Scrutatio

Venerdi, 19 aprile 2024 - San Leone IX Papa ( Letture di oggi)

Ascensione


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È di fede che Cristo risorto è entrato nella gloria, ma si tratta di un mistero che trascende l‘esperienza sensibile e non può essere racchiuso ad es. nella sola scena del Monte degli Ulivi dove gli apostoli hanno visto il loro maestro che li lasciava per ritornare presso Dio. Di fatto sul senso, sul momento, sul modo dell‘esaltazione celeste di Cristo i testi sacri si esprimono con una varietà la cui ricchezza è istruttiva. Alla loro luce cercheremo di percepire la realtà sofonda del mistero attraverso la genesi ella sua espressione letteraria.

I. IL TRAGITTO TRA CIELO E TERRA

Secondo una concezione spontanea e universale ripresa dalla Bibbia, il cielo è la dimora della divinità, tanto che questo termine serve come metafora per indicare Dio. La terra, suo sgabello (Is 66, 1), è la dimora degli uomini (Sal 115,16; Eccle 5, 1). Per visitarli Dio «discende» quindi dal cielo (Gen 11, 5; Es 19, 11 ss; Mi 1, 3; Sal 144, 5) e vi «risale» (Gen 17, 22). La nube è il suo veicolo (Num 11, 25; Sal 18, 10; Is 19, 1). Lo Spirito che egli manda deve anch‘esso discendere (Is 32, 15; Mt 3,16; 1 Piet 1, 12); e così pure la parola che, ad opera compiuta, a lui ritorna (la 55,10 s; Sap 18, 15). Gli stessi angeli, che abitano in cielo con Dio (1 Re 22, 19; Giob 1,6; Tob 12,15; Mt 18, 10), discendono per compiere le loro missioni (Dan 4, 10; Mt 28,2; Le 22,43) e poi risalgono (Giud 13,20; Tob 12, 20); ascesa e discesa che stabiliscono il legame tra cielo e terra (Gen 28, 12; Gv 1, 51). Per gli uomini il tragitto è di per sé impossibile. Parlare di salire al cielo equivale ad esprimere la ricerca dell‘inaccessibile (Deut 30,12; Sal 139,8; Prov 30,4; Bar 3,29), quando non si tratti della pretesa di un orgoglio insensato (Gen 11,4; Is 14,14; Ger 51,53; Giob 20,6; Mt 11,23). È già molto che le preghiere salgano al cielo (Tob 12, 12; Eccli 35, 16 s; Atti 10, 4) e che Dio dia appuntamento agli uomini su monti dov‘egli discende mentre essi salgono, come il Sinai (Es 19,20) od il monte Sion (Is 2, 3; 4,5). Soltanto gli eletti, come Enoch (Gen 5,24; Eccli 44,16; 49,14) od Elia (2 Re 2,11; Eccli 48, 9-12; 1 Mac 2, 58), hanno avuto il privilegio di essere rapiti in cielo dalla potenza divina. In Dan 7,13 la venuta del figlio dell‘uomo si compie verso l‘Antico dei giorni, e ciò suggerisce pure una salita, benché il suo punto di partenza sia misterioso e qui le nubi del cielo non siano forse un veicolo, ma soltanto l‘ornamento della dimora divina.

II. LA SALITA DI CRISTO AL CIELO

Secondo questa cosmologia biblica, Gesù esaltato dalla risurrezione alla destra di Dio (Atti 2, 34; Rom 8, 34; Ef 1, 20 s; 1 Piet 3,22; cfr. Mc 12, 35 ss par.; 14,62 par.), dove siede in trono come re (Apoc 1, 5; 3,21; 5,6; 7,17), ha dovuto «salire» al cielo. Di fatto la sua ascensione nelle prime affermazioni della fede non appare tanto come un fenomeno considerato per se stesso, quanto come l‘espressione indispensabile della esaltazione celeste di Cristo (cfr. Atti 2, 34; Mc 16,19; 1 Píet 3, 22). Ma, con il progresso della rivelazione e la esplicitazione della fede, essa ha assunto una individualità teologica e storica sempre più netta.

1. Discesa e risalita. - Implicita all‘aurora della fede, la preesistenza di Cristo è andata esplicitandosi, in quanto la sua preesistenza enunciata dalle Scritture aiutava a percepire la sua preesistenza ontologica. Prima di vivere sulla terra, Gesù era presso Dio come Figlio, come Verbo, come Sapienza. Quindi la sua esaltazione celeste non è stata soltanto il trionfo d‘un uomo elevato alla dignità divina, come poteva suggerire una cristologia primitiva (Atti 2, 22-36; 10, 36-42), ma il ritorno al mondo celeste di dove era venuto. Giovanni ha espresso più chiaramente di tutti questa discesa dal cielo (Gv 6, 33. 38. 41. s. 50 s. 58) ed ha posto in relazione con essa la risalita dell‘ascensione (Gv 3, 13; 6, 62). Qui non si può invocare Rom 10, 6 s, perché il movimento che ivi segue la discesa dell‘incarnazione è la risalita dal regno dei morti piuttosto che l‘ascesa al cielo. Per contro Ef 4, 9 s espone una traiettoria più ampia, dove la discesa nelle regioni inferiori della terra (od alla terra?) è seguita da una risalita che porta Cristo al di sopra di tutti i cieli. La stessa traiettoria è ancora supposta dall‘inno di Fil 2,641.

2. Trionfo d‘ordine cosmico. - Un altro motivo doveva concorrere a specificare l‘ascensione come tappa glorificante, distinta dalla risurrezione e dalla sessione celeste: la preoccupazione di esprimere meglio la supremazia cosmica di Cristo. Poiché l‘eresia colossese aveva minacciato di abbassare Cristo ad un rango subalterno fra le gerarchie angeliche, Paolo riprende in modo più categorico quanto già aveva detto del suo trionfo sulle potenze celesti (1 Cor 15, 24), affermando che questo trionfo è già acquisito mediante la croce (Col 2,15), che fin d‘ora il Cristo siede in trono nei cieli al di sopra di queste potenze, quali che esse siano (Ef 1, 20 s); ed è a questo punto che egli sfrutta il Sal 68,19 per mostrare che la salita di Cristo al di sopra di tutti i cieli è stata la sua presa di possesso dell‘universo, che egli «riempie» (Ef 4,10) così come lo «ricapitola» (Ef 1, 10) a titolo di capo. È lo stesso orizzonte cosmico che appare nell‘inno di 1 Tini 3, 16: l‘elevazione nella glo. ria viene dopo la manifestazione agli angeli ed al mondo. La lettera agli Ebrei ripensa a sua volta la salita di Cristo in funzione della sua prospettiva di ?un mondo celeste, in cui si trovano le realtà della salvezza e, verso il quale sono in pellegrinaggio gli uomini. Per sedervi alla destra di Dio (Ebr. 1, 3; 8,1; 10, 12 s; 12, 2) al di sopra degli angeli (1, 4-13; 2, 7 sa), il Sommo Sacerdote è salito per primo, attraversando i cieli (4, 14) e penetrando oltre il velo (6, 9 s) nel santuario dove intercede alla presenza di Dio (9, 24).

3. Momento dell’ascensione. - Distinta dall‘uscita dal sepolcro a titolo di manifestazione cosmica, la salita di Cristo al cielo doveva ancora esserne staccata per la necessità pedagogica di raccontare nel tempo degli uomini un avvenimento che lo trascende, ed anche per tener conto del periodo delle apparizioni. Certamente nulla impedisce, anzi, tutto postula che Gesù, manifestandosi ai suoi discepoli, sia ritornato per questo dal mondo della gloria dove era entrato fin dal momento della risurrezione; di fatto non si vede bene dove avrebbe potuto trovarsi nell‘intervallo tra queste manifestazioni, ed egli mostra loro appunto il suo stato più glorificato. Effettivamente Mt sembra concepire le cose in questo modo: non parla dell‘ascensione, ma, con la dichiarazione di Gesù sul potere di cui dispone in cielo e sulla terra (Mt 28,18), lascia intendere che la presa di possesso del trono celeste è già avvenuta al momento dell‘apparizione sul monte di Galilea. Giovanni insegna la stessa cosa in altro modo: se Gesù fa avvisare i discepoli da Maria Maddalena che egli sale al Padre (Gv 20,17), vuol dunque dire che, quando apparirà loro la sera stessa (20, 19), sarà già salito e ridisceso. Questo spazio di qualche ora tra la risurrezione e l‘ascensione ha intento pedagogico e permette a Gesù di inculcare a Maria Maddalena ch‘egli entra in uno stato nuovo, dove i contarti di un tempo (cfr. 20, 17 e 11, 2; 12, 3) saranno spiritualizzati (6, 58. 62). In altri testi il momento dell‘ascensione si distingue ancor più da quello della risurrezione: Lc 24, 50 s, venendo dopo i v. 13. 33.36.44, dà l‘impressione che l‘ascensione si debba collocare alla sera della domenica di Pasqua dopo vari colloqui di Gesù con i suoi discepoli. Nel finale di Mc 16, 19, che dipende in gran parte da Lc, l‘ascensione è raccontata dopo manifestazioni successive, che non si vede bene se abbiano occupato un solo giorno oppure parecchi. Infine, secondo Atti 1, 3-11, Gesù ha lasciato i suoi per salire al cielo al termine di quaranta giorni di apparizioni e di colloqui. L‘ascensione raccontata da questi tre testi mira manifestamente a chiudere il periodo delle apparizioni; non vuol descrivere, dopo un intervallo variabile ed inesplicabile, il primo ingresso di Cristo nella gloria, ma piuttosto l‘ultima partenza che pone fine alla sua manifestazione in terra. L‘incertezza stessa dell‘intervallo si spiega meglio in funzione di questo momento contingente negli Atti il numero 40 è scelto senza dubbio in funzione dei 50 giorni della Pentecoste: se Gesù risale definitivamente al cielo, lo fa per mandare il suo Spirito, che ormai lo sostituirà presso i discepoli. Il vario insegnamento dei testi sacri invita insomma a riconoscere in questo mistero due aspetti connessi, ma distinti: da una parte la glorificazione celeste di Cristo, che coincise con la risurrezione, dall‘altra la sua ultima partenza dopo un periodo di apparizioni, partenza e ritorno verso Dio, di cui gli apostoli sono stati testimoni sul Monte degli Ulivi, e che la festa liturgica dell‘ancensione celebra in modo più particolare.

4. Modo dell’ascensione. - Atti 1, 9 è il solo testo canonico che descriva in qualche modo la salita di Gesù al cielo, e la sua estrema discrezione conferma che non è sua pretesa ritrarre il primo ingresso di Cristo nella gloria. Questo quadro cos) sobrio non ha nulla a che vedere con le ipotesi degli eroi pagani come Romolo o Mitra, e neppure con il precedente biblico di Elia. Facendo intervenire la nube stereotipata delle teofanie ed una frase angelica che spiega la scena, esso rinuncia a fornire del mistero una descrizione realistica di dubbio gusto, quale sarà inventata da taluni apocrifi, e si limita ai dati essenziali che ne evocano il senso. Non già che questa scena, localizzata in modo preciso sul Monte degli Ulivi, non sia un ricordo storico, né che Gesù Cristo non abbia potuto concedere ai suoi discepoli una certa esperienza sensibile del suo ritorno presso Dio, ma l‘intenzione del racconto non è certamente di descrivere un trionfo, che di fatto è avvenuto già al momento della risurrezione; è soltanto di insegnare che, dopo un certo periodo di colloqui familiari con i discepoli, il risorto ha ritirato dal mondo la sua presenza manifesta per non restituirla che alla fine dei tempi.

III. L’ASCENSIONE, PRELUDIO DELLA PARUSIA

«Quel Gesù or ora salito al cielo ritornerà nello stesso apparato con cui lo avete visto andarvi» (Atti 1, 11). Oltre a spiegare l‘economia del racconto dell‘ascensione, questa frase angelica stabilisce un legame profondo tra la salita di Cristo al cielo e il suo ritorno alla fine dei tempi. Poiché questo si fa attendere, il soggiorno di Cristo in cielo, in sé definitivo per quel che lo concerne, resta come una tappa transitoria nell‘economia generale della salvezza: vi rimane nascosto agli uomini in attesa della sua manifestazione ultima (Col 3,1-4) al momento della restaurazione universale (Atti 3, 21; 1 Tess 1, 10). Allora egli ritornerà come è partito (Atti 1, 11), discendendo dal cielo (1 Tess 4, 16; 2 Tess 1, 7) sulle nubi (Apoc 1, 7; cfr. 14, 14 ss), mentre i suoi eletti gli saliranno incontro, anch‘essi sulle nubi (1 Tess 4, 17), come già i due testimoni dell‘Apocalisse (Apoc 11, 12). È sempre la stessa presentazione cosmologica, inerente alla nostra immaginazione umana e d‘altronde ridotta al minimo. L‘affermazione profonda che emerge da tutti questi temi è che Cristo, trionfando della morte, ha inaugurato un nuovo modo di vita presso Dio. Vi è entrato per primo per preparare un posto ai suoi eletti, poi ritornerà e ve li introdurrà affinché siano sempre con lui (Gv 14,2 s).

IV. SPIRITUALITA’ CRISTIANA DELL’ASCENSIONE

In attesa di questo momento, i cristiani devono restare uniti, mediante la fede e i sacramenti, al loro Signore glorificato. Fin d‘ora risuscitati e persino assisi nei cieli con lui (Ef 2, 6), essi ricercano «le cose dell‘alto», perché la loro vera vita è «nascosta con Cristo in Dio» (Col 3, 1 ss). La loro città si trova nei cieli (Fil 3, 20). La casa celeste che li attende, e di cui essi aspirano a rivestirsi (2 Cor 5, 1 ss), non è altro che il Cristo stesso glorioso (Fil 3, 21),l‘«uomo celeste» (1 Cor 15, 45-49). Di qui sgorga tutta una spiritualità di ascensione, che è a base di speranza, perché fa vivere fin d‘ora il cristiano nella realtà del nuovo mondo dove Cristo regna. Egli non è tuttavia strappato al vecchio mondo che ancora lo ritiene, ma, al contrario, ha la missione ed il potere di vivervi in un modo nuovo, che solleva questo mondo verso la trasformazione gloriosa a cui Dio lo chiama.

Autore: F. Benoit
Fonte: Dizionario di Teologia Biblica