Sacerdozio (N.T.)
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Il sacerdozio cristiano realizzato dal Redentore Dio-uomo, è la mèta e il coronamento delle aspirazioni e manifestazioni sacerdotali che sono alla base di quasi tutte le religioni; è il punto d'arrivo e di superamento dell'organizzazione sacerdotale unitaria del V. T. Il Figlio di Dio, incarnandosi, divenne mediatore unico, il sacerdote supremo e definitivo tra Dio e l'umanità. Tutto il culto e tutto il sacerdozio del V. T. si sublima in Lui, così come il tabernacolo o Tempio d'Israele si sublima nel Cielo. Santuario in cui Gesù eterna, dopo la sua vittoria sul peccato e sulla morte, il culto mistico del suo sacrificio redentore, unico perché completo, perfetto, di valore ed efficacia infinita ed eterna (Hebr. 5-10). Hebr. e Ap. descrivono come Gesù, crocifisso e risorto è il supremo sacerdote, unico perché divino ed eterno; la sua morte è il sacrificio il cielo in cui siede glorioso, è il tempio, poggiante sulla terra. Ma questo S. spirituale non esclude il culto esterno e sociale anzi lo esige. Gesù («Sacerdos sua e victimae, victima sui sacerdotii» s. Paolino da Nola) trasmise la sua soprannaturale missione di salvezza, che accanto al potere di governo e di magistero comprendeva l'ufficio sacerdotale di mediazione e di propiziazione ai suoi «dodici» Apostoli (Io. 20, 21). In particolare affidò a questi e ai loro successori, «sino alla consumazione dei secoli» (Mt. 28, 20), il potere di rinnovare il sacrificio eucaristico (Lc. 22, 19; 1Cor 11, 24 s.), di battezzare (Mt. 28, 19 s.) di rimettere i peccati (Io. 20, 22 s.; Mt. 18, 18), funzioni che sono l'esercizio del sacerdozio di Gesù il quale sacrificando se stesso «toglie il peccato del mondo» (Lc. 1, 29) e mediante i sacramenti perpetua tale sacrificio e lo applica. Tra i cristiani si perpetua «il mistero della riconciliazione», identico a quello di Cristo (2Cor 5, 17-21): il ministero degli apostoli e dei loro successori è, con il sacrificio di Cristo sacerdote, uno dei due aspetti della redenzione del mondo.
Gli Apostoli, «ministri di Cristo e dei dispensatori dei misteri di Dio» (I Cor 4, 1), trasmisero la loro missione sacerdotale, prolungamento nel tempo e nello spazio di quella di Gesù, a fedeli prescelti, con l'imposizione delle mani (At. 13, 3; 14, 22; 1Tim. 4, 14; 5, 22; 2Tim. 1, 6). Ma il titolo esplicito di *** nel N. T. è riservato a Cristo, l'unico sacerdote. Fino alla 2 a metà del sec. II, ai successori degli Apostoli, partecipi del s. di Cristo, non è mai dato il titolo di *** anche per evitare confusione con il s. giudaico o pagano; sono detti episcopi e presbyteri. Il titolo *** "anziano" (lat. presbyter, onde "prete", termine divenuto esclusivo in molte lingue moderne: prétre, priest, Priester), equivale spesso a *** ("sorvegliante"). I presbiteri venivano "segregati" (At. 13, 2), come gli Apostoli (Rom. 1, 1; Gal. 1, 15), come i sacerdoti d'Israele.
Almeno intorno al 100 un solo episcopo vescovo era preposto «in ogni città» (Tit. 1, 5), a tutte le chiese locali (Ap. 2-3; epistolario ignaziano); ad essi fu trasmessa pienamente l'autorità apostolica (Clemente Rom., Ad Cor 40-42), e al collegio dei "presbiteri" (nel N. T. e presso i Padri apostolici compaiono al plurale) che li circonda e coadiuva. Il vescovo con i presbiteri formava, in ogni chiesa locale, il gruppo (At. 20, 13-23 = presbiteri-episcopi di Efeso) dei "preposti" (***: 1Ts. 5, 12; Rom. 12, 3; cf. I Tim. 5, 17) o "superiori" ***: Hebr. 13, 7. 17.24). Più tardi sarà inculcata la distinzione precisa tra il sacerdozio pieno del vescovo e quello dei semplici presbiteri (Conc. Trid., Sess. 23: Denzinger-Umberg, nn. 957-963).
