Agnosticismo
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Il termine agnosticismo fu usato da Th. H. Huxley (1825-1895) per mettere in risalto la sua posizione di fronte alla metafisica, rispetto agli gnostici. Il concetto ha qualcosa di vago. Indica una " mancanza di conoscenza ", o una " impossibilità di conoscere ", almeno per quanto riguarda un certo tipo di conoscere, per esempio, scientifico, razionale o naturale. Può riferirsi al soprasensibile, o al meta-empirico, ma anche alla materia quando non la si sta percependo: è l'idealismo religioso di Berkeley (1685-1753).
Si suole intendere l'agnosticismo in rapporto col problema dell'esistenza di Dio, trascendente infinito. Così, si parla di credenti in contrapposizione agli agnostici. C'è un agnosticismo che non nega ogni conoscenza meta-empirica che illumini l'esperienza e la condizione di possibilità della scienza, ma non ammette una conoscenza razionale, oggettivamente valida e intercomunicabile di Dio. Questo è nella linea di Kant e della concezione del trans-intelligibile di N. Hartmann. Però, Kant concede un primato alla ragione pratica, e in questo modo, è aperto ad una particolare fede razionale nell'esistenza di Dio. Al polo opposto, sta la teologia dialettica. Secondo Barth, la Parola di Dio in cui crediamo e speriamo, e a cui dobbiamo obbedire in vita ed in morte, è Gesù Cristo, così come si manifesta nella Sacra Scrittura. Secondo R. Bultmann, la rivelazione non può essere sottoposta a criteri terreni, ma è una chiamata rivolta all'uomo che gli rivela la sua situazione di peccatore di fronte a Dio, e Dio concede per grazia la sua piustizia. La fede consiste nel comprendere la rivelazione e la propria esistenza come se fossero una stessa cosa. C'è una certa autoevidenza della rivelazione e della fede; però, è necessaria l'indagine storico-critica perché aiuta la comprensione e ricorda costantemente che le basi principali della fede sono storiche.
Non è sempre facile delimitare i concetti di ateismo e di agnosticismo. In un certo modo, il cosiddetto ateismo negativo, quando il problema di Dio non arriva ad impostarsi, ignora completamente la possibilità della trascendenza o dell'infinito, e non sorge nessuna domanda al riguardo: questa sarebbe la forma più rigorosa di agnosticismo. Però, in genere, si intende per agnostico colui che ha, riguardo al problema di Dio, una posizione riflessa che, da una analisi filosofica, conclude che la sua esistenza non si può dimostrare, ma non si può dedurre che non esista. La critica dell'agnostico non è dogmatica in quanto non supera la posizione del " non mi convince ".
La problematica dell'agnostico è distinta da quella dell'ateo. Egli non nega, ma semplicemente non intende, non afferma, e orienta la sua visione del mondo verso altre prospettive. Si potrebbe tentare una fenomenologia del comportamento agnostico come una contrapposizione del comportamento ateo, anche se non tutti gli atei si riconoscerebbero in essa. L'ateo militante vivrebbe una specie di impegno contro Dio, sentendo in sè una larvata necessità di Dio e lottando contro di essa: non vuole che Dio esista. Altri combattono la credenza in Dio per motivi sociali: ritengono che l'idea di Dio sia nociva per le possibilità di emancipazione dell'uomo e per la liberazione degli oppressi. La teologia della liberazione lavora per purificare l'idea di Dio, partendo dalla tradizione biblica e cristiana; cercando di superare questi equivoci.
Ci sono degli agnostici, come M. de Unamuno, che presentano un aspetto agonistico, cioè, di lotta, ma in un senso opposto a quello degli atei militanti. Unamuno è lacerato tra la necessità di credere, sulla base di un anelito ansioso di immortalità, e l'impossibilità di superare un razionalismo che rifiuta il mistero. Altri agnostici, come, per esempio, E. Tierno Galván, coltivano la serenità al massimo grado, valutando positivamente il fatto di adagiarsi in modo consapevole e responsabile nella finitezza. Essi ritengono che l'insoddisfazione di fronte al mondo sia un prodotto culturale umano che può essere superato. Provano, però, un grande rispetto per la fede dei credenti autentici. C'è in parecchi agnostici una dimensione in certo senso religiosa, che tende a collegarsi nella preghiera con il Fondamento, sia pure senza personalizzarlo. Per questa via, sono aperti ad una qualche forma di mistero, ad una profondità ineffabile del finito concreto. Così, in pratica, incontrano tutto ciò che è necessario.
Bibl. - Antiseri D., Filosofia analitica e semantica del linguaggio religioso, Ed. Queriniana, Brescia, . Groth B., " Agosticismo ", in: Dizionario di Teologia Fondamentale, Ed. Cittadella, Assisi, 1990, pp. 4-6. Kant I., " Dialettica trascendentale ", in: Critica della ragion pura, Brescia, . Panikkar A., Religione e religioni, Ed. Morcelliana, Brescia, 1964. Sciacca M., " Agnosticismo ", in: Enciclopedia Filosofica, I, Venezia-Roma, 1957, pp. 74-78.
Autore: J.M. Díez-Alegría
Fonte: Dizionario sintetico di pastorale (Casiano Floristan - Juan Josè Tamayo)