Scrutatio

Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Angoscia


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A differenza della paura, provocata da esseri di questo mondo, a differenza della preoccupazione, che denota una cura particolare o un impegno eccessivo a proposito di un lavoro ben preciso o di una missione attuale, l‘angoscia traduce una inquietudine che scaturisce dalle profondità dell‘io, un‘incertezza di fronte alla morte o all‘avvenire in genere. Nella Bibbia, per lo meno nella sua traduzione greca, questo sentimento compare nel corso dei racconti che comportano l‘uno o l‘altro dei seguenti termini. Gli assediati sono nell‘agonìa sull‘esito del combattimento (2 Mac 3, 14 ss; cfr. 15, 19; Lc 22, 44). Il cuore viene a mancare in un vicolo cieco, di fronte alla mancanza di una via d‘uscita (aporèo, aporìa: Os 13, 8; 2 Mac 8, 20; Sap 11, 5; Lc 21, 25). Il termine synècbomai comporta l‘idea di blocco, di sequestro (1 Sam 23, 8: 2 Sam 20, 3): si è afferrati, stretti, soffocati, dominati dal timore (Lc 8, 37) o dalla malattia (Mt 4, 24; Lc 4, 38); si è inoltre oppressi, immersi nell‘angoscia (stenochorìa: Deut 28, 53; 2 Cor 4, 8; 6, 4. 12 ...).

1.L’alleanza di Jahve con il suo popolo assicura la presenza del Signore delle promesse; ma questa dipende dalla fedeltà dell‘uomo nell‘osservare la legge, sicché una tale sicurezza è incessantemente minacciata dal pericolo di sbriciolarsi di fronte alla realtà. Giacobbe, giunto al guado di Jabboq si trova in un vicolo chiuso (eporeito: Gen 32, 8). Ha tuttavia dietro di sé le reiterate alleanze di Jahve con suo padre (22, 16 ss) e con lui stesso (28, 14). Ora, di fronte al fratello Esaù, sta per affrontare una situazione che lo angoscia. Lotta con l‘ angelo del Signore e, atterrato, ne ottiene la certezza che Dio è con lui (32,23-33). Elía, sdraiato sotto un ricino, è disperato: preferisce morire (1 Re 19, 3 s). Constatando (a torto) l‘apostasia generale del popolo, non ha forse ragione di giudicare la propria vita un fallimento? Ma, come più tardi Gesù al Getsemani, è confortato dall‘angelo del Signore e può continuare la sua strada, fino all‘incontro con Jahve che lo riporterà sulla retta via (19,5-18). L‘intero popolo è immerso nelle tenebre: non è forse nell‘angoscia (stenochorìa: Is 8, 22 s; aporia: 5, 30; 24, 19)? Geremia, dal canto suo è accasciato, gli vien meno il cuore di fronte alla carestia che affligge il popolo (aporìa: Ger 8, 18-21): si tratta in questo caso di colui che deve mantenere l‘alleanza. Ma quando si tratta solo di lui, la reazione è diversa: se, davanti alla persecuzione, arriva a maledire il giorno in cui è nato (15, 10; 20, 14), trova uno sfogo nel ricorso a colui che può vendicarlo e proteggerlo (11,20; 20,12). Con Giobbe (secondo il solo testo greco: synècbomai), passa attraverso l‘ossessione della salvezza individuale. «Colto da timore», piange (Giob 3, 24); «se ho paura di una cosa, questa mi capita, e ciò che io temo sopravviene» (3, 25); parla, trascinato dall‘amarezza del suo animo (10, 1; cfr. 7, 11). «Il timore del Signore [f] ha preso» (31, 23). Infine, senza gli stessi termini, il giusto grida la sua angoscia a Dio che può salvarlo da una situazione impossibile (thlìpsis) (Sai 22; 31; 35; 38; 57; 69; 88; 102...). In tutti questi casi, l‘individuo occupa un posto centrale, perché è braccato dalla morte; un‘ambiguità plana sulla sua angoscia, perché la causa di Dio è mescolata alla sua. Anche Mosè fa appello in un primo tempo alla morte (Num 11, 11-15 [E]); ma, in seguito, se è angosciato, lo è esclusivamente a causa del popolo che cede all‘apostasia. Domandando a Dio di radiarlo dal libro della vita insieme al popolo, è solidale con i fratelli peccatori pur mantenendosi certo dell‘amore vittorioso di Dio (Es 32, 31 s).

2. Se un’angoscia del genere può essere avvertita dal cuore di ogni uomo, il suo motivo varia con la venuta di Gesù. Questi ha preso su di sé non soltanto i tremori di fronte alla morte, ma la terribile coscienza dell‘ambiguità, dell‘incertezza. Nell‘orto degli Olivi, è stato colto da pena, da angoscia e spavento (Mc 14, 33 ss), ricapitolando nella sua persona l‘angoscia dei giusti di tutti i tempi (Sal 42,6.12; 43,5 ...), prorompendo in gemiti e versando lacrime, pregando colui che poteva salvarlo dalla morte (Ebr 5,7) e facendo infine lentamente coincidere la propria volontà con quella del Padre (Mc 14,36). L‘angelo è venuto, anche questa volta, a fortificare colui che lotta fino a sudare sangue e che «si erge» in seguito, vittorioso, pronto ad affrontare il proprio destino (Lc 22, 41-45). Scendendo nel profondo dell‘angoscia umana, Gesù diventa, «per tutti quelli che gli obbediscono, principio di salvezza eterna» (Ebr. 5, 9); crea un tempo nuovo, irreversibile. L‘atto al quale il credente fa riferimento per accertare la qualità del presente che sta vivendo ha certamente avuto luogo nel passato (7,27), ma egli emerge al di sopra del tempo e domina le fluttuazioni della storia (Apoc 1,5). In Gesù, l‘angoscia non viene soppressa, ma inquadrata, perché la speranza ormai è certezza, e la morte feconda.

3. Nel cuore del credente, l‘angoscia può venir sperimentata a due gradi di profondità e di ampiezza. Ecco Paolo di fronte alla propria morte: «Disperando di conservare la vita, (egli) impara così a non ripone la fiducia in (se stesso), ma in Dio che risuscita i morti» (2 Cor 1, 9; 5, 4). Sa infatti che «nulla può separar(lo) dall‘amore di Cristo, neppure la tribolazione né l‘angoscia» (Rom 8, 35-39). Questa è assorbita dalla radicale certezza che, in Cristo, la morte è vinta (1 Cot 15, 54 s). Anche la morte assume un significato, un valore redentore, quando è unità all‘agonia di Gesù: «La morte compie la sua opera in noi, la vita in voi» (2 Cor 4,12). Ma l‘angoscia può rinascere a un livello più profondo. Allora non riguarda semplicemente la morte di un uomo, né la sua salvezza personale, che egli sa acquisita dalla speranza (Rom 5,1-5; 8,24). Sorge di fronte alla libertà degli altri, di fronte alla salvezza degli altri. Questo è il grido di Paolo, quando desidera, come Mosè, che su di lui ricada l‘anatema per i suoi fratelli secondo la carne (Rom 9, 3); vuol soffrire, compatire (synpaschein) con Cristo (8, 17): il mondo infatti sta gemendo fino alla fine (8, 18-23); allora la speranza manifesta un‘altra delle sue dimensioni: non è soltanto certezza, ma anche attesa, costanza, grazie allo Spirito (8, 24 ss). Ecco dunque l‘apostolo, che l‘amore di Cristo incalza (synècho), proprio come Gesù era stato dominato (synèchomal) dalla prospettiva del proprio sacrificio (Le 12, 50); eccolo in balia delle strettezze e delle angosce (stenocborìa: 2 Cor 6, 4), senza tuttavia esserne schiacciato né privo di scampo (aporia: 4,8). L‘agonia di Cristo dura fino alla fine del mondo. Se dunque il cristiano può superare nella fede l‘angoscia che lo attanaglia a proposito della morte e della salvezza, può nello stesso tempo vivere un‘angoscia indescrivibile comunicando con la totalità dei membri del corpo di Cristo. Certezza e incertezza nel cuore del credente non si collocano sullo stesso piano e non riguardano lo stesso oggetto.

Autore: X. Leon Dufour
Fonte: Dizionario di Teologia Biblica