CAPITOLO XXXV. - PREPARAZIONE ALLA FESTA DELL'ASCENSIONE
Santa Gertrude di Helfta
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Nella novena della celebre festa dell'Ascensione, Geltrude volle
salutare le Piaghe benedette di Gesù, recitando 5466 volte questo
versetto: « Gloria ti
sia resa, o soavissima, dolcissima, generosissima, o sovrana,
eccellente, raggiante e sempre invariabile Trinità, per queste rose del
divino amore, per le Piaghe di Gesù, che è l'unico Amico, l'unico
eletto del mio cuore». Il Signore Gesù allora apparve raggiante di
meravigliosa bellezza, portando su ciascuna Piaga un fiore d'oro. Con
volto pieno di bontà volle a sua volta salutare amabilmente Geltrude
con questa promessa: « All'ora della tua morte, io mi mostrerò a te
pieno di grazia e bellezza, nella stessa gloria e nel medesimo
splendore come adesso mi vedi. Io coprirò i tuoi peccati e le tue
negligenze con un ornamento simile a quello con cui hai decorato le mie
Piaghe, con le tue preghiere. Questo favore sarà pure accordato a tutti
coloro che saluteranno ciascuna delle mie Piaghe con la stessa
divozione e le medesime preghiere ».
La domenica prima dell'Ascensione, all'ora di Mattutino, Geltrude si
levò prontamente per recitare l'Ufficio, per avere poi maggore tempo da
consacrare all'orazione; ella desiderava gustare il Signore con
maggiore gioia e libertà, offrendogli amorosamente ospitalità nel suo
cuore, durante i quattro giorni che precedono l'Ascensione.
Aveva appena terminato la quinta lezione quando vide arrivare un'altra
inferma, la quale non aveva nessuno che l'aiutasse a recitare il
Mattutino. Il suo caritatevole cuore ne fu commosso: « Tu sai, o mio
Gesù, che ho fatto più di quello che potevo, recitando il Mattutino -
diss'ella - pure, giacchè desidero ospitarti in questi santi giorni, o
Dio di carità, ed essendomi ahimè, ben poco preparata con l'esercizio
della virtù, voglio con la stessa carità dei tuo Cuore, ricominciare
l'Ufficio con questa sorella malata, per la tua gloria e per supplire
alla mia miseria ».
Mentre Geltrude recitava l'Ufficio, il Signore realizzava le parole da
Lui dette: « Ero ammalato e mi avete visitato » e quest'altra: « Quello
che fate al più piccolo dei miei, l'avete fatto a me stesso » (Mt. XXV,
36-40), dandole segni di tenerezza così grande che la parola è
impotente a tradurre e l'intelligenza umana non può comprendere. Per
tentare tuttavia di darne almeno l'idea, Geltrude affermò di vedere il
Signore nella gloria suprema; Egli era assiso ad una mensa
deliziosamente imbandita e distribuiva, non solo le parole, ma anche
ciascuna lettera salmodiata da Geltrude con la sorella ammalata. Erano
doni inestimabili, erano gioie eterne accordate agli abitanti del
cielo, conforti ineffabili per le anime purganti, motivi di salvezza e
di santificazione alle anime della Chiesa militante. Ogni parola dei
salmi, delle lezioni, dei responsori diffondeva nell'anima di Geltrude
la dolce, soave luce della scienza divina, riempiendola di spirituali
delizie. Tali favori erano numerosissimi, ma ella potè dirne poca cosa,
per la stessa loro sovrabbondanza.
Durante il salmo: « Ad Te, Domine, clamabo, al versetto Signore,
salvate il vostro popolo e la vostra eredità (sal. XXVII) Geltrude
chiese al Signore una grazia di benedizione per tutta la Chiesa. Egli
le rispose: « Che vuoi
ch'io faccia, o mia diletta? io mi metto con amore a tua disposizione,
come sulla Croce mi feci schiavo degli ordini di mio Padre. Non potevo
scendere dalla Croce, perchè tale non era la sua Volontà, così ora non
posso volere altra cosa di quella che piace al tuo amore. Tu puoi
dunque, per la potenza della mia Divinità. distribuire largamente a
ciascuno tutto quello che desideri ».
Essendosi poi Geltrude coricata per prendere un po' di ristoro, il
Signore le disse con amabile bontà: « Chi si è affaticato, praticando
opere di carità, ha ben diritto di riposare sul letto dell'amore
». Dette queste parole l'abbracciò, facendola riposare sul suo Cuore,
come delizioso letto nuziale della carità. Geltrude vide allora
estollersi dalle ultime profondità del Cuore divino, l'albero della
carità: era magnifico, nello sfarzo dei rami e dei frutti, coperto di
foglie brillanti come l'oro. Quell'albero, aprendo largamente i rami,
coperse ben presto il letto ove la Santa riposava, con l'olezzo dei
suoi fiori e col sapore squisito dei deliziosi frutti. Dalla radice
scaturiva una sorgente purissima le cui acque zampillavano a grande
altezza, per ricadere poi nella stessa sorgente, procurando a Geltrude
celeste refrigerio. Geltrude comprese che quel getto d'acqua
simboleggiava la dolcezza della Divinità Suprema, la cui pienezza
risiede corporalmente nella santa Umanità di Gesù Cristo (Colos. II, 9)
e la cui incomprensibile soavità rallegra gli eletti.
Durante la Messa nella quale doveva comunicarsi, Geltrude espose a Gesù
la miseria dell'anima sua, come un amico scopre la sua povertà
all'amico, che potrà soccorrerlo con grandi beni. Ella Gli chiese, per
il giorno della prossima sua Ascensione, il perdono di ogni colpa e
negligenza. Gesù le rispose: « Tu
sei quell'amabile Ester, la cui bellezza affascina il mio sguardo;
domandami quello che vuoi e io ti esaudirò ». Ella pregò
allora per le persone che a lei si erano raccomandate e per quelle che
le avevano reso qualche servizio. Gesù, inchinandosi verso la Santa con
tenerezza, parve ricoprirla tutta col suo mantello, e imprimerle, come
di sfuggita, un bacio in fronte. Ma proprio in quel benedetto momento
ella si ricordò di una leggera macchia, che aveva contratto il giorno
prima, accettando con un sentimento troppo umano, un servigio a lei
reso. Compunta disse a Gesù: « Ohimè!
perchè mai permetti che si abbiano tanti riguardi per me e che mi si
tratti con tanta delicatezza, mentre Tu, che sei il Signore
dell'universo, hai voluto vivere fra noi come l'ultimo degli uomini?
Non sei forse maggiormente glorificato quando i tuoi eletti sono
disprezzati e vilipesi in questo mondo, poichè potranno poi partecipare
più largamente al tuo trionfo in cielo? ». Gesù rispose: « Ho detto, per mezzo del Profeta
« Jubilate Deo omnis terra: « Date gloriam nomini efus » (Ps.
LXV). Alcuni, avendo
meglio compreso questa parola, ti mostrano affetto speciale e ti mirano
con benevolenza; io, in ricambio, li santifico e li preparo a ricevere
la mia grazia, in modo che diventano più graditi ai miei occhi
». Ella rispose: « Signore, che avverrà di me se le macchia che
contraggo, sono il mezzo della loro santificazione?». Gesù spiegò
amabilmente: « Mi
compiaccio a volte di usare colori sbiaditi, oppure brillanti, per
porre varietà sui tuoi ornamenti dorati, cioè sulla grazia che ho
deposto sull'anima tua». Questo aggettivo sbiadito le fece
capire che se l'uomo si ricorda di avere ricevuto i benefici de' suoi
simili con sentimenti troppo umani e se ne pente, umiliandosi
profondamente, tali sentimenti lo rendono gradito a Dio, tosi come il
nero dà felice risalto allo splendore dell'oro. Quando il Signore parlò
di colori brillanti, ella capì che, se si prova grande riconoscenza per
i benefici ricevuti da Dio e per il bene che gli uomini ci hanno
prodigato in nome suo, si Oreciísponde l'anima a ricevere ed a
custodire doni sempre maggiori.
Nella seconda feria Geltrude confessò al Signore con somma compunzione,
le colpe di tutti i peccatori del mondo. Poi andò a trovare una malata
e cercò di servirla fino all'esaurimento delle forze, offrendo questo
atto di carità. per la gloria di Dio e la riparazione dei peccati che
si commettono nel mondo intero, ribellandosi alla divina Volontà. Le
sembrò allora di attrarre, con un aureo legame, simbolo della carità,
una moltitudine immensa di uomini e di donne per ricondurle al Signore.
Egli, buono e misericordioso, accettava quell'offerta. con gioia
indescrivibile, come un re, a cui un suo favorito conducesse i suoi
nemici, pronti ad arrendersi ed a meritare la pace con un fedelissimo
servizio.
Nella terza feria, durante la S. Messa, Geltrude espose al Signore,
nello stesso modo, i difetti e le imperfezioni di tutti i giusti,
pregandolo di renderli perfetti in santità, con quei mezzi che credesse
più adatti a tale scopo. Il Signore stese la mano e li benedisse tutti
insieme, segnandoli col vittorioso sigillo della croce. Sotto
l'influenza di tale salutare benedizione, una dolce rugiada parve
refrigerare il cuore di tutti i giusti, facendoli rifiorire, come le
rose e gli altri fiori, sbocciano al tepido bacio del sole.
Nella quarta feria Geltrude pregò il Signore, durante la Elevazione
dell'Ostia, per le anime di tutti i defunti, affinché, nel giorno
dell'Ascensione, fossero liberate dalle loro pene. Il Signore parve
allora porre, in mezzo al Purgatorio, una verga d'oro, munita di tanti
uncini, quante erano le preghiere che riceveva per quelle anime. Ogni
uncino ritirava qualche anima da quel luogo di sofferenza, per porle
nelle ridenti aiuole dell'eterno riposo. Con quella visione Geltrude
comprese che, se parecchie si uniscono per pregare a favore delle anime
purganti, ne possono liberare un grande numero di quelle che in vita
praticarono maggiormente la carità.
Un'altra volta Geltrude volle teneramente salutare le membra
sacratissime di Gesù, ripetendo duecento venticinque volte questo
versetto: « Salve, o Gesù, sposo pieno di grazia, ti saluto e ti lodo
nella gioia della tua Ascensione! ». Le parve che ogni aspirazione
fosse presentata al Signore sotto la forma di un melodioso strumento
musicale che lo rallegrava, sonando e cantando, come i menestrelli
suonavano e cantavano ai banchetti dei principi. Il Signore accettò
tale omaggio con grande bontà. Geltrude conobbe che le aspirazione
recitate con fervore producevano un'armonia dolcissima, mentre quelle
ripetute a flor di labbra emettevano un suono triste e velato.