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Giovedi, 18 aprile 2024 - San Galdino ( Letture di oggi)

Giudizio di Dio


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Atto o espressione con cui Dio manifesta la sua volontà per l'uomo e più precisamente lo "giudica" con una sentenza generale, o particolare. a) Nel V. T. sono spesso chiamati "giudizi", nel senso generalissimo di espressione della sua volontà, le "leggi" (Lev. 18, 4.5.26; 19, 37; Deut. 4, 1; nel Salmo 119 [118] «iudicia tua» ecc.), le irreprensibili decisioni della sua giustizia (Ps. 19, 10; Ier. II, 20; Tob. 3, 2 ecc.), che sono favorevoli (Is. 59, 9.14), o vendicative (Is. 53, 8; Ier. 1, 16; Ez. 38, 22), fino ad assumere il senso di "castighi", sull'Egitto (Ex. 6, 6), Moab (Ez. 25, 11), gli empi (Prov. 19, 29), ecc.
Più precisamente l'espressione ha alle volte un senso forense. Dio giudica sempre secondo il merito (Gen. 18, 25; Is. 32, 22; Ps. 7, 12; 50, 6; 78, 5 ecc.), il suo popolo (Is. 3, 13; Ez. 34, 17; Mal. 3, 5) e gli altri popoli (Ioel 4, 12; Mi. l, 2; Ps. 96, 10, 13; 98, 9), tutta l'umanità alla fine dei giorni e gli individui alla loro morte. Questo secondo concetto fu esplicito solo in testi più recenti (Sap. 1, 8-10; 6, 3-8; cf. Eccli. 38, 22 [Volg 23]). In Dan. 7, 9 ss. il Giudice «antico di giorni», i seggi per la corte, i libri (da cui sono cancellati i nomi degli empi: Dan. 12, l, mentre vi sono scritti i nomi dei buoni, che devono quindi rallegrarsene: Lc. 10, 20) sono elementi che dànno anche la sceneggiatura di un g. di Dio, che viene così a coincidere in qualche particolare con figurazioni poetiche dell'Egitto e della Persia, diventate comuni alla cultura dell'antico Oriente, ma non dipende da esse nell'idea centrale di Dio Giudice, che è tutto della tradizione monoteista ebraica. Nel paganesimo l'idea è incerta e lacunosa a causa dell'insufficienza della teodicea: nella rivelazione biblica invece la giustizia è uno degli attributi sempre risultati essenziali del divino. Gli sviluppi rappresentativi si possono vedere portati alle estreme conseguenze negli apocrifi, specialmente Enoch.
b) Ugualmente appartenente al fondo più antico della fede israelitica a cui è proprio (fede, e quindi connesso con la rivelazione, non semplicemente "tradizione popolare") è il concetto assai complicato di un intervento personale di Dio nella storia umana, per fare giustizia definitiva, con premi e punizioni, in un "giorno", che vien detto "del Signore" per eccellenza. La documentazione più antica del termine non va oltre i profeti (Am. 5, 11; Is. 13-, 6.9; Ier. 46, 10; Ez. 7, 19 ecc.: in tutto 29 volte, senza contare le variazioni: «quel giorno, il giorno dell'ira», ecc.), e si ritrova in altri scritti (Ps. 97, 8 s., ecc.); ma i profeti vi si riferiscono come a una nozione corrente e diffusa, su cui portano la loro critica. Il giorno del Signore - essi insegnano - vedrà, sì, la glorificazione di Dio, ma non quella d'Israele, così come esso è: e Dio sarà glorificato col premiare il bene, ma anche col punire il male, di tutti i popoli (e questa è una delle più concrete delle loro dichiarazioni monoteistiche), e anche di Israele (onde l'espressione viene da essi ritenuta in esclusivo senso teologico- morale, e spogliata di ogni interpretazione nazionalistica e temporale). Alle volte poi l'espressione in forza del contesto risulta riferita al primo "giudizio messianico" (cf. la predicazione di Giovanni Battista, Mt. 3, 7 ecc.), di scelta degli "eletti" per il regno messianico, la Chiesa.
c) Nel N. T. il g. di D. rimane uno degli elementi fondamentali per l'impostazione escatologica preparata nel V. T., ma completamente, seppur gradualmente, rinnovata. Il g. di D. appare concepito secondo questo fondo antico e man mano precisato nei Sinottici (Mt. 7, 2-8; 13, 40; 25, 31 ss.), in san Paolo (Rom. 1, 18-3, 20) e san Giovanni (3, 17-19; 5, 24; cf. 12, 31; 16, 11).
Vien distinto un giudizio messianico finale (su cui v. Giudizio universale) e uno messianico attuale, che è un giudizio diverso, più inteso a salvare, che a condannare (Io. 3, 17; 12, 47; 8, 15).
Un chiaro rilievo acquista nel N. T. l'annuncio del giudizio particolare di ogni uomo alla sua morte nei discorsi di Gesù (Mt. 5, 25-26; 12, 36), nelle parabole (Mt. 22, 11.14; 25, 30) e in san Paolo (Rom. 2, 16; Hebr. 9, 27; 10, 21-27).
[G. R.]

BIBL. - L. CERNY, The Day of Yahweh and some relevant Problems, Praga 1948; P. REINISCH, Teologia del V. T. Torino 1950, pp. 329-44; G. RINALDI, I profeti minori, fasc. I (Torino 1952), p. 49 ss.

Autore: Padre Giovanni Rinaldi
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora