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Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Redenzione


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Liberazione dalla schiavitù del peccato e conferimento della vita soprannaturale. Il termine latino-italiano corrisponde all'ebraico ghe'ullah = riscatto, affrancamento. Esso è comune nella teologia e sarebbe vano cercare di sostituirlo con altri. Etimologicamente indica ed accentua un fattore piuttosto negativo; il riscatto dal peccato è un elemento fondamentale; ma c'è un lato positivo di importanza eccezionale. Non si tratta tanto di una "ricompera" quanto piuttosto di una somma di benefici gratuiti conferiti all'umanità.
Nel Vecchio Testamento si parla di riscatto dei primogeniti (Ex. 13, 13), di oggetti che per diritto appartenevano a Dio (ibid. 13, 12); ma in modo particolare Dio era considerato go’él o redentore del popolo, perché l'aveva liberato dalla schiavitù egiziana (ibid. 6, 6; 15, 13) e si era impegnato a difenderlo o vendicarlo contro eventuali nemici politici (Ps. 107, 2). Però neppure nel Vecchio Testamento è estraneo il concetto positivo di una gamma di privilegi conferiti ad Israele, che è proclamato popolo-proprietà di Dio (cf. Ex. 19, 5; Is. 43, 21); nei profeti e specialmente nei carmi del Servo (v.) di Iahweh, è preannunziata la r. spirituale, opera del Cristo per eccellenza e fine della sua incarnazione, come risalta da tutto il Nuovo Testamento.
Il programma del Verbo Incarnato si può scorgere sintetizzato nell'affermazione: «Il figlio dell'Uomo non venne per essere servito, ma piuttosto per servire e per dare la propria vita in liberazione di molti» (Mc. 10, 45; cf. Mt. 20, 28), Nella prima parte abbiamo l'attuazione del programma di abbassamento e di abnegazione (cf. Phil. 2, 7); nella seconda si ha la presentazione della propria morte come un sacrificio in favore dell'umanità. È la soddisfazione vicaria predetta da Isaia (S3, 4). Il termine greco *** per sé significa "scioglimento, liberazione, riscatto". Di solito tale azione include o presuppone un pagamento o compenso qualsiasi ad una persona che detiene il diritto su chi vuole essere affrancato. La R. fu compiuta dal Cristo con un atto oneroso (la morte), ma questo non si deve considerare affatto come un prezzo sborsato ad uno, che deteneva schiava l'umanità.

La R. fu compiuta dal Cristo in quanto offerto si quale "vittima" per i peccati degli uomini. Con allusione al testo isaiano (Is. 53, 7) egli è detto l'agnello Che toglie il peccato del mondo (Io. 1, 29). I requisiti della vittima secondo la legislazione mosaica (cf. Ex. 12, 5; Lev. 14, 10; 22: 19) si trovavano in Gesù Cristo in maniera impensabile: «Non con corruttibile oro od argento siete stati riscattati dalla vostra vana condotta, ma col prezioso sangue del Cristo, quale agnello immacolato ed incontaminato» (I Pt. 1, 18 s.). Gesù, eseguendo un decreto eterno del Padre (Rom. 3,25; 4, 25; 8, 32), espia i peccati degli uomini (Io. 1, 29) e libera questi da ogni iniquità (Tit. 2., 14). Gesù stesso alludeva alla sua opera di redento re, quando accentuava il valore sacrificale della sua morte (Io. 3, 14 s.; 12, 32). Egli rilevò espressamente il carattere espiatorio della sua passione (cf. Mt. 26, 28; Mc. 14, 24; Lc. 22, 20).
L'espiazione riguarda il peccato con le sue conseguenze. L'umanità in forza delle colpe (non solo per quella di origine di Adamo) aveva come sottoscritto un tremendo documento di condanna. È il chirografo, di cui parla s. Paolo, che con frase ardita presenta come fatto a pezzi in seguito alla morte redentrice del Cristo. Esso è stato inchiodato su la croce (Col. 2, 13 ss.). Il cristiano così è divenuto da schiavo del peccato «schiavo di Gesù Cristo» (cf. I Cor 7, 22 s.; Gal. 1, 10; Col. 4, 12; Phil. 1, 1). Non si tratta di un semplice affrancamento o di una filiazione adottiva giuridica, ma di una vera acquisizione da parte di Dio. Il peccato passato è cancellato. La crocifissione mistica col Cristo (Gal. 2, 19) dà il diritto al cristiano di partecipare a tutte le grazie, che il Cristo riceve come capo del Corpo Mistico. È la riconciliazione completa con Dio e la nascita ad una vita soprannaturale. È una giustizia vera, positiva, ossia partecipazione alla giustizia del Cristo (cf. Col. 1, 13 s.; 2, 13; 3, 13; Eph. 4, 32; Gal. 1, 4; Tit. 2, 14 ecc.). Rimane la potenza del peccato su gli uomini, ma essi ormai possono vincerla e dominarla con la grazia del Cristo (Rom. 7, 25; 8, 3 s.). La possibilità e la realtà della lotta con tale potenza diventano così una fonte di meriti, in quanto all'uomo rimane la libertà di arrendersi oppure di affrontarla con tutti i mezzi soprannaturali, di cui dispone. Anche dalla morte, prima conseguenza del peccato, il cristiano è liberato in quanto per lo Spirito del Cristo ha diritto alla vittoria finale, alla risurrezione (cf. Rom. 8, 10 s.; 5, 17.21). La R. completa si realizzerà nel futuro; di essa, però, si possiedono già fin d'ora i germi sicuri. Già del tutto effettuata, invece, è la liberazione dalla schiavitù della Legge mosaica (cf. Rom. 6, 14; 7, 4 ss.; Gal. 3, 25; 5, 18; Eph. 2, 14 s.).

Quanti con un atto di fede e col battesimo assecondano la chiamata divina, acquistando così i diritti promananti dalla R., costituiscono «una stirpe eletta» (cf. Is. 43, 21), «un popolo proprietà di Dio» (populus acquisitionis; cf. Ex. 19, 5; Is. 43, 21), «una gente santa», «un regno di sacerdoti» (cf. Ex. 19, 6). È l'insegnamento di s. Pietro, che così proclama trasferiti ai cristiani tutti i privilegi del popolo ebraico. I fedeli sono passati, con la loro adesione ed incorporazione al Cristo, da un mondo tenebroso in uno di luce ammirabile (I Pt. 2, 9). In essi si è avverato il detto del profeta Osea (1, 9; 2, 1-25): da Non-popolo sono divenuti Popolo-proprietà-di-Dio (I Pt. 2, 10).
La R., considerata concretamente in quanti ne beneficiano, può definirsi - con terminologia petrina - una rigenerazione nella speranza. È una rinascita o la nascita in un mondo nuovo, nel regno del soprannaturale e della grazia (cf. Io. 1, 13; 2Cor. 5, 17; Gal. 6, 15; Eph. 4, 22 ss.; Tit. 3, 5). Gesù amava parlare di una rigenerazione dall'alto (Io. 3, 3 ss.; cf. I Io. 3, 14). È il lato positivo della R., che in ultima analisi mira alla glorificazione dei fedeli, come la morte del Cristo ebbe quale conseguenza la sua solenne glorificazione. Gesù Cristo ha amato l'umanità e si è dato per essa come un'offerta e un sacrificio di soavissimo odore a Dio. «Egli ha amato la sua Chiesa e si è dato per lei» (Eph. 5, 2.25). Si tratta di una donazione completa, non necessariamente limitata al momento della passione e della morte (ci. Gal. 2, 20; 1, 4; Tit. 2, 13 s.; I Tim. 2, 6). È innegabile il valore essenziale della morte di Gesù Cristo per la R. (cf. I Cor. 11, 25), come pure è esatto il concetto di soddisfazione vicaria; ma tali idee non esauriscono il mistero della R. Tutta la vita del Cristo mirava ad un tale scopo e meritò la liberazione del genere umano dalla schiavitù del peccato. È l'idea di espiazione profondamente radicata nel Vecchio come nel Nuovo Testamento. Tutte queste definizioni, come le relative teorie del riscatto o dell'espiazione penale o della sostituzione, possono lumeggiare teologicamente il concetto di R., ma non fanno che accentuare un carattere od un aspetto del problema. Per questo appare molto più attraente e più corrispondente all'insegnamento paolino la teoria della solidarietà. La seconda persona della Trinità si è fatta solidale con noi, prendendo la nostra carne di peccato. Paolo giunge ad usare espressioni apparentemente blasfeme: «Il Figlio di Dio si è fatto peccato ed è divenuto maledizione per noi» (2Cor 5, 21; Gal. 3, 13). Sono modi di dire enfatici; essi intendono solo accentuare quanto estesa sia stata la solidarietà del Figlio di Dio, assimilatosi all'umanità sino agli estremi limiti. Tale solidarietà mirava ad unire gli uomini per la vita soprannaturale. La missione del Cristo è di essere "mediatore" (I Tim. 2, 5) unico per la pacificazione dell'uomo con Dio. I Vangeli accentuano l'importanza della morte e della passione per il raggiungimento di tale fine; ma riconoscono anche espressamente il carattere soteriologico di tutta la vita di Gesù, basandosi su un testo di Isaia (61, 2). S. Paolo sviluppò la dottrina con una terminologia sacrificale. Egli parla di R. ***: Rom. 3, 24), di riscatto ***: I Tim. 2, 6), del propiziatorio (***: Rom. 3, 25), dell'offerta e della vittima (***: Eph. 5, 2) immolata al Padre per la riconciliazione dell'umanità. Ciascuno di questi termini rappresenta un aspetto del mistero; ma vanno integrati non solo reciprocamente, ma anche con tante altre affermazioni, dalle quali traspare meglio il carattere positivo della R.
[A. P.]

BIBL. - A.. MÉDEBIELLE, Expiation, in DBs. III, coll. 1-262; J. RIVIÈRE, Le dogme de la Rédemption. Étude théologique. 2a ed., Parigi 1914. pp. 16-71; ID., Le dogme de la Rédemption. Étudee critiquee et documente, Lovanio 1931. pp. 3-68; R. BANDAS. The masteridea of St. Paul's epistles on the Redemption. Bruges 1925; A. KIRSCHGASSNER, Erlosung und Sunde im N.T. Friburgo 1950.

Autore: Sac. Angelo Penna
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora