CAPITOLO IV. - FELICE MORTE DI S. MATILDE, CANTRICE DEL MONASTERO
Santa Matilde di Hackeborn
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Quando Matilde devotissima maestra di coro, ricca di buone opere e
tutta piena di Dio fu mortalmente inferma, volle, circa un mese prima
del suo trapasso, seguire secondo una sua pia abitudine, l'esercizio
della morte, composto da Geltrude. Una domenica, dopo essersi
comunicata, ella consegnò la sua ultima ora alla divina misericordia.
Geltrude pregò per lei e vide in spirito, che il Signore aveva attratto
per sua divina virtù, l'anima di Matilde e l'aveva poi rimandata al suo
corpo per prolungare ancora un po' la sua santa vita. Geltrude chiese a
Gesù: « Perché vuoi, amato Signore, ch'ella rimanga ancora in terra? ».
Egli rispose: « Perchè
voglio completare ciò che la mia divina Provvidenza ha stabilito di
operare in essa. A tal fine ella mi servirà in tre maniere: mi offrirà
cioè il riposo dell'umiltà, il banchetto della pazienza e il sollievo
di diverse virtù. Per esempio in tutto quello che vedrà e sentirà del
prossimo, ne farà motivo dil umiltà, ponendosi al di sotto di tutte,
facendomi così gustare un riposo delizioso nel suo cuore e nell'anima
sua. Ella inoltre si mostrerà serena nelle sofferenze e tribulazioni,
le accoglierà con amore, sostenendo volentieri ogni pena: mi preparerà
così un banchetto sontuosamente servito. Infine nella generosa pratica
di altre virtù, Matilde mi offrirà un riposo che sarà la delizia della
mia Divinità ».
Un'altra volta; dovendosi Matilde comunicare, Geltrude chiese al
Signore che cosa avesse in essa operato. Egli rispose: « Mi riposo fra i suoi dolci
amplessi, come su di un letto nuziale ». Geltrude comprese
che la camera nuziale ove l'anima riposava in Dio e Dio nell'anima, era
la disposizione costante che la portava, fra pene e dolori continui, a
confidare nella bontà di Dio, a credere che la divina misericordia
dirigeva tutto per suo bene, a ringraziare il Signore e ad abbandonarsi
con fiducia nella sua paterna Provvidenza.
Siccome Matilde peggiorava rapidamente e verso sera soffriva assai di
cuore, veniva compassionata dalle consorelle che s'avvicinavano,
vedendola fra tanti dolori. Ma ella le consolò dicendo: « Non piangete
e non attristatevi a mio riguardo, mie dilette, perchè compatisco
talmente alla vostra desolazione che, se fosse la Volontà del nostro
dolce Sposo, vorrei vivere sempre nonostante questi dolori, per potere
continuare a consolarvi in tutto ».
Altra volta insistettero presso la malata, perchè prendesse una
medicina che si credeva dovesse farle bene. Ella cedette nonostante la
sua estrema ripugnanza, ma appena sorbito il farmaco, i suoi dolori.
crebbero. Geltrude bramò sapere all'indomani come Gesù avrebbe
ricompensato l'amabile accondiscendenza della malata. Il Salvatore
rispose: « Col dolore che quella medicina le ha prodotto, ho composto
un rimedio salutare per tutti i peccatori del mondo, per le anime del
purgatorio ».
Nella domenica Si iniquitates, la penultima dopo Pentecoste, Matilde si
comunicò per l'ultima volta. Geltrude pregava per lei, quando il
Signore le ispirò di avvertirla, affinchè si preparasse a ricevere
l'Estrema Unzione. L'incarica pure di dirle, da parte sua, che, dopo
aver ricevuto quel Sacramento salutare, Lui stesso, custode
diligentissimo di coloro che ama, l'avrebbe raccolta nel suo Cuore, per
preservarla dalla minima macchia, proprio come un pittore vigila il
quadro che ha terminato, mettendolo a riparo dalla polvere.
Geltrude avvisò la malata: ma siccome Matilde era sempre stata
sottomessa ai suoi Superiori, così si rimise alla loro guida anche per
l'Estrema Unzione, non volendo anticiparla di sua volontà,
abbandonandosi completamente alla divina Provvidenza, che aiuta coloro
che in essa pongono la loro fiducia.
I Superiori, da parte loro, avevano una grande venerazione per la
malata, ed erano sicuri che Dio l'avrebbe avvisata di domandare lei
stessa i Sacramenti, a tempo opportuno, Così vedendo che nulla diceva,
attesero. Ma il Signore, per mostrare la verità della parola evangelica
« Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno »
(Matt. XXIV, 35), confermò quanto aveva detto alla sua Sposa prima del
Mattutino della seconda feria, Matilde si sentì così male da essere
ridotta agli estremi. Allora si chiamò in fretta il Sacerdote ed ella
ricevette l'Estrema Unzione, se non quel giorno stesso, almeno prima
dell'alba del giorno seguente.
Mentre Geltrude pregava per essa, durante l'unzione degli occhi,
comprese che il Signore circondava l'agonizzante con tutta la tenerezza
del suo divin Cuore: Egli dirigeva verso di lei i raggi del suo
infinito splendore per comunicarle, in quella luce, tutti i meriti
acquistati dai suoi santissimi occhi.
Da quel momento gli occhi della malata parvero stillare, sotto l'azione
efficace della bontà divina, uni olio d'incomparabile dolcezza.
Geltrude comprese che il Signore, per i meriti di Matilde, accorderebbe
il soccorso delle sue consolazioni a tutti coloro che la pregherebbero
e capì che Matilde aveva ottenuto quel favore, perché la carità l'aveva
sempre animata a mostrarsi tenera e amabile verso tutti, durante la
vita.
Quando il Sacerdote le fece le altre unzioni sui diversi sensi, il
Signore le comunicò le opere perfette delle sue sacratissime membra.
All'unzione delle labbra, quell'amante geloso delle anime, in uno
slancio di tenerezza, depose su di esse un bacio più dolce del miele,
comunicandole così tutto il frutto delle parole della sua sacra bocca.
Durante la recita delle Litanie alle parole: Omnes Sancti Seraphim et
Cherubim, orate pro ea, Geltrude vide la falange di quegli spiriti
celesti, aprire le loro file, con gioia rispettosa, per preparare un
posto d'onore a quell'eletta di Dio. Conveniva ch'ella fosse posta nei
ranghi superiori degli spiriti più vicini alla divina Maestà, perché
con la sua verginale santità aveva condotta in terra vita angelica.
Oltrepassando il coro degli Angeli aveva attinto coi Cherubini, alla
sorgente dell'infinita Sapienza, i torrenti dell'intelligenza
spirituale; coi Serafini ardenti ella aveva stretto fra le braccia
della carità Colui che è fuoco consumatore: ignis consumens est (Deut
IV, 24).
Man mano che nelle litanie s'invocava il nome dei Santi, ciascuno di
essi si alzava con riverente gaudio e deponeva i suoi meriti, sotto
forma di doni preziosi, nel seno del Signore, perchè li offrisse alla
sua diletta, accrescendo così la sua gloria e beatitudine.
Dopo le sante unzioni il Signore la prese amorosamente fra le braccia
custodendola per ben due giorni, con le labbra applicate alla ferita
del divin Cuore, in modo ch'ella sembrava aspirarvi il soffio vitale;
rimandandolo poi in quella sacra apertura.
S'avvicinava l'ora gioconda dei trapasso, l'ora nella quale il
Salvatore avrebbe dato alla sua eletta il dolcissimo sonno dell'eterno
riposo, dopo i dolori delle terrene fatiche. Era la terza feria,
vigilia di S. Elisabetta, prima di Nona, quando Matilde entrò in
agonia. La Comunità accorse devotamente per accompagnare, con le solite
preghiere, la partenza di quell'anima tanto amata nei Cristo.
Geltrude, più fervente delle altre, vide l'anima della malata sotto
forma di una bella giovinetta che stava ritta davanti al Signore,
esalando nella ferita del divin Cuore, il soffio ché ivi aveva
aspirato. L'adorabile Cuore parve allora non poter più contenere il
torrente della sua bontà e della sua dolcezza: ogni volta che aspirava
il soffio dell'agonizzante, Egli faceva piovere, con slancio d'amore,
abbondante rugiada di grazie su tutta la Chiesa e specialmente sulle
persone presenti.
Geltrude ebbe l'intelligenza di questa visione. In quel momento la
Santa agonizzante, per grazia di Dio, allargava il desiderio di bene al
mondo intero e a tutti i defunti. Gesù accordava grazie universali.
Durante l'antifona Salve Regina, alle parole Eja ergo advocata nostra,
l'eletta da Dio, sul puntò di spirare, si rivolse con amore alla
Vergine Maria e le raccomandò le consorelle che stava por lasciare,
pregandola di circondarle, per amor suo, di speciali tenerezze. Ella le
ricordò che durante tutta la vita era stata, fra le sorelle,
un'avvocata benevola, premurosa, previdente e pregò la Madre di
misericordia di difendere le loro cause intercedendo presso il suo
Figlio per la comunità.
La Vergine accolse questa preghiera e, posando le sue mani benedette su
quelle della morente, mostrò di accettare in eredità il Monastero che
le veniva confidato. Mentre si recitava la breve preghiera: Ave Jesu
Christe, alle parole via dulcis, Gesù, tenero Sposo di Matilde, appianò
e addolcì la via con un'effusione della sua Divinità, per attrarre a sè
la sua diletta con maggior tenerezza e minore sforzo.
Durante il giorno dell'agonia ella non disse che queste parole: Jesu
borse, Jesu borse! mostrando in tale modo che Colui, il cui nome
ritornava così spesso sulle sue labbra, fra gli amari dolori della
morte, abitava veramente nelle profondità della sua anima. Le
consorelle a una a una raccomandarono alle sue preghiere i bisogni
particolari. Ella non poteva parlare, ma diceva tuttavia sommessamente:
« volontieri! » oppure « sì! » per mostrare con quale tenerezza
trasmetteva al Signore tutte quelle suppliche.
Geltrude comprese altresì che, da tutte le membra sofferenti della
malata, esalava un vapore che penetrava l'anima sua purificandola
mirabilmente da ogni macchia, santificandola e rendendola atta a
gustare subito l'eterna beatitudine.
Geltrude, che ebbe la conoscenza di tali cose, si propose in un primo
tempo, di tenersele celate in cuore per non tradire il segreto delle
sue rivelazioni; ma poi vide chiaramente che quel progetto era
contrario al volerei di Dio « cujus gloria est revelare sermonem - che
è glorificato quando si rivela la sua parola » e che disse: « Quod in
aure auditis, praedicate super tecta - Quello che avete udito,
predicatelo sui tetti » (Matt. X, 27).
Durante i Vespri di S. Elisabetta si credette che Matilde stesse per
spirare. La Comunità lasciò il coro in fretta per recitare al letto
dell'agonizzante le preghiere di rito. Ma Geltrude, per quanto si
sforzasse di applicare i suoi sensi interiori, nulla poteva percepire
di quanto riguardava la morente. Allora, riconoscendo la sua colpa,
promise al Signore di far conoscere, per la sua gloria e il bene del
prossimo, tutto quanto si fosse degnato rivelarle.
Dopo Compieta la malata parve, per la terza volta, spirare. Geltrude,
rapita in estasi, vide quell'anima sotto l'aspetto di una graziosa
giovinetta, adorna di ricchi monili, che designavano le sue lunghe
sofferenze. Ella si precipitò con slancio fra le braccia di Gesù Cristo
e parve attingere dalle sue Piaghe, delizie speciali, come ape la quale
raccolga dai fiori miele squisito.
Mentre si recitava il Responsorio « Ave Sponsa Virginum Regina, Rosa
sine spina - Salve, Sposa, Regina delle vergini, rosa senza spine», la
gloriosa Vergine si avanzò e dispose ancor meglio l'anima di Matilde a
godere le delizie di una beatitudine immediata. Allora in virtù dei
meriti di sua Madre, in virtù soprattutto della dignità che le ha
meritato il titolo di Madre Vergine, il Signore Gesù, prese una
collana, riccamente adorna di gemme preziose e la pose al collo della
morente. Volle conferirle il privilegio di essere chiamata ella pure
vergine madre, come la Regina del cielo, perchè aveva generato il
Cristo nelle anime con uno zelo ardente d'amore.
Nella notte della festa di S. Elisabetta, appena iniziato il Mattutino,
lo stato di Matilde si aggravò a tal punto che si credette imminente la
morte: la Comunità lasciò il coro ed accorse secondo l'uso al capezzale
dell'inferma.
Apparve allora Gesù, come uno Sposo raggiante d'onore, di gloria,
adorno di tutto lo splendore della Divinità. Egli si rivolse alla
morente con bontà: « Presto, mia diletta, ti esalterò allo sguardo
delle persone a te più vicine, cioè alla presenza di questa Comunità
che prediligo ».
Poi in un modo ineffabile ed incomprensibile, salutò quella beata
anima, attraverso le ferite del suo sacratissimo Corpo, in guisa che
ciascuna aveva quattro modi dolcissimi e pieni di grazia per chiamare
l'anima che stava per lasefare la terra. Era un suono melodioso, un
sapore pieno di virtù, un'abbondante rugiada, una luce ineffabile. Il
suono melodioso che superava tutte le armonie simboleggiava le parole
che la Sposa di Cristo aveva detto durante la vita, sotto l'influenza
del divino amore, o spinta dalla brama di procurare la salvezza del
prossimo: esse erano fruttificate al centuplo, e attraverso alle
sacmtissime Piaghe di Gesù, ritornavano a lei per arricchirla. Il
meraviglioso vapore significava i desideri ch'ella aveva avuto di
lodare Dio, glorificandolo con la salvezza del mondo intero. Anche
questi desideri ricevevano ricompensa dalle dolci ferite del Salvatore
Gesù. L'abbondante rugiada esprimeva l'ardente amore ch'ella aveva
sempre avuto per Dio e per il prossimo in vista di Dio, amore che le
comunicava delizie ineffabili attraverso le Piaghe, adorabili di Gesù.
Infine la luce brillante era il simbolo dei diversi dolori di anima e
di corpo, che aveva sopportato in vita: tali sofferenze, nobilitate in
modo stupendo per l'unione alla Passione di Cristo, santificavano
l'anima sua, trasfigurandolai in un divino splendore.
La morente riposava in mezzo a queste celesti consolazioni, e invece di
sciogliersi dai legami terreni aspirava a beni superiori, preparati dal
suo Diletto. Su tutte le persone presenti il Signore riversava
l'abbondante rugiada della sua divina benedizione, dicendo: « La mia bontà si compiace di
mostrare ai membri di questa Comunità che mi è così cara, la
trasfigurazione che compio nella mia Sposa. Questa grazia le varrà in
cielo, davanti a tutti i Santi, l'onore di cui godono i miei apostoli
prediletti Pietro, Giacomo, Giovanni, scelti come testimoni della mia
trasfigurazione sul Tabor ».
Geltrude chiese allora: « Quale vantaggio procura questa benedizione e
l'effusione delle tue grazie a delle anime che non vedendo tali cose,
non ne gustano il sapore?». Rispose Gesù: « Quando un uomo riceve dal suo
signore il dono di un ricco frutteto, non può conoscere il gusto dei
frutti che produrrà: aspetta la stagione della maturanza. Così quando
io diffondo la mia grazia su di un'anima, essa ne gusta la dolcezza
soltanto se, con la pratica generosa della virtù, spezza la scorza
delle voluttà terrestri e si nutre con la mandorla delle consolazioni
interiori ». Il Signore benedisse in seguito la Comunità
che ritornò in coro per terminare il Mattutino.
Mentre si cantava il XII responsorio: « O Lmpas » l'anima di Matilde
apparve ritta, davanti alla Trinità suprema, in atto di pregarla con
fervore per la Chiesa. Dio Padre la salutò con le stesse parole,
cantando anche la dolce melodia: « Ti
saluto, o mia eletta perchè, per gli esempi della tua santa vita, puoi
essere chiamata « la lampada della Chiesa dalla quale scorrono ruscelli
di olio: Lampas Ecclestae, rivos fúndens olet »; cioè i rivoli
benedetti delle tue preghiere che si diffondono su tutta la Chiesa
».
Il Figlio di Dio disse a sua volta: « Rallegrati, o mia sposa: tu sei
chiamata, a buon diritto « medicina gratiae - rimedio della grazia »,
perchè con le tue suppliche molti riceveranno grazie più abbondanti. In
seguito lo Spirito Santo cantò: « Salve, o mia immacolata, tu sarai
chiamata, con giustizia « nutrimentum fidei - alimento della fede »
perché la virtù della fede sarà rinvigorita e temprata nei cuori di
coloro che crederanno piamente a quanto si opera in te, non
corporalmente, ma spiritualmente.
Dio Padre allora le fece parte della sua onnipotenza, affinchè
l'offrisse come una protezione assicurata - (tutelam) - a tutti coloro
che temendo - (paventibus) - della fragilità della loro natura, non
hanno ancora un'assoluta confidenza nella bontà divina. Lo Spirito
Santo le conferì il dono di riscaldare le anime tiepide - (calorem
minus fervidis) - col fervore della sua carità. Infine il Figlio di Dio
le concesse in unione con la sua santissima Passione e morte, di
guarire - (medelam) - tutti i languenti nel peccato - (languidis).
Allora la moltitudine degli Angeli e dei Santi, si mise a esaltarla
davanti al Signore, dicendo: « Tu Dei saturitas, oliva fructifera,
cujus lucet purttas et resplendent opera - In te Dio si sazia, oliva
feconda, la cui purezza brilla e le opere risplendono ». A quelle
parole: « cujus lucet puritas » i Santi onorarono il dolce riposo che
il Signore si era degnato prendere in quell'anima: alle parole et
resplendent opera, esaltarono la purezza d'intenione che aveva avuto in
ogni atto. Infine tutti i Santi intonarono ad alta voce l'antifona:
Deus palam omnibus revelans justitiam, salutarem gentibus per hanc
infudit gratiam - Dio, che ha rivelato la sua giustizia a tutti, ha
diffuso, per mezzo di quest'anima, la sua grazia sulle nazioni ».
Durante il prefazio della S. Messa in canto, Gesù, lo Sposo raggiante
di gioventù e di bellezza, apparve come rivestito di una nuova gloria e
si pose in modo che il suo Volto adorabile era in linea retta davanti a
quello della Morente, tanto da poterne attrarre il respiro. Egli fissò
i suoi divini occhi in quelli della sua Sposa per illuminarla,
santificandola con maggiore abbondanza onde prepararla all'eterna
beatitudine.
L'ora desideratissima si avvicinava, nella quale la sposa di Cristo,
perfettamente adorna secondo il gusto del Diletto, doveva entrare nella
camera nuziale. Allora il Dio di maestà, inondato Lui stesso di
delizie, l'investi con la luce della sua Divinità e intonò questo dolce
invito: « Vieni, o benedetta dal Padre mio, ricevi il regno che ti è
stato preparato. Levati, af frettatt, amica mia». Le ricordò anche il
preziosissimo dono del suo Cuore (I) che le era stato accordato alcuni
anni prima, come pegno del suo amore, pronunciando le stesse parole, e
le consolazioni che da quel giorno le aveva sempre prodigate.
Salutandola teneramente, le chiese: « Ov'è il mio pegno? ». A queste
parole ella aperse il suo cuore con le mani e lo pose davanti al suo
diletto Signore. Egli applicò il suo adorabile Cuore a quello della sua
Sposa, l'assorbì in se stesso per la virtù della sua divinità e l'unì
felicemente alla sua gloria.
Possa ella nella sua felicità immensa, ricordarsi delle anime care e
ottenerci la grazia del divino amore!
Mentre si faceva la raccomandazione dell'anima, secondo l'uso, il
Signore apparve assiso nella maestà della celeste gloria, accarezzando
teneramente l'anima che riposava sul suo seno.
Quando si recitò: c Subvenite, Sancti Dei: occurrite, Angeli Domini,
suscipientes animam ejus - Soccorretela, Santi di Dio: Angeli di Dio,
venitele incontro. Ricevete la sua anima », gli Angeli, vedendola
accolta con tanto onore dal Signore, vennero a incontrarla, piegando il
ginocchio come vassalli che ricevono un feudo dalle mani del sovrano;
essi constatarono che i meriti che avevano offerto alla diletta Sposa
di Cristo al momento dell'Estrema Unzione, erano raddoppiati e
nobilitati. I Santi fecero ciascuno come gli Angeli, quando nelle
Litanie venne invocato in particolare il loro nome.
Geltrude si senti ispirata a chiedere a Matilde di pregare per la
conversione delle persone ch'ella aveva particolarmente amato. Ella
rispose: « Vedo in piena luce di verità come l'affetto che ebbi per le
anime in terra, paragonato all'amore che loroi porta il divin Cuore, è
come una goccia di rugiada di frontq all'oceano. Capisco pure le mire
di Dia permettendo che abbiano certi difetti; è per farle crescere in
umiltà, o per dare loro il merito di una lotta perseverante. Non posso
dunque, neppure per un attimo, volere altra cosa di quello che il mio
Signore ha ordinato nella sua sapienza, così mi prodigo in continui
ringraziamenti per i decreti ammirabili della divina Bontà ».
Il giorno dopo alla prima S. Messa che era Requiem aeternam, l'eletta
di Dio parve porre delle cannule d'oro che andavano dal Cuore di Gesù
verso tutti coloro che avevano per essa una divozione particolare. Così
quelle cannule, dovevano attingere nel Cuore divino, tutto quello che
desideravano. A ciascuna di esse si adattava un filo d'oro coi quale
attraevano quanto bramavano, dicendo queste parole o altre consimili: «
Per l'amore che ti ha spinto, o Gesù, a colmare di beni la tua eletta
Matilde, o altro eletto, come tutte le anime privilegiate che non hanno
messo ostacolo alle tue grazie, per l'amore altresì che ti ha portato a
diffondere i tuoi beni in terra e in cielo, esaudiscimi, o Gesù, in
nome di Matilde e dei tuoi Santi ». Tali parole, dette con fiducia,
piegheranno facilmente la divina clemenza a esaudire qualsiasi
preghiera.
All'Elevazione della sacratissima Ostia, Matilde parve desiderare di
essere offerta al Padre con l'Ostia Santa per la sua gloria e la
salvezza del mondo. Perciò il Figlio di Dio, che non lascia
insoddisfatto nessun desiderio dei suoi eletti, l'attrasse a sè e la
presentò al Padre con l'Ostia Santa: indi procurò di diffondere i
salutari effetti del Sacrificio, raddoppiato in un certo senso da
quell'unione, irradiando nuovi tesori in cielo, in terra, nel
purgatorio.
Un'altra volta Geltrude vide nuovamente la beata Matilde nella gloria,
e le chiese che cosa aveva guadagnato per la recita che le sue amiche
avevano fatto a suo onore dell'antifona: « Ex quo omnia, per quem
omnia, in quo omnia, ipsi gloria in saecula - Tutto da Lui, tutto per
mezzo di Lui, tutto è in Lui: a Lui sia gloria in eterno » ripetuta
tante volte quanti giorni essa era vissuta in terra, come delle SS.
Messe in onore della SS; Trinità che avevano fatto celebrare in numero
uguale agli anni della sua vita. Tali preghiere e SS. Messe avevano per
scopo di rendere a Dio gloria e ringraziamenti per i benefici accordati
a quell'anima. Rispose Matilde: « Il Signore mi ha ornata di magnifici
fiori in numero corrispondente alle volte ch'esse hanno recitato
l'antifona: « Ex quo omnia; per tali fiori, a me attraggo, dal
dolcissimo Cuore di Gesù, un sapore che vivifica. Per le SS. Messe Egli
mi dà, in ricambio delle lodi che gl'indirizzo, un certo aroma che
ricrea, in modo delizioso ed ammirabile, tutti i sensi dell'anima mia».
In altra occasione Geltrude, baciando le Piaghe del Signore, recitò
cinque Pater e li offerse a Dio, per supplire alle preghiere che la sua
estrema debolezza le aveva impedito di recitare per Matilde,, durante
la malattia e dopo la sua morte. Parvero allora uscire dalle Piaghe del
Signore cinque fiori di meravigliosa freschezza chè stillavano, in
virtù di quelle sacre ferite, un balsamo profumato di perfetta purezza
e vigore stupendo. Geltrude salutò teneramente Matilde, dicendo: « O
eletta Sposa di Cristo, gradisci benevolmente questi fiori, che sono
germogliati dalla sovrabbondanza della divina bontà, ricevili come un
primo acconto del debito che non posso ancora pienamente sodisfare;
adornati di essi per accrescere i tuoi meriti e prega lo Sposo divino
per me che sono così miserabile ».
Matilde rispose: « Quello che mi procura maggiori delizie si è di
ammirare questi fiori, nobilitati dal contatto delle dolci Piaghe del
Salvatore, perchè quando le toccherò col mio desiderio per spremerne il
profumo, subito, in virtù di queste benedette ferite,, stilleranno in
abbondanza un salutare liquore che recherà il perdono si peccatori e la
consolazione ai giusti ».