Scrutatio

Venerdi, 29 marzo 2024 - Santi Simplicio e Costantino ( Letture di oggi)

Uomo spirituale


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I. La nozione di u. rimanda ad una vita che fa del rapporto con lo Spirito del Signore Gesù il suo principio sintetico e vitale. Propriamente parlando, la categoria di u. riguarda un essere concreto e non una teoria, un credente che vive secondo lo Spirito e non una dottrina. Direttamente almeno, la riflessione non vi entra che per quel tanto per cui ogni esperienza è inseparabile da un livello minimale di ripensamento e di interpretazione. Presentata a volte anche sotto la dizione di vita religiosa, di vita interiore o di vita devota, la vita secondo lo Spirito è qui intesa sia nel senso rigoroso della rivelazione biblica dove Dio stesso è spirito (cf Gv 4,24) che opera nella intimità profonda del cuore fino a rendere coloro che ne vivono capaci di adorarlo in spirito e verità, sia nel senso specifico della fede della Chiesa dove lo Spirito è l'Amore reciproco delle Persone trinitarie che, configurandoci al Figlio, " attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio " (Rm 8,1). Questo Spirito, che nella esperienza profetica era dono provvisorio, è stabilmente presente nella vita dei battezzati: è la certezza di un effettivo accesso a Dio e la caparra di una singolare intimità con lui. Il peso dello Spirito, che lacerava l'animo dei profeti, è la condizione normale e gioiosa del cristiano.

Al centro di questa antropologia spirituale sta l'alleanza con il Dio di Gesù: il mistero pasquale, letto in termini trinitari come dono di vita e comunione con le Persone divine, si attualizza in noi proprio attraverso il dono dello Spirito. Il legame tra mistero pasquale, Spirito e sacramenti rende, poi, il battesimo la radice di una vita secondo lo Spirito non riservata ad una élite, ma aperta a tutti i cristiani. Tutti sono chiamati ad accedere ai segreti di Dio ed a sperimentare questa novità; non si tratta di compiere gesti strepitosi o cose eccezionali, ma di accogliere e di vivere la verità ultima di se stessi. Ricevendo lo Spirito, scopriamo il rapporto profondo e oggettivo che esiste tra la nostra natura di uomini e Dio, scopriamo che siamo chiamati non già a " misurarci su noi stessi " (2 Cor 10,12), ma a crescere fino " allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo " (Ef 4,13). Le tesi della teologia del Corpo mistico ed, in particolare, quelle di E. Mersch sui testi paolini circa una presenza di Cristo e della sua vita in noi 1 e circa il suo être d'union,2 sono di sicuro importanti: Mersch vede nella unio recepta et passiva della umanità individua di Gesù con il Verbo sia la radice della assoluta gratuità del dono sia il principio primo e universale della costituzione della umanità in vista della vita soprannaturale e della sua intrinseca conformazione al Signore Gesù.

Presso gli autori spirituali, il nostro tema ha, a volte, un carattere velatamente anti-intellettuale, diffidente verso le questioni e il linguaggio accademico della teologia: il significato più autentico di questo faticoso rapporto tra teologia e spiritualità andrà inteso nel senso che la verità del rapporto tra lo Spirito e la vita spirituale non si esaurisce all'interno di una razionalità analitica e discorsiva, ma esige di aprirsi a tutte le dimensioni proprie della vita secondo lo Spirito. Comprende, perciò, il pregare e il contemplare, il dimorare in Cristo e il viverecrescere in lui, il configurarsi a lui e il testimoniarlo. Comprende, addirittura, forme che solo il linguaggio simbolico e l'esperienza mistica sanno esprimere davvero: " Come la mano si muove sulla cetra e le corde parlano, così parla nelle mie membra lo Spirito del Signore ed io parlo nel suo amore ".3 Questa ampiezza, però, non rende la vita secondo lo Spirito un fatto esoterico, afferrabile solo per mezzo di una parola iniziatica; comunque sia la sua esatta determinazione, la vita secondo lo Spirito è attingibile attraverso quel mistero pasquale che si rivela e si comunica nella Parola e nel sacramento.

II. La centralità del vissuto. Il punto decisivo è che la categoria di u. coglie l'antropologia soprannaturale sotto il profilo del vissuto e non della dottrina, sotto l'aspetto, cioè, di una profondità di vita che non si capisce veramente che quando ci si abbandona ad essa. Questo vissuto è il risultato di una Presenza che ci trascende, di una sintonia che lascia intatta l'Alterità, di una comunione che ci spalanca dinamiche profondamente personali che senza questo incontro ci rimarrebbero nascoste. Il vissuto dell'u., in ogni caso, va colto sotto una doppia valenza oggettiva e soggettiva: la seconda, che investe la psicologia, ha senso solo nella misura in cui si radica e vive pienamente della prima. La valenza oggettiva, invece, dice la piena corrispondenza delle dinamiche spirituali alle obiettive norme della vita secondo lo Spirito. In questo modo l'u. si fonda sulle realtà della fede e sulle verità che la esprimono e la garantiscono senza ridursi ad esse. Il taglio esistentivo della vita spirituale, nella sua duplice valenza oggettiva e soggettiva, mantiene un suo spazio e una sua originalità; coglie l'inverarsi dell'alleanza, il suo realizzarsi in un soggetto preciso, chiarendo il come se la appropri e il come su essa costruisca la sua nuova personalità. Simeone il Nuovo Teologo insiste su questo aspetto nonostante la polemica contro i messaliani, un gruppo di eretici che ritenevano che lo Spirito manifestasse la sua presenza in modo sensibile e visibile.4 Lo fa richiamando le esperienze contrastanti del cieco e della donna incinta. Il primo conosce le cose solo per sentito dire: luce e colori sono per lui solo parole e idee. Chi accostasse così le cose divine, solo per sentito dire, senza un'esperienza diretta, non sarebbe per nulla un u. La donna incinta - immagine che forse rimanda al racconto lucano della visitazione - è invece profondamente trasformata nella sua identità da ciò che le è accaduto ed è ormai completamente tesa al suo nuovo compito: come una " donna ha chiara consapevolezza, quando è incinta, che il bambino si muove nel suo grembo né può ignorare di portarlo in se stessa, così chi ha la "forma" di Cristo in sé conosce i suoi movimenti, cioè le sue illuminazioni... ed è consapevole del suo formarsi in lui ".5 Il dono dello Spirito, insomma, ristruttura la nostra personalità attorno a questo nuovo centro vitale e vi fa convergere tutte le nostre energie. Il vissuto soggettivo corrisponde a una dinamica obiettiva tanto da diventare una originale possibilità di comprensione dell'uomo nuovo: ne legge la vita a partire da quella grazia che lo investe totalmente e lo trasforma.

Questo soggetto spirituale non ha nulla da spartire con il soggettivismo o con lo psicologismo: non nasce, infatti, dalla persona, a sua misura, ma dalla persona è accolto e ricevuto. La fede, cioè la nuda accoglienza dell'agire di Dio, è la garanzia della sua corretta appropriazione: solo se la vita è sotto il segno della fede sarà anche sotto quello della grazia di Dio; se invece la fede in qualche modo mancasse, anche l'eventuale riferimento alla grazia sarebbe inevitabilmente stravolto. Nella sua nativa adesione alla vitalità della grazia, l'u. è fondamento e radice di ogni ulteriore specificazione: non si dà spiritualità sacerdotale o laicale, benedettina o carmelitana, impegnata o contemplativa... se non come attualizzazione di questo fondamentale vivere secondo lo Spirito.

III. L'u.: la realtà. La vita spirituale non annulla l'esistenza personale ma l'assume, a partire dall'alleanza, come lo spazio che lo Spirito costituisce nella comunione con il Figlio e trasforma in storia della salvezza. Poiché l'economia salvifica corrisponde alla vita trinitaria, il Verbo e lo Spirito andranno colti, insieme e inseparabilmente, come il criterio della manifestazione del Padre invisibile, come le due " mani del Padre ": 6 lo Spirito si comunica alle persone divenendo presente in loro e segnandole con il suggello di un rapporto personale e unico con la Trinità. Si stabilisce così una singolare partecipazione alla vita divina. Gesù, infatti, " per il suo sovrabbondante amore si è fatto ciò che siamo noi, per fare di noi ciò che è lui stesso ".7 In modo ancora più incisivo, Atanasio scriverà che " il Verbo si è fatto portatore della carne (sarcofóros) perché gli uomini potesssero divenire portatori dello Spirito (pneumatofóroi) ".8 Abbiamo qui l'affermazione della concretezza insuperabile della economia storica di salvezza; il riferimento a Gesù di Nazaret è un riferimento insopprimibile in ogni esperienza spirituale: " In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati " (At 4,12). L'u. si colloca all'interno di questa economia; rifiutando ogni atteggiamento di curiosità intellettuale o di autonomia efficientista, accoglie il Cristo e si affida al suo Spirito. Vive di essi e, in essi, incontra l'amore fedele del Padre e ne fa vitale esperienza. L'essenza dell'u. è questa radicale comunione con lo Spirito e, tramite lo Spirito, con le Persone divine: lo Spirito ci fa partecipare all'amore di Dio, anzi è lo stesso Amore divino presente in noi (cf 1 Gv 4,12-13). Abbiamo qui i temi tradizionali della unzione di Cristo e dei cristiani, della théosis e dell'inabitazione, del dono increato e della visio Dei. Queste categorie cercano di chiarire come, nello Spirito di Gesù, il Padre comunichi direttamente se stesso in un rapporto immediato con il giusto. Tocchiamo qui la profondità ultima di una vita che lo Spirito ha modellato come sequela del Signore e rinnovato con il dono della carità pasquale: pur nella sua creaturale finitezza, il giusto è introdotto ad una partecipazione reale alle processioni trinitarie di conoscenza e di amore, è reso termine esterno delle processioni divine.

Queste dottrine troveranno la loro versione spirituale nell'insegnamento sulla nascita di Cristo nelle anime: 9 già presente nel Discorso a Diogneto, che ricorda come il Verbo " si manifesti nuovo e antico, ma nasca sempre nuovo nel cuore dei santi ",10 la nostra dottrina troverà la sua piena formulazione con Origene. Questi legherà insieme la dottrina delle tre nascite di Cristo con la restaurazione battesimale della immagine divina deturpata dal peccato e con la tesi della inabitazione: la rinnovazione della persona avviene per la forza di attrazione della immagine perfetta del Logos divino inabitante in noi che diventa, così, il fondamento della nostra vita divinizzata. " A cosa ti giova che il Cristo sia venuto nella carne, se non viene poi nella tua anima? Preghiamo perché la sua venuta si realizzi in noi ogni giorno così da poter dire: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me ".11 A partire da questa visione - " come una donna gravida è l'anima che ha appena concepito il Verbo di Dio "; 12 - si deve comprendere l'insistenza sui credenti christofóroi e sul portare Verbum; a immagine di Maria, concepiamo Cristo nella fede e lo facciamo crescere in noi fino alla sua piena maturità. Le immagini del cammino di Mosè e del popolo fino al Sinai,13 i commenti al Cantico dei Cantici 14 e la dottrina della visione di Dio 15 daranno alla nostra tesi tutta la sua ampiezza: la formazione, ad opera dello Spirito, dell'immagine del Verbo inabitante in noi attraverserà tutta la storia della spiritualità, dai cistercensi 16 a Echkart,17 da Bérulle 18 a Balthasar: 19 la vita nuova è Cristo che prende forma in me. L'u., insomma, non si spiega che in base a quella relazione che lo supera e lo trascende, anche se si colloca nel centro più profondo della sua esistenza: soltanto in questa comunione la persona realizza quel bisogno di relazione e di verità che le è congeniale, realizza se stessa. Da qui il suo atteggiamento fondamentale che è quello del ringraziamento, della contemplazione adorante e obbediente. Bisognerà, inoltre, mantenere una distinzione tra lo Spirito e i suoi doni: solo così si tien conto della diversità e del legame che la teologia pone tra la gratia gratis data e quella gratum faciens, tra il dono increato e quello creato, tra la presenza delle Persone divine e la grazia santificante. Il senso di questa distinzione, per la cui comprensione rimandiamo ad un'antropologia teologica,20 è quello di ricordare come la vita spirituale non si esaurisca nella sola presenza dello Spirito, ma debba aprirsi a tutto il suo agire. E compito dello Spirito introdurci a Dio svelandocene pienamente la Parola (cf Gv 16,13-15; 14,26); è compito dello Spirito condurre il mondo a riconoscere il suo nulla (cf Gv 16,8-11); l'agire dello Spirito non conduce al vanto e alla autoesaltazione ma, a immagine di Cristo che ha legato il suo essere Figlio al suo essere Servo, ci introduce al servizio di Cristo e della sua opera salvifica. Nasce così la coscienza del nostro nulla, creaturale e peccaminoso, che esige conversione e purificazione, liberazione dal male e rinuncia a sé; soprattutto nasce quell'abbandono filiale che vede la fede completarsi nella carità facendo passare la persona dall'amore di sé alla immedesimazione con l'amore di Cristo. Ne viene una esperienza dinamica che Ignazio di Antiochia motiva nella sua tensione ultima: " Il mio amore è crocifisso e non vi è più in me un fuoco terreno; ma un'acqua viva mormora in me e mi dice dentro "Vieni al Padre!" " 21 e che Tommaso riassume splendidamente nella preghiera " Tibi se cor meum totum subicit ". Lo spirituale vive perciò la meditazione della Parola e la preghiera filiale, la testimonianza della carità e l'impegno per il regno: sperimenta nel rapporto con il suo Signore e Maestro una tale densità da fare di questo evento la sorgente inesauribile della sua vita. Attorno ad essa si struttura una personalità recettiva che si avvicina al concetto biblico di gloria;22 vivendo rendiamo manifesto l'agire di quel Dio che si glorifica nei doni della sua grazia. Gloria Dei vivens homo - scriverà Ireneo - vita autem hominis visio Dei.23

IV. L'u.: il linguaggio. Si tratta di chiarire come esprimere questa esperienza e in quale linguaggio: in effetti il linguaggio di cui ci serviamo non è ricavato da una conoscenza diretta di Dio, ma dalle cose e da noi stessi. Dio, invece, è Tutt'Altro; Dio è mistero. Ora, è legittimo parlare di Dio a partire da ciò che gli è irrimediabilmente lontano? Probabilmente Dionigi Areopagita e Agostino possono essere assunti come gli autori che si pongono agli antipodi in questo problema.

Dionigi, nelle sue opere Nomi divini e Teologia mistica, richiama con forza come il linguaggio spirituale debba rispettare il mistero: " In nessun modo si deve osare, dire o pensare alcunché intorno sia alla Divinità soprasostanziale e occulta tranne ciò che è stato rivelato a noi divinamente dai detti sacri ".24 In modo ancora più netto Gregorio di Nissa osserverà che " la parola divina proibisce che Dio sia considerato dagli uomini simile ad alcuna cosa conosciuta, perché ogni pensiero formato secondo una rappresentazione comprensiva, nel tentativo di tracciare e immaginare la natura divina plasma soltanto un idolo di Dio, non annuncia Dio ".25 Questa visione condurrà ad una nitida consapevolezza del carattere analogico del discorso su Dio; ancora il Lateranense IV preciserà che inter creatorem et creaturam non potest similitudo notari quin inter eos maior sit dissimilitudo notanda.26 Il risultato più alto di questa prospettiva è una teologia apofatica radicata solo nella Parola di Dio; mira ad un silenzio contemplativo e adorante, ad una non-conoscenza che, mentre evidenzia il limite di ogni linguaggio, orienta ad un' unione mistica con Dio, frutto dei suoi stessi doni. Il rischio di questa prospettiva è quello di confondere il mistero divino con una trascendenza vuota e lontana dove anche i simboli biblici finirebbero per perdere contenuto reale. In realtà, la trascendenza è trascendenza di una Presenza, trascendenza di quel Dio che si è fatto uno di noi; la dissomiglianza, per grande che sia, non può annullare né la parola né l'ascolto della rivelazione. Abbiamo qui, in ogni caso, una lezione da non dimenticare; Dio, se conosciuto attraverso la creazione, permane al di sopra di ogni simile conoscenza. Agostino si muove, invece, in un orizzonte diverso, teso a penetrare e a illuminare il mistero. Per fare questo, lega profondamente la conoscenza di Dio alla ricerca umana della verità: ne scaturirà un dialogo profondo tra Dio e la persona, quasi un cammino che fa passare la persona dall'esteriorità delle cose alla interiorità dell'anima e dalla verità presente in essa a quel principio e fondamento di ogni verità che è Dio. Il debito platonico, indubbio, non toglie nulla alla grandezza di questo tentativo: le idee platoniche diventano i pensieri di Dio, mentre il conoscere e il ricordare sono interpretati come illuminazioni. Si apre così la via per una sintesi tra l'agire di Dio e la conoscenza umana; a fianco della sapienza della fede, la ragione stabilisce una ricerca della verità parziale ma vera, imperfetta ma reale, che può legittimamente aspirare a servire da base per la comprensione e la penetrazione del dato rivelato. Tommaso, poi, cercherà di chiarire la analogicità del pensiero sia rifiutando ogni rimando ad un tertium quid, ad un qualche ens commune sovraordinato a Dio e alla creatura, che affermando un rapporto diretto della intelligibilità del reale con la verità divina: ne viene un rapporto complesso tra Dio, l'intelletto e la realtà che ha nella conoscenza analitica e discorsiva solo un aspetto. L'analisi della dimensione non-concettuale della conoscenza ci porterebbe lontano: se Rahner, leggendola nel quadro della potentia oboedientialis, ne ricaverà la base delle dinamiche trascendentali del soggetto, pare più obiettivo riconoscervi il fondamento di un maggior realismo dei concetti stessi, combinati con una dinamica transconcettuale in loro presente.

La questione conserva la sua importanza anche nel campo della conoscenza spirituale, là dove i concetti rimandano alla esperienza spirituale: poiché Dio si rivela e si comunica senza annullare la distanza dall'umano a cui pure si apre, la differenza ontologica tra Creatore e creatura dovrà mantenere il suo significato anche nel modo con cui il credente parla di Dio. Il linguaggio spirituale dovrà mantenersi all'interno del mistero di Dio senza per questo condannarsi al silenzio, anzi ritrovandovi la radice e i criteri del suo comunicarsi.27 L'u. dovrà parlare di Dio all'interno di una complessa relazione di grazia e di ricerca umana, di fede e di intelligenza: da una parte si ispirerà ai gesti storici con cui il Dio di Gesù si è comunicato all'uomo evidenziando così il concreto agire di Dio, dall'altra si servirà della sua ragione anche se riconoscerà che l'unione con Dio è al di là della sua intelligenza. L'u. non rifiuta l'intelligenza, ma la mette al servizio di qualcosa che la sorpassa: ubi deficit intellectus, ibi proficit affectus.28 Evagrio Pontico, ad esempio, assegna all'intelletto il compito vitale di smascherare il maligno più che di produrre idee.29 Ignazio di Loyola ricondurrà ogni moto dell'intelligenza entro l'alveo del discernimento degli spiriti.30 Giovanni della Croce legherà la consapevolezza spirituale al discorso simbolico: con esso il movimento spirituale dell'anima si apre al di là di sé senza annullare la propria esperienza.31 L'intelligenza spirituale si avvale così dell'orizzonte del pensiero biblico e, mentre se ne nutre, lo interiorizza e lo fa proprio rivestendolo del temperamento di ciascuno e della cultura di ogni epoca. Purtroppo anche il linguaggio spirituale ha conosciuto l'oblio delle prospettive storico-salvifiche e, non poche volte, si è lasciato attrarre nell'orizzonte semantico tipico del pensiero greco. E sorto così un linguaggio dottrinale e oggettivistico che, nella sua parzialità, fatica a mettere a tema le condizioni non concettuali della conoscenza spirituale: ne deriva una descrizione del rapporto tra esperienza spirituale e linguaggio che si preclude la comprensione di quella radicale disponibilità a Dio che è condizione ineliminabile della fede e di quel cammino interiore che ne consegue.

V. L'u.: l'interpretazione. La prima interpretazione dell'u. è frutto, globalmente, della gnosi cristiana degli alessandrini, dei dibattiti trinitari, al cui interno giganteggia Atanasio, e della teologia dei cappadoci. Questi autori concentreranno la loro attenzione sul rapporto tra vita spirituale e dono dello Spirito sia nel senso di sottolineare la comunione con Dio, sia nel senso di rimarcarne la distanza. Il Dio trascendente e nascosto si manifesta all'uomo e suscita in lui la conoscenza della fede. Conoscere l'immagine di Dio, che è Cristo, non significa solo un impegno noetico, ma anche ascetico: solo con l'ascesi e la conversione si creano le condizioni per un vero incontro con Dio. La conoscenza di Dio si svela così una montagna rude e aspra come il Sinai; al termine vi è, però, il sentimento di una misteriosa Presenza, quasi una nube luminosa, una sobria ebbrezza, una pienezza armonica che ricolma l'anima di gioia e di pace. E la " théosis: un'assimilazione e unione con Dio, per quanto è possibile ".32

La seconda grande visione della vita spirituale è quella iniziata da Agostino con la valorizzazione dell'anima umana e della sua ricerca: 33 indicherà il vertice della vita secondo l'alleanza nella charitas. La categoria platonica della partecipazione gli permetterà di non dividere il donatore dal dono: la perfezione della carità comprende, insieme, la presenza dello Spirito e la vita rinnovata del credente. Lo Spirito, infatti, non solo non è sterile ma ci rinnova profondamente conformando a sé la nostra libertà: ci libera, quindi, dalla concupiscenza e ci introduce nella gioia dell'amor Dei. In questo modo, Agostino ottiene il risultato di superare il pelagianesimo, ribadendo la soprannaturalità della salvezza, e di mantenere l'interiorità della grazia, vista come profondamente inserita nelle dinamiche di una persona che Agostino pensa come amore e non come ragione. L'uomo è amore; per questo l'amore divino è l'unico porto in cui il suo cuore inquieto abbia davvero pace. Questo darà al pensiero di Agostino una finezza di analisi psicologiche spesso insuperabili: il cuore umano si rivolge, ha nostalgia, aspira, desidera, anela, si decide per Dio. E una visione vitale e dinamica che spiega il successo del suo pensiero; la tradizione ne ricaverà un cammino virtuoso che Guglielmo di St. Thierry 34 modellerà sulle diverse età della vita e Tommaso 35 schematizzerà attorno al linguaggio di ascendenza dionisiano degli incipienti, proficienti e perfetti. Il mondo nuovo, che già affiora con l'epoca dei Comuni, troverà espressione nel tentativo di Tommaso 36 che cercherà di legare l'anima razionale a Dio attraverso una rilettura della intelligibilità del reale come eco della verità divina. Sarà però soprattutto il francescanesimo a tentare un dialogo con i tempi nuovi parlando del creato come Bene partecipato e legittimandolo così in termini di fede: Bonaventura 37 risalirà gradualmente dal mondo corporeo a quello spirituale per ascendere, infine, alla comunione saporosa e mistica con Dio. Purtroppo questi tentativi non avranno seguito: il mondo nuovo che nascerà darà un'interpretazione della razionalità e del bene del tutto diversa da quella di questi grandi pensatori.

La terza grande sintesi prende le mosse dai rivolgimenti dell'epoca moderna che porteranno la persona in primo piano. Se la Riforma tenterà di rispondervi risuscitando l'agostinismo e accentuando la logica di interiorità ivi presente, il mondo cattolico proverà ad integrare queste nuove dimensioni entro un'antropologia soprannaturale:38 la pensa a partire dalla iustitia Dei e la costruisce in base al suo legame con l'organismo ecclesiale e sacramentario. Il frutto spirituale più alto di questa impostazione sarà lo sforzo di dar vita a un umanesimo devoto: la vita devota, cara a Francesco di Sales, attraverso la riflessione sui modelli di orazione e di perfezione, si svilupperà fino alla vita interiore. Più che i dibattiti sui rapporti tra natura e grazia, a livello spirituale mi paiono significative le già ricordate tesi ignaziane sul discernimento degli spiriti, le analisi di Francesco di Sales sulla struttura dell'anima umana 39 e le indicazioni della scuola spagnola e francese 40 sui cammini di perfezione per potersi unire a Dio nell'amore. Purtroppo questa grande fioritura spirituale non inciderà sugli orientamenti della interiorità dell'uomo moderno, incamminato verso prospettive secolarizzate: rimarrà ai margini della storia. Dopo queste grandi sintesi, non si saprebbe indicare nulla di paragonabile. Naturalmente né la teologia né la spiritualità sono rimaste ferme, ma la situazione attuale, pur ricca di spunti, ancora non ha prodotto una spiritualità che metta a frutto la massa di dati biblici, liturgici e teologici oggi disponibili e che sappia obiettivamente dialogare con l'anima problematica e pluralista dell'uomo dei nostri tempi.

Note: 1 E. Mersch, Le Corps mystique du Christ. Études de théologie historique, I, Paris-Bruxelles 1951, 125-208; 2 Id., La Théologie du Corps mystique, I, Bruges 1954, 333-353; 3 Le odi di Salomone, in M. Erbetta (cura di), Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, Casale Monferrato (AL) l975, 622; 4 P. Miquel (cura di), Le vocabulaire de l'expérience spirituelle. Dans la tradition patristique grecque du IV au XIV siècle, Paris 1989, 141-170; 5 Simeone il Nuovo Teologo, Trattati etici X, 880-885; 6 Ireneo di Lione, Adversus haereses V, 6,1; 7 Ibid., praefatio; 8 Atanasio, De Incarnatione et contra Arianos, 8; 9 H. Rahner, La nascita di Dio. La dottrina dei Padri della Chiesa sulla nascita di Cristo dal cuore della Chiesa e dei credenti, in Id., L'ecclesiologia dei Padri. Simboli della Chiesa, Roma 1971, 13-143; 10 Discorso a Diogneto 11,2; 11 Origene, In Lucam 22,1; 12 Id., In Exodum 10,3; 13 Penso soprattutto al grande testo di Gregorio di Nissa, De vita Moysis; 14 Si possono solo richiamare, qui, i grandi commenti a questo libro di Origene, Gregorio di Nissa, Bernardo di Chiaravalle, Guglielmo di St. Thierry; 15 V. Lossky, La visione di Dio, in Id., La teologia mistica della Chiesa d'Oriente. La visione di Dio, Bologna 1967, 245-400; 16 Basti pensare alla tesi di Guglielmo di St. Thierry sulla unitas spiritus cum Deo; se ne veda una sintetica presentazione nella sua opera Epistola ad fratres de Monte Dei, 257-258; 17 Tra le altre cose basterà leggere la Predica 5b: In hoc apparuit caritas Dei in nobis o la Predica 6: Iusti vivent in aeternum; 18 P. de Bérulle, Le grandezze di Gesù, Cinisello Balsamo (MI) 1998; 19 Si veda soprattutto H.U. von Balthasar, Gloria. I: La percezione della forma, Milano 1975, dove il credere è tradotto in un movimento che fa propria la forma che è Cristo fino a configurarsi a lui in una vita di obbedienza e di discepolanza; 20 G. Colzani, Antropologia teologica. L'uomo paradosso e mistero, Bologna 1988, 154-170, 239-263; 21 Ignazio, Ai Romani, 7; 22 B. Maggioni, Gloria, in NDT, 575-589; 23 Ireneo di Lione, Adversus haereses IV, 20,7; 24 Dionigi Areopagita, Nomi divini I, 1,4; 25 Gregorio di Nissa, De vita Moysis II, 165; 26 DS 806; 27 Si mediti lo splendido passo di Ugo di S. Vittore, De sacramentis I, 10,2: " La fede comprende due cose: la conoscenza e l'affectus; nell'affectus è la sua sostanza, nella conoscenza la sua materia "; 28 Bonaventura, III Sent. d. 31, a. 3, q. 1, conclusione; 29 Evagrio Pontico, Trattato pratico 6-14, nel medesimo senso si muove, sia pure in un contesto diverso, anche il libro I della Imitazione di Cristo; 30 S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, nn. 313-336; 31 " Chi potrà scrivere ciò che egli fa intendere alle anime innamorate in cui abita? E chi potrà esprimere a parole ciò che fa loro sentire? E, infine, chi potrà far intendere ciò che fa loro desiderare? Certo nessuno saprebbe dirlo, nemmeno le anime in cui ciò accade lo possono spiegare. Ed è questa la causa per cui esse esprimono piuttosto mediante immagini, paragoni o similitudini qualcosa di ciò che provano e, più che dichiararli per ragionamento, profondono i segreti mistici per il sovrabbondare dello Spirito " (Giovanni della Croce, Cantico spirituale, Prologo); 32 Dionigi Areopagita, Gerarchia ecclesiastica I, 3. Si veda anche M. Lot-Borodine, La déification de l'homme, Paris 1970; Y. Congar, La déification dans la tradition de l'Orient, in VSpS 44 (1935), 91-107; 33 Basti a questo riguardo rimandare al Libro X delle Confessiones o al Salmo 41 delle Enarrationes in Psalmos; 34 Si vedano in particolare il De natura corporis et animae e la Epistola ad fratres de Monte Dei; 35 STh II-II, q. 24, a. 9; 36 E.H. Weber, L'homme en discussion à l'Université de Paris en 1270. La controverse de 1270 à l'Université de Paris et son retentissement sur la pensée de St. Thomas d'Aquin, Paris 1970; 37 Bonaventura, Itinerarium mentis in Deum; 38 E soprattutto il capitolo VII del Decreto tridentino De iustificatione a cercare di farlo: DS 1528-1531; 39 Francesco di Sales, Il Teotimo ossia Trattato dell'amore di Dio, Libro I, cc. 11.12; si veda al riguardo M. Bergamo, L'anatomia dell'anima. Da François de Sales a Fénelon, Bologna 1991; 40 Basti qui indicare L. Cognet, Storia della spiritualità cristiana VI: Spiritualità moderna; 1: La scuola spagnola (1500-1650); 2: La scuola francese (1500-1650), Bologna 1973-74.

Bibl. Aa.Vv., Homme, in DSAM VII1, 617-650; Aa.Vv., L'uomo nella vita spirituale, Roma 1976; Aa.Vv., L'esistenza cristiana. Introduzione alla vita spirituale, Roma 1990; J. Alfaro, Cristologia e antropologia, Assisi (PG) 1973, 256-423; Id., Esistenza cristiana, Roma 1979; H.U. von Balthasar, Gloria, I. La Percezione della forma, Milano 1975; Ch.-A. Bernard (cura di), L'antropologia dei maestri spirituali, Cinisello Balsamo (MI), 1991; P.L. Boracco - B. Secondin (cura di), L'uomo spirituale, Milano 1986; G. Colzani, Nella pienezza dello spirito, Casale Monferrato (AL) 1985; Id., Antropologia teologica. L'uomo paradosso e mistero, Bologna 1988; Y. Congar, Credo nello Spirito Santo, 3 voll., Brescia 1981-1983; J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique, Paris 1949; P. Evdokimov, Le età della vita spirituale, Bologna 1968; Id., La novità dello Spirito. Studi di spiritualità, Milano 1979; A. Godin, Psicologia delle esperienze religiose, Brescia 1983; T. Goff, s.v., in NDS, 1630-1647; R. Guardini, L'esistenza del cristiano, Milano 1977; V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d'Oriente. La visione di Dio, Bologna 1977; G. Moioli, L'esperienza spirituale. Lezioni introduttive, Milano 1992; J. Mouroux, L'esperienza cristiana. Introduzione a una teologia, Brescia 1956; E. Pace, Asceti e mistici in una società secolarizzata, Venezia 1983; K. Rahner, Teologia dell'esperienza dello Spirito, Roma 1978; L. Rulla, Antropologia della vocazione cristiana, Casale Monferrato (AL) 1985; M. Thurian, L'uomo moderno e la vita spirituale, Brescia 1966.



Autore: G. Colzani
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)