Scrutatio

Sabato, 20 aprile 2024 - Beata Chiara Bosatta ( Letture di oggi)

Simbolo


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Premessa. Nei dizionari di discipline teologiche, è invalso l'uso di trattare la voce s. svolgendone una prima parte, eventualmente con un taglio interdisciplinare, sui principi e, spesso, sui metodi della simbolica generale; quindi, una seconda parte specifica, in cui nei dizionari di mistica si discorre di simbolica della mistica propriamente detta, cioè religiosa e, spesso, di simboli biblici oltre che dei simboli impiegati dai mistici cristiani; quasi mai si tratta di simboli liturgici.1 Qui, ci si soffermerà solo nell'ambito della mistica specificamente cristiana, dunque, sul s. nell'ambito della " sacramentalità " cristiana, cioè nell'ambito " misterico " della nostra simbolizzazione, procedendo per teologia simbolica e non per simbolismo teologico.

Sarà bene, innanzitutto, denunciare le diffidenze e gli equivoci radicali che insidierebbero l'uso del s., specialmente così inteso. Le diffidenze hanno matrice illuministica: prima, le svolte involutive dell'Aufklärung nel '700 ed anche, dopo, le svolte evolutive della " linguistica " del '900; ovvero hanno matrice dualistica, platonica o altra che sia. Si diffida del s. per fiducia più o meno cieca nella ragione che sarebbe capace, per se stessa o per grazia ad essa donata, di pervenire, senza altre virtualità, all'uomo " illuminato "; il s. sarebbe un chiarore concettualmente attenuato, una spia di stadi mentali da oltrepassare concettualmente onde arrivare all'uomo " perfetto ". Al genere simbolico non rimarrebbe allora altra funzione se non quella di formula che raccoglie caratteristiche scientifiche comuni: + -, s ..., il moderno simbolismo logico-matematico. E si diffida del s. per sfiducia più o meno istintiva nella corporeità e nella sensibilità che sono condizioni tanto per costituirlo quanto per percepirlo. In teologia, poi, Simbolica è l'esposizione delle professioni di fede, unicamente la teologia dei " Simboli della fede ". Gli equivoci confondono il s. con allegoria, emblema, indice, metafora, parabola, stemma...; continuano a non distinguervi convenzione da natura, somiglianza formale da relazione costitutiva, paragone analitico da percezione sintetica, discorso ed apprendimento da intuizione e comprensione. Sono equivoci e diffidenze sempre lineari ed ingenui? Probabilmente è più risolutivo diagnosticare anche complessi davanti agli impegni richiesti dalla prossimità al globale o cattiva coscienza davanti agli alibi forniti dall'alienazione nella discontinuità... Però, una corretta e consistente concezione (teologica) del s. riesce a dissipare equivoci e diffidenze davvero come nebbia al sole.

E sarà bene riferirsi alla soglia critica. Dionigi Areopagita, che dei " mistici " e della " teologia simbolica " è l'inventore sistematico nella cultura cristiana, pur non distinguendo nella scrittura s. da allegoria, da metafora, da parabola,2 non s'accosta mai alle virtualità mistiche che sono del s. propriamente detto, trascurandone i limiti ed i rischi; ma non a caso egli, per questo motivo, ne è l'apprezzatore convinto ed è il docente privilegiato della " teologia simbolica ". Si rilegga dalla sua lettera al vescovo (pseudo) Tito: " Nella teologia simbolica abbiamo spiegato, o buon Tito, tutte le figure della Scrittura riguardo a Dio che alla folla appaiono strane. Infatti, agli imperfetti sembra addirittura assurdo ciò che i padri della sapienza nascosta (gli agiografi), con simboli anche audaci, rivelano della verità divina e misterica inaccessibile ai non iniziati. Perciò, molti tra noi sono increduli circa i (loro) discorsi riguardo ai misteri divini, perché i simboli sensibili che si impiegano per essi fanno ostacolo a chi non li penetra onde guardare ai puri misteri in se stessi. Contemplandoli così, saliremo sino alla fonte della vita che effondendosi permane e guarderemo alla Potenza unica, semplice, che da sé si muove e da sé agisce, conoscenza delle conoscenze... Tutte le figure formate dalla Scrittura che tutto osa, esprimendolo con molteplice manifestazione e quasi con divisione, sotto infinite figure e forme rivelano il mistero unico ed indivisibile, lui che non ha né figura né forma. E chi discerne l'armonia interna di queste realtà trova che tutto è divinamente mistico e pieno di luce divina. Non dobbiamo intendere, infatti, che le figurazioni di tali forme siano inventate per se stesse; esse, invece, sono come veli sui misteri inaccessibili che vengono rivelati soltanto a chi ama davvero la santità e, spogliandosi di ogni facilistica immaginazione, penetra i simboli con la semplicità della mente e l'adeguazione della virtù contemplativa sino a toccare la verità super-eccellente che si fonda oltre i simboli stessi. Bisogna, d'altronde, capire che la tradizione degli agiografi è duplice: una, mistica e nascosta, che riguardo ai misteri usa dei simboli, l'altra, più parlata e più conoscibile, che concettualizza e si fa dimostrativa; l'ineffabile si incrocia così con le cose che si riesce a dire, l'una ci trasferisce in Dio mediante insegnamenti misterici che non si insegnano, mentre l'altra ci persuade sulla verità delle cose che sono dette. Perciò, anche nei riti che celebrano i santi misteri, la nostra religione impiega simboli a Dio convenienti... Gesù stesso ha parlato in parabole e ci ha consegnato i divini misteri mediante il s. della cena. Infatti, è cosa ben conveniente, che la vita degli uomini, la quale è insieme indivisibile e divisibile, sia illuminata in modo a sé conforme: così, l'anima, impassibile, appare destinata com'è alla visione della semplicità di Dio, e, passibile, tende alla realtà divina mediante i simboli che sono a lei convenienti... ".3

La concezione dionisiana del s., secondo me evolutiva così come insostituibile, si gioca sull'ambivalenza oggettuale della simbolizzazione e sull'ambivalenza soggettuale del suo agente; l'una e l'altro, simbolizzazione ed agente, sensibili trascendenti il sensibile. Oggettualmente il s. è velo che urge: velo riguardo alla sua propria diversità, che urge riguardo alla trascendenza a cui rinvia; urge al laborioso discernimento della sua luminosa armonia costitutiva, cioè al discernimento della chiarezza di un mistero che si rivela sensibilmente mediante somiglianzadissomiglianza.

Soggettualmente, s. è discernimento - poiché i simboli si agiscono con l'uguale travaglio dell'agire i concetti -, ascetico discernimento al di là del sensibile che soltanto spogliandosi dell'immaginario sensibile, chi ama davvero la santità, cioè chi vive con il Trascendente in rapporto intimamente interpersonale, riesce ad operare, semplificandosi nella mente ed adeguandosi nella contemplazione; infatti la simbolizzazione pretende uguale trafila astrattiva della concettualizzazione, altrimenti non penetreremmo i s. sino alla purezza dei misteri di cui essi contengono sensibilmente la manifestazione. Ecco la stimolante ambivalenza oggettuale e soggettuale del s. puntualizzabile secondo Dionigi. Ed ecco la stimolante sinergia tra simbolizzazione e concettualizzazione che egli trova interattiva con quella ambivalenza: l'incrociarsi dell'ineffabilità, per la quale si usano i s., con la persuasione, per la quale si impiegano i concetti. Sinergia conforme alla passibilitàimpassibilità che caratterizza l'uomo nella situazione spazio-temporale; perciò, per tale convenienza antropologica, egli conclude indicando gli ambiti della teologia simbolica nel mondo cosmizzato da Dio, nella sua alleanza antica e nella sua alleanza nel Figlio: " Contrariamente alle opinioni della folla (degli imperfetti), dobbiamo penetrare con riverenza questi simboli né possiamo svalutare queste figure sensibili delle qualità divine e sensibili immagini di visione misterica ".4

Istruiti da cotesta puntualizzazione, che è di soglia critica per la simbolizzazione nella nostra cultura, riassumiamo il nostro giro d'orizzonte sul s. nell'ambito misterico cristiano fermandoci, convenzionalmente poiché i tre aspetti sono inscindibili l'uno dall'altro, intorno ai punti focali della oggettualità, della soggettualità e della dinamica simboliche.

I. Il s. misterico cristiano è velo rivelante. Considerandolo linguisticamente, come è bene fare a seguito della crisi semiologica che lo ha debitamente rivalutato nella nostra epoca culturale, il s. nel suo campo referenziale è segno che rivela il suo termine trascendente, è significante del suo significato, ma nel suo campo situazionale è cosa che vela la trascendenza, è oggetto persino inquietante, perciò è stato detto che " la critica dell'idolo è condizione per conquistare il s. ".5 Infatti, non è questione di semplice somiglianza-dissomiglianza; perché se, per un verso, meno un s. ha di somiglianza situazionale meno è valido il suo campo referenziale; per altro verso, più un s. ha di somiglianza più rischia di frapporsi quale eidolon, " fantasma " della sua trascendenza. Se a farli velanti fosse la dissomiglianza ed a farli rivelanti fosse la somiglianza senza altre complicazioni, non ci sarebbero difficoltà, perché i simboli si porrebbero da sé in graduatoria di rivelazione secondo la gradualità della loro somiglianza, ed i s. dissomiglianti del tutto si escluderebbero da sé dal campo rivelativo, cioè non si porrebbero affatto come s. Invece, tra il velare ed il rivelare del s. si sviluppa una dialettica d'efficacia - la critica del fantasma - per cui la tensione è tanto della somiglianza quanto della dissomiglianza - " rivelante ", è questione prima di referenzialità e poi di trasparenza del velo simbolico, prima questione del soggetto simbolizzatore e poi questione dell'oggetto simbolizzato -.

Diremo perciò che, verso il mistero, il s. è ostacolo e non è appoggio? E più ostacolo che appoggio? E ostacolo e non è appoggio? Esattamente il contrario. Rileva Ireneo: " Non c'è nulla che non significhi Dio ".6 La critica del fantasma, dalla quale dipende la validità referenziale del s., comincia dunque dal rendersi conto che la simbolizzazione misterica è un sistema certo e, da parte sua, comincia simbolizzando a catena, per costellazioni in un unico cielo. Attività simbolica è rilevare il sistema significativo dell'universum, del " rivolto all'uno ", e atteggiarsi coerentemente nell'organizzazione semiologica del proprio universo. A tale proposito insegna Massimo il Confessore: " La teorizzazione simbolica delle realtà intelligibili mediante le realtà sensibili è scienza spirituale e sapienza delle realtà visibili mediante le invisibili ".7 La simbolizzazione attua un'osmosi tra l'intelligibile ed il sensibile, è un admirabile commercium, " meraviglioso scambio ", in se stessa. I s. non sono sostantivo, sono verbo; non sono nominazione imputativa di distanza, sono azione computativa di presenza. Nel campo referenziale simbolico, il significante non sta ad indicare il significato, ma lo mette insieme -, symballo, " metto in uno, insieme, nello stesso tempo, nello stesso luogo... " - e la significanza consiste nella vicarietà che il significante si assume rispetto al significato: il significato assente è reso presente vicariamente nel significante. Il fatto è che purtroppo si ritaglia il s. intendendolo soltanto un significante; cosa che è mutilante per qualsiasi segno, ma che cade addirittura nella contraddizione dei suoi termini nel caso dei symballein, del vero e proprio " mettere insieme " significante, significato, e significanza. La critica del fantasma si adopera, quindi, a valorizzare la valenza ontica del velo simbolico, consistente nella mediazione della sua vicarietà che rivela l'immediatezza della presenza rivelata; per tale paradossale mediazione d'immediatezza, il s. è la realtà misterica stessa in quanto " epifania " ed in quanto " gloria ".

II. Il s. misterico cristiano è epifania di santità. L'iconoclastia, che è né più né meno simboloclastia nel caso particolare dei s. figurativo-visivi, separa l'uomo dall'immagine così come l'idolatria separa Dio dal s. (visivo o non visivo, è la stessa cosa). In altri termini, il soggetto si situa correttamente nel campo simbolico se elude la distanza dal mistero provocata da separazione idolatrica o da separazione simboloclasta, dall'una e dall'altra ugualmente poiché separazione offensiva è l'una e separazione offensiva è l'altra; separazione da Dio, offensiva di Dio. Mistero cristiano è l'ineffabilità di Dio unotrino ed insieme la divina economia per il Cristo nello Spirito, cioè la sacramentalità infallibilmente efficace della condiscendenza di Dio sollecito e provvidente con l'uomo sino allo " scambio meraviglioso " sopra ogni meraviglia di scambio, sino alle nozze teandriche nell'Incarnazione divinizzante del Verbo di Dio: " O admirabile commercium! Il creatore della natura umana... si fa uomo e ci dona la sua divinità ".8 Ecco la riflessione del dottore antiocheno e vescovo costantinopolitano alla quale si rifà la costituzione dogmatica Dei Verbum per illustrare l'uguaglianza di synkatabasis, la " venuta giù " con la condiscendenza di Dio uguale nel rendere il suo parlare simile alle parole dell'uomo e nel rendere il suo Verbo simile all'uomo (cf DV 13): " "Dio disse: Sia la luce! E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte" (Gn 1,3-5)... Hai visto come il beato agiografo, ed anzi mediante il linguaggio dell'agiografo, Dio misericordioso si è fatto condiscendente con la pochezza della capacità umana... Infatti, per la pochezza di quelli che l'ascoltavano, lo Spirito Santo ispirava il linguaggio dell'agiografo in modo che riferisse ogni cosa adeguandosi. Per comprendere l'ineffabile benignità di Dio e quale condiscendenza nel suo parlare egli ha usato, sollecito e provvidente della nostra umana natura, guardiamo come il figlio del tuono (cf Mc 3,17) non si muove con gli stessi passi ma, poiché il genere umano era progredito nella sua capacità, conduce quelli che l'ascoltano a conoscenza più sublime. Dice: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio" (Gv 1,1) ed aggiunge: "Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (Gv 1,9). Infatti, come per la Parola di Dio è creata la luce sensibile e sono fugate le tenebre visibili, così la luce intelligibile fissa le tenebre dell'errore e guida gli erranti alla verità (cf Gv 1,14). Con somma gratitudine riceviamo dunque le divine Scritture... ".9 Perciò, per tale divina venuta giù con gli uomini, i simboli misterici cristiani sono, ciascuno nel suo proprio ordine, infallibilmente efficaci dall'alto; non sono magia, pretesa manipolazione del divino catturato a piacimento dal basso. Con somma gratitudine riceviamo, dunque, ogni accondiscendere di Dio misericordioso per cui il suo Spirito Santo ci adatta ed adegua ogni parola. " Lo Spirito del Signore riempie l'universo, ed abbracciando ogni cosa, conosce ogni parola ".10

Evidentemente è epifania dall'alto; ma è apparire della santità. Cioè, apparire, ripetiamolo, del rapporto interpersonale di Dio unotrino a noi e di noi al nostro Dio (è ciò il sanctum) e precisiamo: epifania di santità, non di sacralità, perché questa, essendo una trascendenza separata, messa a parte (è ciò il sacrum) non entrerà nella concatenazione simbolica e non susciterà problemi ermeneutici altri per i suoi modi di presenza, anche se, purtroppo, non è infrequente che alla santità surroghiamo forme di sacralità. L'ascesi dell'immaginario sensibile, la laboriosa critica del fantasma, non è rinuncia stoica o risalita neoplatonica, ma è sanazione dei quattro scismi originari, da Dio, da noi stessi, dagli altri, dal cosmo, tanto condizionante quanto " connaturale ". Il mito platonico dell'androgino iniziale ne ha lampeggiato qualcosa al livello antropologico: " Ciascuno di noi è s. dell'uomo intero perché da uno che era è stato diviso in due. Perciò ciascuno di noi è sempre in cerca dell'altro s. di se stesso ".11 Gli farà eco il discepolo Aristotele ( 322 a.C.), affermando che il maschio e la femmina sono " s. " reciprocamente.12 Secondo noi cristiani, la risoluzione per ogni livello si trova entrando nell'universale sistema simbolico di Dio, sistema che è circolo virtuale d'ogni vicarietà di presenza, scismatica e santa, eidetica, etica, estetica, imperfetta e perfetta, intramondana e teandrica: l'uomo, egli stesso, s. di Dio.

III. Il s. misterico cristiano è gloria d'Immanenza. La dinamica simbolica del mistero non è un optional, infatti investe la biologia cristiana nel suo stesso cuore sacramentale. Se un s. qualsiasi rinvia all'ordine d'una trascendenza, il nostro s. misterico riporta all'ordine dell'immanenza cristiana, la quale non è la solita polarità esclusiva della trascendenza, ma l'autonomo caratteristico atteggiarsi della trascendenza nella divina economia sacramentale. Il termine stesso (al contrario di transscandere, " salire, scandireoltre ", che è da religiose e non religiose matrici comuni) inmanere, " rimanere, dimorare, esserein ", è da matrice biblica neotestamentaria (cf Gv 14,15-17, 19-20.23; 1 Gv 4,12-13.15-16). L'immanenza del nostro divino Trascendente è per noi misterica esperienza e permanenza sacramentale dell'Emmanuel " Dio-con-noi " (cf Is 7,14; Mt 1,23). Perciò, la nostra dinamica simbolica non è una metodologia scientifica ma è la poietica d'esperienza della presenza di Dio mediata esteticamente; e pure se, nella biologia cristiana per attingere la vita divina ed il suo infinito di Bontà, di Verità, di Bellezza, si realizza una sinergia tra simbolizzazione e concettualizzazione che non si elidono ma si postulano vicendevolmente; come la concettualizzazione a suo modo, così la simbolizzazione ha la sua specifica qualificazione al modo di procedimento poietico-estetico: gloria d'Immanenza, cioè epifania in bellezza di Dio-con-noi.

Poietike è derivazione da " formare con arte, dare essere dando alla luce, suscitare celebrando, compiere frequentando "" farsi fare creativamente "; e aistetike è derivazione da " percepire, contemplare, cogliere sensibilmente ". Sono tutte variazioni armoniche e luminose, del farefarsi fare esteticamente, in cui si realizza il s. misterico cristiano. Variazioni convenienti alla pregnanza variegata del sym - " con " nel s. misterico cristiano: syn è " coesistenza, uguaglianza, completezza, sussidiarità, complementarietà, reciprocità; simultaneità temporale, compresenza spaziale... ". Il s., quindi, è entusiasmante perché pregnantissimo, armonico, luminoso, è sempre e dovunque trionfo sul dia-bolo - diaballo, " disunisco, metto male tra due, sconvolgo, colpisco moralmente; accuso, calunnio, scredito, rendo odioso; inganno, mi oppongo a qualcuno "; dià è " penetrazione attraverso e divisione conseguente, separazione temporale, allontanamento spaziale, rivalità, differenziazione per qualità incompleta, per superiorità surclassante, per compimento rinforzato, per tempo protratto, per spazio esasperato... " -. Ovviamente, poiché non è un optional, la dinamica simbolica del mistero è impegno dovuto.

Gloria d'Immanenza, il s. misterico cristiano, trova la sua decisiva ermeneutica di vita eterna - " Questa è la vita eterna: che conoscano te... e colui che tu hai mandato " (Gv 17,3) - nell'evento misterico della Trasfigurazione - " L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò " (Gv 12,28) -.

Cristo Gesù si trasfigura apparendo nella sua umanità Dio qual è, " irradiazione della gloria del Padre ed immagine della sua sostanza " 13 e con lui Dio-con-noi sono stati trasfigurati i discepoli resi capaci di vederlo sensibilmente da Dio " che fa risplendere sul Tabor la pochezza della umanità ".14 La Trasfigurazione ci interpreta la poietica della dinamica simbolica del mistero con la registrazione della voce del Padre - " Ascoltatelo " (cf Mt 17,5 e paralleli) - che precisa la passività attiva dell'esser condotti dall'Emmanuel sul monte -. " Li condusse in disparte " (cf Mc 9,2) - e ce ne interpreta l'estetica con la narrazione dell'adombramento dello Spirito Santo - " Una nube luminosa li avvolse con la sua ombra " (Mt 17,5; secondo Mc 9,7 e Lc 9,35 la voce " uscì dalla nube ", e secondo Lc 9,34 i discepoli " all'entrare in quella nube ebbero paura ") - che insinua la divinizzazione dei nostri sensi ad immagine dei sensi assunti dall'Emmanuel - " Signore, è bello per noi restare qui " (Mt 17,4 e paralleli) -. Ci istruiscono Padri e dottori: " La trasfigurazione che videro i discepoli sul monte, mostrò il modello della gloria del Salvatore; e la gloria si manifestò sensibilmente ai loro occhi umani che non riuscivano a sostenerne lo splendore... Si vede il Logos trasfigurato nella gloria quando si sale con lui, quando si è elevati con lui, quando lo si guarda come il Logos... ";15 " Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo. Lo dice della divinità attingibile... Infatti l'hanno saputa, la sua bellezza, i discepoli ai quali egli stesso spiegava le parabole in disparte (cf Mc 4,34). Pietro ed i figli del tuono hanno visto la sua bellezza sul monte, resi capaci di vederla con i loro propri occhi... "; 16 " Cos'è questo volto che cambia d'aspetto (cf Lc 9,29) e risplende come il sole (Mt 17,2)? Non è la bellezza ineffabile, che trascende ogni cosa desiderabile e preziosa, che dà gioia insottraibile a chi la vede e si rivela nella misura in cui è attinta?... Se, dunque, essa è apparsa in se stessa, mi si permetta di dire, al di là di ogni rivestimento ma mediante il solo vestimento santo che si preparò con il sangue della Vergine ed assunse misticamente per opera dello Spirito, chi lo vedrà come l'hanno visto quelli a cui si mostrò? Ché niente delle realtà create che vediamo esaurisce la trascendenza del suo splendore. Poiché il Bene è partecipato ad ogni essere, non perciò è comprensibile nella sua pienezza, nella sua essenza; ma è comprensibile nel modo e nella misura dell'accessibilità concessa con dono infinito. Guardiamo, infatti, alla beata e celebrata passività dei discepoli sul monte quando la luce inaccessibile ed eterna, trasfigurando la sua propria carne, irradiò la sua gloria... "; 17 " Mostrare ai discepoli la gloria del suo splendore è lo stesso che trasfigurarsi. Come dice Girolamo, Su Matteo 17,2, non bisogna supporre che trasfigurandosi il Cristo abbia lasciato la sua figura ed il suo volto o abbia abbandonato la sua fisicità corporea per assumere un corpo spirituale. Non si tratta di dismissione nella sostanza ma di cambiamento nella gloria... lo splendore del corpo di Cristo nella trasfigurazione, come dice il Damasceno, Omelia sulla Trasfigurazione 1, promana dalla sua divinità e dalla gloria della sua anima. Che codesta gloria non s'irradiasse nel suo corpo sin dall'inizio della sua Incarnazione fu disposizione divina affinché egli operasse i misteri della nostra salvezza con corpo passibile, ma ciò non gli toglieva che la gloria della sua anima potesse irradiarsi nel suo corpo; e ciò, infatti, è avvenuto nella trasfigurazione... L'eccellenza della gloria che appariva (nella trasfigurazione) trascende ogni senso ed ogni capacità umana, secondo che sta scritto: "Nessun uomo può vedermi e restare vivo" (Es 33,20) e dice Girolamo Su Matteo 17,6 che la pochezza umana non sopporta la presenza della gloria trascendente. Ma in cotesta pochezza gli uomini sono sanati per Cristo che li introdusse nella gloria. Dice infatti ai discepoli: "Alzatevi e non temete" (Mt 17,7) ".18 Ecco che la Trasfigurazione è icona per la poietica in estetica del nostro s. misterico; da gloria a epifania a velo e viceversa, dalla rappresentazione ed espressione alla trasformazione e divinizzazione.

Note: 1 Nella nota bibliografica rinvio a quei dizionari che recano la voce in modo meglio confacente al nostro caso ed indico anche titoli d'orientamento di base nell'orizzonte simbolico; 2 Risale a Goethe l'opposizione di allegoria a simbolo; cf H. de Lubac, Exégese Médiévale IV, Paris 1964, 178; 3 Dionigi Areopagita, Lettera 9,1; 4 Ibid., 92; 5 P. Ricoeur, De l'intérprétation, Paris 1965, 510; 6 Adversus haereses, 4,18,2; 7 Mistagogia, 2; 8 Antifona ai Vespri nell'Ottava di Natale; 9 Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Genesi, 3; 10 Antifona d'ingresso nella Solennità di Pentecoste; 11 Platone, Convivio, 191 d.; 12 Cf Genesi degli animali, 722, 3; 13 Vespri della Trasfigurazione nella liturgia romana; 14 Vespri della Trasfigurazione nella liturgia bizantina; 15 Origene d'Alessandria, Frammenti su Luca, 9,28; 16 Basilio Magno, Commento al Salmo 44,3; 17 Andrea di Creta, Omelia sulla Trasfigurazione; 18 Tommaso d'Aquino, STh III, q. 45, a. 1 passim; a. 2; a. 4 ad 4.

Bibl. Aa.Vv, Filosofia e simbolismo, Roma 1950; Aa.Vv, Umanesimo e simbolismo, Roma 1950; R. Alleau, La science des simboles. Contribution à l'étude des principes, et des méthodes de la symbolique générale, Paris 1977; Ch.-A. Bernard, Simbolismo, in NDM, 1293-1305; E. Cassirer, Die philosophie der symbolischen formen, Berlin 1923-1929; M. Cocagnac, I simboli biblici, Bologna 1994; A. Delzant, Communication de Dieu par-delà utile et inutile. Essai theologique sur l'ordre symbolique, Paris 1978; G. Durand, Les structures antropologiques de l'immaginaire, Paris 1963; E. Leclerc, Le cantique des creatures ou les symboles de l'union, Paris 1970; F. Marty, s.v., in DSAM XIV, 1364-1383; G. Naud, Structure et sens du symbole, Montréal-Tournai 1971; E. Ortigues, Le discours et le symbole, Paris 1977; R. Riva, s.v., in NTB, 1472-1490; D. Sartore, SegnoSimbolo, in NDL, 1370-1381; R.A. Schwaller de Lubicz, Etude du symbole e de la symbolique, Le Caire 1952; F. Trouillard, Le symbole, Paris 1959; C. Valenziano, Prospetto per una trattazione antropologica dei simboli nelle nostre culture cristiane, in Aa.Vv., Simbolisme et theologie, Roma 1974, 29-44; Id., Cupette. Aspetti antropologici dei simboli nella iniziazione cristiana, in Aa.Vv., I simboli della iniziazione cristiana, Roma 1983, 243-257; Id., Narrazione del caos e del cosmos, in RasT 34 (1993) 2, 397-408; Id., Narrazione della trascendenza e dell'incanto, in Ibid. 35 (1994) 5, 397-402; S. Weil, La connaissance surnaturelle, Paris 1950. Riviste numeri speciali: cf Greg 61 (1980)3; Liturgisches Jahrbuch, 31 (1981)1; 44 (1985); RSR 49 (1975)1-2.




Autore: C. Valenziano
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)