CAPITOLO I. - RACCOMANDAZIONE DELLA PERSONA
Santa Gertrude di Helfta

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«Oh, profondità delle ricchezze e della scienza di Dio! come i suoi
giudizi sono incomprensibili e come sono impenetrabili le sue vie! »
(Rom. XI, 33). Perciò Dio chiama coloro che ha predestinati da vie
differenti, misteriose, ammirabili. Dopo d'averli chiamati li colma di
grazie, come se adempisse opera di giustizia verso anime, che giudica
degne di condividere le sue ricchezze ed eterne delizie.
La cara Santa di cui trattiamo ce ne dà una prova evidente. Simile a
giglio splendente di candore, venne posta da Dio nell'aiuola fragrante
del giardino della Chiesa, cioè nell'assemblea delle anime giuste,
quando, bimba di appena cinque anni la ritirò dalle agitazioni mondane,
per introdurla nella dimora nuziale della santa Religione. Al candore
del giglio ella univa la magnificenza e la freschezza dei fiori più
eletti, così che, non solo affascinava lo sguardo, ma rapiva i cuori.
Benchè d'età tenerissima, lasciava intravvedere rara maturità di
giudizio, mostrando tale ricchezza di sapere, di eloquenza e facilità
nell'apprendere qualsiasi cosa, da farne rimanere rapiti.
Ammessa alla scuola, subito si distinse per vivacità e finezza
d'intelligenza, sorpassando le compagne in qualsiasi ramo
dell'insegnamento. Con cuore illibato ella trascorse l'infanzia e
l'adolescenza, dandosi tutta allo studio delle urti, in modo da
preservarsi, per bontà del Padre delle misericordie, da quelle
frivolezze, che così spesso trascinano a rovina l'incauta gioventù.
Lodi e ringraziamenti a Te, o Dio onnipotente!
Venne infine il momento in cui Colui, che l'aveva scelta fin dal seno
di sua madre, introducendola poi, ancor pargoletta, a condividere il
banchetto della vita monastica, volle condurla, per grazia particolare,
dalle cose esteriori alla contemplazione interiore, dalle azioni
terrestri alla ricerca delle cose celesti; più avanti racconteremo come
avvenne tale mutamento (vedi Lib. II, cap. I).
Ella comprese allora di essere restata troppo tempo lungi da Dio, « in
ragione dissimilitudinis, in una regione dissimile », (come ben dice S.
Agostino, Lib. VII, cap. X), quando, applicandosi con passione allo
studio delle lettere, aveva trascurato di fissare la luce della scienza
spirituale, ed attratta troppo sensibilmente dal fascino della sapienza
umana, s'era privata del delizioso sapore della vera sapienza.
Fedele al divino richiamo, disprezzò gli allettamenti intellettuali che
l'avevano fin allora sedotta, e s'abbandonò tutta al suo Dio che volle
introdurla nel regno dell'allegrezza e della gioia, sulla montagna di
Sion, ammettendola alle delizie della divina contemplazione. Là si
spogliò del vecchio uomo e de' suoi atti per rivestirsi dell'uomo
nuovo, creato secondo Dio, nella giustizia e santità della verità.
Così si mutò da intellettuale a spirituale, meditando continuamente le
pagine divine che poteva procurarsi, e riempiendo il cuore delle dolci,
utilissime sentenze della Sacra Scrittura. Perciò, quando venivano a
consultarla su questioni religiose, aveva sempre pronti detti
scritturali, e lo faceva con tanta opportunità e senno, da convincere
pienamente i suoi interlocutori. Ella era avidissima di immergersi
nelle dolcezze della contemplazione e di meditare i libri sacri: quelle
pagine erano per lei favo di miele, dolce armonia, giubilo spirituale.
Simile alla colomba che raccoglie il chicco di grano, Ella scrisse
libri spirituali ricchi di grande soavità, ove sono raccolte le parole
dei Santi.
Suo scopo era di rendere chiari e luminosi, anche alle intelligenze
meno dotate, certi passaggi un po' oscuri. Inoltre compose preghiere
veramente ispirate e deliziose, nonchè gli Esercizi spirituali che,
ancor oggi, si leggono con frutto, diletto, edificazione.
Il suo stile è così corretto che i maestri, nonché fare appunti sulla
sua dottrina, ne subirono l'incanto ed apprezzarono le sue opere, sia
per l'agilità dell'esposizione, sia perché infiorate e profumate dai
detti della S. Scrittura che loro danno un pregio elevatissimo,
specialmente allo sguardo dei teologi e delle anime pie.
E' quindi evidente che tali produzioni non sono il frutto dello spirito
umano, ma della grazia celeste, di cui Geltrude era ricolma.
Per non dare a queste lodi un senso puramente umano, aggiungeremo qui
un titolo che merita di essere esaltato. La Sacra Scrittura non dice
forse: « La grazia esterna inganna e la bellezza è fallace: solo la
donna che teme il Signore sarà lodata?» (Prov. XXXI, 30).
Ella era una fortissima colonna della Religione, zelante difesa della
giustizia e della verità, tanto che si può applicarla quello che si
disse del grande Sacerdote Simone, nel libro della Sapienza: « Ha
sostenuto la causa durante la vita » cioè la Religione « ed ha durante
i suoi giorni assodato il tempio » (Eccl. L, I), cioè con esempi e
consigli, ha riscaldato il sacro tempio della divozione, eccitando
nelle anime vivo fervore. Possiamo dunque ripetere che durante il suo
terreno pellegrinaggio, « i pozzi hanno riversato le loro acque »
(ibld) perchè nessuno più di Geltrude ha diffuso ampiamente le onde di
una salutare dottrina.
Ella aveva parola dolce e penetrante, linguaggio eloquente, persuasivo,
efficace e così colmo di grazia da meravigliare coloro che
l'ascoltavano, parecchi dei quali affermarono che sentivano vibrare lo
spirito di Dio, ne' suoi discorsi, sì da esserne inteneriti nel cuore e
trasformati nella volontà. Infatti « la parola viva ed efficace, più
penetrante di una spada a due tagli, la quale divide l'anima dallo
spirito » (Ebr. IV, 12) abitava in essa, operando tali meraviglie. Agli
uni essa ispirava quel sincero pentimento che guida all'eterna
salvezza, agli altri la luce per conoscere Dio ed approfondire la
propria miseria; ad altri ancora dava sollievo e conforto, infine in
molti accendeva la fiamma del divino amore.
Parecchie persone esterne, che l'avevano accostata una sola volta,
assicuravano d'averne provato dolcezze ineffabili. Però, quantunque
possedesse a dovizia i doni che piacciono al mondo, non bisogna
concludere che, quanto si racconta in questo libro, sia il frutto del
suo ingegno naturale, della vivacità dell'immaginazione, o il risultato
della grazia del suo facile eloquio. Tutto in essa procedeva dalla
sorgente della divina Sapienza, diffusa nell'anima sua da quello
Spirito Santo, « che soffia dove vuole » (Giov. III, 8), quando vuole,
per chi vuole e ciò che vuole, secondo la convenienza dei tempi, dei
luoghi, delle persone.
Siccome per le cose visibili e invisibili sono generalmente meglio
comprese dall'umano intelletto per mezzo di immagini, così è necessario
rivestirle di forme concrete Ugo di S. Vittore lo prova chiaramente nel
« Discorso dell'uomo interiore » (cap. XVI).
« Le divine scritture, per adattarsi alla fragilità umana, descrivono
le cose invisibili sotto forme visibili, imprimendo così
nell'intelligenza delle immagini, la cui bellezza ridesta i nostri
desideri. Parlano perciò, talora, di una terra ove scorre latte e
miele, tal altra di fiori e di profumi: così pure, assai spesso,
esprimono l'armonia delle gioie celesti, coi cantici degli uomini ed i
concerti degli uccelli. Leggendo l'Apocalisse di S. Giovanni troverete
descritta una Gerusalemme celeste adorna d'oro, d'argento, di gemme e
di altre pietre preziose. Eppure sappiamo che in cielo, ove nessuna
cosa manca, non v'ha nulla di simile, ma tali cose vi sono nella loro «
sostanza spirituale ».