Scrutatio

Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Magnificat


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È il cantico (così denominato dalla prima parola nella versione latina), pronunziato dalla SS. Vergine in occasione della sua visita ad Elisabetta sua parente (Lc. l, 46-55). Ne aveva dato lo spunto la stessa Elisabetta, la quale, al primo apparire della Vergine, illuminata dallo Spirito Santo, l'aveva salutata «Madre di Dio» (Lc. 1, 41 ss.). Il M. è un inno di lode all'Onnipotente, per il mistero dell'Incarnazione che, silenziosamente, si era compiuta nel castissimo seno della Vergine, e sviluppa questi concetti: a) nonostante la pochezza (*** = bassezza, miseria) della sua serva (*** = schiava), Dio ha compiuto in Lei grandi prodigi (immacolata Concezione, divina Maternità, perpetua verginità, favori tutti, che "esigevano", poi, l'assunzione in Cielo), e perciò tutti i popoli la proclameranno "Beata" (46-48); b) le meraviglie operate in Maria, come pure i molti altri favori concessi da Dio lungo il corso dei secoli ai suoi servi fedeli (= quelli che lo temono), mettono in chiara luce i suoi tre fondamentali attributi: la potenza, la santità, la misericordia (49-50); c) con particolari, desunti dalla condotta ordinaria della Provvidenza, vien messo in evidenza il costante intervento di Dio per proteggere gli umili (= poveri) e confondere i potenti orgogliosi (51-53); d) principale beneficiario di tanti favori è stato Israele, col quale Dio ha mantenuto tutte le promesse fatte ad Abramo (v.) e alla sua discendenza, specie quella secondo cui il Messia sarebbe nato dalla sua stirpe (Gen. 12, 3; 22, 17-18; Gal. 3, 16) (54-55).

Le reminiscenze bibliche di cui ridonda il M., imprestate dai Salmi, e soprattutto dal cantico di Anna, madre di Samuele (1Sam 2, l-10), hanno dato occasione ai critici di mettere in dubbio la storicità del documento, che vien definito «un salmo giudaico», oppure «un mosaico di formule preesistenti, messe insieme dall'Evangelista o dall'autore della sua fonte».

Circa le frequenti reminiscenze, non c'è da stupire quando si pensi, che per i pii israeliti, la Bibbia era l'unico alimento dello spirito, in maniera che quasi per istinto i suoi testi si affollavano sulle labbra, quando, sotto l'impero di un'emozione religiosa, si accingevano a ringraziare, a impetrare, o comunque a pregare Dio. Per quanto, tuttavia, alcune espressioni siano prese da scritti precedenti, il M. ha un tono personalissimo; basta, oltre tutto, richiamare il v. 48: Ha posto gli occhi sulla bassezza della sua serva, che hanno perfetto riscontro nell'umile atteggiamento della Vergine di fronte all'angelo: Ecco la serva del Signore (Lc. 1, 38). In altre parole, è avvenuto nel M. quello che accadeva nei tempi antichi, ai costruttori cristiani: le pietre, i mattoni, magari pezzi di marmo, venivano tolti di peso dai templi pagani, ma la Basilica aveva un'altra anima, un altro stile, un altro volto! Alla fine del secolo scorso, specie ad opera di Loisy (Harnack è più mite) si è tentato intorbidare le acque sull'autrice del M., perché si era venuto a scoprire (l'aveva già notato Wetstein nel 1751) che alcuni codici dell'antica versione latina e altri codici pure latini delle opere di s. Ireneo e di Origene, al v. 46, invece di «Ait Maria» leggevano «Ait Elisabeth». Come è stato ben detto, si tratta di «una stranezza istigata dall'amore di novità»; infatti le sporadiche, incerte testimonianze in contrario, sono letteralmente polverizzate dalla unanime testimonianza di tutti i codici greci e di tutte le versioni (copte, siriache, latine). Va inoltre sottolineato, che nel M. di proposito è evitata l'allusione alla sterilità (1Sam 2, 5), ciò che Elisabetta non avrebbe certamente omesso, essendo sterile essa stessa (Lc. 1, 37). Senza poi dire, che in bocca ad Elisabetta, non avrebbero alcun senso le parole del v. 48: Tutte le genti mi chiameranno beata. Il pettegolezzo critico è morto, dunque, sul nascere; ha pure validamente contribuito la Pontificia Commissione Biblica, con un decreto del 26 giugno 1912 (Denz.-U. 2158).

Nella liturgia latina il M., da tempo immemorabile, si recita ai Vespri del Divino Ufficio; alcuni pensano che ivi l'abbia sistemato s. Benedetto; tuttavia la cosa è lungi dall'esser certa.
[B. P.]

BIBL. - L. C. FILLION, Vita di N.S.G.C., trad. ital., I, Torino-Roma 1934, pp. 220-23. 482- 86: M. J. LAGRANGE, Év. selon s. Luc, Parigi 1927, pp. 44-54: F. ZORELL, in VD, 2 (1922) 194-99; F. CABROL, Cantiques évangéliques, in DACL, II, coll. 1997 s.

Autore: Mons. Bruno Pelaia
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora