si recava nè punto doveva recarsi a coscienza di correggerlo e di variarlo, secondo che il suo gusto o il suo bisogno o le sue inclinazioni ricercavano. Onde provennero quelle varietà di lezioni, nè poche nè lievi, che quasi sempre abbiamo ne' vecchj codici che pure sono indubbiamente trascrizioni di uno stesso ed unico libro. Io dunque consentirò volentieri nella opinione vostra, che non tutti i libri della Bibbia volgare sieno stati tradotti dal Cavalca; ma a patto che Voi consentiate nella mia, che anche in quelli che non tradusse, abbia egli fatto qualche ritocco di suo. La qual mia opinione tanto maggiormente vi parrà probabile, se vorrete por mente che il dotto e pio Frate Domenico, pubblico lettore di Teologia nello Studio Pisano, dovette su questi libri divini, anche per ragione del proprio ufficio, aver logorato di e notte gli occhi e la penna.

È vecchio costume di poco meno che tutti gli editori magnificare i pregi e le lodi del codice o del libro che essi mettono o rimettono in luce. Ma questo costume io non voglio seguire. Voglio all' opposto farvi conoscere di questo antico libro i difetti e le imperfezioni, affinchè sappiate in qual modo io ho stimato di porvi rimedio, e possiate darne giudizio. I suoi difetti si riducono in sostanza a tre. Sta il primo in certi glossemi, e altre aggiunte, che di quando in quando il traduttore ha voluto fare al sacro testo. Ben mi sarebbe stata lieve fatica il sopprimerle. Ma questo mi parve arbitrio soverchio. Le lasciai dunque. a' loro luoghi; e solamente le chiusi tra parentesi tonde (), acciò con tal segno fossero i lettori immediatamente avvertiti, senza necessità di minuti e nojosi confronti, che quelle parole e quelle frasi non sono della Bibbia, ma sono del volgarizzatore.

Il secondo difetto è l'assoluto contrario del primo. Voglio dire che in certi luoghi, per buona ventura assai pochi, manca nella Bibbia volgare del Jenson o la particella negativa, o qualche altra particella o vocabolo; e ciò per manifesta incuria del copista o del tipografo; onde o il senso non corre, o che è peggio, afferma dove avrebbe a negare, o viceversa. In questi casi ho aggiunto io stesso la particella o la parola mancante, ma chiudendo questa mia aggiunta tra parentesi quadre []; così che l'occhio del lettore. sùbito la discernesse.

Più grave, e meno facilmente sanabile, è il terzo difetto. Sia colpa del codice sul quale venne la edizione Jensoniana condotta, o sia colpa del tipografo, fatto è che nella Bibbia volgare alcuni versetti o incisi sono saltati via. Io fui dunque nell'alternativa, o di lasciare queste ommessioni e lacune, come disgraziatamente si hanno nella stampa del 1471, o di supplirvi con una versione diversa. In siffatta alternativa non volli per tutto e sempre attenermi nè all'uno nè all' altro partito. Posto che la Bibbia volgare è certamente opera del secolo XIV, vale a dire del secol d'oro della nostra lingua, ed è altresì delle più perfette, mi fermai in questo divisamento, che non vi si dovesse tramescolare alcuna scrittura la quale fosse di un altro secolo. Mi diedi pertanto a cercare quanti più potei codici e stampe di versioni bibliche del trecento; e con queste versioni, le quali se non ho la certezza che siano le medesime della edizione di Nicolò Jenson, sono però certissimo che appartengono alla stessa età, m'ingegnai di riempire le menzionate lacune, adoperandovi però il carattere corsivo, e indicando con esso quei periodi o versetti del sacro testo, che nella Bibbia volgare mancano, ma che pure trovai volgarizzati nel buon secolo. Dove poi non mi venne fatto di potervi supplire con tali volgarizzamenti, e sono per buona sorte pochissimi versetti, lasciai stare la lacuna; e solamente la notai con una serie di punti. E qui è debito mio di darvi contezza de' manoscritti e delle edizioni, di cui mi sono particolarmente servito. Ed è pur debito mio di rendere speciali grazie al signor Ministro della pubblica istruzione; il quale assecondando le preghiere che per me gli furono fatte dallo egregio Senatore Luigi Pissavini, Prefetto della mia Provincia, ebbe la bontà di ordinare indagini in tutte le Biblioteche governative, e di darmi poscia ragguaglio de' codici loro, i quali sono di scrittura del secolo XIV od anteriore, e contengono tradotti in lingua volgare i libri della Bibbia, o alcuno di essi. Fra i codici, di cui ebbi notiza, sono preziosi assai i due della Biblioteca Comunale di Siena, che sono entrambi del secolo XIV, e segnati l'uno I, V, 5 e l'altro F, III, 4. Ed io ne potei ottenere tutti quanti gli estratti che mi abbisognavano, per intercessione vostra e per compiacenza di quel valente Bibliotecario Dott. Fortunato Donati. Il primo dei due codici è cartaceo, di fogli 158 scritti a due colonne; e contiene volgarizzati alcuni libri dell' antico testamento, i quali sono: il Genesi col prologo di $. Gerolamo l' Esodo, ma questo non va oltre al cap. XXVIII; i quattro libri dei Re: il primo libro de' Macabei, del quale però mancano gli ultimi due capi un frammento dei Giudici, o per meglio dire un compendio della vita di Sansone: e il libro di Tobia sino al cap. XII incl. col prologo di S. Gerolamo. Il secondo codice è scritto anch'esso a due colonne su carte 372; e vi sono voltati in lingua italiana presso che tutti i libri dell'antico testamento, coi prologhi di S. Gerolamo; solo mancandovi il cap. X del primo e tutto il secondo libro d'Esdra, gli ultimi otto capi della Profezia di Ezechiele, tre versetti del cap. I, quattro del cap. VI e i cap. VII, VIII, X e XI di Daniele, la Profezia di Amos e tutto il secondo libro de' Macabei; ed essendovi in gran parte compendiati o parafrasati il libro di Giuditta e i Proverbj di Salomone. In presso che tutti i libri scritturali di questi due codici Sanesi, facendone il confronto con quelli della Bibbia volgare, le varianti sono così poche e leggiere, da doverne con ogni probabilità conchiudere che il volgarizzamento e il volgarizzatore sia in questa e in quelli uno solo. Nella stessa Biblioteca si trovano, oltre ai sopradetti, due altri codici di minore importanza, ma scritti anch'essi nel sec. XIV, vale a dire: I, V, 9, membranaceo di bella. lettera, e di fogli 18 a due colonne, colla versione di una parte de' Vangeli e delle Epistole apostoliche, e colla versione intiera dell' Apocalissi di S. Giovanni: e I, II, 31, membranaceo, di 10 fogli a due colonne. colla versione di due Epistole di S. Paolo; ma entrambe mutile, l'una in principio e l'altra in fine.

Nè meno utile de' Sanesi mi riuscì il codice, che già fu di Francesco Redi e che forni al Vocabolario degli Accademici della Crusca una quantità di buon materiale. Questo codice, che ha la traduzione di più che la metà del vecchio testamento, cioè dire dal Genesi fino a tutto il salmo XIV, doveva per disposizione testamentaria del suo possessore essere dato alla Libreria Laurenziana. Ma passò invece, dopo non so quali avventure, nelle mani del Librajo Ducci; quindi pervenne a quel gran matematico, e raccoglitore di preziosità bibliografiche, che fu il Professore Guglielmo Libri; ed ora è in Inghilterra, e fa parte della ricchissima collezione di Lord Ashburnham. Anche di questo codice io ho potuto avere gli opportuni confronti per mezzo dell'ottimo mio amico Senatore Carlo Cadorna, il quale fu per varii anni Ministro del Regno d'Italia a Londra. E il nobile Lord, che ha l'animo pieno d'ogni cortesia, come ha piena la mente di ogni coltura, non solamente ha posto il codice a disposizione della persona che n'era incaricata, ma volle egli stesso trascriverne di propria mano i versetti che gli furono indicati. Il codice Rediano di Lord Ashburnham è anch'esso di carattere del sec. XIV, e tiene colla Bibbia volgare e coi due primi codici di Siena una grande somiglianza. Tanto che mancando alcuni versetti nella Bibbia volgare, come vi manca a cagion d'esempio il vers. 6 del cap. XXIV del primo libro dei Re, e il vers. 16 del cap. XIV del primo de' Paralipomeni, si è riscontrata nei due manoscritti di Siena e nel Rediano la stessa imperfezione. Il che è un argomento di più a dimostrare che tutti questi codici, e quello su cui venne esemplata la stampa Jensoniana, hanno una sola origine, e sono probabilmente trascrizioni di un solo originale o di una sola copia.

Buoni codici stanno eziandio nelle Biblioteche fiorentine, dove mi fu scorta amica e ricercatore diligentissimo il cav. Giovanni Tortoli, nella buona lingua e nelle buone lettere maestro. La più copiosa di versioni bibliche del secolo XIV è la Riccardiana. Il cod. 1252 di essa contiene tutto il nuovo testamento, e del vecchio i libri dell' Ecclesiaste, della Sapienza e de' Profeti. Il 1304, i Vangeli. Il 1354, alcuni frammenti degli stessi Vangeli. Il 1356, i salmi penitenziali, mancanti nel principio, e con essi alcune parti de' Vangeli. Il 1358, l' Apocalissi, le epistole di S. Jacopo e di S. Pietro, e il Vangelo di S. Matteo. Il 1655, il Genesi e i Proverbj; questi però non tradotti dal libro di Salomone, ma sono una raccolta di sentenze, cavate da esso e da altri libri. Nel 1749, i Vangeli; ma è guasto e mancante in principio e in fine. Tutti questi codici sono del secolo XIV. Ed anzi, per quanto si è del cod. 1358, vi fu chi lo stimò della seconda metà del secolo XIII: ma il collega nostro e insigne scienziato Luciano Banchi, nella prefazione ai Fatti di Cesare, pag. LIX, dimostrò, e nella sua sentenza concordano altri paleografi di gran valore, che veramente al sec. XV si appartiene la scrittura di quel codice.

Nella stessa Riccardiana ne abbiamo altri, i quali sebbene sieno scritti nella prima metà del secolo XV, non si può tuttavia dubitare che le versioni bibliche, in essi contenute, non siano del trecento; e ciò tanto per le qualità intrinseche della lingua e dello stile, quanto per la concordanza loro con quelle che si sa con certezza, che sono del buon secolo. Questi altri codici sono il 1250 con tutto il nuovo testamento; il 1321 colle epistole de' santi Paolo, Jacopo, Pietro Giuda e Giovanni; il 1325 e il 1382 colle epistole di S. Paolo; il 1627 e il 1658 colla epistola di S. Paolo agli Efesini e l'Apocalissi.

La Laurenziana conserva nel Plut. XXVII, cod. III, il Saltero e i quattro Vangeli; nello stesso Plut. XXVII, cod. VIII, il libro de' Vangeli con l' interpretazione di un anonimo; e nel codice Strozz. X gli Atti degli apostoli e le epistole di S. Paolo. I quali codici sono tutti e tre del sec. XIV.

E sempre a Firenze la Biblioteca nazionale possiede, nella sezione Palatina, quattro codici volgari del detto secolo; che sono il cod. II col Saltero, il cod. III coi Vangeli, o per meglio dire con quelle parti o seguenze di essi che si leggono nella messa, il cod. V colla epistola di S. Jacopo, e il cod. VI coll'Apocalissi. Nella sezione Magliabechiana, il cod. 667, ora cod. 47 della classe XL, palchetto 11, pure del sec. XIV, col volgarizzamento de' Proverbj e dell' Ecclesiaste, e un altro codice del medesimo secolo col volgarizzamento de' salmi penitenziali. E nella sezione dei Conventi soppressi, il cod. 173 e il cod. 1336, E, 1; il primo del XIV, e il secondo del XV secolo; quello col libro de' Proverbj recato in italiano da anonimo volgarizzatore, e questo coi Vangeli della messa tradotti da Simone da Cascia, che visse e scrisse nel secolo XIV. E presso che tutti questi codici Fiorentini hanno tale rassomiglianza colla Bibbia volgare, da potersi con questa intieramente o poco meno che intieramente identificare. Alcuni però se ne discostano, come ad esempio nel Ricc. 1358 il Vangelo di S. Matteo e l' Apocalissi di S. Giovanni, che sembrano essere lavoro più antico che le epistole di S. Jacopo e di S. Pietro; le quali, confrontate colla nostra edizione, hanno minori e poco. sensibili differenze.

La Nazionale di Napoli ha due codici; V, D, 78, e XII F, 40; i quali contengono tutti e due l'Apocalissi volgarizzata nel secolo XIV da Frate Federico da Venezia, Domenicano, col commento di Nicola da Lira. Il primo di questi codici è descritto nel Propugnatore, 1880, I, 119, da Alfonso Miola; il quale aggiunge, che del volgarizzamento di Frate Federico esiste nella stessa Biblioteca nazionale una edizione del secolo XV, senza alcuna nota tipografica, ma con buone ragioni creduta del Reissinger.

Anche la Marciana di Venezia possiede, nella classe prima de' manoscritti italiani del sec. XIV, il cod. 2, dove sono volgarizzati i Vangeli di S. Matteo, di S. Marco e di S. Giovanni (questo imperfetto), le epistole di S. Paolo ai Romani e ai Corintj, e la Apocalissi; il cod. 3, dove si trova la versione de' Vangeli che si leggono in tutte le feste dell' anno, fatta nel 1369 da un Domenico De Zuliani Triestino, mentre era a Venezia in prigione; il cod. 57, dove è tradotto il Salterio; e il cod. 80, col volgarizzamento di Epistole, Lezioni e Vangeli. E devo qui significare la mia gratitudine anche al cav. Ab. Andrea Capparozzo, Bibliotecario della Bertoliana di Vicenza, fiore di bontà e di sapere, il quale mi fece conoscere un codice della sua Biblioteca, trascritto in ottobre del 1447 da certo Frate Lazzaro da Venezia. Ma l'originale, onde si fece la trascrizione, era certamente del sec. XIV; e se ne hanno indizj sicuri. In quel codice è la traduzione de' salmi letterale, e con parole e forme che tengono del dialetto Veneziano.

Questi i codici. Ed ora discorrendo delle edizioni che, oltre alla Jensoniana, si conoscono di volgarizzamenti biblici del trecento, metterò per prima quella di cui ho già toccato più sopra, e che procurata dalla Società Veneta de' Bibliofili abbraccia poco meno che tutti i cinque libri del Pentateuco, i quali fanno la sesta parte a un di presso della intiera Bibbia. La edizione de' Bibliofili è condotta su quella del Jenson non senza il confronto de' primi due codici di Siena. Ma la nostra avrà sull' altra questi due vantaggi. Il primo, che non solamente de' capi, ma ancora de' versetti porterà la medesima divisione e numerazione che è nella Volgata; ciò che faciliterà di molto le ricerche e le citazioni. Il secondo, che la edizione nostra si eseguirà, in modo immediato e diretto, sopra quella del Jenson, e non sopra una sua copia, come fecero gli editori Veneti del 1846. Onde saranno qui emendati alcuni difetti, nei quali i Bibliofili senza loro colpa erano incorsi. Una copia, per quante cure vi sieno adoperate, è pur sempre una copia. E in più luoghi della loro stampa è accaduto che mancano o periodi o frasi del testo, e si nota dagli editori questa mancanza, come una imperfezione della Bibbia volgare; nella quale invece non è mancanza alcuna, e lo equiVoco fu manifestamente cagionato da inavvertenza del loro copista.

Dopo il 1471 io non so che siavi a stampa alcuna versione, fatta nel buon secolo, de' libri di Giosuè e de' Giudici, se di questi ne vengano eccettuati il capo XI, e la prima parte del XII, dove è raccontata la storia della figliuola di Jefte; i quali io vi mandai trascritti dalla Jensoniana, e Voi li avete fatti stampare dal Galeati d' Imola nello scorso aprile, componendone con altri fiori de' giardini dell' antichità un bel serto, e fuor di metafora un volume elegantissimo, per la settima commemorazione del transito di Clelia Vespignani, amatissima e amabilissima vostra nipote.

Il breve libro di Rut, secondo il volgarizzamento del secolo XIV, fu pubblicato a Lucca nel 1829 da Michele Vannucci; il quale per questa sua edizione, che fu poi citata dalla Crusca, fece uso della Jensoniana, e del codice F, III, 3 della Comunale di Siena.

Succedono a questi nella Bibbia i quattro libri dei Re, i due de' Paralipomeni e i libri d' Esdra e di Neemia; ma di essi non è più a stampa alcun volgarizzamento del secolo XIV. Ben vi sono cinque edizioni del libro di Tobia; e tutte scritture del trecento. Ma due di tali edizioni, voglio dire la Leggenda di Tobia e di Tobiolo, curata a Milano dallo stesso Vannucci nel 1825 con una prefazione di Michele Colombo, e la Storia di Tobia e Storia della cintola della Vergine Maria che si conserva in Prato, allestita a Firenze nel 1832 dall' Abate Manuzzi, e dopo una lunga serie d'anni messa fuori dal compianto nostro amico e collega Razzolini, sono ottimi libri, e anch' esse edizioni di Crusca; ma non sono traslazioni del testo biblico. Le tre rimanenti sono: la Storia di Tobia e sposizione della Salveregina, pubblicata nel 1799 a Livorno da Gaetano Poggiali, conforme a un suo codice, il quale già appartenne a Matteo Caccini, e fu replicatamente allegato dai compilatori del Vocabolario: la Vita di Tobia e di Tobiuzzo, pubblicata nello stesso anno 1799 a Verona da Antonio Cesari secondo il codice num. 42 dell' Accademia della Crusca, e dedicata da lui a Ferdinando I Duca di Parma: e il Libro di Tobia, pubblicato nel 1844 a Venezia da Francesco Berlan sopra un codice che già fu di Monsignore Giovanni Trieste, canonico di Treviso, e che venne poscia in proprietà di T. G. Farsetti, il quale ne fece lascito alla Biblioteca Marciana. E tutti e tre sono volgarizzamenti del Libro di Tobia, come sta nella Bibbia. Ma quella, che pubblicò il Poggiali, è una versione diversa dalla Jensoniana. Le altre del Cesari e del Berlan le sono invece somiglianti; la edizione del Cesari tanto, da potersi quasi dire la medesima che quella del Jenson; la edizione del Berlan un po' meno, specialmente negli ultimi capi. Insieme col libro di Tobia si stamparono da Francesco Berlan, sopra lo stesso codice della Marciana, anche i libri di Giuditta e di Ester. Se non che il volgarizzamento di questi ultimi due libri si scosta anche maggiormente dal Jensoniano; e per quanto in ispecialità riguarda al libro di Ester, meglio che una versione, potrebbe dirsi un compendio della Bibbia; oltre che vi sono omessi i capi XII, XIII, XIV, XV e XVI. Nella edizione del Berlan si hanno anche i prologhi di S. Gerolamo: ma questi furono tolti dalla nostra Bibbia volgare; giacchè il codice Marciano reca soltanto il prologo al libro di Tobia, e lo reca malamente guasto. Una Storia della reina Ester fu pure stampata nel 1864 da Voi, che la trovaste nel Fioretto della Bibbia del codice Magliabechiano IV, 107; ed è il volume XLIII delle Curiosità letterarie del nostro Cav. Romagnoli. Questo però si è un racconto che l' anonimo trecentista, suo autore, ha scritto colla scorta del testo biblico, ma senza farne la traduzione.

Anche del libro di Giobbe abbiamo un' edizione, la quale fa parte del Fiore d'Italia, stampato a Bologna per cura di Luigi Muzzi colla data, veramente un po' larga, del secolo XIX. Ma anche questa leggenda di Giobbe, scrittura pregevolissima e testo di lingua, è composizione originale del trecento; non è versione della Bibbia. Di volgarizzamenti biblici del trecento, fuori del Jensoniano, io non vidi mai, per quanto si è del libro di Giobbe, se non un solo frammento; come similmente un frammento solo ho veduto del seguente libro de' Salmi. Il frammento di Giobbe è quello che avete pubblicato Voi nella Miscellanea di prose e rime spirituali antiche colle stampe del Galeati d' Imola, il 10 di aprile 1879, per la quarta commemorazione della nipote vostra; il quale frammento, di due capi o poco più, avete esemplato sul codice di Siena F, III, 4, che ho qui sopra descritto. E il frammento de' Salmi, che comprende i sette penitenziali, si pubblicò dal Fanfani nel suo Borghini dell' anno 1863, da pag. 488 a 498, secondo il codice 300 Marucelliano. A giudizio del Fanfani questa versione, opera del secol d' oro, vince di bellezza la Bibbia volgare; e ne furono fatti da lui alcuni raffronti. Nè certamente io negherò che i passi raffrontati non sieno migliori; ne di ciò alcuno poteva essere più competente del Fanfani a giudicare. Ma i raffronti sono pochi; e ben vi sarebbero altri passi, nei quali alla Bibbia volgare spetterebbe il vanto. E questa segue poi più da presso e fedelmente il testo della Volgata latina.

I Proverbi di Salomone, come si trovano nel codice Magliabechiano 667, furono due volte stampati; una prima volta, col titolo di Savi detti, a Firenze nel 1847 per cura del Canonico Giuseppe Bini, in occasione delle nozze Ginori Strozzi; e una seconda volta, col proprio titolo di Proverbj, egualmente a Firenze nel 1855, per diligenza di Pietro Fanfani, che migliorò la precedente edizione. Ma anche questa è una versione diversa notabilmente dalla Bibbia volgare. Dallo stesso codice Magliabechiano 667 prese Francesco Frediani il libro dell' Ecclesiaste, ch' egli pubblicò a Napoli nel 1854, intitolandolo a Monsignore Michele Salzano, vescovo di Tanes; salvo che essendo quel codice mancante della prima carta, suppli al difetto col riportarvi dalla nostra Bibbia volgare i primi nove versetti. Tutto intiero invece è della Bibbia volgare il Cantico de' cantici, stampato prima a Bologna nel 1863 da Giuseppe Turrini tra le Curiosità letterarie del Romagnoli, dove occupa una parte del vol. XXXII; e poi di nuovo a Venezia. nel 1868 dal Prof. Pietro Ferrato, il quale ne fece omaggio al nostro Re Umberto I, allora Principe ereditario, per le sue nozze colla Reale cugina Margherita. E non una sola, ma due distinte edizioni ne fece in quella occasione il Ferrato colle stampe di Giuseppe Antonelli; una in formato di quarto, colla dedicatoria agli sposi Reali, con una sua prefazione, col testo latino a fronte e coll' aggiunta del volgarizzamento poetico dell'Abate Tommaso Valperga di Caluso; l' altra in formato di ottavo, e in più modesto libretto, colla sola versione del buon secolo, temperatamente ridotta alla grafia moderna. Ma sia il Turrini e sia il Ferrato, nelle loro ristampe di questa piccola parte della Bibbia volgare, si presero parecchie libertà; maggiori il Turrini, un po' meno il Ferrato. Il quale però non seppe o non volle astenersene, anche nella edizione che non ridusse alla moderna grafia.

A far compiuto il vecchio testamento rimarrebbero ancora la Sapienza, lo Ecclesiastico, i Profeti maggiori e i minori, e i due libri de' Macabei. Ma di cotesti libri, i quali tutti insieme ne formano circa un terzo, non abbiamo alcuna versione del buon secolo a stampa, dopo la Jensoniana, tranne le poche pagine de' Treni ossieno Lamentazioni di Geremia; le quali si pubblicarono dal Turrini, insieme col Cantico de' cantici, nel già detto Vol. XXXII delle Curiosità letterarie, essendosi lo editore prevalso del Codice Riccardiano 1252.

Nel nuovo testamento stanno primi i quattro Vangeli. Ed Emmanuele Cicogna stampò nel 1823 a Venezia, e fu poi citato dalla Crusca, un Volgarizzamento di Vangeli fatto nel secolo XIV. La stampa è conforme a un codice proprio del Cicogna; ma non è volgarizzamento di tutti i Vangeli, nè di alcuno di essi, bensì di que' brani ed estratti soltanto, che sono riferiti nel Messale, e si leggono dai sacerdoti nella messa; i quali brani non arrivano alla metà del testo evangelico. Questo volgarizzamento, discorde in poche, consuona in molte parti con quello della Bibbia volgare. Anche nel libro delle Contemplazioni sulla passione di nostro Signore Gesù Cristo, edito a Roma da Filippo De Romanis nel 1834, si comprende il volgarizzamento di lezioni ed epistole bibliche della settimana santa, tratto da un codice manoscritto del secolo XIV; ma questo breve volgarizzamento si diversifica assai dal Jensoniano. Un saggio di vera e propria traslazione dei Vangeli ci fu dato dal Turrini; il quale nel Vol. XXX delle Curiosità letterarie inserì i capi III e IV del Vangelo di S. Giovanni, ch' egli disse nel preambolo di aver rinvenuto colla intiera versione dell' antico e nuovo testamento in sette codici delle pubbliche librerie di Firenze; tra i quali mi pare che abbia specialmente consultati i Riccardiani. Credo però che il Turrini sia caduto in errore, supponendo che nei codici fiorentini delle pubbliche librerie si abbia la versione intiera, non solamente del testamento nuovo, il che è verissimo, ma eziandio del testamento vecchio, del quale vi mancano molti libri.

Non piacquero le edizioni del Turrini al nostro Francesco Di Mauro di Polvica, il quale ne fece un esame critico nel Propugnatore dell' anno 1871, a pag. 419 e seguenti della prima parte. Ed egli stesso, il Di Mauro, pubblicò alla sua volta tre non brevi frammenti di volgarizzazione de' Vangeli, cioè: i primi sei capitoli dell' Evangelio di S. Matteo nella seconda parte del Propugnatore del 1869: i primi quattro capitoli dell' Evangelio di S. Marco nella seconda del 1871: e gli ultimi quattro capitoli dell' Evangelio di S. Giovanni nella prima del 1874. De' quali capitoli dell' Evangelio di S. Giovanni fece poscia una ristampa a Torino nello stesso anno 1874, con parecchie giunte, e colla correzione di più mende che prima vi erano trascorse. Questi frammenti sono tutti cavati da un codice di proprietà del Sig. Di Mauro, che lo giudicò scritto negli ultimi anni del secolo XIV o nei primi del secolo XV. E certo il volgarizzamento è del secolo XIV; ma è diverso dal nostro Jensoniano.

Dopo i Vangeli hanno luogo nel nuovo testamento gli Atti apostolici. Del volgarizzamento di questi Atti, composto da Frate Domenico Cavalca, sono annoverate nel vostro libro delle Opere volgari undici edizioni; e il volgarizzamento è il medesimo della Bibbia volgare. Ma fra tutte queste edizioni voglio solo ricordarvi quella del 1847, fatta a Milano per diligenza del Canonico Francesco Curioni. Il quale si è studiato di correggere le edizioni precedenti per mezzo della Bibbia Malermiana del 1471, facendo così il rovescio di ciò che ragionevolmente sarebbesi dovuto fare. Imperocchè, riconoscendo il Curioni, che il volgarizzatore degli atti apostolici è stato Frate Domenico; ed anzi tenendo egli opinione, che sia opera di questo tutta quanta la Bibbia volgare; come mai ha potuto pensare che al dettato del Cavalca si dovesse anteporre quello del Malermi? Come mai egli, che pur era di fino gusto, ha potuto persuadersi che la prosa di uno fra i migliori del buon secolo fosse da meno della prosa di uno fra i mediocri del quattrocento?

Vengono appresso le quattordici epistole di S. Paolo, e le altre sette epistole canoniche di S. Iacopo, di S. Pietro, di S. Giovanni e di S. Giuda. Ma di tutte le epistole di S. Paolo tre soltanto, e le più corte, si trovano a stampa in una versione del buon secolo; e sono le epistole agli Efesini, ai Galati e a Filemone. La epistola agli Efesini conta però, ella sola, tre edizioni, le quali si fecero: nel 1848 a Verona per opera di Bartolomeo Sorio, e a questa servi di esemplare un testo a penna, molto antico e veramente ottimo, di Paolo Zanotti, non senza il confronto dei due codici 1321 e 1325 Riccardiani: nel 1851 a Firenze per le cure di Carlo Del Re, il quale si giovò del Riccardiano 1658, collazionato cogli altri codici 1321, 1325, 1382 e 1627 della stessa Biblioteca: nel 1870 a Siena, secondo un bel codice membranaceo d'antica data; ma di questa edizione, che fu un omaggio del Parroco Alessandro Toti a illustri sposi, non mi riuscì finora di aver copia. L'altra epistola di S. Paolo ai Galati si stampò anch' essa a Verona per opera del Sorio nel 1861; il quale si valse di un suo proprio manoscritto del secolo XIV, ed anche della edizione Jensoniana. E l'epistola a Filemone, traslata di latino in volgare per uno da Siena nel MCCC, si pubblicò dalla Tipografia Sanese dell' Ancora nel 1853; ma come dell' altra stampa Sanese della epistola agli Efesini, così di questa, che fu data in luce per il solenne ingresso di un nuovo Arciprete di Provenzano, io non potei vedere alcun esemplare. Quanto poi alle sette epistole canoniche, una sola, cioè quella di S. Iacopo, fu stampata dopo il 1471 nel buon volgare del trecento; ma fu stampata anch' essa tre volte. La prima, nel 1859 a diligenza dell' Ab. Pietro Pessuti, traendola da un codice Marciano; ma questa io non conosco, se non per la menzione che Voi ne faceste a pag. 506 del vostro libro delle Opere volgari. Le altre due, a diligenza entrambe di Giuseppe Turrini. Il quale prima stampò la epistola di San Jacopo nel già nominato Vol. XXX delle Curiosità letterarie insieme coi Cap. III e IV del Vangelo di San Giovanni; e quindi ne fece nel 1869, coi tipi del Wagner d' Innsbruck, una speciale edizione critica, collazionandola col testo greco, con quello della volgata e dell' antica. italica, colla nostra Bibbia volgare, col codice Strozziano X e coi Riccardiani 1250, 1252, 1321, 1538 e 1658.

Ultimo fra i libri della Bibbia è l' Apocalissi di S. Giovanni. E di questa un Volgarizzamento inedito del buon secolo della lingua, esistente nello archivio Capitolare della Cattedrale di Pistoja, fu divulgato nel 1842 dal Canonico Giovanni Breschi, col sussidio altresì di un codice della Magliabechiana. Dal trovarsi nel manoscritto Capitolare, insieme colla versione dell' Apocalissi, anche lo Specchio di croce del Cavalca, argomentò il Breschi, che di tal versione fosse autore lo stesso Cavalca. E che questi con altri libri della Bibbia abbia pur tradotta l'Apocalissi, pare anche a me cosa probabile. Siccome però vi è divario non poco fra la versione Pistojese e quella della Bibbia volgare, così devo aggiungere che a parer mio assai più la seconda, che non la prima, si accosta ai modi e al fare di Frate Domenico. Ma di questo giudizio a Voi intieramente io mi rimetto. Del rimanente Voi ben vedete, che quando si lasci da parte la Bibbia del Jenson, divenuta poco meno che irreperibile, e da non potersi in ogni caso altrimenti comperare che a peso d'oro, assai scarsa è la suppellettile, e anche questa non facile a rinvenirsi, per coloro i quali alla severità degli studj sacri amerebbero aver compagne le grazie del trecento. Ognuno pertanto, che a queste grazie non sia del tutto in ira, farà buono accoglimento alla impresa nostra del ristampare la presente traduzione, dov' esse a piene mani versarono i loro tesori. E chi porrà l'occhio e la mente a queste bellezze, ne sarà facilmente disamorato, come ben diceva il Frediani, delle bellezze spurie, che con tanti altri mali ci vengono di fuori.

Pubblicando antichi codici, o ripubblicando antiche stampe, due metodi si possono tenere. Il primo si è di darne il testo, tal quale si trova, senza alcuna variazione nè correzione, anche degli errori più mamifesti. L'altro invece si è di ridurlo, come suol dirsi, a buona lezione, facendovi que' cambiamenti, non certo di sostanza o di parole, ma di scrittura o di forma, che si stimano a tal uopo necessarii od opportuni. Non sarò io per fermo a negare che il primo metodo non sia per alcuni rispetti utilissimo, potendo anche gli errori dar luce a chiarire il corso tenebroso delle lingue e de' loro dialetti, e de' suoni e delle pronunzie, ed altre particolarità somiglianti. Ma questi sono rispetti scientifici; e appartengono per di più a una scienza la quale non è molto diffusa. Ed è altresì da considerare, che col solo soccorso dell' arte tipografica il rappresentare un codice antico, o una antica stampa, in modo che tra il rappresentante e il rappresentato non vi sia differenza, è cosa poco meno che impossibile. Tanto che per parte mia posso affermare di non avere veduto mai alcuna edizione, la quale essendosi voluta fare col primo metodo, per quanta diligenza e attenzione vi sia stata impiegata, pur confrontandola parola per parola e linea per linea coll' originale, non vi si scoprano diversità parecchie. Delle quali diversità alcune sono effettive, ed altre congetturali; potendo bene spesso in un codice, più o meno accuratamente scritto, e talvolta più o meno alterato e guasto, gli stessi segni da un occhio diverso leggersi diversamente, e rilevarsene diverse parole o lettere o sillabe, vuoi di scrittura originaria, o vuoi di scrittura successivamente aggiunta o sovrapposta in una o più riprese. E pure se non vi è la più perfetta e assoluta medesimezza collo originale, non può reggere alcuna illazione scientifica la quale si voglia fondare sulla stampa. Quello però che non può fare l'arte tipografica, si fa ora per mezzo della eliotipia; colla quale soltanto si arriva ad una conformità perfetta di forme grafiche, e a prezzi altresì che non sono di soverchio superiori ai prezzi della tipografia.

Lasciamo dunque alla scienza le copie eliotipiche; e atteniamoci, per quanto si è delle stampe, al secondo metodo; il quale nei rispetti letterarii è assai più giovevole, siccome quello che risparmia al lettore la fatica e il tedio di andare investigando, fra una moltitudine di segni malamente vergati e connessi, le vere parole che l'autore abbia voluto scrivere. Ma nel ridurre a buona e corretta lezione un codice o una stampa cattiva e scorretta, non può nè deve lo editore procedere a caso nè a capriccio; ma è mestieri che si attenga a certe e ragionevoli norme. In ciò io cercai di seguitare gli esempj lasciati da coloro che de' libri antichi fornirono le edizioni meglio stimate, come furono Anton Maria Biscioni, Domenico Maria Manni, Antonio Cesari, Marco Antonio Parenti, Bartolomeo Sorio e Voi, mio caro e illustre Presidente, che per la copia e la bontà di così fatte edizioni non avete alcuno che vi superi. Ma poichè questa mia dichiarazione potrebbe a taluno sembrare troppo presuntuosa, e anche un pò vaga ed elastica, dirò scendendo a qualche particolarità più concreta, che tre cose devono qui notantemente aversi di mira; e sono la interpunzione, la grafia e le forme grammaticali. Circa alla interpunzione, non vi è difficoltà, essendo presso che tutti d'accordo, che la interpunzione là dove manca si deve mettere, e là dove è difettosa si deve emendare. Nel caso nostro, ristampandosi una versione della quale è notissimo il testo latino, questa della punteggiatura fu bensì una fatica lunga, e bastevolmente anche nojosa, ma senza comparazione assai meno problematica e incerta, che non sia la punteggiatura di alcune terzine Dantesche, le quali voi ed io conosciamo.

Circa alla grafia, la regola è di ridurla in modo, che dove essa già non sia tale, diventi ortografia. Voglio dire che le parole hanno da essere scritte, come si scrivono da coloro che scrivono bene ed esattamente. E perciò se troviamo parole o sillabe malamente unite o malamente divise, è debito nostro di dividerle o di unirle secondo che si conviene. Quando per esempio la nostra Bibbia volgare ha stampato chioti lascio, oppure labisso e della bisso, sarà cosa naturale che noi stampiamo in quella vece ch' io ti lascio, l'abisso e dell' abisso. Vi sono poi alcune lettere, le quali oramai non sono più dell' abecedario italiano; la k, la xe l'y. Onde alle kalende, allo exaudire, al Moyse, al comyncia, abbiamo sostituito senza veruno scrupolo calende, esaudire, Moisè, comincia. Della lettera h si è assai ristretto l' impiego, massime quando, sia mettendola sia tralasciandola, il suono della parola rimane pur sempre il medesimo; e quindi in luogo del vecchio huomo e havere e Ruth e Judith ed Ilester, scriviamo avere e uomo e Rut e Judit ed Ester, secondo che oggidì si pratica. Intorno alla quale lettera h, e anche alla vocale i, occorre un'altra osservazione. Esse venivano nei primi tempi della lingua adoperate per indicare un certo modo di pronunzia, affinchè le consonanti che precedevano fossero dal lettore proferite col suono gutturale o col palatino. Si scriveva chacciati, cierchate, ciento, cierto, veggiendo; perchè se si fosse scritto cacciati, cercate, cento, certo, veggendo, come ora scriviamo noi, vi sarebbe stato pericolo di sentir leggere ciacciati, cherciate, chento, cherto, vegghendo. Similmente si scriveva degnio, insegnia, pugniale, od anche dengnio, insengnia, pungniale, o dengno, insengna, pungnale, perchè non si dicesse poi deg-no, inseg-na, pug-nale, ma degno, insegna, pugnale, come ora tutti diciamo senza necessità d' incastrarvi alcun' altra consonante o vocale. Essendosi adunque fatte costanti, ed essendo universalmente conosciute le norme del pronunziare, non v' è più motivo di ritenere l'antica grafia. So bene che anche al tempo nostro vi sono alcuni i quali vorrebbero particolari segni, per dimostrare l'e e l'o larga o stretta, e quando si debba questa o quella consonante far udire col suono dolce o coll' aspro. Nè questa può dirsi una idea che pecchi di troppa modernità. Mentre scrivo, io ho qui sott' occhio la edizione principe, fatta in Vicenza per Tolomew Janiculo da Bressa nell'anno MDXXIX, del libro di Dante de la volgare eloquenzia, tradotto dal Trissino in lingua italiana, e dedicato da Giwvanbattista Doria al Cardinal? d? M?dici, dove sono adoperati l'? e l' de' greci. Ma l' alfabeto del Trissino, sebbene sia antico oramai di tre secoli e mezzo, fu e resta ancora lo alfabeto dell' avvenire. Noi intanto, fino a che i nuovi segni grafici non saranno inventati, e quel che più monta, non saranno comunemente ammessi, bisognerà pure che seguitiamo a scrivere e a stampare come da tutti si scrive e stampa.

Alla grafia appartiene anche la distinzione, dagli antichi spesso e facilmente trascurata, tra la vocale u e la consonante v. Vi appartiene l'uso della consonante semplice e della doppia; uso che nei vecchi codici e nelle vecchie stampe siffattamente era promiscuo, che quasi non vi ha parola, scritta in un luogo colla consonante semplice, la quale non si veda scritta in un altro colla doppia. Vi appartiene altresì la congiunzione et, intorno alla quale si fecero tanti discorsi, e si consumò tanto inchiostro. Dal canto mio non ho creduto di commettere un crimenlese, ponendo e oppure ed secondo i casi, come vedo essersi fatto in parecchie edizioni che sono pure fra le più riputate. La congiunzione è sempre la medesima; sopra di ciò non può cadere controversia; e le due consonanti te d sono altresì di quelle che più comunemente tra loro a vicenda si scambiano. Maggiore è la libertà che mi tolsi circa alla grafia de' nomi proprii; ma fu con ragione anche più manifesta. Ogni volta che trovai erroneamente scritto alcuno di questi nomi, io rettificai lo errore. Imperocchè esso non poteva procedere se non da una inavvertenza dello scrittore o dell' amanuense o del tipografo.

Più arduo è il punto delle forme grammaticali. Il mio sentimento sarebbe questo. Quando nel codice o nell' antica edizione una forma si mantiene costantemente la medesima, non è permesso a noi di variarla; perchè ogni cambiamento non altro sarebbe che un anacronismo, e un mettere in bocca agli avi il linguaggio de' nipoti. Ma quando invece si vedono, per un solo intendimento, adoperate ora una forma ed ora una o più altre diverse, bisognerebbe fra tutte queste forme sceglierne una soltanto, e a quella continuamente attenersi. Imperciocchè se una lingua, perfettamente condizionata, non deve avere due o più parole per significare una sola idea, similmente non deve avere due o più forme per esprimere di quella idea un solo aspetto o una sola modificazione. E che altro sono le declinazioni de' nomi, le conjugazioni de' verbi e tutte le altre forme grammaticali, se non la espressione di una idea ne' varii suoi aspetti, e giusta le varie modalità di tempi o di persone? E tra più forme la scelta, parmi, dovrebbe farsi di quella che si usa ancora oggidì, e non delle altre che sono andate in desuetudine. Giacchè lasciando anche da parte il precetto oraziano, che accorda all'uso popolare la signoria assoluta delle lingue, non sembra da dubitare che l' essersi una forma conservata viva, e le altre abbandonate, non sia un argomento che mostri la prima doversi alle antiquate preferire, siccome più consentanea al genio della nazione e all'indole della favella. Cosi per cagione di esempio, se nel nostro esemplare alla terza persona del plurale si avesse la desinenza sempre in ono, come amono, osservono, questa nè si dovrebbe nè si potrebbe mutare. Ma se ora in una maniera, ed ora in un' altra, vi abbiamo indifferentemente amono e amano, osservono e osservano, io consiglierei lo editore di stare alla seconda di queste forme, più tosto che alla prima.

Nondimeno, siccome è questa una materia intorno alla quale sono disparate le opinioni; e in parecchie delle opere già pubblicate dalla nostra Commissione si ritenne questa varietà di forme, qual era nel testo primitivo; così anch' io non ho voluto troppo rigorosamente vincolarmi alla regola sopradetta; ma insieme alla forma, ancora oggidì vivente, lasciai sussistere qua e là anche le altre che si dismisero. Così col pronome egli troverà il lettore nella presente edizione anche i vecchi el, elli, ello; e col numero due troverà il dui, il duo, il dua, il duoi. E tanto più facilmente mi acconciai alla forma arcaica, quando essa o chiariva le origini, o più da vicino si approssimava alla propria natura del nome o del verbo. Ho stampato venti e anche vinti, perchè questo ricorda il latino viginti. Ho stampato senza, e anche sanza  perchè questo dimostra la origine comune del nostro senza e del sans francese; porrò, potransi, dire, dite, fate, saprà, avremo, ma anche ponerò, poteransi, dicere, dicete, facete, saperà, averemo e simili, perchè meglio vi appare la radice latina; ritornaro o ritornarono, insalerà, ponga, ma anche ritornoro o ritornorono, insalarà e pona, perchè più consone queste forme al singolare ritornò, e agl' infiniti insalare e porre o ponere; e per la stessa ragione stato e suto, sincope di essuto, letto e leggiuto, nato e nasciuto, potuto e possuto e anche possiuto; e le varie terminazioni di lodiamo e laudamo, di udi e odi, udie, odio e uditte; e le desinenze raddolcite di fue, piue, die, fae, hae, diroe, bontade, bontate ecc. Ma nella enumerazione di coteste minutaglie io non procederò più innanzi. Per gl' intendenti già forse ne dissi di troppo; per gli altri non se ne direbbe mai a bastanza.

Seguace alle avvertenze grafiche e grammaticali sin qui dette conviene che sia una buona correzione tipografica. E per questa io non risparmiai fatica; e mi fu validissimo aiuto nella revisione delle bozze di stampa il nostro amico Dott. Alberto Bacchi Della Lega, il quale ha mente acuta e occhio di lince. Ma con tutto ciò non posso presumere che nella presente edizione non sieno errori. Chè stampa senza mende è così difficile ad aversi, come senza orpello. Spero non di meno che gli errori non saranno molti, e saranno tali che da un discreto lettore si possano compatire.

Sono stato per un momento in forse circa al corredare o no quest' opera di qualche nota e illustrazione. Ma non tardai a risolvermi per la negativa. Giacchè non avrebbero cotali note potuto essere se non di due specie; vale a dire o di scienza, o di filologia. Ma la scienza teologica, col sussidio della quale si dovrebbero spiegare i libri sacri, non è scienza mia; ed è al tutto fuori della provincia assegnata alla nostra Commissione. Le note filologiche poi, quanto sono opportune e vantaggiose nei libri di studio, i quali hanno da correre per le mani de' giovani, altrettanto riescono fastidiose e vane pei lettori più provetti, ai quali principalmente è la nostra Collezione destinata. Imperocchè queste note, o dicono ciò che essi già sanno meglio di noi, e tanto vale il tralasciarle; o trattano di materie controverse, e anche in tal caso non approdano. Giacchè sopra così fatte materie, o la opinione loro è conforme alla nostra; e della nota ben possono far senza. O è diversa; e c'è da scommettere cento contro uno, che la nota nostra non arriverà a convertirli. Tutte le opinioni sono per natura tenaci; le opinioni de' filologi tenacissime e ostinate. Oltre di che c'era a temere che non ci facesse il viso dell' armi il Cav. Romagnoli, al quale spetta la parte economica della Collezione. Giacchè le note, anche nei più stretti limiti contenute,avrebbero considerevolmente ingrossato la mole della Bibbia volgare; la quale, anche così come noi la daremo senza note, riuscirà di tutte le opere, sin qui pubblicate dalla nostra Commissione, la più costosa e voluminosa.

Mi rimane una protesta, la quale sia per la qualità del libro, e sia per le condizioni nostre, è essenzialissima. Noi non siamo un sodalizio di teologi nè di maestri in divinità, ma siamo semplicemente una società di amatori della buona lingua. Col mettere di nuovo a stampa questo volgarizzamento noi non intendiamo pertanto di dare al lettore un testo, il quale si possa prendere da lui in luogo e scambio del testo biblico; ma intendiamo solamente di offerirgli un testo del secol d'oro; esempio e modello del puro e corretto scrivere italiano. Non vogliamo che si creda, il vero e genuino senso della Bibbia essere sempre quello che dal suo volgarizzatore fu inteso; nè questo è giudizio che possa darsi da alcun privato. E perciò abbiamo, siccome è precetto Ecclesiastico, a pie' di pagina posto per confronto il testo autentico della Volgata latina, secondo la edizione approvata da Clemente VIII, acciò che in qualsiasi dubbio o diversità fra essa e la versione italiana, la verità della scrittura divina si cerchi nella prima, e non nella seconda. Questo però io posso ancora aggiungere che, a detta de' teologi, si devono particolarmente avere in diffidenza quelle traslazioni della Bibbia, le quali sieno fatte da scrittori non cattolici. Se così è, la nostra Bibbia volgare dovrà per ragione dei contrarii cattivarsi un accoglimento di fiducia specialissima. Giacchè per gran parte ne fu certamente autore, e anche nel resto assai probabilmente vi pose mano Domenico Cavalca. Il quale non solamente fu un cattolico sincero, ma secondo che scrisse Giuseppe Taverna per testimonianza degli antichi biografi, la vita sua fu così maravigliosa di santità, che alla morte di lui la città di Pisa tutta si commosse, trasse alla pompa funerale; e innanzi agli altri la seguitavano i poveri e tribolati, lamentando la perdita del loro padre. Onde i libri del Cavalca, oltre all'essere tenuti come eccellenti si di dottrina e sì di eloquenza, sono eziandio raccomandati come edificanti e ripieni di religioso fervore.

Voi vivete lungamente felice, e amate il vostro


CARLO NEGRONI.

 

Da Novara il 1 di ottobre MDCCCLXXXII