CAPITOLO XI. - DELLA VIRTU' DELL'UMILTA' E DI ALTRE VIRTU' CHE BRILLARONO IN GELTRUDE COME STELLE
Santa Gertrude di Helfta

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Il Signore per stabilire la sua dimora nell'anima di Geltrude, l'aveva
adornata di virtù fulgide come stelle. Fra tutte primeggiava l'umiltà,
sorgente vera di ogni grazia e custode di tutte le virtù. Geltrude
infatti si stimava così indegna dei doni di Dio, da non poter
rassegnarsi a usufruirne ella sola; le pareva anzi di essere un canale
destinato, nei misteriosi disegni della Provvidenza, a trasmettere agli
eletti i divini favori. Non soltanto si dichiarava indegna di tali
grazie, ma affermava che non avrebbero affatto fruttificato, se non
partecipandole al prossimo con parole e con scritti.
La cara Santa ardeva di tale amore di Dio, e di un si grande disprezzo
di se stessa che soleva ripetere: « Quand'anche dopo la mia morte
dovessi subire i tormenti dell'inferno, come merito, mi resterà una
consolazione, cioè il pensiero che altri, leggendo i miei scritti,
loderanno il mio Dio; « che le sue grazie sterili in me, produrranno
frutti di benedizione in altri ». La sua umiltà era così convinta da
sembrare che le divine grazie, affidate alla più miserabile delle umane
creature, dessero maggior rendimento che nella povera anima sua; perciò
accoglieva, di momento in momento, tali favori per parteciparli al caro
prossimo, come se li ricevesse proprio solo per quell'unico motivo.
Giudicandosi con la severità dei Santi ella si considerava come
l'ultima di coloro di cui il Profeta ha detto: « Omnes gentes quasi non
sint, sic sunt coram eo: Tutte le nazioni sono davanti a lui come se
non esistessero » (Isaia XL, 17). E più avanti: « Quasi pulvis
esxiguus: Come un granello di polvere ». Come un po' di polvere
nascosta sotto una piuma o qualsiasi altro oggetto, è preservata da
quella leggera ombra dai raggi solari, così Geltrude si celava per
sfuggire l'onore che poteva esserle prodigato, per le grazie sublimi di
cui era favorita. Persuasa della sua indegnità ed ingratitudine ella,
accogliendo i divini favori, ne rinviava tutta la gloria a Colui la cui
ispirazione previene coloro che chiama, ed il cui soccorso accompagna
coloro che giustìfica. Pure, come già dicemmo, l'ardente brama
dell'onore di Dio, la spingeva a rivelare le bontà del Signore a suo
riguardo, e bene spesso precisava la sua intenzione con queste parole:
« E' giusto che Dia raccolga nel prossimo il frutto dei benefici che ha
accordato a me, che ne sono tanto indegna ».
Un giorno, durante una passeggiata, ella si confidò col suo Dio,
sentendo un profondo disprezzo per se stessa: « Ah, mio Dio, il più
grande de' tuoi miracoli è che la terra sostenga una peccatrice come
sono io ! ». Ma Gesù, ch'esalta coloro che si umiliano, rispose tosto
con bontà: « E' ben
giusto che la terra ti sorregga, poichè perfino il cielo, nella sua
magnificenza, aspetta con ansia gioiosa l'ora felice in cui avrà
l'onore di possederti! ». Oh, ammirabile dolcezza della
divina bontà, che si compiace di glorificare un'anima in proporzione
della sua umiltà!
Una delle sue particolari industrie era quella di non lottare
direttamente contro le tentazioni di orgoglio. Quando, durante la
preghiera, o mentre compiva qualche opera buona, era assalita da
pensieri d'amor proprio, continuava l'atto iniziato, dicendo fra sè: «
Purtroppo a tutte le mie miserie s'aggiunge anche la superbia: mi
rimane però una consolazione: forse, vedendomi operare il bene, qualche
anima si sentirà spinta ad imitarmi e il buon Dio ne sarà glorificato ».
Nel suo ingenuo modo di pensare ella si considerava nella Chiesa di
Dio, come uno di quegli spauracchi che si mettono sugli alberi al tempo
del raccolto, per allontanare gli uccelli e salvaguardare i frutti.
Ne' suoi scritti Ella ci ha lasciato valide prove della sua dolce,
fervente divozione: Dio stesso, che scruta le « reni e cuori » (Ps.
VII, 10) si degnò di confermarne la realtà. Un uomo piissimo, animato
un giorno da grande fervore, intese queste parole dal Signore: « La
consolazione che t'allieta in quest'istante, riempie spesso l'anima di
Geltrude nella quale ho posto la mia dimora ».
Il sommo disgusto ch'ella provava dei piaceri effimeri del mondo
attesta meravigliosamente la dolcezza e la gioia che ella godeva nel
suo Dio, perchè, come afferma S. Gregorio: « Ciò che è carnale non ha
nessuna attrattiva per coloro che gustano le cose dello spirito ». E S.
Bernardo aggiunge: « Chi ama Dio prova noia in tutto, tranne che nel
godimento dell'unico oggetto delle sue brame ».
Un giorno, in cui Geltrude si sentiva come oppressa da tale disgusto
riguardo alle gioie umane, esclamò: « Non c'è nulla sulla terra che
ormai mi piaccia, se non Tu, o mio dolcissimo Signore! ». E Gesù di
rimando: « Anch'io non
trovo nè in cielo, nè sulla terra delizia alcuna senza di te, perché,
nell'immenso mio amore, ti ho associata a tutte le mie gioie, in tal
modo che non goda alcuna dolcezza se non con te: quanto maggiore poi è
la mia gioia, tanto più grande è il frutto che tu ne ricavi ». E' lo
stesso pensiero di San Bernardo: « L'amore del Re esige la giustizia,
ma l'amore dello Sposo vuole la tenerezza e la fedeltà »
(Predica LXXXIII, 5 sul Cantico dei cantici).
Geltrude era molto assidua alle veglie e alle ore regolari di
preghiera, a meno che ne fosse impedita dalla malattia, o da opere
d'apostolato, a vantaggio del prossimo.
Siccome poi il Signore l'inebbriava di sua dolce presenza, Ella bene
spesso prolungava i suoi trattenimenti spirituali per ore ed ore, con
un ardore che superava le sue forze naturali. Osservava diligentemente
le costumanze dell'Ordine che riguardavano la salmodia in coro, i
digiuni, il lavoro in comune, e si dispensava con grande dolore da tali
osservanze, che formavano la sua delizia. Ben a ragione S. Bernardo
dice: « Chi una sola volta ha gustato le dolcezze della carità, si
assume con gioia qualsiasi peso e fatica».
Il distacco del suo spirito da tutto il creato era così grande che non
poteva sopportare, neppure per un attimo, cosa alcuna che fosse
contraria alla rettitudine della sua coscienza. Un amico della nostra
Santa chiese un giorno a Gesù, durante la preghiera quale disposizione
Gli piacesse di più nell'anima della sua eletta Sposa. E Gesù rispose:
« La libertà del cuore ». Ne fu deluso l'interlocutore, sembrandogli
quella qualità di valore assai ridotto. « Credevo - aggiunse - che
Geltrude fosse giunta ad un'altissima intelligenza dei vostri misteri e
che possedesse un amore immenso ». « Ed è proprio così - affermò il
Salvatore - perchè tali doni sono il risultata della libertà del cuore.
Questa disposizione conduce alla più alta santità. Geltrude ad ogni
istante è disposta a ricevere i miei doni, perchè non sopporta
nell'anima sua nessuna cosa che possa frapporre ostacolo alla mia
azione».
Conseguenza di questa libertà di spirito era la scioltezza e il
distacco da ogni bene creato; la fedele sposa di Gesù non voleva cosa
nella sua cella che non le fosse indispensabile. Quando riceveva
qualche dono, subito chiedeva il permesso di distribuirlo al prossimo,
avendo gran cura di favorire i poveri e di preferire i nemici agli
amici.
Se doveva fare, o dire qualche cosa, si disimpegnava tosto per tema che
la minima preoccupazione potesse turbarla nel divino servizio e
menomare la sua assiduità alla contemplazione.
Il Signore stesso degnò rivelare il suo divino compiacimento per tale
condotta, a S. Matilde. Le apparve seduta su d'un trono magnifico. Ai
piedi di questo trono Geltrude andava in varie direzioni, ma il suo
sguardo non si toglieva mai dal Volto di Gesù, attentissima com'era a
raccogliere le minime indicazioni del suo sacratissimo Cuore. E. a S.
Matilde, ammirata da questo spettacolo, il Salvatore disse: « Ecco
qual'è la vita di Geltrude. Ella cammina dinanzi a me, senza perdermi
di vista un solo Istante, nell'unica preoccupazione di compiere la
volontà del mio Cuore. Appena le è dato conoscerla su di un punto,
l'eseguisce all'istante con meravigliosa premura, e spinge lo sguardo
più oltre per intuire gli altri miei desideri, e soddisfarli
immediatamente. Così l'intera sua vita è consacrata alla mia lode e
gloria ». « Ma se è così - obbiettò Matilde - donde viene ch'ella
giudica con tanta severità i difetti e le negligenze delle consorelle?
». Il Signore rispose con bontà: « Siccome Geltrude non può sopportare
la minima macchia sull'anima propria, così non può tollerare, con
indifferenza, i difetti del prossimo ».
L'unica preoccupazione di Geltrude era di piacere a Gesù; riguardo agli
abiti ed agli oggetti adibiti a suo uso, ella si accontentava dello
stretto necessario, senza mai permettersi alcuna ricerca, o
delicatezza. Se preferiva i libri della sua cella, la tavoletta sulla
quale scriveva, o i libri che facevano maggior bene alle consorelle era
perchè le servivano più di altri a far conoscere e amare Gesù.
Dimenticando affatto se stessa per non vedere che il suo amato Signore
riferiva a Lui l'uso delle cose create, rallegrandosi perchè le
sembrava, con quell'atto, di presentare un'offerta sull'altare di Dio,
di distribuirla in carità. Quindi ella usava con gioia del nutrimento,
del riposo, o di qualsiasi altro ristoro, perchè pensava di dare quel
sollievo a Gesù, che scorgeva presente nel suo cuore, come pure mirava
se stessa presente in Lui, secondo il detto evangelico: « Quod uni ex
minimis meis fecistis, mihi fecistis: Quello che avrete fatto al minimo
de' miei, l'avrete fatto a me stesso » (Matt. XXV, 40). Con logica
stringente ella, considerandosi l'ultima e la più vile delle creature,
intendeva accordare a Gesù quello che prendeva ella stessa. Il divin
Salvatore si degnò manifestarle quanto quest'intenzione gli fosse cara.
Un giorno, afflitta da un forte male di capo, aveva cercato sollievo
mettendo in bocca alcune erbe odorose. Il Signore parve inchinarsi con
bontà verso la sua Sposa e prendere lui stesso ristoro in quei profumi;
dopo d'averne aspirato soavemente la fragranza, si rizzò e, raggiante
di soddisfazione per la gloria ricevuta in quell'atto, proclamò davanti
all'assemblea de' Santi: « Oggi ho ricevuto dalla mia Sposa un dono
stupendo ». Geltrude tuttavia era ancora più felice, quando poteva
tributare al prossimo le sue carità; allora brillava in volto la gioia
dell'avaro che, invece di una moneta sola, riceve cento marchi.
Con semplicità deliziosa Ella voleva che tutto le venisse come in dono
da Gesù; quando doveva scegliere questa, o quella cosa, sia vesti, sia
cibo, chiudeva gli occhi e tendeva la mano, ricevendo il primo oggetto
che le capitava, persuasa che le fosse presentato dal suo Dio;
l'accettava poi con tale gratitudine, come se proprio il Signore glielo
avesse offerto personalmente, punto badando se quella cosa fosse più o
meno di suo gusto.
Il suo nobile cuore provava tanta gioia in questo caro esercizio, che
bene spesso esprimeva il suo rammarico, pensando che i pagani e gli
ebrei non avevano la consolazione di entrare in continuo, dolce
commercio con Dio.
Geltrude aveva pure in sommo grado la virtù della discrezione:
quantunque assai colta nella S. Scrittura, tanto che moltissimi le
chiedevano consigli, ritornandosene poi rapiti per la sua rara
prudenza, pure, quando si trattava della sua personale direzione,
cercava consigli perfino a' suoi inferiori, li ascoltava con umile
deferenza e, quasi sempre, abbandonava le proprie idee per seguire
quelle degli altri.
Ci sembra ormai superfluo dimostrare come ciascuna virtù particolare
brillasse in Geltrude di vivo splendore: l'obbedienza, la
mortificazione, la povertà, la prudenza, la fortezza, la temperanza, la
misericordia, la carità, fraterna, la costanza, la gratitudine, la
gioia del bene altrui, il disprezzo del mondo e molte altre ancora,
giacchè abbiamo visto che essa possedeva in alto grado la discrezione,
chiamata la madre di tutte le virtù (Regola di S. Benedetto, cap. LXIV).
Aveva pure quell'ammirabile confidenza, base della vita cristiana, a
cui Dio nulla rifiuta, tanto più quando si tratta di beni spirituali;
anche la nobile umiltà aveva gettato nell'anima sua, come abbiamo
visto, profonde radici. Parlando della sua carità verso Dio e verso il
prossimo, abbiamo provato che tale virtù, regina delle regine, aveva
stabilito in essa il suo trono, irradiando, anche esteriormente,
riflessi di misericordiosa bontà. Ometteremo quindi di descrivere
dettagliatamente com'ella praticasse tale virtù, quantunque avremmo
modo di citare un numero grande di fatti che sorpassano quelli già
esposti, e che sono di tale natura da deliziare il devoto lettore. Il
fin qui detto però basta per provare che Geltrude fu uno dei cieli nei
quali il Re dei re si degnò abitare, come su d'un trono tempestato di
stelle.