Il potere sacerdotale viene conferito mediante il sacramento dell'Ordine (imposizione delle mani), che imprime indelebilmente nell'anima il carattere o "sigillo" del sacerdozio di Gesù. Gesù è infatti l'unico sacerdote del Nuovo Testamento; gli apostoli, i vescovi, i presbiteri, non sono sacerdoti a titolo proprio, ma solo in quanto sono i continuatori e ambasciatori di G. Cristo (2Cor 5, 17-21; cf. 1Cor 4, 1).
Come già l'intero Israele era investito di una missione sacerdotale tra i popoli (Ex. 19, 6), così tutti i cristiani realizzano il "sacerdozio regale" (1Pt. 2, 5; Ap. 1, 6; 5, 10) mediante la loro partecipazione a Cristo, suggellata nel carattere battesimale e cresimale; mediatori tra Dio e l'umanità infedele, indirizzano a Dio tutta la loro vita e azione, e offrono il sacrificio eucaristico, con e mediante il sacerdote consacrato; ma questo sacerdozio è tale in senso largo e indiretto, ché i semplici fedeli non sono «dispensatori dei sacramenti di Dio». I protestanti però, ammettendo uguaglianza democratica fra tutti i cristiani, negano le prerogative sacerdotali dell'apostolato e ogni sacerdozio propriamente detto in seno al cristianesimo (Lutero, De captivitate babylonica, in Opera omnia, ed. Weimar, t. VI, pp. 561-566). Dopo Lutero si rivendica il potere e l'autorità religiosa alla base, alla massa, escluso ogni mediatore e ogni superiore di diritto divino: ogni personalità di battezzato e di credente è soggetto e fonte esclusiva del s., dato che la religione è un "affare privato" che si esplica e si esaurisce nella vita religiosa-morale del singolo. Tra i protestanti il parroco o ministro del culto, ridotto alla predicazione e al simbolo battesimale, diventa tale per incarico o elezione della collettività, che lo sceglie tra i più idonei per cultura. La consacrazione sacerdotale nel tempo apostolico veniva conferita dal collegio dei presbiteri al nuovo presbitero, durante una solenne assemblea liturgica, mediante l'imposizione delle mani e la preghiera (At. 13, 3; cf. 6, 6; Tim. 4, 14; 5, 22; 2Tim. 1, 6). Già nel sec. II il rito si sviluppò, specialmente nella liturgia romana; il più antico formulario noto è nella Traditio Apostolica (a. 200) di S. Ippolito di Roma; imposizione delle mani del vescovo consacrante e dei compresbiteri presenti sul capo dell'eletto, con una preghiera consacratoria del vescovo a Dio Padre. Questo rito si propagò largamente. Nel 3.50 il Sacramentario di Serapione (n. 27) presenta una breve preghiera analoga pronunziata sugli ordinati durante l'imposizione delle mani; analogo è il rito (a. 400) in Constit. Apostol. VIII, 16 (ed. F. X. Funk, 1905, I, p. 250 ss.; II, p. 133 ss.), e poi (a. 420) nel Testamentum Domini (ed. J. E. Rahmani, 1399, p. 63 s.). Lo Ps. Dionisio (ca. 500), interpretando misticamente il rito menziona la lettura dei nomi e il finale "bacio di pace (Eccl. Hier. in PG 3, 509.516).
Il rito romano antico è descritto dal Sacramentarium Leonianum (sec. VI) e dal Sacram. Gregorianum (sec. VII), poi dagli Ordines Romani (secc. VIII e IX). Dal rito gallicano (Statuta Ecclesiae antiqua di s. Cesario d'Arles: in PL 56, 379 ss.) proviene l'unzione delle mani. Nel sec. IX gli elementi romani e gallicani appaiono fusi nel rito milanese, che pratica il rivestimento con la casula, portato a Roma nel sec. X, insieme alla consegna degli strumenti (calice e patena).
Costituito per vocazione divina (2Tim. l, 9-10; Hebr. 5, 4), il sacerdote del N. T. è partecipe e realizzatore tra i fedeli del sacerdozio di Cristo, unico ed eterno (Hebr. 7, 24 s.; 8, 1 ss.), irradiantesi nella gloria celeste (Ap. 5), che solo offre un sacrificio perfetto e salvifico (Hebr. 9-10). Immensamente superiore al mosaico (2Cor 3, 7 ss.), continua e applica la redenzione del Cristo (2 Cor 5, 17-21), irradiandone la verità e la vita (Io. 1, 6 ss.; 17, 7; Phil. 2, 17), e l'amore (Io. 21, 15 ss.).
La missione sacerdotale è esaltata nel N. T. come luce, preservazione della vita, legazione e funzione divina, continuazione necessaria dell'opera salvifica di Gesù (Mt. 5, 13 ss.; 9, 38; I Pt. 5, 2; I Tim. 5, 12· 17; 2Tim. 2, 3 s.; ecc.). Da tale suprema dignità derivano doveri di santità e di abnegazione, specialmente inculcati nelle epistole pastorali: mantenere la grazia della vocazione e corrispondervi (2Cor. 4, 6; 2Tim. 1, 6-14), condurre vita irreprensibile (Tim. 4, 12 ss.; 6, 11 ss.; 2Cor 6, 3 s.), prudenza (2Tim. 2, 1 ss.), umiltà e rinunzia (1Cor 3, 7; Gal 1, 10), amore di Cristo e fiducia in Dio (2Cor 4, 7 ss.); pazienza e amore del prossimo (2Tim. 2, 22 ss.).
[A. Rom.]
BIBL. - A. HARNACK, Entstehung und Entwicklung der Kirchenverfassung und des Kirchenrechtes in den zwei ersten Jahrhunderten, Lipsia 1910; E. RUFFINI, La gerarchia della Chiesa negli Atti degli Apostoli e nelle lettere di S. Paolo. Roma 1921; H. DIECHMANN, Die Verlassung der Urkirche, Berlino 1923; A. MÉDEBIELLE, in DBs, II, coll. 607-13. 653-60. 688-73; A. EHRHARD, Urkirche und Fruhkatholizismus, Bonn 1935; F. BUCHSEL, Die Verfassung der Kirche in der Apostelzeit, in Allgem. ev.-luther. Kirchenzeitung, 68 (1935) 122-27. 147-53; K. L. SCHMIDT, Le ministère et les minististres dans l'Eglise du N. T., in RHPhR, 17 (1937) 313-36; A. ROMEO, Il Sacerdozio Cristiano, in Enciclop. d. Sacerdozio, Firenze 1953, pp. 499-579. Per la questione dell'identità episcopi- presbiteri: F. Puzo, Las obispos presbiteros nel N. T., in EstB, 5 (1946) 41-47; C. SPICQ, Les Épitres Pastorales, Parigi 1947, pp. 84-97.
Autore: Mons. Antonino Romeo
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora
Gli Apostoli, «ministri di Cristo e dei dispensatori dei misteri di Dio» (I Cor 4, 1), trasmisero la loro missione sacerdotale, prolungamento nel tempo e nello spazio di quella di Gesù, a fedeli prescelti, con l'imposizione delle mani (At. 13, 3; 14, 22; 1Tim. 4, 14; 5, 22; 2Tim. 1, 6). Ma il titolo esplicito di *** nel N. T. è riservato a Cristo, l'unico sacerdote. Fino alla 2 a metà del sec. II, ai successori degli Apostoli, partecipi del s. di Cristo, non è mai dato il titolo di *** anche per evitare confusione con il s. giudaico o pagano; sono detti episcopi e presbyteri. Il titolo *** "anziano" (lat. presbyter, onde "prete", termine divenuto esclusivo in molte lingue moderne: prétre, priest, Priester), equivale spesso a *** ("sorvegliante"). I presbiteri venivano "segregati" (At. 13, 2), come gli Apostoli (Rom. 1, 1; Gal. 1, 15), come i sacerdoti d'Israele.
Almeno intorno al 100 un solo episcopo vescovo era preposto «in ogni città» (Tit. 1, 5), a tutte le chiese locali (Ap. 2-3; epistolario ignaziano); ad essi fu trasmessa pienamente l'autorità apostolica (Clemente Rom., Ad Cor 40-42), e al collegio dei "presbiteri" (nel N. T. e presso i Padri apostolici compaiono al plurale) che li circonda e coadiuva. Il vescovo con i presbiteri formava, in ogni chiesa locale, il gruppo (At. 20, 13-23 = presbiteri-episcopi di Efeso) dei "preposti" (***: 1Ts. 5, 12; Rom. 12, 3; cf. I Tim. 5, 17) o "superiori" ***: Hebr. 13, 7. 17.24). Più tardi sarà inculcata la distinzione precisa tra il sacerdozio pieno del vescovo e quello dei semplici presbiteri (Conc. Trid., Sess. 23: Denzinger-Umberg, nn. 957-963).
Il potere sacerdotale viene conferito mediante il sacramento dell'Ordine (imposizione delle mani), che imprime indelebilmente nell'anima il carattere o "sigillo" del sacerdozio di Gesù. Gesù è infatti l'unico sacerdote del Nuovo Testamento; gli apostoli, i vescovi, i presbiteri, non sono sacerdoti a titolo proprio, ma solo in quanto sono i continuatori e ambasciatori di G. Cristo (2Cor 5, 17-21; cf. 1Cor 4, 1).
Come già l'intero Israele era investito di una missione sacerdotale tra i popoli (Ex. 19, 6), così tutti i cristiani realizzano il "sacerdozio regale" (1Pt. 2, 5; Ap. 1, 6; 5, 10) mediante la loro partecipazione a Cristo, suggellata nel carattere battesimale e cresimale; mediatori tra Dio e l'umanità infedele, indirizzano a Dio tutta la loro vita e azione, e offrono il sacrificio eucaristico, con e mediante il sacerdote consacrato; ma questo sacerdozio è tale in senso largo e indiretto, ché i semplici fedeli non sono «dispensatori dei sacramenti di Dio». I protestanti però, ammettendo uguaglianza democratica fra tutti i cristiani, negano le prerogative sacerdotali dell'apostolato e ogni sacerdozio propriamente detto in seno al cristianesimo (Lutero, De captivitate babylonica, in Opera omnia, ed. Weimar, t. VI, pp. 561-566). Dopo Lutero si rivendica il potere e l'autorità religiosa alla base, alla massa, escluso ogni mediatore e ogni superiore di diritto divino: ogni personalità di battezzato e di credente è soggetto e fonte esclusiva del s., dato che la religione è un "affare privato" che si esplica e si esaurisce nella vita religiosa-morale del singolo. Tra i protestanti il parroco o ministro del culto, ridotto alla predicazione e al simbolo battesimale, diventa tale per incarico o elezione della collettività, che lo sceglie tra i più idonei per cultura. La consacrazione sacerdotale nel tempo apostolico veniva conferita dal collegio dei presbiteri al nuovo presbitero, durante una solenne assemblea liturgica, mediante l'imposizione delle mani e la preghiera (At. 13, 3; cf. 6, 6; Tim. 4, 14; 5, 22; 2Tim. 1, 6). Già nel sec. II il rito si sviluppò, specialmente nella liturgia romana; il più antico formulario noto è nella Traditio Apostolica (a. 200) di S. Ippolito di Roma; imposizione delle mani del vescovo consacrante e dei compresbiteri presenti sul capo dell'eletto, con una preghiera consacratoria del vescovo a Dio Padre. Questo rito si propagò largamente. Nel 3.50 il Sacramentario di Serapione (n. 27) presenta una breve preghiera analoga pronunziata sugli ordinati durante l'imposizione delle mani; analogo è il rito (a. 400) in Constit. Apostol. VIII, 16 (ed. F. X. Funk, 1905, I, p. 250 ss.; II, p. 133 ss.), e poi (a. 420) nel Testamentum Domini (ed. J. E. Rahmani, 1399, p. 63 s.). Lo Ps. Dionisio (ca. 500), interpretando misticamente il rito menziona la lettura dei nomi e il finale "bacio di pace (Eccl. Hier. in PG 3, 509.516).
Il rito romano antico è descritto dal Sacramentarium Leonianum (sec. VI) e dal Sacram. Gregorianum (sec. VII), poi dagli Ordines Romani (secc. VIII e IX). Dal rito gallicano (Statuta Ecclesiae antiqua di s. Cesario d'Arles: in PL 56, 379 ss.) proviene l'unzione delle mani. Nel sec. IX gli elementi romani e gallicani appaiono fusi nel rito milanese, che pratica il rivestimento con la casula, portato a Roma nel sec. X, insieme alla consegna degli strumenti (calice e patena).
Costituito per vocazione divina (2Tim. l, 9-10; Hebr. 5, 4), il sacerdote del N. T. è partecipe e realizzatore tra i fedeli del sacerdozio di Cristo, unico ed eterno (Hebr. 7, 24 s.; 8, 1 ss.), irradiantesi nella gloria celeste (Ap. 5), che solo offre un sacrificio perfetto e salvifico (Hebr. 9-10). Immensamente superiore al mosaico (2Cor 3, 7 ss.), continua e applica la redenzione del Cristo (2 Cor 5, 17-21), irradiandone la verità e la vita (Io. 1, 6 ss.; 17, 7; Phil. 2, 17), e l'amore (Io. 21, 15 ss.).
La missione sacerdotale è esaltata nel N. T. come luce, preservazione della vita, legazione e funzione divina, continuazione necessaria dell'opera salvifica di Gesù (Mt. 5, 13 ss.; 9, 38; I Pt. 5, 2; I Tim. 5, 12· 17; 2Tim. 2, 3 s.; ecc.). Da tale suprema dignità derivano doveri di santità e di abnegazione, specialmente inculcati nelle epistole pastorali: mantenere la grazia della vocazione e corrispondervi (2Cor. 4, 6; 2Tim. 1, 6-14), condurre vita irreprensibile (Tim. 4, 12 ss.; 6, 11 ss.; 2Cor 6, 3 s.), prudenza (2Tim. 2, 1 ss.), umiltà e rinunzia (1Cor 3, 7; Gal 1, 10), amore di Cristo e fiducia in Dio (2Cor 4, 7 ss.); pazienza e amore del prossimo (2Tim. 2, 22 ss.).
[A. Rom.]
BIBL. - A. HARNACK, Entstehung und Entwicklung der Kirchenverfassung und des Kirchenrechtes in den zwei ersten Jahrhunderten, Lipsia 1910; E. RUFFINI, La gerarchia della Chiesa negli Atti degli Apostoli e nelle lettere di S. Paolo. Roma 1921; H. DIECHMANN, Die Verlassung der Urkirche, Berlino 1923; A. MÉDEBIELLE, in DBs, II, coll. 607-13. 653-60. 688-73; A. EHRHARD, Urkirche und Fruhkatholizismus, Bonn 1935; F. BUCHSEL, Die Verfassung der Kirche in der Apostelzeit, in Allgem. ev.-luther. Kirchenzeitung, 68 (1935) 122-27. 147-53; K. L. SCHMIDT, Le ministère et les minististres dans l'Eglise du N. T., in RHPhR, 17 (1937) 313-36; A. ROMEO, Il Sacerdozio Cristiano, in Enciclop. d. Sacerdozio, Firenze 1953, pp. 499-579. Per la questione dell'identità episcopi- presbiteri: F. Puzo, Las obispos presbiteros nel N. T., in EstB, 5 (1946) 41-47; C. SPICQ, Les Épitres Pastorales, Parigi 1947, pp. 84-97.
Autore: Mons. Antonino Romeo
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora