Scrutatio

Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Benedictus


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È il cantico in parte profetico (Lc. l, 68-79), che Zaccaria pronunziò nel giorno della circoncisione del suo figliolo Giovanni, detto più tardi "il Battista" (Mt. 3, 1); deve il nome, alla prima parola nella versione latina. Giustamente, è detto: "l'ultima profezia del V. e la prima del N. T.".

Fin dal tempo di Origene (Hom. X in Lc.: PG 13, 1823), il B. si suole dividere in due parti, nettamente distinte: nella prima, riguardante il Messia (68-75), Zaccaria inneggia a Dio per aver mantenuto la promessa fatta agli antichi padri, mandando sulla terra il Salvatore (cornu salutis = potente salvezza) che avrebbe finalmente liberato il popolo dai nemici, permettendogli, così, di servire Lui, in santità e giustizia, per sempre; nella seconda, riguardante Giovanni (76-79), con apostrofe ispirata, facendo allusione alle parole dell'angelo Gabriele (Lc. l, 13-17), Zaccaria predice ed esalta la missione del suo augusto figlio, che sarà quella di essere il battistrada (Precursore) del Messia, e predisporre gli animi a ricevere la salute messianica.

Nella 1.a parte non debbono sfuggire tre verbi, tutti al passato; visitò, fece, eresse che possono spiegarsi, sia perché la Redenzione era praticamente cominciata, in quanto l'Incarnazione era già in atto col consenso di Maria (Lc. l, 38), sia perché nel greco del N. T., per influsso delle lingue semitiche, i tempi dei verbi non conservano lo stesso valore che hanno nel greco classico; potrebbe anche trattarsi di "passati", che gli esegeti chiamano "perfetti profetici". La Volgata ha pure un passato nel visitò del v. 78 (2a parte); il greco, però, nei migliori codici e secondo i più autorevoli critici, ha il futuro (= visiterà) che va mantenuto. Va poi sottolineato il v. 79, il quale, con riferimento ad Is. 9, 2 mette in chiara luce l'universalismo dell'opera messianica, la quale oltre ai Giudei, secondo il giuramento fatto ad Abramo (73-75), s'estenderà anche ai pagani brancolanti nelle tenebre dell'idolatria, e perciò esposti alla morte sempiterna (Eph. 2, 3. 11 ss.). Come in analoghe circostanze, la critica "indipendente" ha tentato gettare il discredito sull'autenticità del nostro cantico, ora affermando che si tratta di «un salmo giudaico- cristiano, rielaborato dall'Evangelista e attribuito a Zaccaria» (Holtzmann, Loisy), ora sostenendo che esso «è un residuo dell'innologia della Chiesa primitica» (Harnack). Sono state anche rilevate somiglianze con la preghiera giudaica detta Shemoneh 'esreh (= diciotto [benedizioni]).

La somiglianza con i Salmi ebraici e con la preghiera giudaica citata, non deve far meraviglia quando si riflette che l'autore del B. è esso stesso un ebreo, e per giunta un sacerdote (Lc. l, 5) che ha talmente familiare i Salmi, i Profeti e tutte le formule liturgiche del Tempio, che volendo comporre (non necessariamente improvvisare) un, cantico, come per istinto, sente che i testi sacri e liturgici s'affollano sulle sue labbra, per dare forma concreta ai sentimenti dell'animo. Come ha notato il P. Lagrange, l'alta antichità del B. si può anche desumere dal modo con cui è trattato il Messia; chi p. es. avesse scritto dopo la Risurrezione, soprattutto dopo la diffusione del cristianesimo, difficilmente avrebbe resistito alla tentazione di mettere in chiara luce la divinità, l'opera redentrice, il sacrificio di Gesù, come è facile vedere nei discorsi degli Atti e nelle Epistole di S. Paolo.
[B. P.]

BIBL. - L. PIROT. Benedictus, in DBs, I, 956-62; L. C. FILLION, Vita di N. S. G. C., trad. ital., I, Torino-Roma 1934, pp. 482 s. 486; M. J. LAGRANGE, Ev. sel. St. Luc. Parigi 1927, pp. 58-63; F. CABROL. Cantiques évangéliques, in DACL, II, coll. 1994 ss.

Autore: Mons. Bruno Pelaia
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora