CAPITOLO XVI. - ALTRE MANIFESTAZIONI NELLA FESTA DELLA NATIVITA' E DELLA PURIFICAZIONE
Santa Gertrude di Helfta

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Nel giorno della Tua sacratissima Natività ti ricevetti come un tenero
Bambinello avvolto in poveri panni, e ti strinsi amorosamente al cuore.
Indi formai, con le amarezze e le privazioni della tua infanzia, un
mazzolino di mirra che tenni sul mio petto per infondere nel più intimo
dei cuore, il dolce liquore spremuto da quel soavissimo grappolo
divino. E mentre mi pareva di non poter più ricevere dono superiore a
questo, Tu, mio Dio, che aggiungi beneficio a beneficio, ti degnasti di
variarmi la qualità dei tuoi stupendi regali.
L'anno seguente, nello stesso giorno di Natale, durante la Messa «
Dominus dixit », ti ricevetti sotto le sembianze di un tenero delicato
Bambinello dal grembo della tua virginea Genitrice, e ti serrai per
qualche istante sul cuore. Credo d'aver ricevuto un tale immenso favore
per un atto di carità ad una persona afflitta. Confesso però che non
seppi custodire tale tesoro con la dovuta divozione. Fu effetto della
tua giustizia, o della mia negligenza? Non saprei rispondere con
precisione.
Spero nondimeno che misericordia e giustizia abbiano così disposto, sia
per farmi capire più chiaramente la mia indegnità, sia per mettermi in
guardia di fronte all'abituale negligenza nell'allontanare i pensieri
vani ed inutili. Quale di questi due motivi abbia prevalso, rispondi Tu
per me. Sebbene poi raccogliessi tutte le forze per prodigarti carezze
d'amore, non riuscii nell'intento se non quando proposi di pregare per
i peccatori, per le anime purganti, e per le persone che in quell'ora
erano in afflizione. Constatai allora, al raggio della carità,
l'effetto della mia supplica e potei rilevarne l'evidenza, soprattutto
una sera quando, invece di suffragare, prima di tutti, i miei genitori,
come facevo di solito, con la preghiera « Deus qui nos patrem etc. »
proposi di offrire il mio suffragio alle anime a Te più care, con la
colletta: « Omnipotens sempiterne Deus qui numquam etc. ». M'accorsi
che ciò ti era sommamente gradito.
Compresi in seguito che Tu provavi un dolce gaudio quando, mentre mi
sforzavo di cantare le tue lodi con grande impegno, fissavo ad ogni
nota la mia attenzione in Te, come fa una persona, che, cantando quello
che non sa bene, riguarda, diligentemente il libro. Ma ti confesso, o
Padre ricco di bontà, le negligenze commesse in queste ed altre simili
circostanze, in cui si trattava della tua gloria, Te lo confesso
nell'amarezza della Passione del tuo innocentissimo Figlio, Gesù
Cristo, in cui hai posto tutte le tue compiacenze. « Hic est Filius
meus dtlectus » (Matt. XVII, 5). Per Lui ti offro il mio desiderio
d'emenda, affinchè ogni mia negligenza sia pienamente supplita.
Nel giorno sacro della Purificazione, mentre si celebrava la rituale
processione in memoria di quella nella quale Tu, nostra salute e
redenzione, degnasti di farti portare nel tempio con le solite
oblazioni, all'antifona « Cum inducerent », la tua virginea Madre
chiese a me che le rendessi il Figlio suo diletto. Ella lo fece con
volto severo, quasi che io non ti avessi custodito con cura, Tu che sei
la gioia e il decoro della sua immacolata verginità!
Mi ricordai allora che Maria, avendo trovato grazia presso di Te, ci
venne data come riconciliatrice dei peccatori, speranza dei disperati
ed esclamai: « O Madre di bontà, non ricevesti Tu forse la sorgente
delle misericordie nel tuo divin Figlio, affinchè Tu ottenessi grazia a
quanti ne hanno bisogno, e coprissi con là tua abbondante carità la
moltitudine dei nostri peccati? ». A tali parole Maria mi mostrò un
volto sereno e placato per farmi capire che, se le mie colpe l'avevano
obbligata ad essere severa, tuttavia Ella aveva per gli uomini viscere
di misericordia, ed un tale amore che la penetrava tutta di materna
soavità. Ne avevo una prova evidente, perchè erano bastate quelle
povere mie espressioni, perché, scomparsa ogni severità, risplendesse
in Lei quella incomparabile dolcezza che le è innata.
La Madre tua, con la sua immensa tenerezza, mi sia dunque, presso di
Te, Mediatrice accreditata, per ottenermi il perdono di ogni colpa.
Compresi poi in un modo chiarissimo, che Tu non potevi ritenere il
torrente delle tue grazie, perchè l'anno seguente, nella medesima festa
del Natale, mi arricchisti di un dono analogo a quello testé narrato,
mai ancora più prezioso. Tu mi, trattavi come se il grande fervore
della mia divozione. l'anno precedente mi avesse meritato questo nuovo
favore, mentre, al contrario. avrei dovuto subire un giusto castigo per
aver dimenticato la grazia antecedente. Al Vangelo infatti, leggendosi
« Peperit Filium suum primogenitura etc. » l'illibatissima tua Madre mi
porse, con le sue Mani immacolate, Te, virgineo Pargoletto che facevi
ogni sforzo per abbracciarmi. Ohimè! Quanto me ne sentivo indegna!
Eppure osai accoglierti, tenero Bambinello, e Tu mi cingesti il collo
con le piccole braccia.
Le tue sante labbra esalavano l'alito fragrantissimo del tuo spirito
ch'era per me nutrimento di vita. L'anima mia ti benedica, Gesù
diletto, e tutto, in me esalti il tuo santo Nome!
Mentre la tua beatissima Madre s'affrettava a involgerti nelle fasce,
io mi struggevo dal desiderio di essere avvolta insieme a Te, per non
venire separata neppure da tenue tela da Colui, i cui baci ed amplessi
sono più deliziosi, del miele. Ti vidi allora ricoperto con la candida
veste dell'innocenza, e cinto dall'aurea fascia della carità; compresi
che, per essere teco fasciata, bisognava che mi esercitassi
maggiormente, onde raggiungere la purezza del cuore e la carità
perfetta.
Io ti ringrazio, o Creatore degli astri, che fai rifulgere i cieli, e
che graziosamente dipingi i fiori primaverili: « Tu non hai bisogno dei
nostri beni » (Sal. XV, 2) eppure per mia istruzione mi chiedesti che,
nel giorno della Purificazione, ti vestissi prima che, Bambinello,
venissi portato al tempio. Mediante il segreto tesoro delle tue divine
ispirazioni, mi hai insegnato il modo di farlo: dovevo fervorosamente
esaltare l'innocenza immacolata della tua purissima Umanità con una
divozione così accesa e fedele, che se avessi potuto avere io stessa la
gloria a Te dovuta, l'avrei volentieri rinunciata, affìnchè la tua
dolcissima innocenza fosse maggiormente lodata.
Mi parve infatti che, per tale intenzione, Tu la cui potenza « chiama
quello che non è, come quello che è » (Rom. IV, 17) venissi rivestito
di una candidissima veste infantile. Considerai, in seguito, con lo
stesso slancio di divozione, l'abisso della tua umiltà e ti vidi
ricoperto di una verde tunica, per significare che, nella fertile valle
dell'umiltà, la grazia fiorisce e vigoreggia senza mai inaridirsi.
Venerai poi l'ardente tua carità che ti ha spinto a creare tutte le
cose, e ti vidi adorno di un manto di porpora per insegnarmi che la
carità è veramente quel paludamento regale senza di cui nessuno può
entrare nel regno dei cieli. In seguito venerai le stesse virtù nella
Madre tua gloriosa, ed Ella mi apparve regalmente adorna di vestimenti
simili a' tuoi. Siccome Ella, rosa fiorita senza spina e giglio candido
senza macchia, abbonda a dovizia dei fiori di ogni virtù, così ci apre
il cuore a grande confidenza, nella speranza che per noi interceda e ci
soccorra nella nostra grande miseria.