CAPITOLO V. - COME IL SIGNORE SI CHINO' SU GELTRUDE CHE SI UMILIAVA PROFONDAMENTE AL SUO COSPETTO
Santa Gertrude di Helfta
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Nella festa dell'apostolo S. Matteo il Signore la colmò della dolcezza
delle sue benedizioni. Geltrude, imitando il sacerdote che, durante la
S. Messa, innalza il calice del prezioso Sangue, volle presentare ella
stessa tale offerta al suo Dio, in omaggio di ringraziamento. Ma poi
prese a riflettere che quell'oblazione santa, le servirebbe ben poco,
se non si unisse in pari tempo al Cristo disposto a soffrire per suo
amore, ogni sorta di tribolazioni. Allora staccandosi con generoso
sforzo dal petto beatificante del Signore ove si riposava con tanta
delizia, si distese a terra come un vile cadavere, dicendo: «Eccomi o
mio Dio, pronta a sopportare qualsiasi genere di dolore che possa
aumentare la tua gloria». Gesù, pieno di bontà, si levò e, ponendosi
accanto alla sua sposa, l'attirò teneramente a sè con queste parole:
«Hoc est meum ». «Ecco qualcosa che veramente è mio».
Fortificata dalla divina virtù, ella si rialzò e rispose: « Sì, mio
Signore, io sono l'opera delle tue mani ». Riprese l'amabile Salvatore.
« Ed io aggiungerò che
non posso essere felice senza di te! » Piena di
ammirazione per quelle adorabili parole, ricche d'infinita
accondiscendenza, ella aggiunse: « Come mai, o mio Dio, parli così,
mentre dopo d'aver provato le tue delizie nella creazione, possiedi in
Cielo e sulla terra falangi d'innumerevoli amici coi quali puoi vivere
felice, anche se io non fossi stata creata? ». Le rispose Gesù: « Chi è sempre stato privo d'un
membro non ne soffre la menomazione, come colui a cui sia stato tolto
in giovinezza. Così avendo io stabilito e fissato il mio amore
nell'anima tua, non potrò mai sopportare che tu sia separata da me
».