Giudaismo
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È il complesso religioso e sociale, del nuovo Israele, rinato dopo il ritorno dall'esilio, sull'antico territorio della tribù di Giuda, intorno a Gerusalemme che col Tempio ritorna centro propulsore di pura fede iahwistica e della più viva speranza messianica.
I superstiti del regno di Samaria (dieci tribù settentrionali), deportati nel 722 a. C. in Assiria, furono assorbiti dalle genti; essi erano già fuori dell'alleanza del Sinai. I deportati del regno di Giuda, nel 597 a. C., costituirono il nucleo centrale di quel "resto", che il Signore si riservava per la continuità del suo disegno di salvezza (Ez. 11, 13-20; 37, 12; Ier. 24, 5; 29).
Sistemati, almeno nella maggior parte, lungo il gran canale (Nar-Kabari) tra Babel e Nippur essi godevano di una relativa autonomia. Adibiti ai lavori dei campi (cf. il nome Tell-Abib, colle della spiga, Ez. 3, 15; Tell-Harsa, colle dell'aratro, Esd. 2, 59, ecc.) formavano delle colonie, nelle quali gli anziani ritenevano una certa autorità (Ez. 8, 1; 14, 1; 20, 1). Il consiglio dato da Geremia (c. 29) di costruire case, piantare orti, la prosperità che troveremo in esse al momento del rimpatrio, mostrano che ciascuno poteva migliorare le proprie condizioni, divenendo anche proprietari. I Caldei si contentavano dell'alta sorveglianza, che curavano di far sentire il meno possibile (cf. Ier. 29 sulla uccisione dei falsi profeti ostili ai Caldei).
Le loro condizioni religiose e morali, almeno all'inizio, erano tutt'altro che promettenti; mentre grave era il pericolo di uno smarrimento definitivo, esposti come erano al fascino dei culti grandiosi tributati agli dèi dai Caldei vincitori.
Essi fidavano ciecamente in un ritorno trionfante: Iahweh doveva pigliarsi la rivincita. Era impossibile che Gerusalemme fosse distrutta; il Tempio col culto a Iahweh, ne era il palladio; Dio poteva permettere un castigo momentaneo, ma non una distruzione; ne andava di mezzo il suo prestigio, la sua stessa esistenza. Essi avevano assorbito la falsa mentalità della religione popolare (v.), secondo la quale tutta la religione si esaurisce nel culto.
La distruzione di Gerusalemme (537 a. C.) avrebbe pertanto costituito il tracollo di ogni speranza, la fine della loro fede, e il passaggio all'idolatria. Fu opera dei profeti, Isaia, Geremia, e più direttamente Ezechiele (v.), la preservazione del "resto".
Dal 593 al 537, Ezechiele, il timido sacerdote, deportato e profeta dei suoi compagni di esilio, ripiglia e svolge energicamente, sistematicamente l'insegnamento dei precedenti, comunicando la parola dell'Eterno. Iahweh li ha tolti dalla tormenta per convertirli; essi sono l'oggetto dei suoi divini disegni per il futuro. Iahweh è in mezzo a loro, lì in Babilonia. Smettano ogni stolta illusione di rivincita: Dio stesso ha dato la Palestina a Nabucodonosor; Gerusalemme e il tempio saran distrutti (4-12.21 ecc.; cf. Ier. 7, 12-15; 26,4-9; Mi. 3,12 s.); lo esige la divina giustizia oltraggiata fin nella sua casa (Ez. 8; 22). Israele ha violato l'alleanza (v.), deve subirne le sanzioni (distruzione del regno, esilio): (Ez. 14.16.20. 22 s.).
Ma il castigo è solo medicinale (cf. Lev. 26; Deut. 28); tende alla loro conversione. In tal modo, gli eventi del 587, preannunziati fin nei dettagli, fanno riconoscere ai deportati che Ezechiele è vero portavoce di Iahweh; e questi può con efficacia dedicarsi ora a rialzare il loro morale, preannunziando a tinte radiose il futuro Israele che rinascerà sui colli di Palestina (Ez. 33-48). Era un richiamo alle mirabili profezie di Isaia (cc. 40-66) e di Geremia (cc. 31-33).
Iahweh nella sua misericordia dopo 70 anni (Ier. 25, 6; 29), riporterà in patria il "resto" purificato; con esso rinnoverà l'alleanza del Sinai, la quale avrà finalmente nel rinato Israele quella fedele corrispondenza, mancata finora. Seguirà direttamente il regno del Messia, termine ultimo del disegno divino.
Nell'esilio, il "resto" subirà la prova e molti verranno scartati (Ez. 20, 33-38; 34, 16 s.). Le stesse circostanze favorivano una tale cernita.
A tale preparazione infine contribuì grandemente la missione profetica del longevo Daniele (v.).
La restaurazione. - Esd. Neh. Agg. Zach. e Mal. ci permettono di ricostruire nelle linee centrali, come si realizzò la rinascita nazionale.
La prima carovana degli esuli, che dopo l'editto di Ciro (538 a. C.; v.) rientravano in patria (a. 537), aveva alla sua testa Zorobabel, principe della casa di David, e il sommo sacerdote Giosuè (Esd. 2, 1 s.; 3·, 2 ecc.).
Erano ca. 40.000 (Esd. 1, 64); della tribù di Giuda e Beniamino (1, 5); sacerdoti e leviti in gran numero. Esdra ne ricondusse poi altri 6.000 (Esd. 7-8; cf. Neh. 7; 11-12). Essi s'insediarono a Gerusalemme e nei paesi attorno. Si tratta del solo regno o territorio di Giuda. Essi sono il "resto" che il Signore si è riservato (Esd. 9, 8.13 ss.); costituiscono il "popolo di Iahweh" (Esd. 2, 28).
Come primo loro atto, manifestazione sicura della fede che li animava, sette mesi dopo il ritorno (cioè il tempo appena sufficiente per rientrare in possesso delle proprietà, mediante riscatto, ecc.), essi drizzarono l'altare ed incominciarono la ricostruzione del Tempio. Le profezie (cf. Ez. 11, 16; 40-46) che Iahweh avrebbe ancora una volta ricevuto a Gerusalemme l'antico culto, si realizzavano.
La costruzione, sospesa per l'accanita ostilità dei vicini, con a capo i Samaritani, fu ripresa, dopo ca. 16 anni, nel 520, 20 anno di Dario I; condotta a termine, ne fu celebrata la inaugurazione solenne (Esd. 5-6). Altare e Tempio, costruzione materiale e inizio del culto, furono il primo passo della rinascita.
Segue nel 445-4 ca. la ricostruzione delle mura di Gerusalemme, ad opera di Neemia (Neh. 3-6). Intanto era già in atto la riforma civile e religiosa; la lotta cioè contro l'ingiustizia sociale e i matrimoni misti (Esd. 9-10); lotta che proseguirà e sarà condotta a buon fine con la solenne rinnovazione dell'alleanza (Neh. 8-10). Aggeo e Zaccaria cooperano efficacemente alla ricostruzione del Tempio, alla ripresa del culto. Malachia fece molto per la riforma religiosa: per la dignità ed elevatezza del culto, e contro i matrimoni misti. Essi elevarono gli animi dei rimpatriati, schiacciati dal peso delle difficoltà. Il decreto di Ciro non imponeva agli esuli il ritorno, ma lo concedeva a quanti lo desideravano. Le ricchezze acquisite, i commerci avviati, suggerivano alla maggior parte di restare nella terra ormai così ospitale; mentre i disagi di un lungo viaggio, le incognite che la Giudea, con i recenti abitanti, dopo più di quaranta anni, poteva riservare; e le difficoltà inerenti a ogni ricostruzione disarmavano facilmente i meno ferventi, i meno volenterosi. Solo una fede ardente doveva spingere gli esuli, a partecipare personalmente all'impresa.
Gli altri si limitarono a finanziarla. Questi ardenti iahwisti, nell'iniziar la lunga via del deserto per il ritorno ritenendosi il "resto" o "germe santo" benedetto da Iahweh (cf. Agg. 1, 12; Zach. 8, 6) pensavano si sarebbero realizzate in loro le promesse di prosperità, di pace, che riempiono la seconda parte di Is. e specialmente Ez. 34, 25-31; 35-37. Invece (cf. Esd. 3-4; Neh.) nulla trovarono della sognata felicità, bensì la consueta vita ordinaria, oberata da maggior lavoro e resa incerta, gravosa dai pericoli esterni, dalle insidie di ogni sorta; per i poveri infine (cf. Neh. 5) dall'esosa usura dei ricchi. Fu brusco il passaggio dall'illusione alla dura realtà (cf. Ps. 126; 85; Volgata: 125, 84).
Le profezie assicuravano la protezione di Iahweh, e parlavano della restaurazione e del regno del Messia, cui essa era ordinata.
Bisognava pur supporre la cooperazione e la fatica dei membri della rinascita (Cf. Dan. 9). Il Signore per i suoi mirabili disegni si serve sempre degli uomini; realizzandoli attraverso le loro debolezze ed insufficienze.
Bisognava non confondere i due stadi della rinascita; la preparatoria e la definitiva; soltanto a quest'ultima, cioè al regno del Messia, si riferivano molte delle promesse profetiche.
L'attività di Esdra e Neemia, lo zelo di Zorobabele e del sommo sacerdote, la predicazione ispirata di Aggeo, Zaccaria, Gioele e Malachia portarono a compimento l'opera di ricostruzione, assicurarono la vita al riacceso focolare nazionale. Il G. era fondato.
«Con ciò bisogna intendere prima di tutto che i figli d'Israele erano ridotti al solo regno di Giuda. Isolati sulle loro montagne, i Giudei formavano un gruppo abbastanza compatto, un vero focolare. La loro influenza si irraggiava su le comunità dovunque disperse che conservassero il ricordo dell'antica alleanza e l'attaccamento all'antica religione (v. Diaspora» (Lagrange).
Note essenziali del G.: mancanza di ogni peccato d'idolatria; assenza di ogni sincretismo (v. Cantica), governo sacerdotale. «Dopo la restaurazione Iahweh regnò solo. Stretta rimaneva l'alleanza tra i Giudei e il loro Dio».
Solo ora la legge mosaica diventa veramente il codice religioso e civile della comunità, che ne cura la scrupolosa attuazione. Iahweh è il vero principe di Giuda. «Dopo aver tollerato che Zorobabel fosse a capo degli emigranti, la corte persiana fece un passo indietro; l'autorità fu confidata al satrapo della regione al di là del fiume. Gerusalemme ebbe il suo prefetto particolare che poteva essere giudeo, come Neemia. Il gran sacerdote rimase il vero capo di un popolo che si distingueva dagli altri per un culto speciale ed esclusivo. Si trattava di un piccolo stato religioso. Il G. fu una teocrazia; il potere di Dio era assicurato da un sacerdozio ereditario» (Lagrange).
Del nuovo Israele possono far parte anche i Gentili (Is. 56, 1-9), rinunziando all'idolatria e abbracciando la fede di Iahweh. Ma restavano casi isolati, questi Gentili di fede iahwistica; solo il regno del Messia si estenderà a tutti gli uomini. La mentalità giudaica, dopo l'esilio, anche per le sofferenze subite, sentì fortemente l'orgoglio della rinascita nazionale e fu spinta piuttosto ad un esclusivismo intransigente (v. Giona). L'episodio dei Samaritani (Esd. 4, 2-5), la cui offerta di cooperare alla ricostruzione del tempio viene senz'altro respinta da Zorobabel e dai capi dei rimpatriati, mostra da una parte lo zelo per conservare pura la fede di Iahweh lungi da ogni forma sincretistica; ma anche quale fosse la loro mentalità circa le relazioni con gli altri; è il distacco più netto. Il periodo della ricostruzione materiale e religiosa va dal 537 al 400 a. C., seguono quindi due secoli di tranquillità.
Anche il passaggio sotto l'egemonia greca non turbò la vita della comunità giudaica. Dopo la battaglia di Isso (333 a. C.), contro Dario III, ultimo imperatore persiano, Alessandro Magno scende a impadronirsi della Siria e della Palestina. Tiro fu espugnata dopo un assedio di 7 mesi (agosto 332); Gaza, l'antica città filistea, resiste soltanto due mesi. Secondo Flavio Giuseppe (Ant. XI, 8.4 s.) il grande Macedone, conquistata Gaza si sarebbe recato a Gerusalemme, accolto con grandi onori dal popolo e dal sommo sacerdote Iaddo; avrebbe offerto dei sacrifizi nel Tempio, concedendo ampi favori al popolo. Si ritiene comunemente che in realtà Alessandro abbia dimostrato (secondo la sua norma abituale) una benevola tolleranza verso la comunità di Gerusalemme, che non subì danni di sorta. Tutto il resto è considerato leggendario, Alla morte di Alessandro (323 a. C.) altri sovrani della Palestina furono i Tolomei d'Egitto. Essi si contentavano di riscuotere i tributi locali; non urtarono mai i sentimenti iahwistici. della comunità di Gerusalemme. Inoltre il continuo riversarsi della popolazione palestinese in Egitto, specialmente nella nuova capitale Alessandria, e i favori con cui i Tolomei promossero questa immigrazione (v. Diaspora), crearono tra Gerusalemme e i Tolomei una corrente di simpatia, la quale continuò ancora quando la sovranità di Palestina, con la battaglia di Panion (l'attuale Banjas, nel I sec. d. C., chiamata Cesarea di Filippo), passò ai Seleucidi di Siria (verso il 198 a. C.).
Da questo momento, la comunità giudaica, per l'intrigo della famiglia ammonita dei Tobiadi che cerca ingerirsi negli affari interni di Gerusalemme, per affermarvi il proprio predominio amministrativo e civile, e per l'influsso dell'ellenismo su alcuni gruppi sacerdotali degeneri, subisce delle scosse, che sfoceranno quindi nella persecuzione feroce di Antioco IV Epifane (v.).
Egli volle imporre con la forza i costumi e la mentalità greca, schiantando la teocrazia, la religione giudaica.
Il 15 dic. 167 a. C. fu eretta nel Tempio la statua di Giove Olimpico e cessò il sacrificio quotidiano. Si impose a tutti il culto idolatrico sotto pena di morte; e la stessa pena fu comminata a quanti osservassero le prescrizioni della legge mosaica, incominciando dalla circoncisione dei bimbi.
Antioco Epifane (175-163 a. C.), pur nella sua strapotenza, non raggiunse lo scopo, e la lotta fu continuata dai suoi successori, protraendosi fino a Demetrio II, allorché Simone Maccabeo (142-141 a. C.) raccolse il frutto dei sacrifici eroici compiuti dai suoi fratelli (v. Maccabei), che morirono tutti nella direzione dell'epica lotta, condotta in nome di Dio e della sua santa legge.
Molti Giudei, sacerdoti e sommi sacerdoti, usurpatori (Giasone, Menelao, Alcimo) furono dell'esercito di Satana, tradirono il paese e la religione; si unirono ai pagani contro i propri correligionari, superandoli spesso nella ferocia e nella violazione di ogni patto giurato. Ma rifulsero i fedeli e i martiri. La vittoria rimase al Signore, e la teocrazia sopravvisse, purificata da tante scorie, come avevano preannunziato Ez. 38-39; Dan. 7- 12; Agg. 2,6·9.20-23; Ioel 4,9.17. L'assalto non era stato meno poderoso di quello di Nabucodonosor, specialmente tenendo conto dei tradimenti all'interno e dell'assoluta impreparazione bellica della comunità giudaica; ma allora, Giuda col suo sincretismo violava l'alleanza del Sinai, mentre adesso la rinata teocrazia aveva bandito ogni idolatria e osservava le condizioni del patto. E Iahweh mostrò palesemente la sua protezione onnipotente (v. Maccabei, libro I-II).
Con Simone Maccabeo termina il periodo dell'insurrezione entusiastica, guidata dai figli del sacerdote Mattatia, e cominciano con Giovanni Ircano, figlio di Simone (134 a. C.), le vicende abituali di una dinastia, quella degli Asmonei (v. Maccabei). Le loro guerre sono assai più dinastiche che iahwistiche; peggio ancora, essi non sono più i rappresentanti della maggiore e miglior parte di una nazione insorta, ma diventano man mano dei capi-partito, che si appoggiano su una frazione dei loro antichi seguaci e ne osteggiano un'altra (v. Farisei e Sadducei); e arrivano perfino a transazioni ed accomodamenti con quel mondo spirituale, contro cui gli antichi Maccabei avevano combattuto fino a guadagnarsi il seggio principesco.
Possiamo dire pertanto che le loro vicende rimangono al di fuori del G. come l'abbiamo definito all'inizio: Daniele, forse per questo, termina sempre i suoi vaticini all'epica lotta dei Maccabei; alla morte del persecutore, riallacciando direttamente la teocrazia vittoriosa all'avvento del Messia.
Le beghe di una dinastia, al di fuori della casa davidica, portarono, tra lotte interne, all'intervento di Roma (63 a. C.) e all'avvento sul trono di Giuda, di un feroce idumeo, Erode (v.), sotto la tutela di Cesare.
In questi due secoli (dal 175 a. C. alla venuta di Gesù) si formarono e svilupparono i raggruppamenti e le istituzioni, che troviamo al tempo di N. Signore: Farisei, Sadducei, Esseni, Sinedrio, Sinagoghe ecc. (v. voci rispettive); e principalmente la concezione ristretta di un messianismo nazionalistico, con l'esclusione dei Gentili dalla salvezza; come è facile riscontrare nella abbondante letteratura apocrifa (v. Messia). Il puritanesimo dei Farisei, l'altera e scettica intransigenza del Sinedrio, si ergeranno contro il divin Redentore, gli Apostoli e la Chiesa nascente.
La tragica deviazione del G. avrà la sua fine e il suo castigo, nella distruzione di Gerusalemme (70 d. C.), dopo il tremendo assedio di tre anni, preannunziati con tanta vivacità e particolari in Mt. 24; Mc. 13; Lc. 17, 20-18, 8; 21.
Con le rovine del Tempio, si spense ano che esteriormente quel focolare riacceso a Gerusalemme dal 537 a. C.; esso aveva già perduto ogni senso e valore alla morte di Cristo, quando il velo del Santissimo si era lacerato (Mt. 27, 51).
[F. S.]
BIBL. - M. J. LAGRANGE. Le Judaisme avant Jésus-Christ, 3a ed., Parigi 1931, (cf. particolarmente, pp. 14-61); G. RICCIOTTI, Storia d'Israele, II, 2a ed., Torino 1935; F. SPADAFORA, Collettivismo e individualismo nel Vecchio Testamento, Rovigo 1953, pp. 266-96.
Autore: Mons. Francesco Spadafora
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora
I superstiti del regno di Samaria (dieci tribù settentrionali), deportati nel 722 a. C. in Assiria, furono assorbiti dalle genti; essi erano già fuori dell'alleanza del Sinai. I deportati del regno di Giuda, nel 597 a. C., costituirono il nucleo centrale di quel "resto", che il Signore si riservava per la continuità del suo disegno di salvezza (Ez. 11, 13-20; 37, 12; Ier. 24, 5; 29).
Sistemati, almeno nella maggior parte, lungo il gran canale (Nar-Kabari) tra Babel e Nippur essi godevano di una relativa autonomia. Adibiti ai lavori dei campi (cf. il nome Tell-Abib, colle della spiga, Ez. 3, 15; Tell-Harsa, colle dell'aratro, Esd. 2, 59, ecc.) formavano delle colonie, nelle quali gli anziani ritenevano una certa autorità (Ez. 8, 1; 14, 1; 20, 1). Il consiglio dato da Geremia (c. 29) di costruire case, piantare orti, la prosperità che troveremo in esse al momento del rimpatrio, mostrano che ciascuno poteva migliorare le proprie condizioni, divenendo anche proprietari. I Caldei si contentavano dell'alta sorveglianza, che curavano di far sentire il meno possibile (cf. Ier. 29 sulla uccisione dei falsi profeti ostili ai Caldei).
Le loro condizioni religiose e morali, almeno all'inizio, erano tutt'altro che promettenti; mentre grave era il pericolo di uno smarrimento definitivo, esposti come erano al fascino dei culti grandiosi tributati agli dèi dai Caldei vincitori.
Essi fidavano ciecamente in un ritorno trionfante: Iahweh doveva pigliarsi la rivincita. Era impossibile che Gerusalemme fosse distrutta; il Tempio col culto a Iahweh, ne era il palladio; Dio poteva permettere un castigo momentaneo, ma non una distruzione; ne andava di mezzo il suo prestigio, la sua stessa esistenza. Essi avevano assorbito la falsa mentalità della religione popolare (v.), secondo la quale tutta la religione si esaurisce nel culto.
La distruzione di Gerusalemme (537 a. C.) avrebbe pertanto costituito il tracollo di ogni speranza, la fine della loro fede, e il passaggio all'idolatria. Fu opera dei profeti, Isaia, Geremia, e più direttamente Ezechiele (v.), la preservazione del "resto".
Dal 593 al 537, Ezechiele, il timido sacerdote, deportato e profeta dei suoi compagni di esilio, ripiglia e svolge energicamente, sistematicamente l'insegnamento dei precedenti, comunicando la parola dell'Eterno. Iahweh li ha tolti dalla tormenta per convertirli; essi sono l'oggetto dei suoi divini disegni per il futuro. Iahweh è in mezzo a loro, lì in Babilonia. Smettano ogni stolta illusione di rivincita: Dio stesso ha dato la Palestina a Nabucodonosor; Gerusalemme e il tempio saran distrutti (4-12.21 ecc.; cf. Ier. 7, 12-15; 26,4-9; Mi. 3,12 s.); lo esige la divina giustizia oltraggiata fin nella sua casa (Ez. 8; 22). Israele ha violato l'alleanza (v.), deve subirne le sanzioni (distruzione del regno, esilio): (Ez. 14.16.20. 22 s.).
Ma il castigo è solo medicinale (cf. Lev. 26; Deut. 28); tende alla loro conversione. In tal modo, gli eventi del 587, preannunziati fin nei dettagli, fanno riconoscere ai deportati che Ezechiele è vero portavoce di Iahweh; e questi può con efficacia dedicarsi ora a rialzare il loro morale, preannunziando a tinte radiose il futuro Israele che rinascerà sui colli di Palestina (Ez. 33-48). Era un richiamo alle mirabili profezie di Isaia (cc. 40-66) e di Geremia (cc. 31-33).
Iahweh nella sua misericordia dopo 70 anni (Ier. 25, 6; 29), riporterà in patria il "resto" purificato; con esso rinnoverà l'alleanza del Sinai, la quale avrà finalmente nel rinato Israele quella fedele corrispondenza, mancata finora. Seguirà direttamente il regno del Messia, termine ultimo del disegno divino.
Nell'esilio, il "resto" subirà la prova e molti verranno scartati (Ez. 20, 33-38; 34, 16 s.). Le stesse circostanze favorivano una tale cernita.
A tale preparazione infine contribuì grandemente la missione profetica del longevo Daniele (v.).
La restaurazione. - Esd. Neh. Agg. Zach. e Mal. ci permettono di ricostruire nelle linee centrali, come si realizzò la rinascita nazionale.
