CAPITOLO XXXII. - BUONI DESIDERI E SOGNI ANGOSCIOSI
Santa Gertrude di Helfta

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Udiva un giorno. Geltrude cantare nella Messa da morto, quel versetto
del salmo: « Sicut cervus », e a quelle parole « Sitivit anima mea »,
per rianimare il suo fervore, esclamò: « Tu sei, mio Dio, l'unico vero
bene e i miei desideri di possederti sono così poco accesi! Quanto è
raro il caso che possa dire con verità: « L'anima mia ha sete di Te!
».
« Guardati tuttavia
» rispose Gesù « di
dirlo di rado; ripetilo anzi di frequente, perchè è tale la tenerezza
del mio amore per gli uomini, che allorchè alcuno dei miei eletti
desidera un bene qualunque, io gli sono grato del suo desiderio come se
Io stesso ne fossi l'oggetto, perché il bene che desidera è in me, ed è
da me che ogni bene deriva. Così quando alcuno dei miei amici desidera
la salute, la tranquillità, il benessere, la scienza, o altri simili
beni, io mi considero come l'oggetto stesso del suo desiderio, affine
di avere un motivo, un pretesto d'aumentare i suoi meriti, la sua
ricompensa, a meno che non guasti tale desiderio con un'intenzione
colpevole, quale sarebbe volere la salute per fare il male, la scienza
per vanità.
« Di qui viene -
proseguì Gesù - che mando frequentemente al miei diletti infermità
corporali, desolazioni di spirito, afflizioni di ogni genere. Essi
desiderano allora di sottrarsi a questi mali, di ricevere beni contrari
e il mio Cuore, ardente d'amore, geloso di aumentare le loro ricchezze
eterne, trova in questi desideri l'occasione di sodisfare la sua
liberalità secondo le leggi della giustizia.
« Altra volta ancora, Io,
la cui delizia è di stare coi figli degli uomini, non trovando nulla in
un'anima che possa piacermi, le mando tribolazioni, dolori di corpo e
di spirito; tali pene mi forniscono motivo legittimo di abitare presso
di lei, perchè, secondo la parola della Scrittura, l'inclinazione della
mia bontà mi conduce e mi trattiene presso coloro che sono afflitti di
cuore « Il Signore è vicino a coloro che hanno il cuore afflitto »
(Salmo XXVII, 19). Sarò con lui nella tribolazione (Salm. XC, 15). La
considerazione di tali eccessi d'amore colma di riconoscenza il cuore
della creatura, che è forzata a esclamare con l'Apostolo: « O
profondità delle ricchezze, della sapienza e della scienza di Dio, come
sono incomprensibili i suoi giudizi e impenetrabili le sue vie! » (Rom.
XI, 33).
Una notte Geltrude assaporava nel sogno le delizie di un banchetto
celeste. Quando fu desta disse al Signore in atto di ringraziarlo: «
Perché, o Gesù, consolarmi così con tanta dolcezza, mentre io non
merito alcuno dei tuoi doni, e tanti altri sono tormentati da sogni
spaventosi? ». Le rispose il Signore: « E' la mia paterna Provvidenza,
che permette durante il sonno tali turbamenti. Quando alcuno dei miei
amici non contraria in nulla durante il giorno la cupidigia naturale
dei sensi, privandosi così da se stesso dei beni celesti, io gli mando
la notte incubi, terrori, spaventi, affinchè quei patimenti gli
facciano acquistare qualche merito ». « Ma Signore -
insistette Geltrude - di qual merito possono essere ai tuoi occhi, i
patimenti che nessuna retta intenzione riferisce al tuo servizio, e al
quali la volontà è ripugnante? ». Gesù rispose: « La mia benignità saprà volgerli a
qualche profitto anch'essi. Benché un ornamento d'oro e di diamanti sia
da preferirsi, tuttavia certa gente si stima felice di portare, in
mancanza d'altro, anche gioielli di cristallo e di rame. Così avviene
appunto di tali persone ».
Un giorno Geltrude aveva recitato le ore canoniche un po'
distrattamente; ad un tratto le apparve il nemico dell'umano genere
che, con aria beffarda, si sforzava d'imitarla per deriderla e andava
terminando il salmo: « Mirabilia testimonia tua », (Ps. CXVIII, 12)
precipitando e sopprimendo sillabe e parole. Terminato il versetto egli
le disse sardonicamente: « Veramente il tuo Creatore, il tuo Salvatore,
l'Amico del tuo cuore ha bene trafficato i suoi doni, dandoti una così
grande facilità d'eloquio! Tu hai il talento di pronunciare discorsi
stupendi, ma quando ti rivolgi a Dio, sei così precipitata nel tuo dire
che, in un solo salmo, hai omesso tante sillabe, tante lettere e tante
parole». Geltrude comprese allora che quello scaltro nemico aveva
contato esattamente e con precisa minutezza le sillabe omesse nella
salmodia, e pensò quale terribile accusa avrebbe portato al momento
della morte contro coloro che recitano abitualmente l'Ufficio con
negligenza e con precipitazione.
Un'altra volta mentre filava, lasciò sfuggire qualche tenuissimo
fiocchetto di lana, pur tenendo la mente fissa in Dio, al quale aveva
offerto il lavoro. Vide ben tosto il demonio raccogliere quei fili, per
accusarla di negligenza. Ma il Signore, invocato con fede dalia Santa,
cacciò il demonio, rimproverandolo d'aver osato intervenire in
un'azione che gli era stata precedentemente offerta, con tanto amore.