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Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Zen


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I. Il termine. Costituisce la forma giapponese del cinese Ch'an, a sua volta derivato dal sanscrito Dhyâna. Significa meditazione, ma su certe basi storico-filosofiche originali. Il buddismo del Budda e degli antichi monaci (theravâda), conservato nel Canone pâli di Ceylon e dell'Asia del sud, ha una sua filosofia, definita al di fuori di questo ambiente come Piccolo Veicolo (hinayâna): l'uomo sulla terra, malgrado le sue illusioni, non è che un insieme provvisorio essenzialmente doloroso; per liberarsene sono inutili e vani il ricorso agli dei o le penitenze. L'uomo non può liberarsi che da solo del suo essere doloroso; egli deve disilludere la sua mente ingannata dalle credenze e dalle esperienze correnti: azione svolta essenzialmente mediante la separazione dal mondo e la meditazione. E per deviazione che, nel tempo, è nata nel buddismo una corrente pietista nella quale i cercatori sperano e chiedono soccorso ai predecessori già pervenuti ad una liberazione. L'unico vero mezzo di " disillusione " è la meditazione di cui il Budda, spiegato da alcuni suoi successori, ha descritto i gradi progressivi, i più alti dei quali portano, come si è detto, il nome di DhyânaCh'anZen.

Storicamente, questa corrente radicalmente meditativa, è stata introdotta, via Cina, in Giappone: nel sec. XII attraverso Eisai, nel XIII attraverso Shôyô Daishi. Il primo si rifaceva alla tradizione cinese Linji (giapponese Renzai).

Essendosi molto sviluppato, lo z., attraverso il suo metodo e il suo spirito, ha fortemente segnato il Giappone, soprattutto dal sec. XVI in poi e in particolare per mezzo dei monaci: nell'amministrazione, nella diplomazia, nelle costruzioni, nei giardini, nel teatro (il nô), nella cerimonia rituale del tè, in quelle dei funerali, ecc.

II. Il metodo dello z., lo za-zen (=sedersi-meditare), è essenzialmente uno svuotamento della mente che tende ad un vuoto definito da coloro che lo raggiungono luminoso e beatificante; esso richiede parecchi elementi diversi. Gli uni riguardano la situazione economica del soggetto, sufficientemente dotato, sostenuto e distaccato per non preoccuparsi del pane quotidiano; altri, il contesto in cui si stabilisce la ricerca: deserto, parco solitario, convento, come pure il luogo di residenza: abitazione in disparte o almeno camera chiusa e silenziosa; i ritmi dell'orario devono essere regolari e rigorosamente osservati; il cibo e il riposo ridotti. Tutto, d'altronde, dev'essere fatto in armonia.

Gli atteggiamenti corporei sono importanti nella meditazione: posizione seduta su gambe incrociate, in lotus, corpo e testa dritti e immobili, mani giunte l'una sull'altra, palme in alto. Immobilità " chiusa " che concentra l'energia.

Sono ancora più importanti gli atteggiamenti psicologici di base: lasciare scorrerre sistemi ed anche idee come sabbia tra le dita, perfino i contenuti religiosi; svuotare la mente; non " attaccarsi " né al proprio pensiero né alla propria persona.

Tutto ciò sarebbe, d'altra parte, inefficace se non ci si fosse dapprima e sempre più " lavati " moralmente, poi invasi dalla divinità. Lo yoga tradizionale, cugino del buddismo antico, ha indicato otto tappe per giungere al fine. Yama, il controllo che bandisce violenza, menzogna, furto, impurità, attaccamento al possesso; Nîyama, purezza positiva attraverso ascesi, studio, disponibilità, dunque equilibrio interiore; âsana, posizione e condizione esterna che, come si è detto, risulta favorevole alla concentrazione, prânâyama: disciplina di una respirazione ritmata e rallentata; pratyâhara, controllo degli organi di collegamento con l'esterno: i sensi, perché scompaia quello che sta intorno: dhârana, fissazione del pensiero o meglio suo superamento, verso il fine unico: la scomparsa di ogni forma; e così samâdhi, identificazione con questa assenza-notte che i praticanti chiamano pienezza e luce, il satori.

Questo cammino è lungo, pericoloso, esposto a molte deviazioni e illusioni; non si può percorrerlo giudiziosamente se non sotto la direzione di un maestro, esperto su una via che egli stesso ha percorso. Su questo punto, lo z. è d'accordo con molti metodi d'interiorità: il discepolo deve manifestare al maestro scelto fiducia e obbedienza totali, cieche. E la scuola fondata da Shôyô Daishi, il Sôtô, che ha sottolineato molto fortemente la sospensione di ogni pensiero e l'apertura all'impensabile impensato. Di qui la pratica corrente dei maestri che assegnano ai loro discepoli, per la ruminazione meditativa, dei kôan, cioè dei problemi e degli enunciati insolubili e assurdi; è scontato che l'accanimento sui kôan produca un'esplosione finale, un scatto prodotto da una circostanza spesso insignificante e che serve da bang al vuoto finale che dà la felicità.

III. Z. e cristianesimo. Tutti i cercatori dell'Ultimo, in ogni religione unanimamente sottolineano che " non si trova che abbandonando ", e che questo spogliarsi, materiale e spirituale, è una prova terribile, che esige un coraggio grandissimo. Questo in ogni caso merita rispetto. Tuttavia un paragone tra cristianesimo e z. richiede delle riflessioni più precise.

1. Il cristiano trova nello z. molti consigli ascetici che favoriscono in realtà ogni esperienza di vita interiore; li trova spesso anche nella sua via, ma ritrovarli altrove può stimolarlo ancora di più.

2. Lo z. non ha la fede in un Essere supremo personale, onnipotente e onniamante, il cui amore ha fatto sgorgare, liberamente e senza calcoli, la creazione e poi ha offerto all'umanità l'Incarnazione e la morte redentrice. L'uomo dello z. non è salvato da Dio; si salva da se stesso.

3. La via dello z., buddista, parte dall'universalità di un dolore universale da fermare; la via del cristiano parte da una doppia convinzione: quella del suo peccato e della sua incapacità di salvarsi da solo, ma la guida personale di un maestro esperto ed equilibrato è realtà indispensabile.

4. Lo z. vede il " dramma " alla portata delle sue forze; il cristianesimo lo vede come ispirato e condotto dall'amore di Dio. Lo z. crede nell'energia autosufficiente; il cristianesimo in una " energia ", richiesta ma insufficiente e soccorsa dall'Amore.

Bibl. Alcuni teologi e contemplativi cattolici hanno studiato, con competenza ed equilibrio, il problema dell'uso dei metodi zen per la vita interiore cristiana: J.-M. Deschanet, Yoga per i cristiani, Modena 1976; H.M. Enomiya-Lassalle, Zen, via verso la luce, Roma 1961; Id., Meditazione zen e preghiera cristiana, Roma 1979; A.E. Graham, Le Zen chrétien, Paris 1965; J. Masson, YogaZen, in NDS, 1723-1736; Id., Mistiche d'Asia, Roma 1995; Y. Raguin, La sorgente. La meditazione orientale e l'esperienza mistica cristiana, Cinisello Balsamo (MI) 1990.



Autore: J. Masson
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)