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Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Alleanza


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Dio vuole condurre gli uomini ad una vita di comunione con lui. Questa è l‘idea, fondamentale per la dottrina della salvezza, che il tema dell‘alleanza esprime. Nel VT esso domina tutto il pensiero religioso, ma vediamo che si approfondisce con il tempo. Nel NT acquista una pienezza senza pari, perché ormai ha come contenuto tutto il mistero di Gesù Cristo. VT Prima di riguardare i rapporti degli uomini con Dio, l‘alleanza (berit) appartiene all‘esperienza sociale e giuridica degli uomini, Questi si legano fra loro con patti e contratti che implicano diritti e doveri il più delle volte reciproci. Accordi tra gruppi o individui uguali che vogliono aiutarsi reciprocamente: sono le alleanze di pace (Gen 14, 13. 21 ss; 21, 22 ss; 26,28; 31, 44 ss;1 Re 5, 26; 15,19), le alleanze di fratelli (Am 1, 9), i patti di amicizia (1 Sam 23,18), e lo stesso matrimonio (Mal 2,14). Trattati disuguali in cui il potente promette la sua protezione al debole, mentre questi s‘impegna a servirlo: l‘Oriente antico praticava correntemente questi patti-di vassallaggio e la storia biblica ne offre parecchi esempi (Gios 9, 11-15; 1 Sam 11, 1; 2 Sam 3, 12 ss). In questi casi l‘inferiore può sollecitare l‘alleanza; ma il potente l‘accorda secondo il suo beneplacito e detta le sue condizioni (cfr. Ez 17, 13 s). La conclusione del patto avviene secondo un rituale consacrato dall‘uso. Le parti si impegnano con giuramento. Si tagliano degli animali in due parti e si passa tra di esse pronunziando imprecazioni contro gli eventuali trasgressori (cfr. Ger 34, 18). Infine si stabilisce un memoriale: si pianta un albero o si drizza una pietra, che saranno oramai i testimoni del patto (Gen 21, 33; 31,48 ss). Questa è l‘esperienza fondamentale, in base alla quale Israele si è raffigurato i suoi rapporti con Dio.

I. L’ALLEANZA DEL SINAI

Il tema dell‘alleanza non si è introdotto nel VT in epoca tarda: sta al punto di partenza di tutto il pensiero religioso differenziandolo da tutte le religioni vicine orientate verso le divinità della natura. Al Sinai il popolo liberato è entrato in alleanza con Jahve, ed in questo modo il culto di Jahve è diventato la sua religione nazionale. L‘alleanza in questione non è evidentemente un patto tra eguali; è analoga ai trattati di vasstallaggio Jahve decide con libertà sovrana accordare la sua alleanza ad Israele e detta le sue condizioni. Tuttavia il paragone non dev‘essere spinto troppo avanti, perché l‘alleanza sinaitica, per il fatto di chiamare in causa Dio, appartiene ad un ordine porticolare: rivela a priori un aspetto essenziale del disegno di salvezza. -