La prima carovana degli esuli, che dopo l'editto di Ciro (538 a. C.; v.) rientravano in patria (a. 537), aveva alla sua testa Zorobabel, principe della casa di David, e il sommo sacerdote Giosuè (Esd. 2, 1 s.; 3·, 2 ecc.).
Erano ca. 40.000 (Esd. 1, 64); della tribù di Giuda e Beniamino (1, 5); sacerdoti e leviti in gran numero. Esdra ne ricondusse poi altri 6.000 (Esd. 7-8; cf. Neh. 7; 11-12). Essi s'insediarono a Gerusalemme e nei paesi attorno. Si tratta del solo regno o territorio di Giuda. Essi sono il "resto" che il Signore si è riservato (Esd. 9, 8.13 ss.); costituiscono il "popolo di Iahweh" (Esd. 2, 28).
Come primo loro atto, manifestazione sicura della fede che li animava, sette mesi dopo il ritorno (cioè il tempo appena sufficiente per rientrare in possesso delle proprietà, mediante riscatto, ecc.), essi drizzarono l'altare ed incominciarono la ricostruzione del Tempio. Le profezie (cf. Ez. 11, 16; 40-46) che Iahweh avrebbe ancora una volta ricevuto a Gerusalemme l'antico culto, si realizzavano.
La costruzione, sospesa per l'accanita ostilità dei vicini, con a capo i Samaritani, fu ripresa, dopo ca. 16 anni, nel 520, 20 anno di Dario I; condotta a termine, ne fu celebrata la inaugurazione solenne (Esd. 5-6). Altare e Tempio, costruzione materiale e inizio del culto, furono il primo passo della rinascita.
Segue nel 445-4 ca. la ricostruzione delle mura di Gerusalemme, ad opera di Neemia (Neh. 3-6). Intanto era già in atto la riforma civile e religiosa; la lotta cioè contro l'ingiustizia sociale e i matrimoni misti (Esd. 9-10); lotta che proseguirà e sarà condotta a buon fine con la solenne rinnovazione dell'alleanza (Neh. 8-10). Aggeo e Zaccaria cooperano efficacemente alla ricostruzione del Tempio, alla ripresa del culto. Malachia fece molto per la riforma religiosa: per la dignità ed elevatezza del culto, e contro i matrimoni misti. Essi elevarono gli animi dei rimpatriati, schiacciati dal peso delle difficoltà. Il decreto di Ciro non imponeva agli esuli il ritorno, ma lo concedeva a quanti lo desideravano. Le ricchezze acquisite, i commerci avviati, suggerivano alla maggior parte di restare nella terra ormai così ospitale; mentre i disagi di un lungo viaggio, le incognite che la Giudea, con i recenti abitanti, dopo più di quaranta anni, poteva riservare; e le difficoltà inerenti a ogni ricostruzione disarmavano facilmente i meno ferventi, i meno volenterosi. Solo una fede ardente doveva spingere gli esuli, a partecipare personalmente all'impresa.
Gli altri si limitarono a finanziarla. Questi ardenti iahwisti, nell'iniziar la lunga via del deserto per il ritorno ritenendosi il "resto" o "germe santo" benedetto da Iahweh (cf. Agg. 1, 12; Zach. 8, 6) pensavano si sarebbero realizzate in loro le promesse di prosperità, di pace, che riempiono la seconda parte di Is. e specialmente Ez. 34, 25-31; 35-37. Invece (cf. Esd. 3-4; Neh.) nulla trovarono della sognata felicità, bensì la consueta vita ordinaria, oberata da maggior lavoro e resa incerta, gravosa dai pericoli esterni, dalle insidie di ogni sorta; per i poveri infine (cf. Neh. 5) dall'esosa usura dei ricchi. Fu brusco il passaggio dall'illusione alla dura realtà (cf. Ps. 126; 85; Volgata: 125, 84).
Le profezie assicuravano la protezione di Iahweh, e parlavano della restaurazione e del regno del Messia, cui essa era ordinata.
Bisognava pur supporre la cooperazione e la fatica dei membri della rinascita (Cf. Dan. 9). Il Signore per i suoi mirabili disegni si serve sempre degli uomini; realizzandoli attraverso le loro debolezze ed insufficienze.
Bisognava non confondere i due stadi della rinascita; la preparatoria e la definitiva; soltanto a quest'ultima, cioè al regno del Messia, si riferivano molte delle promesse profetiche.
L'attività di Esdra e Neemia, lo zelo di Zorobabele e del sommo sacerdote, la predicazione ispirata di Aggeo, Zaccaria, Gioele e Malachia portarono a compimento l'opera di ricostruzione, assicurarono la vita al riacceso focolare nazionale. Il G. era fondato.
«Con ciò bisogna intendere prima di tutto che i figli d'Israele erano ridotti al solo regno di Giuda. Isolati sulle loro montagne, i Giudei formavano un gruppo abbastanza compatto, un vero focolare. La loro influenza si irraggiava su le comunità dovunque disperse che conservassero il ricordo dell'antica alleanza e l'attaccamento all'antica religione (v. Diaspora» (Lagrange).
Note essenziali del G.: mancanza di ogni peccato d'idolatria; assenza di ogni sincretismo (v. Cantica), governo sacerdotale. «Dopo la restaurazione Iahweh regnò solo. Stretta rimaneva l'alleanza tra i Giudei e il loro Dio».
Solo ora la legge mosaica diventa veramente il codice religioso e civile della comunità, che ne cura la scrupolosa attuazione. Iahweh è il vero principe di Giuda. «Dopo aver tollerato che Zorobabel fosse a capo degli emigranti, la corte persiana fece un passo indietro; l'autorità fu confidata al satrapo della regione al di là del fiume. Gerusalemme ebbe il suo prefetto particolare che poteva essere giudeo, come Neemia. Il gran sacerdote rimase il vero capo di un popolo che si distingueva dagli altri per un culto speciale ed esclusivo. Si trattava di un piccolo stato religioso. Il G. fu una teocrazia; il potere di Dio era assicurato da un sacerdozio ereditario» (Lagrange).
Del nuovo Israele possono far parte anche i Gentili (Is. 56, 1-9), rinunziando all'idolatria e abbracciando la fede di Iahweh. Ma restavano casi isolati, questi Gentili di fede iahwistica; solo il regno del Messia si estenderà a tutti gli uomini. La mentalità giudaica, dopo l'esilio, anche per le sofferenze subite, sentì fortemente l'orgoglio della rinascita nazionale e fu spinta piuttosto ad un esclusivismo intransigente (v. Giona). L'episodio dei Samaritani (Esd. 4, 2-5), la cui offerta di cooperare alla ricostruzione del tempio viene senz'altro respinta da Zorobabel e dai capi dei rimpatriati, mostra da una parte lo zelo per conservare pura la fede di Iahweh lungi da ogni forma sincretistica; ma anche quale fosse la loro mentalità circa le relazioni con gli altri; è il distacco più netto. Il periodo della ricostruzione materiale e religiosa va dal 537 al 400 a. C., seguono quindi due secoli di tranquillità.
Anche il passaggio sotto l'egemonia greca non turbò la vita della comunità giudaica. Dopo la battaglia di Isso (333 a. C.), contro Dario III, ultimo imperatore persiano, Alessandro Magno scende a impadronirsi della Siria e della Palestina. Tiro fu espugnata dopo un assedio di 7 mesi (agosto 332); Gaza, l'antica città filistea, resiste soltanto due mesi. Secondo Flavio Giuseppe (Ant. XI, 8.4 s.) il grande Macedone, conquistata Gaza si sarebbe recato a Gerusalemme, accolto con grandi onori dal popolo e dal sommo sacerdote Iaddo; avrebbe offerto dei sacrifizi nel Tempio, concedendo ampi favori al popolo. Si ritiene comunemente che in realtà Alessandro abbia dimostrato (secondo la sua norma abituale) una benevola tolleranza verso la comunità di Gerusalemme, che non subì danni di sorta. Tutto il resto è considerato leggendario, Alla morte di Alessandro (323 a. C.) altri sovrani della Palestina furono i Tolomei d'Egitto. Essi si contentavano di riscuotere i tributi locali; non urtarono mai i sentimenti iahwistici. della comunità di Gerusalemme. Inoltre il continuo riversarsi della popolazione palestinese in Egitto, specialmente nella nuova capitale Alessandria, e i favori con cui i Tolomei promossero questa immigrazione (v. Diaspora), crearono tra Gerusalemme e i Tolomei una corrente di simpatia, la quale continuò ancora quando la sovranità di Palestina, con la battaglia di Panion (l'attuale Banjas, nel I sec. d. C., chiamata Cesarea di Filippo), passò ai Seleucidi di Siria (verso il 198 a. C.).
Da questo momento, la comunità giudaica, per l'intrigo della famiglia ammonita dei Tobiadi che cerca ingerirsi negli affari interni di Gerusalemme, per affermarvi il proprio predominio amministrativo e civile, e per l'influsso dell'ellenismo su alcuni gruppi sacerdotali degeneri, subisce delle scosse, che sfoceranno quindi nella persecuzione feroce di Antioco IV Epifane (v.).
Egli volle imporre con la forza i costumi e la mentalità greca, schiantando la teocrazia, la religione giudaica.
Il 15 dic. 167 a. C. fu eretta nel Tempio la statua di Giove Olimpico e cessò il sacrificio quotidiano. Si impose a tutti il culto idolatrico sotto pena di morte; e la stessa pena fu comminata a quanti osservassero le prescrizioni della legge mosaica, incominciando dalla circoncisione dei bimbi.
Antioco Epifane (175-163 a. C.), pur nella sua strapotenza, non raggiunse lo scopo, e la lotta fu continuata dai suoi successori, protraendosi fino a Demetrio II, allorché Simone Maccabeo (142-141 a. C.) raccolse il frutto dei sacrifici eroici compiuti dai suoi fratelli (v. Maccabei), che morirono tutti nella direzione dell'epica lotta, condotta in nome di Dio e della sua santa legge.
Molti Giudei, sacerdoti e sommi sacerdoti, usurpatori (Giasone, Menelao, Alcimo) furono dell'esercito di Satana, tradirono il paese e la religione; si unirono ai pagani contro i propri correligionari, superandoli spesso nella ferocia e nella violazione di ogni patto giurato. Ma rifulsero i fedeli e i martiri. La vittoria rimase al Signore, e la teocrazia sopravvisse, purificata da tante scorie, come avevano preannunziato Ez. 38-39; Dan. 7- 12; Agg. 2,6·9.20-23; Ioel 4,9.17. L'assalto non era stato meno poderoso di quello di Nabucodonosor, specialmente tenendo conto dei tradimenti all'interno e dell'assoluta impreparazione bellica della comunità giudaica; ma allora, Giuda col suo sincretismo violava l'alleanza del Sinai, mentre adesso la rinata teocrazia aveva bandito ogni idolatria e osservava le condizioni del patto. E Iahweh mostrò palesemente la sua protezione onnipotente (v. Maccabei, libro I-II).
Con Simone Maccabeo termina il periodo dell'insurrezione entusiastica, guidata dai figli del sacerdote Mattatia, e cominciano con Giovanni Ircano, figlio di Simone (134 a. C.), le vicende abituali di una dinastia, quella degli Asmonei (v. Maccabei). Le loro guerre sono assai più dinastiche che iahwistiche; peggio ancora, essi non sono più i rappresentanti della maggiore e miglior parte di una nazione insorta, ma diventano man mano dei capi-partito, che si appoggiano su una frazione dei loro antichi seguaci e ne osteggiano un'altra (v. Farisei e Sadducei); e arrivano perfino a transazioni ed accomodamenti con quel mondo spirituale, contro cui gli antichi Maccabei avevano combattuto fino a guadagnarsi il seggio principesco.
Possiamo dire pertanto che le loro vicende rimangono al di fuori del G. come l'abbiamo definito all'inizio: Daniele, forse per questo, termina sempre i suoi vaticini all'epica lotta dei Maccabei; alla morte del persecutore, riallacciando direttamente la teocrazia vittoriosa all'avvento del Messia.
Le beghe di una dinastia, al di fuori della casa davidica, portarono, tra lotte interne, all'intervento di Roma (63 a. C.) e all'avvento sul trono di Giuda, di un feroce idumeo, Erode (v.), sotto la tutela di Cesare.
In questi due secoli (dal 175 a. C. alla venuta di Gesù) si formarono e svilupparono i raggruppamenti e le istituzioni, che troviamo al tempo di N. Signore: Farisei, Sadducei, Esseni, Sinedrio, Sinagoghe ecc. (v. voci rispettive); e principalmente la concezione ristretta di un messianismo nazionalistico, con l'esclusione dei Gentili dalla salvezza; come è facile riscontrare nella abbondante letteratura apocrifa (v. Messia). Il puritanesimo dei Farisei, l'altera e scettica intransigenza del Sinedrio, si ergeranno contro il divin Redentore, gli Apostoli e la Chiesa nascente.
La tragica deviazione del G. avrà la sua fine e il suo castigo, nella distruzione di Gerusalemme (70 d. C.), dopo il tremendo assedio di tre anni, preannunziati con tanta vivacità e particolari in Mt. 24; Mc. 13; Lc. 17, 20-18, 8; 21.
Con le rovine del Tempio, si spense ano che esteriormente quel focolare riacceso a Gerusalemme dal 537 a. C.; esso aveva già perduto ogni senso e valore alla morte di Cristo, quando il velo del Santissimo si era lacerato (Mt. 27, 51).
[F. S.]
BIBL. - M. J. LAGRANGE. Le Judaisme avant Jésus-Christ, 3a ed., Parigi 1931, (cf. particolarmente, pp. 14-61); G. RICCIOTTI, Storia d'Israele, II, 2a ed., Torino 1935; F. SPADAFORA, Collettivismo e individualismo nel Vecchio Testamento, Rovigo 1953, pp. 266-96.
Autore: Mons. Francesco Spadafora
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora