Scrutatio

Venerdi, 19 aprile 2024 - San Leone IX Papa ( Letture di oggi)

Anima


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Lungi dall‘essere una «parte» che, assieme al corpo, costituisce l‘essere umano, l‘anima designa l‘uomo tutto intero, in quanto animato da uno spirito di vita. Propriamente parlando essa non abita in un corpo, ma si esprime per mezzo del corpo, che anch‘esso, come la carne, designa l‘uomo tutto intero. Se, in virtù della sua relazione con lo spirito, l‘anima indica nell‘uomo la sua origine spirituale, questa «spiritualità» è profondamente radicata nel mondo concreto, come lo dimostra l‘estensione del termine utilizzato. Nelle lingue bibliche, i termini che designano l‘anima, nefes (ebr.), psyche (gr.), anima (lat.), si ricollegano più o meno direttamente all‘immagine del soffio.

1. L’uomo vivente. - Di fatto il soffio, la respirazione, è per eccellenza il segno del vivente. Essere vivo significa avere ancora in sé il soffio (2 Sam 1, 9; Atti 20, 10); quando l‘uomo muore, l‘anima esce (Gea 35,18), è esalata (Ger 15, 9) o versata come un liquido (Is 53, 12); se risuscita, l‘anima ritorna in lui (1 Re 17, 21). In tal modo potrebbero esprimersi Greci o Semiti; ma, sotto questa identità di espressione, si nasconde una diversità di prospettiva. Secondo una concezione abbastanza frequente (nettamente affermata da certa filosofia greca), l‘anima tende a diventare un principio sussistente che esiste indipendentemente dal corpo in cui si trova e dal quale esce: concezione «spiritualista» che si fonda senza dubbio sul carattere quasi immateriale del soffio, in opposizione al corpo materiale. Per i Semiti, invece, il soffio rimane inseparabile dal corpo che anima; indica semplicemente il modo in cui la vita concreta si manifesta nell‘uomo, anzitutto per mezzo di ciò che si muove, anche quando egli dorme, apparentemente immobile. Non è forse questa una delle ragioni profonde che hanno portato ad identificare anima e sangue (Sal 72, 14)2 L‘anima è nel sangue (Lev 17, 10 s), è il sangue stesso (Lev 17, 14; Deut 12, 23), è l‘uomo vivente.

2. La vita. - Dal senso di «vivente» il termine passa facilmente a quello di vita, come dimostra l‘uso parallelo dei due termini: «Non abbandonare alla bestia l‘anima della tua tortorella, non dimenticare la vita dei tuoi miseri» (Sal 74, 19); altrove, nella legge del taglione, «anima per anima» si può tradurre «vita per vita» (Es 21, 23). Così «vita» e «anima» sono sovente assimilate, quantunque non si tratti della sola vita «spirituale» in opposizione alla vita «corporale». Ma d‘altra parte questa vita, per lungo tempo limitata ad un orizzonte terrestre, alla fine si rivela aperta ad una vita celeste, eterna. Bisogna quindi interrogare volta per volta il contesto per conoscere il senso esatto della parola. In taluni casi l‘anima è considerata come il principio della vita temporale. Si teme di perderla (Gios 9, 24; Atti 27, 22), si vorrebbe preservarla dalla morte (1 Sam 19,11; Sal 6, 5), metterla al sicuro (Le 21, 19) quando la si sente minacciata (Rom 11, 3 = 1 Re 19, 10; Mt 2,20 = Es 4,19; Sal 35,4; 38, 13). Viceversa, non bisogna preoccuparsene eccessivamente (Mt 6, 25 par.), ma metterla a repentaglio (Fil 2, 30), donarla per le proprie pecorelle (1 Tesa 2, 8). Gesù la dona (Mt 20, 28 par.; Gv 10, 11. 15. 17) e sul suo esempio noi dobbiamo sacrificarla (Gv 13, 37 s; 15, 13; 1 Gv 3, 16). Se un simile sacrificio della vita può essere fatto, non è semplicemente perché si sa che Jahve la può riscattare (Sal 34, 23; 72, 14), ma perché Gesù ha rivelato, attraverso alla stessa parola, il dono della vita eterna. Così egli gioca sui diversi sensi della parola: «Chi vuol salvare la sua anima, la perderà, ma chi perde la sua anima per causa mia, la troverà» (Mt 16, 25 s par.; cfr. Mi 10,39; Li: 14,26; 17,33; Gv 12,25). In queste condizioni la «salvezza dell‘anima» è in definitiva la vittoria della vita eterna seminata nell‘anima (Giac 1, 21; 5, 20; 1 Piet 1, 9; Ebr 10, 39).

3. La persona umana. - Se la vita è il bene più prezioso dell‘uomo (1 Sam 26,24), salvare la propria anima significa salvare se stesso: l‘anima finisce per designare la persona. Oggettivamente in primo luogo si chiama «anima» ogni essere vivente, anche l‘animale (Gen 1, 20 s. 24; 2, 19); ma per lo più si tratta degli uomini; così si parla di «un paese di settanta anime» (Gen 46, 27 = Atti 7, 14; cfr Deut. 10, 22; Atti 2, 41; 27, 37). Un‘anima è un uomo, è qualcuno (Lev 5, 1...; 24, 17; Mc 3, 4; Atti 2, 43; 1 Piet 3, 20; Apoc 8, 9), ad es. in opposizione ad un carico (Atti 27, 10). All‘ultimo grado di oggettivazione un cadavere può anche essere designato, in ricordo dì quel che fu, come una «anima morta» (Num 6, 6). Soggettivamente l‘anima corrisponde al nostro io, precisamente come il cuore o la carne, ma con una sfumatura di interiorità e di potenza vitale: «Com‘è vero che lamia anima vive!» (Am 6, 8; Ger 51, 14; 2 Cor 1, 23) significa l‘impegno profondo di colui che presenta giuramento. Gionata amava David «come la propria anima» (1 Sam 18, 1.3). Infine questo io si esprime in attività che non sono tutte «spirituali». Così il ricco: «Dirò alla mia anima: anima mia, riposati, mangia, bevi, rallegrati! E Dio gli disse: Insensato, questa notte stessa ti sarà domandata la tua anima (= la tua vita)» (Lc 12,19 s). La menzione dell‘anima sottolinea il gusto e la volontà di vivere, ricordando un po‘ il carattere imperioso che prende la sete in una gola ardente (Sal 63,2). L‘anima avida, affamata, può essere saziata (Sal 107, 9; Ger 31, 14). 1 suoi sentimenti vanno dal piacere (Sal 86, 4) al turbamento (Gv 12, 27) ed alla tristezza (Mt 26, 38 = Sal 42, 6), dal sollievo (Fil 2,19) alla stanchezza (Ebr 12,3). Essa vuole fortificarsi per poter trasmettere la benedizione paterna (Gen 27,4) o sopportare la persecuzione (Atti 14, 22). È fatta per amare (Gen 34, 3) od odiare (Sal 11, 5), per compiacersi di qualcuno (Mt 12,18 = Is 42, 2; Ebr 10, 38 = Ab 2, 4), per cercare Dio senza riserva (MI 22, 37 par. = Deut 6, 5; Ef 6, 6; Col 3, 23) e benedire per sempre il Signore (Sal 103,1). Con una simile pienezza di senso talune formule possono ritrovare il loro vigore originale: le anime devono essere santificate (1 Piet 1, 22). Per esse Paolo si spende (2 Cor 12,15), su di esse vegliano i capi spirituali (Ebr 13, 17), Gesù promette loro il riposo (Mt 11, 29). Queste anime sono esseri di carne, ma in essi è stato posto un seme di vita (1 Piet 1, 9).

II. L’ANIMA E LO SPIRITO DI VITA

1. L’anima e il principio di vita. - Se l‘anima è il segno della vita, non ne è tuttavia la sorgente. È questa una seconda differenza che separa profondamente le due mentalità, d‘origine semitica o platonica. Per questa ultima, l‘anima si identifica con lo spirito, di cui è in qualche modo una emanazione, conferendo all‘uomo una vera autonomia. Per i Semiti non l‘anima, ma Dio, per mezzo del suo spirito, è la fonte della vita: «Dio soffiò nelle sue narici un alito (nesamah) di vita, e l‘uomo divenne anima (nefes) vivente» (Gen 2, 7). In ogni essere vivente c‘è «un alito dello spirito [= del soffro] di vita» (Gen 7,22), senza il quale morrebbe. Questo soffio gli è prestato per tutto il tempo della sua vita mortale: «Tu ritiri loro il soffio, ed essi spirano e ritornano alla loro polvere; tu mandi il tuo soffio, ed essi sono creati» (Sal 104, 29 s). L‘anima (psy-che), principio di vita, e lo spirito (pnèuma) che ne è la fonte, si distinguono così l‘una dall‘altro al centro dell‘essere umano, là dove soltanto la parola di Dio può avere accesso (Ebr 4,12). Trasferita nell‘ordine cristiano, la distinzione permette di parlare di «psichici senza spirito» (Giuda 19) o di vedere negli «psichici» dei fedeli che dallo stato «pneumatico», al quale li aveva portati il battesimo, sono ritornati allo stadio «terrestre» (1 Cor 2, 14; 15,44; Giac 3, 15).

2. L’anima e la sopravvivenza. - Conseguenza immediata: a differenza dello spirito, di cui non si dice mai che muoia, ma di cui si afferma che ritorna a Jahve (Giob 34, 14 s; Sal 31,6; Eccle 12, 7), l‘anima può morire (Num 23, 10; Giud 16,30; Ez 13,19), essere consegnata alla morte (Sal 78, 50), precisamente come le ossa (Ez 37, 1-14) o la carne (Sal 63, 2; 16, 9 s). Essa discende nello sheol per condurvi l‘esistenza misera delle ombre e dei morti, lontano dalla «terra dei viventi», di cui non sa più nulla (Giob 14, 21 s; Eccle 9, 5. 10), lontano anche da Dio che non può lodare (Sal 88,11 ss), perché i morti abitano nel silenzio (Sal 94,17; 115, 17). In breve, essa «non è più» (Giob 7,8.21; Sal 39,14). Tuttavia a quest‘anima, discesa nelle profondità dell‘abisso (Sal 30,4; 49,16; Prov 23,14), l‘onnipotenza di Dio concederà di risorgerne (2 Mac 7, 9. 14. 23) e di rianimare le ossa disperse: la fede ne è sicura. 3. L‘anima ed il corpo. - Se le anime vanno nello sheol, ciò non vuol dire che vi «vi. vano» senza corpo: la loro «esistenza» non è tale, precisamente perché non possono esprimersi senza il loro corpo. La dottrina della immortalità dell‘uomo non si identifica dunque con la concezione della spiritualità dell‘anima. E neppure sembra che il libro della Sapienza l‘abbia introdotta nel patrimonio della rivelazione biblica. L‘autore del libro, certamente intinto di ellenismo, si serve all‘occasione dei termini derivati dalla antropologia greca, ma la sua mentalità è sempre diversa. Senza dubbio «il corpo corruttibile pesa sull‘anima, e la sua dimora terrestre opprime lo spirito preso da mille pensieri» (Sap 9, 15), ma allora si tratta della intelligenza dell‘uomo, non dello spirito di vita; soprattutto non si tratta di disprezzare né la materia (cfr. 13,3) né il corpo: «Essendo buono, ero venuto in un corpo incorrotto» dice l‘autore (8, 19 s). Se esiste quindi una distinzione tra l‘anima e il corpo, essa non ha di mira una vera esistenza dell‘anima separata; come nelle apocalissi giudaiche di quest‘epoca, le anime vanno nell‘Ade (Sap 16, 14). Dio, che le ha in mano sua (3, 1; 4, 14), le può risuscitare perché ha creato l‘uomo incorruttibile (2,23). La Bibbia, che attribuisce all‘uomo intero ciò che più tardi sarà riservato all‘anima in seguito ad una distinzione tra l‘anima e il corpo, non dimostra tuttavia di credere meno nell‘immortalità. Le anime, che aspettano sotto l‘altare (Apoc 6, 9; 20, 4) la loro ri. compensa (Sap 2, 22), non esistono qui se non come un appello alla risurrezione, opera dello spirito di cita, non d‘una forza immanente. Nell‘anima Dio ha deposto un seme di eternità, che germoglierà a suo tempo (Giac 1, 21; 5, 20). L‘uomo nella sua totalità diventerà «anima vivente» e, come dice Paolo, «corpo spirituale»: risusciterà nella sua integrità (1 Cor 15,45; cfr. Gen 2, 7).

Autore: X. Leon Dufour
Fonte: Dizionario di Teologia Biblica