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Venerdi, 3 maggio 2024 - Santi Filippo e Giacomo ( Letture di oggi)

CAPITOLO XXXV. - PREPARAZIONE ALLA FESTA DELL'ASCENSIONE

Santa Gertrude di Helfta

CAPITOLO XXXV. - PREPARAZIONE ALLA FESTA DELL'ASCENSIONE
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Nella novena della celebre festa dell'Ascensione, Geltrude volle salutare le Piaghe benedette di Gesù, recitando 5466 volte questo versetto: « Gloria ti sia resa, o soavissima, dolcissima, generosissima, o sovrana, eccellente, raggiante e sempre invariabile Trinità, per queste rose del divino amore, per le Piaghe di Gesù, che è l'unico Amico, l'unico eletto del mio cuore». Il Signore Gesù allora apparve raggiante di meravigliosa bellezza, portando su ciascuna Piaga un fiore d'oro. Con volto pieno di bontà volle a sua volta salutare amabilmente Geltrude con questa promessa: « All'ora della tua morte, io mi mostrerò a te pieno di grazia e bellezza, nella stessa gloria e nel medesimo splendore come adesso mi vedi. Io coprirò i tuoi peccati e le tue negligenze con un ornamento simile a quello con cui hai decorato le mie Piaghe, con le tue preghiere. Questo favore sarà pure accordato a tutti coloro che saluteranno ciascuna delle mie Piaghe con la stessa divozione e le medesime preghiere ».

La domenica prima dell'Ascensione, all'ora di Mattutino, Geltrude si levò prontamente per recitare l'Ufficio, per avere poi maggore tempo da consacrare all'orazione; ella desiderava gustare il Signore con maggiore gioia e libertà, offrendogli amorosamente ospitalità nel suo cuore, durante i quattro giorni che precedono l'Ascensione.

Aveva appena terminato la quinta lezione quando vide arrivare un'altra inferma, la quale non aveva nessuno che l'aiutasse a recitare il Mattutino. Il suo caritatevole cuore ne fu commosso: « Tu sai, o mio Gesù, che ho fatto più di quello che potevo, recitando il Mattutino - diss'ella - pure, giacchè desidero ospitarti in questi santi giorni, o Dio di carità, ed essendomi ahimè, ben poco preparata con l'esercizio della virtù, voglio con la stessa carità dei tuo Cuore, ricominciare l'Ufficio con questa sorella malata, per la tua gloria e per supplire alla mia miseria ».

Mentre Geltrude recitava l'Ufficio, il Signore realizzava le parole da Lui dette: « Ero ammalato e mi avete visitato » e quest'altra: « Quello che fate al più piccolo dei miei, l'avete fatto a me stesso » (Mt. XXV, 36-40), dandole segni di tenerezza così grande che la parola è impotente a tradurre e l'intelligenza umana non può comprendere. Per tentare tuttavia di darne almeno l'idea, Geltrude affermò di vedere il Signore nella gloria suprema; Egli era assiso ad una mensa deliziosamente imbandita e distribuiva, non solo le parole, ma anche ciascuna lettera salmodiata da Geltrude con la sorella ammalata. Erano doni inestimabili, erano gioie eterne accordate agli abitanti del cielo, conforti ineffabili per le anime purganti, motivi di salvezza e di santificazione alle anime della Chiesa militante. Ogni parola dei salmi, delle lezioni, dei responsori diffondeva nell'anima di Geltrude la dolce, soave luce della scienza divina, riempiendola di spirituali delizie. Tali favori erano numerosissimi, ma ella potè dirne poca cosa, per la stessa loro sovrabbondanza.

Durante il salmo: « Ad Te, Domine, clamabo, al versetto Signore, salvate il vostro popolo e la vostra eredità (sal. XXVII) Geltrude chiese al Signore una grazia di benedizione per tutta la Chiesa. Egli le rispose: « Che vuoi ch'io faccia, o mia diletta? io mi metto con amore a tua disposizione, come sulla Croce mi feci schiavo degli ordini di mio Padre. Non potevo scendere dalla Croce, perchè tale non era la sua Volontà, così ora non posso volere altra cosa di quella che piace al tuo amore. Tu puoi dunque, per la potenza della mia Divinità. distribuire largamente a ciascuno tutto quello che desideri ».

Essendosi poi Geltrude coricata per prendere un po' di ristoro, il Signore le disse con amabile bontà: « Chi si è affaticato, praticando opere di carità, ha ben diritto di riposare sul letto dell'amore ». Dette queste parole l'abbracciò, facendola riposare sul suo Cuore, come delizioso letto nuziale della carità. Geltrude vide allora estollersi dalle ultime profondità del Cuore divino, l'albero della carità: era magnifico, nello sfarzo dei rami e dei frutti, coperto di foglie brillanti come l'oro. Quell'albero, aprendo largamente i rami, coperse ben presto il letto ove la Santa riposava, con l'olezzo dei suoi fiori e col sapore squisito dei deliziosi frutti. Dalla radice scaturiva una sorgente purissima le cui acque zampillavano a grande altezza, per ricadere poi nella stessa sorgente, procurando a Geltrude celeste refrigerio. Geltrude comprese che quel getto d'acqua simboleggiava la dolcezza della Divinità Suprema, la cui pienezza risiede corporalmente nella santa Umanità di Gesù Cristo (Colos. II, 9) e la cui incomprensibile soavità rallegra gli eletti.

Durante la Messa nella quale doveva comunicarsi, Geltrude espose a Gesù la miseria dell'anima sua, come un amico scopre la sua povertà all'amico, che potrà soccorrerlo con grandi beni. Ella Gli chiese, per il giorno della prossima sua Ascensione, il perdono di ogni colpa e negligenza. Gesù le rispose: « Tu sei quell'amabile Ester, la cui bellezza affascina il mio sguardo; domandami quello che vuoi e io ti esaudirò ». Ella pregò allora per le persone che a lei si erano raccomandate e per quelle che le avevano reso qualche servizio. Gesù, inchinandosi verso la Santa con tenerezza, parve ricoprirla tutta col suo mantello, e imprimerle, come di sfuggita, un bacio in fronte. Ma proprio in quel benedetto momento ella si ricordò di una leggera macchia, che aveva contratto il giorno prima, accettando con un sentimento troppo umano, un servigio a lei reso. Compunta disse a Gesù: « Ohimè! perchè mai permetti che si abbiano tanti riguardi per me e che mi si tratti con tanta delicatezza, mentre Tu, che sei il Signore dell'universo, hai voluto vivere fra noi come l'ultimo degli uomini? Non sei forse maggiormente glorificato quando i tuoi eletti sono disprezzati e vilipesi in questo mondo, poichè potranno poi partecipare più largamente al tuo trionfo in cielo? ». Gesù rispose: « Ho detto, per mezzo del Profeta « Jubilate Deo omnis terra: « Date gloriam nomini efus » (Ps. LXV). Alcuni, avendo meglio compreso questa parola, ti mostrano affetto speciale e ti mirano con benevolenza; io, in ricambio, li santifico e li preparo a ricevere la mia grazia, in modo che diventano più graditi ai miei occhi ». Ella rispose: « Signore, che avverrà di me se le macchia che contraggo, sono il mezzo della loro santificazione?». Gesù spiegò amabilmente: « Mi compiaccio a volte di usare colori sbiaditi, oppure brillanti, per porre varietà sui tuoi ornamenti dorati, cioè sulla grazia che ho deposto sull'anima tua». Questo aggettivo sbiadito le fece capire che se l'uomo si ricorda di avere ricevuto i benefici de' suoi simili con sentimenti troppo umani e se ne pente, umiliandosi profondamente, tali sentimenti lo rendono gradito a Dio, tosi come il nero dà felice risalto allo splendore dell'oro. Quando il Signore parlò di colori brillanti, ella capì che, se si prova grande riconoscenza per i benefici ricevuti da Dio e per il bene che gli uomini ci hanno prodigato in nome suo, si Oreciísponde l'anima a ricevere ed a custodire doni sempre maggiori.

Nella seconda feria Geltrude confessò al Signore con somma compunzione, le colpe di tutti i peccatori del mondo. Poi andò a trovare una malata e cercò di servirla fino all'esaurimento delle forze, offrendo questo atto di carità. per la gloria di Dio e la riparazione dei peccati che si commettono nel mondo intero, ribellandosi alla divina Volontà. Le sembrò allora di attrarre, con un aureo legame, simbolo della carità, una moltitudine immensa di uomini e di donne per ricondurle al Signore. Egli, buono e misericordioso, accettava quell'offerta. con gioia indescrivibile, come un re, a cui un suo favorito conducesse i suoi nemici, pronti ad arrendersi ed a meritare la pace con un fedelissimo servizio.

Nella terza feria, durante la S. Messa, Geltrude espose al Signore, nello stesso modo, i difetti e le imperfezioni di tutti i giusti, pregandolo di renderli perfetti in santità, con quei mezzi che credesse più adatti a tale scopo. Il Signore stese la mano e li benedisse tutti insieme, segnandoli col vittorioso sigillo della croce. Sotto l'influenza di tale salutare benedizione, una dolce rugiada parve refrigerare il cuore di tutti i giusti, facendoli rifiorire, come le rose e gli altri fiori, sbocciano al tepido bacio del sole.

Nella quarta feria Geltrude pregò il Signore, durante la Elevazione dell'Ostia, per le anime di tutti i defunti, affinché, nel giorno dell'Ascensione, fossero liberate dalle loro pene. Il Signore parve allora porre, in mezzo al Purgatorio, una verga d'oro, munita di tanti uncini, quante erano le preghiere che riceveva per quelle anime. Ogni uncino ritirava qualche anima da quel luogo di sofferenza, per porle nelle ridenti aiuole dell'eterno riposo. Con quella visione Geltrude comprese che, se parecchie si uniscono per pregare a favore delle anime purganti, ne possono liberare un grande numero di quelle che in vita praticarono maggiormente la carità.

Un'altra volta Geltrude volle teneramente salutare le membra sacratissime di Gesù, ripetendo duecento venticinque volte questo versetto: « Salve, o Gesù, sposo pieno di grazia, ti saluto e ti lodo nella gioia della tua Ascensione! ». Le parve che ogni aspirazione fosse presentata al Signore sotto la forma di un melodioso strumento musicale che lo rallegrava, sonando e cantando, come i menestrelli suonavano e cantavano ai banchetti dei principi. Il Signore accettò tale omaggio con grande bontà. Geltrude conobbe che le aspirazione recitate con fervore producevano un'armonia dolcissima, mentre quelle ripetute a flor di labbra emettevano un suono triste e velato.