1. L’alleanza nel disegno di Dio. - Fm dalla visione del cespuglio ardente Jahve ha rivelato simultaneamente a Mosè il suo nome ed il suo disegno riguardo ad Israele: vuole liberare Israele dall‘Egitto per stabilirlo nella terra di Canaan (Es 3, 7-10. 16 s), perché Israele è «il suo popolo» (3, 10) ed egli vuole dargli la terra promessa ai suoi padri (cfr. Gen 12,7; 13,15). Ciò suppone già che, da parte di Dio, Israele sia oggetto di ,elezione e depositario di una promessa. In seguito l‘esodo viene a confermare la rivelazione dell‘Horeb: liberando effettivamente il suo popolo, Dio dimostra di essere il padrone e di essere capace d‘imporre la sua volontà; il popolo liberato risponde quindi all‘evento con la fede (Es 14,31). Acquisito questo punto, Dio può ora rivelare il suo disegno di alleanza: «Se ascolterete la mia voce ed osserverete la mia alleanza, sarete il mio popolo privilegiato tra tutti i popoli. Poiché tutta la terra mi appartiene, ma voi sarete per me un regno di sacerdoti ed una nazione consacrata» (Es 19, 5 s). Queste parole sottolineano la gratuità della elezione divina: Dio ha scelto Israele senza meriti da parte sua (Deut 9, 4 ss), perché l‘ama e voleva mantenere il giuramento fatto ai suoi padri (Deut 7,6 ss). Avendolo separato dalle nazioni pagane, lo riserva a sé in modo esclusivo: Israele sarà il suo popolo, che lo servirà mediante il suo culto e diventerà il suo regno. In cambio Jahve gli assicura aiuto e protezione: non l‘ha forse già, al momento dell‘esodo, «portato su ali di aquila e condotto verso di sé» (Es 19,4)? Ed ora, dinanzi al futuro, gli rinnova le sue promesse: l‘angelo di Jahve camminerà dinanzi a lui per facilitargli la conquista della terra promessa; qui Dio lo colmerà delle sue benedizioni e gli assicurerà la vita e la pace (Es 23,20-31). Momento capitale nel disegno di Dio, l‘alleanza ne determina in tal modo tutto lo svolgimento futuro, i cui particolari però non sono totalmente rivelati fin dall‘inizio.

2. Le clausole dell’alleanza. - Accordando la sua alleanza ad Israele e facendogli delle promesse, Dio gli impone pure delle condizioni da osservare fedelmente. I racconti che s‘intrecciano nel Pentateuco forniscono parecchie formulazioni di queste clausole, che compongono il patto e costituiscono la legge. La. prima concerne il culto del solo Jahve e la proscrizione dell‘idolatria (Es 20,3 ss; Deut 5, 7 ss). Ne deriva immediatamente il rifiuto di ogni compromesso ò di ogni alleanza con le nazioni pagane (cfr. Es 23, 24; 34,12-16). Ma ne consegue pure che Israele dovrà accettare tutte le volontà divine, che circonderanno tutta la sua esistenza sia polifica che religiosa con una fitta rete di prescrizioni: «Mosè espose tutto ciò che Jahve gli aveva prescritto. Allora tutto il popolo rispose: ?Tutto ciò che Jahve ha detto, noi lo osserveremo?» (Es 19, 7 s). Impegno solenne, il cui rispetto condizionerà per sempre il destino storico di Israele. Il popolo di Jahve è ad un ivio. Se obbedisce, ha l‘assicurazione delle benedizioni divine se rinnega la sua parola, si vota da solo alle maledizioni (cfr. Es 23,20-33; Deut 28; Lev 26).

3. La conclusione dell’alleanza. - Il complesso racconto dell‘Esodo trasmette due diversi rituali della conclusione dell‘alleanza. Nel primo, Mosè, Aronne e gli anziani di Israele prendono un pasto sacro in presenza di Jahve, che contemplano (Es 24, 1 s. 9 ss). Il secondo sembra riprodurre una tradizione liturgica conservata nei. santuari nel Nord. Mosè innalza dodici stele perle, dodici tribù ed un altare per il sacrificio Offre sacrifici, versa una parte del sangue` sull‘altare e ne asperge il popolo, per connotare l‘unione che si stringe tra Jahve e Israele. Allora il popolo si impegna solennemente ad osservare le clausole dell‘alleanza (Es 24, 3- 8). Il sangue dell‘alleanza ha una parte essenziale in questo rituale. Concluso il patto, diversi oggetti ne per-petueranno il ricordo, attestando nei secoli l‘impegno iniziale di Israele. L‘arca della alleanza è una cassetta nella quale sono deposte le «tavole della testimonianza» (cioè, della legge); essa è il memoriale dell‘alleanza e il segno della presenza di Dio in Israele (Es 25,10-22; Num 10, 33-36). La tenda in cui essa è posta, abbozzo del tempio fu-turo, è il luogo d‘incontro tra Jahve e il suo popolo (Es 33,7-11). Arca dell‘alleanza e tenda del convegno segnano il luogo di culto centrale, dove la confederazione delle tribù porta a Jahve l‘omaggio ufficiale del popolo che si è scelto, senza pregiudizio degli altri luoghi di culto. Con ciò viene connotato il legame perpetuo del culto israelitico con l‘atto iniziale che ha fondato la nazione: l‘alleanza del Sinai. Appunto questo legame dà ai rituali israelitici il loro senso particolare, nonostante gli elementi estranei che vi si possono notare, così come la legge intera non ha senso se non in funzione della alleanza di cui enuncia le clausole.

4. Senso e limiti dell’alleanza sinaitica. - La alleanza sinaitica ha rivelato in modo definitivo un aspetto essenziale del disegno di salvezza: Dio vuole unire a sé gli uomini, facendone una comunità cultuale votata al suo servizio, governata dalla sua legge, depositaria delle sue promesse. Il NT realizzerà appieno questo progetto divino. Sul Sinai ha inizio la realizzazione, che però rimane, sotto più aspetti, ambigua ed imperfetta. Benché l‘alleanza sia un libero dono di Dio ad Israele (in altre parole: una grazia), la sua forma contrattuale sembra legare il disegno di salvezza al destino storico di Israele e corre il rischio di far apparire la salvezza come la mercede di una fedeltà umana. Inoltre la sua limitazione ad una sola nazione non s‘accorda bene con l‘universalismo del disegno di Dio, affermato così nettamente altrove. Infine, la posta temporale delle promesse divine (la felicità terrena di Israele) corre pure il rischio di mascherare l‘obiettivo religioso dell‘alleanza: la costituzione del regno di Dio in Israele e, per mezzo di Israele, su tutta la terra. Nonostante questi limiti, l‘alleanza sinaitica determinerà tutta la vita futura di Israele e lo sviluppo ulteriore della rivelazione.

II. L’ALLEANZA NELLA VITA

1. I rinnovamenti dell’alleanza. - Sarebbe imprudente affermare che l‘alleanza venisse rinnovata annualmente nel culto israelitico. Tuttavia il Deuteronomio conserva frammenti di una liturgia che suppone un rinnovamento di tal genere, con l‘enunciazione delle maledizioni rituali (Deut 27,2-26) e la lettura solenne della legge (Deut 31,943. 2427; 32, 45 sa); ma quest‘ultimo punto è previsto soltanto ogni sette anni (31, 10) e la sua pratica nell‘epoca antica non si può controllare. È più facile constatare un rinnovamento effettivo dell‘alleanza in talune svolte cruciali della storia. Giosuè la rinnova a Sichem ed il popolo riprende il suo impegno verso Jahve (Gios 8,30-35; 24, 1-28). II patto di David con gli anziani di Israele (2 Sam 5, 3) è seguito da una promessa divina: Jahve accorda la sua alleanza a David ed alla sua dinastia (Sal 89,4s. 20-38; cfr. 2 Sam 7, 8-16; 23, 5), ma a con dizione che l‘alleanza del Sinai sia fedelmente osservata (Sal 89, 31 ss; 132, 12; cfr. 2 Sam 7, 14). La preghiera e la benedizione di Salomone in occasione della inaugurazione-del tempio si ricollegano ad un tempo a questa alleanza davidica ed a quella del Sinai, di cui il tempio conserva il memoriale (1 Re 8, 1429. 52-61). Identiche rinnovazioni sotto Joas (2 Re 11, 17), e soprattutto sotto Giosia, che segue il rituale deuteronomico (2 Re 23, 1 ss; cfr. Es 24, 3-8). La lettura solenne della legge da parte di Esdra presenta un contesto del tutto simile (Neem 8). Così il pensiero dell‘alleanza rimane l‘idea direttiva che serve di base a tutte le riforme religiose.

2. La riflessione profetica. - Il messaggio dei profeti vi fa riferimento costante. Se denunciano unanimemente ?infedeltà di Israele verso il suo Dio, se annunciano le catastrofi che minacciano il popolo peccatore, lo fanno in funzione del patto del Sinai, delle sue esigenze e delle maledizioni di cui era corredato. Ma per conservare viva la dottrina dell‘alleanza nello spirito dei loro contemporanei, i profeti vi fanno apparire aspetti nuovi, che la tradizione antica conteneva soltanto allo stato virtuale. Originariamente la alleanza si presentava soprattutto sotto un aspetto giuridico: un patto tra Jahve e il suo popolo. I profeti vi aggiungono delle note affettive, cercando nell‘esperienza umana altre analogie per spiegare i mutui rapporti tra Dio ed il suo popolo. Israele è il gregge e Jahve il pastore. Israele è la vigna e Jahve il vignaiolo. Israele è il figlio e Jahve il padre. Israele è la sposa e Jahve lo sposo. Queste immagini, soprattutto l‘ultima, fanno apparire l‘alleanza sinaitica come un rapporto di amore (cfr. Ez 16, 6-14): amore preveniente e gratuito di Dio, che domanda in cambio un amore che si tradurrà in obbedienza. La spiritualità deuteronomica raccoglie il frutto di questo approfondimento: se ricorda continuamente le esigenze, le promesse e le minacce dell‘alleanza, lo fa per meglio sottolineare l‘amore di Dio (Deut 4, 37; 7, 8; 10, 15) che aspetta l‘amore di Israele (Deut 6, 5; 10, 12 s; 11,1). Questo è lo sfondo su cui spicca oramai la formula fondamentale dell‘alleanza: «Voi siete il mio popolo ed io sono il vostro Dio». Naturalmente, anche qui, l‘amore di Israele per Dio deve tradursi in obbedienza. Sotto questo rapporto, il popolo è tenuto a una decisione, che equivarrà per lui a una scelta tra la vita e la morte (Deut 30, 15 ...). È un‘altra conseguenza dell‘alleanza nella quale è entrato.

3. Le sintesi di storia sacra. - Parallelamente alla predicazione dei profeti, la riflessione degli storici sacri sul passato di Israele ha come punto di partenza la dottrina della alleanza. Già il jahvista collegava l‘alleanza del Sinai con l‘alleanza più antica conclusa da Abramo, cornice delle prime promesse (Gen 15). Gli scribi deuteronomisti, raccontando la storia passata, dal tempo di Mosè fino alla rovina di Gerusalemme (da Gios a 2 Re), non hanno altro scopo se non quello di far risaltare nei fatti l‘applicazione del patto sinaitico: Jahve ha mantenuto le sue promesse; ma l‘infedeltà del suo popolo lo ha obbligato ad infliggergli pure i castighi previsti. Questo è il senso della duplice rovina di Samaria (2 Re 17, 7-23) e di Gerusalemme (2 Re 23, 26 s). Allorché, durante la cattività, lo storico sacerdotale delinea il disegno di Dio dalla creazione fino all‘epoca mosaica, l‘alleanza divina gli serve da filo conduttore: dopo il primo fallimento del disegno creativo e la catastrofe del diluvio, l‘alleanza di Noè assume un‘ampiezza universale (Gen 9,1-17); dopo il secondo fallimento e la dispersione di Babele, l‘alleanza di Abramo restringe il disegno di Dio alla sola discendenza del patriarca (Gen 17, 1-14); dopo la prova dell‘Egitto l‘alleanza sinaitica prepara il futuro fondando il popolo di Dio. In tal modo Israele comprende il senso della sua storia riferendosi al patto del Sinai.

III. VERSO LA NUOVA ALLEANZA

1. La rottura dell’antica alleanza. - I profeti non hanno soltanto approfondito la dottrina dell‘alleanza, sottolineando ciò che il patto sinaitico implicava. Rivolgendo gli occhi verso il futuro, hanno presentato nel suo insieme il dramma del popolo di Dio che si intreccia attorno ad esso. A motivo della infedeltà di Israele (Ger 22, 9), il patto antico è rotto (Ger 31, 32), come un matrimonio che si disfa a motivo degli adulteri della sposa (Os 2,4; Ez 16,15-43). Dio non ha preso l‘iniziativa di questa rottura, ma ne trae le conseguenze: Israele subirà nella sua storia il giusto castigo della sua infedeltà; questo. sarà il senso delle sue prove nazionali: rovina di Gerusalemme, esilio, dispersione.

2. Promessa della nuova alleanza. - Nonostante tutto ciò, II disegno dell‘alleanza rivelato da Dio sussiste immutato (Ger 31, 35 ss; 33,20-26). Ci sarà dunque, alla fine dei tempi, una nuova alleanza. Osea la evoca sotto i tratti del nuovo fidanzamento, che implicherà nella sposa amore, giustizia, fedeltà, conoscenza di Dio, e che ristabilirà la pace tra l‘uomo e tutta la creazione (Os 2, 20-24). Geremia precisa che allora i cuori degli uomini saranno mutati, perché la legge di Dio sarà scritta in essi (Ger 31, 33 s; 32, 37-41). Ezechiele annunzia la conclusione di un‘alleanza eterna, d‘un‘alleanza di pace (Ez 36,26), che rinnoverà quella del Sinai (Ez 16,60) e quella di David (34,23 s), e che implicherà il mutamento dei cuori ed il dono dello Spirito divino (36,26 s). In tal modo si realizzerà il programma abbozzato un tempo: «Voi sarete il mio popolo ed io sarò il vostro Dio» (Ger 31, 33; 32, 38; Ez 36, 28; 37, 27). Nel messaggio di consolazione questa alleanza escatologica riprende i tratti delle nozze di Jahve e della nuova Gerusalemme (la 54): alleanza indistruttibile come quella che fu giurata a Noè (54, 9 s), alleanza costituita dalle grazie promesse a David (55, 3). Essa ha come artefice il misterioso servo che Jahve stabilisce «alleanza del popolo e luce delle nazioni» (42, 6; 49, 6 ss). Così la visione si allarga in modo magnifico. Il disegno d‘alleanza che domina tutta la storia umana troverà II suo punto culminante al termine del tempo. Rivelato in modo imperfetto nell‘alleanza patriarcale, mosaica, davidica, esso si realizzerà alla fine in una forma perfetta, nello stesso tempo interiore e universale, per la mediazione del servo di Jahve. Certamente la storia di Israele continuerà il suo corso. In considerazione del patto del Sinai le istituzioni giudaiche porteranno il nome di alleanza santa (Dan 11, 28 ss). Ma questa storia sarà rivolta di fatto verso il futuro, verso la nuova alleanza, verso il Nuovo Testamento. Servendosi del termine diatbèke per tradurre l‘ebraico berit, i Settanta facevano una scelta significativa, che doveva avere una notevole influenza sul vocabolario cristiano. Nel linguaggio del diritto ellenistico, questa parola designava l‘atto con cui uno dispone dei propri beni (testamento) oppure dichiara le disposizioni che intende imporre. L‘accento non poggia tanto sulla natura della convenzione giuridica, quanto sull‘autorità di colui che, con essa, fissa il corso delle cose. Ricorrendo a questo vocabolo i traduttori greci sottolineano ad un tempo la trascendenza divina e la condiscendenza che sta all‘origine del popolo di Israele e della sua legge.

I. CONCLUSIONE DELLA NUOVA ALLEANZA AD OPERA DI GESÙ

La parola diatbèke figura nei quattro racconti dell‘ultima cena, in un contesto di importanza unica. Dopo aver preso il pane ed averlo distribuito dicendo: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo», Gesù prende il calice di vino, lo benedice e lo fa circolare. La formula più breve è conservata da Marco: «Questo è il mio sangue, il sangue dell‘alleanza, che sarà sparso per una moltitudine» (Mc 14,24); Matteo aggiunge: «per la remissione dei peccati» (Mi 26,28). Luca e Paolo hanno: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue» (Lc 22, 20;1 Cor 11, 25), ed il solo Luca: «che sarà sparso per voi». La distribuzione del calice è un gesto rituale. Le parole pronunciate lo ricollegano all‘atto che Gesù sta per compiere: la sua morte accettata liberamente per la redenzione della moltitudine. Da quest‘ultimo particolare si vede che Gesù si considera come il servo sofferente (Is 53, 11 s) ed intende la sua morte come un sacrificio espiatorio (cfr. 53, 10). Con ciò egli diventa il mediatore di alleanza che il messaggio di consolazione lasciava intravvedere (Is 42, 6). Ma il «sangue della alleanza» ricorda pure che l‘alleanza del Sinai era stata conclusa nel sangue (Es 24, 8): ai sacrifici di animali si sostituisce un sacrificio nuovo, il cui sangue realizza efficacemente un‘unione definitiva tra Dio e gli uomini. Si compie così la promessa della «nuova alleanza» enunciata da Geremia e da Ezechiele: in virtù del sangue di Gesù i cuori umani saranno quindi mutati e sarà dato lo Spirito di Dio. La morte di Cristo, che è nello stesso tempo sacrificio di Pasqua, sacrificio d‘alleanza e sacrificio espiatorio, porterà a compimento le figure del VT, che la delineavano in modi diversi. E poiché quest‘atto sarà ormai reso presente in un gesto rituale che Gesù ordina di «ripetere in sua memoria» (1 Cor 11, 25), mediante la partecipazione eucaristica realizzata con fede i fedeli saranno uniti nel modo più intimo al mistero della nuova alleanza e beneficeranno delle sue grazie.

II. RIFLESSIONE CRISTIANA SULLA NUOVA ALLEANZA

1. San Paolo. - Collocato da Gesù stesso al centro del culto cristiano, il tema dell‘alleanza sta sullo sfondo di tutto il NT, anche quando non è esplicitamente notato. Nella sua argomentazione contro i giudaizzanti, che ritengono necessaria l‘osservanza della legge data nell‘alleanza significa, Paolo dice che, ancor prima che venisse la legge, un‘altra disposizione (diatbèke) divina era stata enunciata nella debita forma: la promessa fatta ad Abramo. La legge non ha potuto annuIIàre qúestà disposizione. Ora Cristo è il compimento della promessa (Gal 3, 15-18). Con la fede in lui si ottiene quindi la salvezza, non con l‘osservanza della legge. Questa visione delle cose sottolinea un fatto: l‘alleanza antica si inseriva essa stessa in una economia gratuita, una economia di promessa, che Dio aveva liberamente istituita. II NT è il punto d‘arrivo di tale economia. Paolo non contesta che la «disposizione» fondata al Sinai venisse da Dio: le «alleanze» rinnovate erano uno dei privilegia Israele (Rom 9, 4), cui le nazioni fino allora erano estranee (Ef 2,12). Ma quando si pone questa disposizione in parallelo con quella che Dio ha rivelato in Cristo, si vede la superiorità della nuova alleanza sull‘antica (Gal 4, 24 ss; 2 Cor 3, 6 ss). Nella nuova alleanza i peccati sono tolti (Rom 11, 27); Dio abita in mezzo agli uomini (2 Cor 6, 16); muta il cuore degli uomini e pone in essi il suo Spirito (Rom 5,5; cfr. 8,4-16). Non più quindi l‘alleanza della lettera, ma quella dello spirito (2 Cor 3, 6), porta con sé la libertà dei figli di Dio (Gal 4,24). Essa riguarda sia le nazioni che il popolo di Israele, perché il sangue di Cristo ha ristabilito la unità del genere umano (Ef 2, 12 ss). Riprendendo le prospettive delle promesse profetiche, che vede compiute in Cristo, Paolo elabora così un quadro generale della storia umana, di cui il tema dell‘alleanza costituisce il filo conduttore.

2. La lettera agli Ebrei, in una prospettiva un po‘ diversa, compie una sintesi parallela degli stessi elementi. Per mezzo della croce. Cristosacerdote è entrato nel santuario del cielo, dove sta per sempre dinanzi a Dio, intercedendo per noi ed inaugurando la nostra comunione con lui. Si realizza così la nuova alleanza annunziata da Geremia (Ebr 8,8-12; Ger 31,31-34); un‘alleanza «migliore», stante la qualità eminente del suo mediatore (Ebr 8, 6; 12, 24); un‘alleanza suggellata nel sangue come la prima (Ebr 9,20; Es 24, 8), non più nel sangue degli animali, ma in quello di Cristo stesso, versato per la nostra redenzione (9, 11 s). Questa nuova disposizione era stata preparata dalla precedente, ma l‘ha resa caduca, e sarebbe vano attaccarsi a ciò che è destinato a sparire (8, 13). Come una disposizione testamentaria entra in vigore con la morte del testatore, così la morte di Gesù ci ha messi in possesso dell‘eredità promessa (Ebr 9, 15 ss). L‘alleanza antica era quindi imperfetta, poiché stava sul piano delle ombre e delle figure, assicurando solo imperfettamente l‘incontro degli uomini con Dio. Invece la nuova è perfetta perché Gesù, nostro sommo sacerdote, ci assicura per sempre l‘accesso presso Dio (Ebr 10, 1-22). Cancellazione dei peccati, unione degli uomini con Dio: questo è il risultato ottenuto da Gesù Cristo, che «mediante il sangue d‘un‘alleanza eterna è diventato il grande pastore delle pecore» (Ebr 13, 20).

3.-Altri testi. - Senza bisogno di citare esplicitamente il VT, gli altri libri del NT evocapo i frutti della croce di Cristo in termini che ricordano il tema dell‘alleanza. Meglio che non Israele al Sinai, noi siamo divenuti «un sacerdozio regale ed una nazione santa» (1 Piet 2, 9; cfr. Es 19, 5 s). Questo privilegio si estende ora ad una comunità di cui fan parte uomini «di ogni razza, lingua, popolo e nazione» (Apoc 5, 9 s). Tuttavia quaggiù la realizzazione della nuova alleanza implica limitazioni. Bisogna quindi contemplarla nella prospettiva escatologica della Gerusalemme celeste: in questa «dimora di Dio con gli uomini», «essi saranno il suo popolo, ed egli, Dio-con-essi, sarà il loro Dio» (Apoc 21, 3). La nuova alleanza culmina nelle nozze dell‘agnello e della Chiesa, sua sposa (Apoc 21,2.9). AI termine dello sviluppo dottrinale, il tema dell‘alleanza riprende così tutti quelli che, dal VT al NT, sono serviti per definire i rapporti tra Dio e gli uomini. Per farne apparire il contenuto bisogna parlare di filiazione, di amore, di comunione. Bisogna soprattutto riferirsi all‘atto con cui Gesù ha fondato la nuova alleanza: mediante il sacrificio del suo corpo immolato e del suo sangue versato, egli ha fatto degli uomini il suo corpo. Il VT non conosceva ancora questo dono di Dio; tuttavia la sua storia e le sue istituzioni ne abbozzavano oscuramente i tratti, poiché in esso tutto riguardava già l‘alleanza tra Dio e gli uomini.

Autore: J. Jiblet e P. Grelot
Fonte: Dizionario di Teologia Biblica