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Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Amore


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«Dio è amore» - «Amatevi gli uni gli altri». Prima di giungere a questo culmine della rivelazione del NT, l‘uomo deve purificare le concezioni puramente umane che si fa dell‘amore, per accogliere il mistero dell‘amore divino - che passa attraverso la croce. Di fatto la parola «amore» designa una quantità di realtà diverse, carnali o spirituali, passionali o meditate, gravi o leggere, esaltanti o distruttive. Si ama una cosa piacevole, un animale, un compagno di lavoro, un amico, dei congiunti, i propri figli, ed infine una donna. L‘uomo biblico conosce tutto questo. La Genesi (cfr. Gen 2, 23 s; 3,16; 12,10-19; 22; 24; 34), la storia di David (cfr. 1 Sam 18, 1 ss; 2 Sam 3,16; 12,15-25; 19,1-5), il Cantico dei Cantici sono, tra molti altri, i testimoni di ogni specie di sentimenti. Sovente vi si mescola il peccato, ma vi si trova pure rettitudine, profondità e sincerità sotto termini abitualmente sobri e discreti. Poco portato all‘astrazione intellettuale, Israele dà sovente alle parole un colorito affettivo: per esso, conoscere significa già amare; la sua fedeltà ai legami sociali e familiari (hesed) è tutta impregnata di slancio e di spontaneità generosa (cfr. Gen 24,29; Gios 2, 12 ss; Rut 3,10; Zac 7,9). «Amare» (ebr. ‘abab; gr. agapan) ha tante risonanze quante nelle nostre lingue. In breve, l‘uomo biblico conosce il valore dell‘affettività (cfr. Prov 15,17), pur non ignorandone i rischi (Prov 5; Eccli 9,1-9). Quando la nozione di amore pervade la sua psicologia religiosa, essa è tutta impregnata d‘un‘esperienza umana densa e concreta. Nello stesso tempo solleva numerose questioni. Dio, così grande, così puro, può abbassarsi ad amare l‘uomo piccolo e peccatore? E se Dio si degna di amare l‘uomo, come può l‘uomo rispondere a questo amore con un amore? Quale rapporto esiste tra l‘amore di Dio e l‘amore degli uomini? Tutte le religioni a loro modo si sforzano di rispondere a queste domande, cadendo ordinariamente in uno dei due eccessi opposti: per mantenere la distanza tra Dio e l‘uomo, relegare l‘amore divino in una sfera inaccessibile - o per rendere Dio presente all‘uomo, profanare l‘amore di Dio in un amore del tutto umano. A questa inquietudine religiosa dell‘uomo la Bibbia, dal canto suo, risponde con chiarezza. Dio ha preso l‘iniziativa di un dialogo d‘amore con gli uomini; in nome di questo amore li impegna ed insegna loro ad amarsi gli uni gli altri.

I. IL DIALOGO D’AMORE TRA DIO E L’UOMO - VT

Benché la parola «amore» non vi figuri, i racconti della creazione (Gen 1- 3) evocano l‘amore di Dio attraverso la bontà di cui Adamo ed Eva sono l‘oggetto. Dio vuole dare loro la vita in pienezza, ma questo dono suppone una libera adesione alla sua volontà: Dio inizia il dialogo d‘amore per la via indiretta del comandamento. Adamo ha voluto impadronirsi con la forza di ciò che gli era destinato come dono: ha peccato. Allora il mistero della bontà si approfondisce in misericordia nei confronti del peccatore mediante promesse di salvezza; progressivamente si ristabiliranno i legami d‘amore che uniscono Dio e l‘uomo. La storia del paradiso annuncia già tutta la storia sacra.

1. Amici e confidenti di Dio. - Chiamando Abramo, scelto tra i pagani (Gios 24,2 s), ? a diventare suo amico (Is 41, 8), Dio esprime il suo amore sotto la forma di una amicizia: Abramo diventa il confidente dei suoi segreti (Gen 18, 17). E ciò perché Abramo ha risposto alle esigenze dell‘amore ?divino: ha lasciato la sua patria dietro l‘appello di Dio (12,1); deve penetrare più a fondo nel mistero del timore di Dio che è amore, perché è chiamato a sacrificare il suo figlio unico, e con esso il suo amore umano: «Prendi il figlio tuo, quello che tu ami» (22, 2). Mosè non deve sacrificare il proprio figlio, ma tutto il suo popolo è chiamato in causa dal conflitto tra la santità divina e il peccato; egli è diviso tra Dio, di cui è l‘in. viato, e il popolo che rappresenta (Es 32, 9-13). Se resiste fedelmente, si è perché, dalla sua vocazione (3,4) fino alla morte, non ha cessato di progredire nell‘intimità di Dio, intrattenendosi con lui come con un suo prossimo (33, 11); ha avuto la rivelazione dell‘immensa tenerezza di Dio, di un amore che, senza sacrificare nulla della santità, è misericordia (34, 6 s).

2. La rivelazione profetica. - Confidenti anch‘essi di Dio (Am 3, 7), amati personalmente da un Dio la cui scelta li afferra (7,15) e talvolta li dilania (Ger 20, 7 ss), ma li riempie pure di gioia (20, 11 ss), i profeti sono i testimoni del dramma dell‘amore e dell‘ira di Jahve (Am 3, 2). Osea, poi Geremia ed Ezechiele, rivelano che Dio è lo sposo di Israele, che tuttavia è sempre infedele; questo amore appassionato e geloso (cfr. zelo) non è ricambiato se non con l‘ingratitudine e il tradimento. Ma l‘amore è più forte del peccato, quand‘anche debba soffrire (Os 11, 8); egli perdona e ricrea in Israele un cuore nuovo capace di amare (Os 2, 21 s; Ger 31, 3. 20. 22; Ez 16, 6063; 36,26s). Altre immagini, come quella del pastore (Ez 34) o della vigna (Is 5; Ez 17,6-10) esprimono lo stesso ardore divino e lo stesso dramma. Promulgato senza dubbio (2 Re 22) al momento in cui il popolo sembra preferire definitivamente all‘amore di Dio il culto degli idoli, il Deuteronomio ricorda instancabilmente che l‘amore di Dio per Israele è gratuito (Deut 7, 7 s) e che Israele deve «amare Dio con tutto il suo cuore» (6,5). Questo amore si esprime in atti di adorazione e di obbedienza (11,13; 19,9) che suppongono una scelta radicale, un distacco penoso (4,15-31; 30,15-20). Ma esso non è possibile se Dio in persona non viene a circoncidere il cuore di Israele ed a renderlo capace di amare (30, 6). 3. Verso un dialogo personale. - Dopo l‘esilio Israele, purificato dalla prova, scopre sempre di più che la vita con Dio è un dialogo d‘amore. Senza dubbio è così che rilegge il Cantico dei Cantici: con alterne vicende di possesso e di ricerca, lo sposo e la sposa si amano di un amore «forte come la morte» (Cent 8, 6). Dopo l‘esilio inoltre, ci si rende conto meglio che Dio si rivolge al cuore di ciascuno: non ama soltanto la collettività (Deut 4, 7), o i suoi capi (1 Sam 12, 24 s), ma ogni ebreo, soprattutto il giusto (Sal 37,25-29; 146, 8), il povero e il piccolo (Sal 113,5-9). E a poco a poco va anche delineandosi l‘idea che oltre all‘ebreo l‘amore di Jahve riguardi anche i pagani (Giona 4, 10 s), anzi ogni creatura (Sap 11, 23- 26). Avvicinandosi la venuta di Cristo, il giudeo pio (ebr. hasld: Sal 4,4; 132, 9.16) che medita la Bibbia prende coscienza di essere amato da un Dio, di cui canta la misericordia fedeltà all‘alleanza (Sal 136; Gioe 2,13), la bontà (Sal 34, 9; 100, 5), la grazia (Gen 6, 8; Is 30, 18), la tenerezza (Sal 86, 15; Sap 15, 1). In cambio egli ripete incessantemente il suo amore per Dio (Sal 31,24; 73, 25; 116, 1) e per tutto ciò che a lui si collega: il suo nome, la sua legge, la sua sapienza (Sal 34, 13; 119,127;ls56, 6; Eccli 1, 10; 4, 14). Questo amore sovente dev‘essere messo alla prova di fronte all‘esempio e alla pressione degli empi (Sal 10; 40,14-17; 73; Eccli 2,11- 17); e questo può giungere fino al martirio, come avvenne al tempo dei Maccabei (2 Mac 6 - 7) o più tardi a Rabbi Aqiba, che muore per la sua fede nel 135 d. C.: «Io l‘ho amato con tutto il mio cuore - dirà -, e con tutte le mie sostanze; non avevo ancora avuto l‘occasione di amarlo con tutto me stesso (cfr. anima). Il momento è giunto». Quando queste parole sublimi venivano pronunziate, la rivelazione completa era già stata data agli uomini da Gesù Cristo. L‘amore tra Dio e gli uomini si era rivelato nel VT attraverso una specie di fatti: iniziative divine e rifiuti dell‘uomo, sofferenza dell‘amore respinto, superamento doloroso per essere all‘altezza dell‘amore ed accertarne la grazia. Nel NT l‘amore divino si esprime in un fatto unico la cui stessa natura trasfigura i dati della situazione: Gesù viene a vivere come Uomo-Dio il dramma del dialogo d‘amore tra Dio e l‘uomo.

1. Il dono del Padre. - La venuta di Gesù è in primo luogo un atto del Padre. Secondo i profeti e le promesse del VT, «ricordandosi della sua misericordia» (Lc 1, 54 s; Ebr 1, 1 s), Dio si fa conoscere (Gv 1,18); manifesta il suo amore (Rom 8,39; 1 Gv 3, 1; 4, 9) in colui che non è soltanto il Messia salvatore atteso (Lc 2, 11), ma anche il suo proprio Figlio (Mc 1, 11; 9, 7; 12, 6), colui che egli ama (Gv 3, 35; 10,17; 15, 9; Col 1, 13). L‘amore del Padre si esprime allora in un modo insuperabile. Ecco realizzata la nuova alleanza, e concluse le nozze eterne dello sposo con l‘umanità. La generosità divina, manifestata fin dalle origini di Israele (Deut 7, 7 s), raggiunge il suo culmine, accogliendo il Figlio, l‘uomo non può che rinunciare a ogni orgoglio, a ogni fierezza fondata sul proprio merito: il dono d‘amore fatto da Dio è integralmente gratuito (Rom 5,6 s; Tit 3, 5; 1 Gv 4, 10-19). Questo dono è definitivo, al di là dell‘esistenza terrena di Gesù (Mt 28, 20; Gv 14, 18 s); è spinto all‘estremo, poiché acconsente alla morte del Figlio affinché il mondo abbia la vita (Rom 5,8; 8, 32) e noi siamo figli di Dio (1 Gv 3,1; Gal 4,4-7). Se «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unico» (Gv 3, 16), lo ha fatto affinché gli uomini abbiano la vita eterna; ma condannano se stessi coloro che rifiutano di credere in colui che è stato mandato e «preferiscono» le tenebre alla luce (3,19). L‘opzione è inevitabile: o l‘amore mediante la fede nel Figlio, o l‘ira per il rifiuto della fede (3, 36).

2. L’amore perfetto rivelato in Gesù. - Ormai il dramma dell‘amore non si svolge soltanto in occasione del contatto con Gesù, ma attraverso la sua persona. Con la sua stessa esistenza Gesù è rivelazione concreta dell‘amore, Gesù è l‘uomo che realizza il dialogo finale con Dio e ne porta la testimonianza dinanzi agli uomini. Gesù è Dio che viene a vivere in piena umanità il suo amore ed a farne sentire l‘appello ardente. Nella persona di Gesù l‘uomo ama Dio e ne è amato. a) La vita intera di Gesù testimonia questo duplice dialogo. Donato al Padre fin dall‘inizio (Lc 2,49; cfr. Ebr 10, 5 ss), vivendo nella preghiera e nel ringraziamento (cfr. Mc 1, 35; Mt 11, 25) e soprattutto nella perfetta conformità alla volontà divina (Gv 4,34; 6,38), egli è continuamente in ascolto di Dio (5, 30; 8, 26. 40), il che gli dà la sicurezza di essere da lui ascoltato (11, 41 s; cfr. 9, 31). Nei confronti degli uomini la sua vita è interamente donata, non soltanto a qualche amico (cfr. Mc 10,21; Le: 8, 1 ss; Gv 11, 3. 5. 36), ma a tutti (Mc 10,45); passa facendo il bene (Atti 10,38; Mt 11, 28 ss), nel disinteresse totale (Lc 9, 58) e nell‘attenzione per tutti, ivi compresi, ed in modo particolare, i più disprezzati e i più indegni (Lc 7, 36-50; 19, 1-10; Mt 21, 31 s); sceglie gratuitamente quelli che vuole (Mc 3,13) per farne i suoi amici (Gv 15, 15 s). Questo amore domanda la reciprocità, il comandamento del Deuteronomio rimane in vigore (Mt 22,37; cfr. Rom 8,28; 1 Cor 8,3; 1 Gv 5, 2), ma vi si obbedisce attraverso Gesù: amandolo, si ama il Padre (Mt 10,40; Gv 8,42; 14,21-24). Infine, amare Gesù significa custodire integralmente la sua parola (Gv 14, 15.21.23) e seguirlo rinunziando a tutto (Mc 10,17- 21; Lc 14, 25 ss). Perciò in tutto il vangelo si opera una divisione (Lc 2, 34) tra coloro che accettano e coloro che rifiutano questo amore, di fronte al quale non si può rimanere neutrali (Gv 6, 60-71; cfr. 3, 18 s; 8, 13-59; 12, 48). b) Sulla croce l‘amore rivela in modo decisivo la sua intensità ed il suo dramma. Bisognava che Gesù soffrisse (Lc 9,22; 17,25; 24,7.26; cfr. Ebr 2, 17 s), perché fossero pienamente rivelati la sua obbedienza al Padre (Fil 2, 8) ed il suo amore verso i suoi (Gv 13, 1). Perfettamente libero (cfr. Mt 26, 51-54; Gv 10, 18), attraverso la tentazione e l‘apparente silenzio di Dio (Mt 26,39-44; 27,46; cfr. Ebr 4,15)nella radicale solitudine umana (Me 14,5ó; 15, 29-32), tuttavia perdonando ed ancora accogliendo (Lc 23,28.34.43; Gv 19, 26 s), Gesù giunge all‘istante unico dell‘«amore più grande» (Gv 15, 13). In esso egli dona tutto a Dio senza riserva (Lc 23, 46) ed a tutti gli uomini senza eccezione (Mc 10, 45; 14, 24; 2 Cor 5,14 s; 1 Tim 2, 5 s). Per mezzo della croce Dio è pienamente glorificato (Gv 17, 4); «l‘uomo Gesù» (1 Tini 2, 5), e con lui l‘umanità intera, merita di essere amato da Dio senza riserva (Gv 10, 17; Fil 2, 9 ss). Dio e l‘uomo sono congiunti nella unità, secondo l‘ultima preghiera di Gesù (Gv 17). Tuttavia bisogna che l‘uomo accetti liberamente un amore così totale ed esigente, che deve portarlo a sacrificarsi sull‘esempio di Cristo (17, 19). Sulla sua strada egli trova lo scandalo della croce, che non è altro se non lo scandalo dell‘amore. Qui si manifesta pienamente il dono dello sposo alla sposa (Ef 5, 25 ss; Gal 2, 20), ma anche, per l‘uomo, la tentazione suprema dell‘infedeltà.

3. L’amore universale nello Spirito. - Se il Calvario è il luogo dell‘amore perfetto, il modo in cui esso la manifesta è una prova decisiva: di fatto, gli amici del Crocifisso l‘abbandonano (Mc 14,50; Lc 23,13-24); e ciò perché l‘adesione all‘amore divino non consiste nell‘incontro fisico né nel ragionamento umano, in breve nella «conoscenza secondo la carne» (2 Cor 5, 16); vi occorre il dono dello Spirito, che crea nell‘uomo un «cuore nuovo» (cfr. Ger 31, 33 s; Ez 36, 25 ss). Effuso nella Pentecoste (Atti 2,1-40) come Cristo aveva promesso (Gv 14, 16 ss; cfr. Lc 24, 49), da allora lo Spirito è presente nel mondo (Gv 14, 16) per mezzo della Chiesa (Ef 2,21 s), ed insegna agli uomini ciò che Gesù ha detto (Gv 14, 26), facendolo loro comprendere dal di dentro, con una vera conoscenza religiosa; testimoni o no della vita terrena di Gesù, gli uomini qui sono uguali, senza distinzione né di tempo, né di razza. Ogni uomo ha bisogno dello Spirito per poter dire «Padre» (Rom 8, 15) e glorificare Cristo (Gv 16,14). Così è effuso in noi un amore (Rom 5, 5) che ci incalza (2 Cor 5, 14), un amore da cui nulla può più separarci (Rom 8, 35-39) e che ci prepara all‘incontro di amore definitivo in cui «conosceremo come siamo conosciuti» (1 Cor 13, 12).

4. Dio è amore. - Il cristiano, in tal modo guidato dallo Spirito a vivere con il Signore in un dialogo d‘amore, si avvicina al mistero stesso di Dio. Perché questi non rivela di primo acchito ciò che è: parla, chiama, agisce, e l‘uomo accede per questa via a una conoscenza più profonda. Donando suo figlio, Dio rivela che egli è colui che si dona per amore (cfr. Rom 8,32). Vivendo con il Padre in un dialogo d‘amore assoluto, rivelando in tal modo che il Padre e lui sono «uno» da tutta l‘eternità (Gv 10, 30; cfr. 17, 11. 21 s) e che egli stesso è Dio (Gv 1, 1; cfr. 10, 33-38; Mt 11, 27), il Figlio unico «che è nel seno del Padre», ci fa conoscere il Dio che «nessuno ha mai visto» (Gv 1, 18). Questo Dio, sono lui e suo Padre nell‘unità dello Spirito. E il «discepolo diletto», colui che ha fatto l‘esperienza della carità e della. fede, può formulare quello che senza dubbio rappresenta l‘ultíma parola di ogni cosa: «Dio è amore» (1 Gv 4, 8. 16). Di tutte le parole umane, con le loro ricchezze e i loro limiti, è la parola «amore» quella che può lasciarci intravvedere meglio il mistero di Dio Trinità, il dono reciproco ed eterno del Padre, del Figlio e dello Spirito.

II. LA CARITA FRATERNA VT

Già nel VT il comandamento dell‘amore di Dio è completato dal «secondo comandamento»: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Lev 19,18). A dire il vero, questo comandamento è presentato in modo meno solenne dell‘altro (cfr. Lev 19,1-37 e Deut 6,4-13), ed il termine prossimo vi ha senza dubbio un senso molto ristretto. Ma già l‘israelita è invitato a prestare attenzione agli «altri». Fin nei testi più antichi costituisce un‘offesa a Dio l‘essere indifferente od ostile al proprio prossimo (Geo 3,12; 4, 9), e la legge unisce alle esigenze che concernono le relazioni con Dio quelle che toccano le relazioni tra gli uomini: così il decalogo (Es 20,12-17), od il «Codice dell‘alleanza» che abbonda di prescrizioni di attenzione verso i poveri ed i piccoli (Es 22, 20-26; 23, 4-12). Tutta la tradizione profetica (Am 1-2; Is 1, 1417; Ger 9, 2-5; Ez 18, 5-9; Mal 3, 5) e tutta la tradizione sapienziale (Prov 14, 21; 1, 8-19; Eccli 25, 1; Sap 2, 10 ss) hanno lo stesso indirizzo: non si può piacere a Dio senza rispettare gli altri uomini, soprattutto i più abbandonati, i meno «interessanti». Non si è mai creduto di poter amare Dio senza interessarsi agli uomini: «Egli praticava la giustizia e il diritto... giudicava la causa del povero e del disgraziato. Conoscermi, non è forse tutto questo?» (Ger 22, 15 s). L‘oracolo concerne Giosia, ma tocca tutto Israele (cfr. Ger 9, 4). Non è detto spesso che questo dovere sia chiamato esplicitamente «amore» (Lev 19, 18. 34; Deut 10, 19). Tuttavia, già in occasione dell‘amore per lo straniero, il comandamento è fondato sul dovere di agire come Jahve al tempo dell‘esodo: «Jahve ama lo straniero al quale dà pane e vestiti. Amate lo straniero, perché nel paese d‘Egitto foste stranieri» (Deut 10, 18 s). Il motivo non è una semplice solidarietà naturale, ma la storia della salvezza. Prima della venuta di Cristo il giudaismo approfondisce la natura dell‘amore fraterno. Nell‘amore del prossimo si include l‘avversario giudeo, persino il nemico pagano; l‘amore diventa più universale, quantunque Israele conservi il suo posto centrale. «Ama la pace - dice Hillel -. Aspira alla pace. Ama le creature, conducile alla legge». Si scopre che amare significa prolungare l‘azione divina: «Come il Santo - sia egli benedetto! - riveste coloro che sono nudi, consola gli afflitti, seppellisce i morti, così anche tu rivesti coloro che sono nudi, visita gli ammalati, ecc.». Era quindi facile stabilire il legame tra i due comandamenti d‘amore per Dio e per il prossimo; è quel che fece un giorno uno scriba rivolgendosi a Gesù (Lc 10, 26 s). NT Se la concezione giudaica poteva lasciar credere che l‘amore fraterno si giustapponga su un piano di eguaglianza con altri comandamenti, la visione cristiana gli dà il posto centrale, anzi unico.

1. I due amori. - Da un capo all‘altro del NT l‘amore del prossimo appare indissociabile dall‘amore di Dio: i due comandamenti sono il vertice e la chiave della legge (Mc 12,28-33 par.) la carità fraterna è la realizzazione di ogni esistenza morale (Gal 5,14; 6, 2; Rom 13, 8 s; Col 3,14), è in definitiva l‘unico comandamento (Gv 15, 12; 2 Gv 5), l‘opera unica e multiforme di ogni fede viva (Gal 5, 6. 22): Chi non ama il fratello che vede, non può amare quel Dio che non vede... amiamo i figli di Dio quando amiamo Dio» (1 Gv 4, 20 s). Non si potrebbe affermare meglio che, in sostanza, non c‘è che un solo amore. L‘amore del prossimo è quindi essenzialmente religioso; non è una semplice filantropia. Anzitutto è religioso per il suo modello: imitare l‘amore stesso di Dio (Mt 5,44 s; Ef 5, 1 s. 25; 1 Gv 4, 11 s). Poi, e soprattutto, per la sua sorgente, perché è l‘opera di Dio in noi: come potremmo essere misericordiosi come il Padre celeste (Lc 6, 36), se il Signore non ce lo insegnasse (1 Tess 4, 9), se lo Spirito non lo effondesse nei nostri cuori (Rom 5,5; 15, 30)? Questo amore viene da Dio ed esiste in noi per il fatto stesso che Dio ci prende come figli (1 Gv 4,7). E, venuto da Dio, esso ritorna a lui: amando i nostri fra telli, amiamo il Signore stesso (Mt 25,40), perché tutti assieme forniamo il corpo di Cristo (Rom 12, 5-10; 1 Cor 12, 12-17). Questo è il modo in cui possiamo rispondere all‘amore con cui Dio ci ha amati per primo (1 Gv 3, 16; 4, 19 s). In attesa della parusia del Signore, la carità è l‘esigenza essenziale, in base alla quale gli uomini saranno giudicati (Mt 25, 31-46). Questo è il testamento lasciato da Gesù: «Amatevi gli imi gli altri, come io vi ho amati, (Gv 13, 34 s). L‘atto d‘amore di Cristo continua ad esprimersi attraverso gli atti dei discepoli. Questo comandamento, benché antico perché legato alle sorgenti stesse della rivelazione (1 Gv 2, 7 s), è nuovo: di fatto Gesù ha inaugurato una nuova era mediante il suo sacrificio, fondando la nuova comunità annunziata dai profeti, donando ad ognuno lo Spirito che crea dei cuori nuovi. Se dunque i due comandamenti sono uniti, si è perché l‘amore di Cristo continua ad esprimersi attraverso la carità che i discepoli manifestano tra loro.

2. L’amore è dono. - La carità cristiana, soprattutto dai sinottici e da Paolo, è vista ad immagine di Dio che dona gratuitamente il Figlio suo per la salvezza di tutti gli uomini peccatori, senza merito alcuno da .parte loro (Mc 10, 45; Rom 5, 6 ss). Essa è quindi universale, e non lascia sussistere nessuna barriera sociale o razziale (Gal 3, 28), non disprezza nessuno (Lc 14, 13; 7, 39); più ancora, esige l‘amore dei nemici (Mt 5,43-47; Le 10, 29- 37). L‘amore non può scoraggiarsi: ha come espressione il perdono senza limiti (Mt 18, 21 s; 6, 12. 14 s), il gesto spontaneo verso l‘avversario (Mt 5, 23 s), la pazienza, il rendere bene per male (Rom 12, 14-21; Ef 4, 25 - 5, 2). Nel matrimonio esso si esprime sotto forma di dono totale, ad immagine del sacrificio di Cristo (Ef 5,25-32). Per tutti infine è una mutua schiavitù (Gal 5,13), in cui l‘uomo rinunzia a se stesso con il Cristo crocifisso (Fil 2, 1-11). Nel suo «inno alla carità» (1 Cor 13), Paolo manifesta la natura e la grandezza dell‘amore. Senza trascurare affatto le sue esigenze quotidiane (13, 4 ss), egli afferma che, senza la carità, nulla ha valore (13,1 ss), che solo essa sopravvivrà a tutto: amando come Cristo, noi viviamo già una realtà divina ed eterna (13, 8- 13), per mezzo della quale la Chiesa è edificata (1 Cor 8, l; Ef 4, 16) e l‘uomo diventa perfetto per il giorno del Signore (Fil 1, 9 ss).

3. L’amore è comunione. - Certamente anche Giovanni parla della universalità e della gratuità dell‘amore divino (Gv 3, 16; 15, 16; 1 Gv 4, 10), ma, più sensibile alla comunione del Padre e del Figlio nello Spirito, ne sottolinea le conseguenze per l‘amore dei cristiani tra loro. La loro fraternità deve essere una comunione totale, in cui ognuno si impegna con tutta la sua capacità d‘amore e di fede, di fronte al mondo in cui non può amare il regno del «maligno» (1 Gv 2, 14 s; cfr. Gv 17, 9), il cristiano amerà i suoi fratelli con un amore esigente e concreto (1 Gv 3, 11-18), in cui vige la legge della rinuncia e della morte, senza la quale non c‘è vera fecondità (Gv 12,24 s). Mediante questa carità il credente rimane in comunione con Dio (1 Gv 4, 7 - 5, 4). (Questa era l‘ultima preghiera di Gesù: «che l‘amore, con cui mi hai amato, sia in essi ed io in essi» (Gv 17, 26). Vissuto dai discepoli in mezzo al mondo al quale non appartengono (17, 11. 15 s), questo amore fraterno è la testimonianza attraverso la quale il mondo può riconoscere Gesù come l‘inviato del Padre (17,21): «Da questo tutti vi riconosceranno come miei discepoli: dall‘amore che avete gli uni per gli altri» (13, 35).

Autore: C. Wiener
Fonte: Dizionario di Teologia Biblica