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Utopìa


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La parola utopìa apparve per la prima volta nel 1516 nel libro di Tommaso Moro che portava appunto questo titolo. Era un neologismo o creato da lui. Etimologicamente, deriva dal greco où tòpos: " ciò che non si trova in nessun luogo ". Però, potrebbe anche derivare da èu tòpos: " il luogo della beatitudine e della felicità ". Difatti, con la descrizione dell'isola dell'Utopìa di Tommaso Moro, si addicono tutti e due i significati: è un ordine sociale, che non esiste in nessun luogo della terra; ivi regnano una giustizia ed una felicità complete.

A partire dalla seconda metà del secolo XVI, cominciarono ad apparire molti racconti simili, fino al punto che la sola cultura occidentale ha dato origine

a quasi mille utopie durante gli ultimi quattro secoli. Tra le utopìe del Rinascimento, vanno ricordate, oltre a quella di Tommaso Moro, La Città del sole, di Campanella (1623) e La nuova Atlantide, di Francis Bacone (1627). Sugli inizi del secolo XIX, sorse una nuova generazione di pensatori utopisti che immaginarono alternative alla società capitalista basate sulla proprietà comunitaria dei mezzi di produzione. Parecchi di questi passarono dalle utopìe scritte a quelle applicate, sperimentando i modelli che venivano proposti in piccole comunità (per esempio: Fourier, Cabet, Oxen, Weifling e i diacepoli di Saint-Simon). Purtroppo, tutti questi esperimenti fallirono.

L'utopìa ha avuto fino ad oggi una cattiva fama, sia a destra (che non vuole nessun cambiamento), sia a sinistra (che non ritiene che l'utopìa sia la strada adatta per cambiare). Nel 1880, Engels chiamò sprezzantemente " socialisti utopisti " tutti quello che avevano tentato gli esperimenti citati; li trattò anche di inoperosi perché, senza cercare di comprendere le leggi interne del capitalismo e senza cercare di organizzare gli operai alla lotta rivoluzionaria, avevano creduto ingenuamente che bastasse mostrare la bellezza delle loro utopìe perché tutti le appoggiassero. In opposizione al " socialismo utopista ", il socialismo di Marx e di Engels si chiamò " scientifico ". Nonostante che in una data di poco posteriore (1888), Kautsky fosse riuscito, in un'opera su Tommaso Moro, a portare avanti una revisione marxista del tema dell'utopìa, fu l'opera di Engels, tradotta rapidamente in quasi tutte le lingue d'Europa, ad imporre per molto tempo la sua interpretazione.

Tuttavia, nel nostro secolo, l'utopìa è stata rivalorizzata da vari autori validi, come Herbert Marcuse, Karl Mannheim e, soprattutto, Ernst Bloch. Mannheim difese l'utopìa di fronte all'ideologia: mentre questa elabora miti e idee per conservare l'ordine sociale esistente o restaurare il passato, l'utopìa li elabora per aprire un cammino al futuro.

Bloch difese l'utopìa di fronte al " marxismo freddo " che non è capace di unire la lucidità intellettuale col movente potenziale del " sognare da svegli ". Grazie a questi apporti, oggi siamo in condizioni di valutare con maggiore oggettività che cosa sono le utopìe, come fece Paolo VI nella Octogesima Adveniens (n. 37).

Le utopìe sono, prima di tutto, la proiezione delle aspirazioni più profonde dell'umanità. Esse soddisfano la necessità di rappresentare in qualche modo ciò che non risulta accessibile alla conoscenza sensibile. Partecipano simultaneamente del carattere proprio dell'opera letteraria e filosofica ed hanno una intenzionalità fondamentalmente morale e politica. Compiono tre funzioni principali:

1. Criticare l'ordine stabilito. Si tratta inoltre di un genere letterario che permette di deridere la censura dei regimi autocratici col pretesto della finzione.

2. Prospettare nuovi modelli di società. L'utopìa coincide con la satira nel criticare la società esistente, ma si distingue da essa in quanto, senza rimanere nella pura negazione, offre come alternativa una rappresentazione positiva.

3. Mobilitare le energie capaci di cambiare la società. Oggi, sappiamo che i miti e i simboli hanno un valore di spinta più forte delle idee. Presentano al popolo, in un modo concentrato e denso di emotività, ideali politici capaci di mobilitare energie sociali.

Certamente, l'utopìa comporta anche dei pericoli. Uno di essi è che, concentrando l'attenzione e la volontà su ciò che è irrealizzabile, porti fuori da ciò che è possibile. Un altro pericolo è quello di incitare a lanciarsi in picchiata dal piano dell'utopia a quello della realtà, cercando di lasciare nella realtà una copia esatta e definitiva dell'utopìa. Questo, quasi inevitabilmente, può portare alla repressione e al totalitarismo (Popper).

È esatto affermare che il Regno di Dio è l'utopìa dei cristiani? Si tratta di un altro ordine di realtà che non va situato allo stesso livello delle utopìe intramondane. Queste utopìe sono mediazioni necessarie della speranza del Regno, ma stanno sempre sotto la riserva escatologica.

Bibl. - Baldini M., Il linguaggio delle utopìe, Ed. Studium, Roma, 1974. Colombo A. (ed.), Utopìa e distopìa, Ed. Angeli, Milano, 1987. Fest J., Il sogno distrutto: la fine dell'età delle utopìe, Ed. Garzanti, Milano, 1992. Habermas J., Dopo l'utopìa, Ed. Marsilio, Venezia, 1992. Mancini I., Teologia, ideologia, utopìa, Brescia, 1974. Nanni C., " Utopìa ", in: Dizionario di Scienze dell'Educazione, Elle Di Ci, LAS, SEI, Torino-Roma, 1997, pp. 1154.




Autore: L. González-Carvajal
Fonte: Dizionario sintetico di pastorale (Casiano Floristan - Juan Josè Tamayo)