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Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Calamità


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La famiglia umana incorre continuamente in disgrazie collettive, è sempre sorpresa dalla loro subitaneità, dalla loro ampiezza, dal loro cieco determinismo. L‘eco di questa sofferenza risuona in tutta la Bibbia: guerra, carestie, diluvio, uragani, fuoco, malattia, morte. All‘uomo, che non può accontentarsi di dare a questi fenomeni una spiegazione naturale, le apocalissi ne rivelano la dimensione misteriosa e rivelano così l‘uomo a se stesso.

1. La calamita nel disegno di Dio. - Sia in profondità che in superficie, la calamità è uno squilibrio. Legata al castigo, nel senso che in ultima analisi proviene dal peccato dell‘uomo, se ne distingue perché tocca tutta la creazione, e perché manifesta più chiaramente il volto di Satana, al quale il mondo è soggetto per il tempo della prova (Giob 17,12; Mi: 24-22). La calamità è un «colpo» (naga, colpire) collettivo, che manifesta a qual punto il peccato agisce nella storia umana (Apoc 6; 8, 6- 11, 19). Guerra, carestia, peste, morte, l‘Apocalisse non presenta questi flagelli come una semplice componente del tempo. Infatti, se, attraverso i suoi legami letterari, si risale verso le apocalissi anteriori, si trova una corrente che, dagli ultimi libri del giudaismo (Sap 10 - 19; Dan 9,24-27; 12, 1), passando attraverso i saltai (Sa] 78; 105) ed ai profeti (Ez 14; 21; 38; Is 24; Sof 1,2 s), giunge fino alle piaghe di Egitto (Es 7 - 10). Allora il senso della calamità diviene netto: essa è un elemento di quel grande giudizio che è la Pasqua. La liberazione escatologica che noi viviamo è raffigurata dalla liberazione della prima Pasqua e del primo esodo. Considerata in questa luce pasquale, la calamità si smaschera: il momento in cui trionfa in essa la potenza di morte del peccato segna l‘inizio della sua sconfitta e della vittoria di Cristo. In virtù dell‘amore di Dio che opera nella croce, la calamità cambia senso (Rom 8, 31-39; Apoc 7, 3; 10, 7).

2. L’uomo dinanzi alla calamita. - Se tale è la calamità, l‘atteggiamento dell‘uomo dev ?essere uno sguardo di verità- Egli non deve bestemmiare (Apoc 16, 9) né volgersi verso qualche idolo che ne lo liberi (2 Re 1, 2-17; Is 44, 17; 47, 13). Deve riconoscervi un segno del tempo (Lc 12, 54 ss), l‘espressione della sua schiavitù sotto il peccato e l‘annunzio della visita imminente del Salvatore (Mt 24, 33). La calamità, anticipazione del giorno di Jahve, è un ultimatum in vista della conversione (Apoc 9, 20 s), un appello a vegliare (Mt 24, 44). Ma soprattutto è l‘inizio della nostra liberazione totale: «Quando tali cose cominceranno a venire, alzatevi e levate la testa, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21, 28). In questa stessa linea escatologica è normale che la calamità accompagni lo sviluppo della parola nel mondo (Apoc 11, 1-13), poiché traduce a modo suo lo sviluppo parallelo del mistero dell‘anticristo. Ma soprattutto essa dev ?essere vissuta dal cristiano nella certezza di essere amato (Lc 21, 8-19) e nella potenza di Cristo (2 Cor 12, 9). Lo stato d‘animo propriamente escatologico, che la calamità deve mantenere in noi, è allora l‘attesa; di fatto essa testimonia la nascita d‘un nuovo mondo ed il lavoro dello Spirito che avvia la creazione intera verso la redenzione totale (Mt 24, 6 ss; Rom 8, 19-23).

Autore: J. Corbon
Fonte: Dizionario di Teologia Biblica