Scrutatio

Giovedi, 25 aprile 2024 - San Marco ( Letture di oggi)

Silenzio


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I. Significato del termine. Il mistico oscilla tra la paradossia dell'espressione, il non senso e il s. Il parlare del mistico è un parlare contro le parole: più parla più si accorge di avere a disposizione una lingua morta, fatta di parole usurate, ecco che egli più cerca di comunicare meno si esprime. In una siffatta situazione la sola scelta possibile che gli rimane è il s. E, di fatto, è proprio il mistico, più di altri, a subire il fastidio delle parole e il fascino del s.

Il s., afferma Gregorio Magno, è la " casa del mistico " e per il mistico Dio è il " Signore del s. ". Il mistico è dentro la lingua come un viaggiatore in un albergo. La casa delle parole non è mai veramente sua. " Quando si parla di Dio con amore - ha scritto Leon Bloy - tutte le parole umane sembrano leoni diventati ciechi in cerca d'una sorgente ". Per il mistico parlare è perseguire l'impossibile; nel suo linguaggio avviene uno scontro tumultuoso tra ciò che ha esperito e la pratica letteraria, così i suoi tentativi, il più delle volte, culminano in un grande grido di s.

Dio, scrive Angelo Silesio, " è così al di sopra di tutto che nulla se ne può dire: perciò tu lo preghi meglio col s. " Ed Hello aggiunge: " Ad una certa altezza il contemplativo non può dire ciò che vede, non perché il suo oggetto venga meno alla sua parola, ma perché è la parola a venir meno al suo oggetto, ed il s. del contemplativo diviene l'ombra sostanziale delle cose che egli non dice... La parola è un viaggio che egli compie per carità verso gli altri uomini. Ma il s. è la sua patria ".

II. Esperienza. Nel s., a detta di molti studiosi, sta l'essenza della mistica. " Se seguiamo i mistici - ha scritto Jean Baruzi - sino alle ultime fasi dell'avventura spirituale da loro descritta, non è sul loro linguaggio che metteremo l'accento, ma sul loro s. L'appello all'ineffabilità, lanciato dopo tanti sforzi per spiegarsi, non è, presso di loro, almeno presso i più puri tra loro, enfasi o pigrizia. Sembrerebbe loro inutile e anche menzognero esprimere con delle immagini ciò che li ha strappati ad ogni immagine, con delle modalità sottomesse alla coscienza, ciò che li ha liberati dallo sguardo del loro io su se stesso. Essi non si sono mai sognati di dire con delle parole quello che è stato il più profondo segreto del loro viaggio ".

Il s. del mistico è più eloquente delle sue parole. Quando egli si accorge di parlare della sua esperienza del totalmente Altro non riuscendo a dire niente, di parlare e di dire soltanto " non-parole ", allora la scelta del s. è l'unica scelta possibile che gli rimane da compiere. Il s. del mistico è il s. di colui che ha compiuto un suicidio semantico per adoperare soltanto le parole del s., è un s. che si presenta come l'orizzonte del dire, è un s. che ci parla di ciò che non può essere detto. In altre parole, è un s. che apre nuove dimensioni alla realtà, rende consapevoli che il dicibile, ciò che può essere detto, non è poi tutto; rende cioè consapevoli del fatto che i nostri problemi più profondi stanno al di là del linguaggio. La scelta del s. da parte del mistico è indice del riconoscimento della finitezza dell'uomo. Vi sono uomini (ed il positivista è tra questi) che non hanno niente su cui tacere. Uomini senza s. Chi lascia uno spazio al s. automaticamente si riconosce creatura e riconosce i propri limiti dell'essere creatura.

La mistica, ha scritto Gerardus van der Leeuw, " in generale, ricerca il s. Il potere della potenza cui si rivolge è tale che soltanto il s. potrebbe offrirle un'occasione. Paradosso dell'espressione, così caratterizzato da Karl Jaspers: si vorrebbe dir tutto, tutto quel che esiste e più ancora: la massima eloquenza si alterna al s. completo. Se la mistica, in ogni tempo, ha spiegato grande loquacità, questa è soltanto il rovescio, il corrispondente, del suo essenziale s. ".

La frase mistica, annota Michel de Certeau, " è un artefatto del s. Produce s. nel rumore delle parole ". Per il mistico esiste accanto alla maieutica del dialogo una maieutica del s.; il suo invito a liberarsi delle parole, a spezzare i cardini del linguaggio è finalizzato al recupero di uno strumento: il s., che non ha solo una mera funzione comunicativa, ma che è in grado di creare una vera e propria comunione. Per il mistico solo nel s. l'anima può aprirsi totalmente alla fede e alla testimonianza. Ciò che il mistico scopre, alla fine del suo viaggio sui sentieri semantici più impervi, è che il linguaggio non è essenziale alla religione, esso può essere solo usato, e malamente, per la preghiera e l'adorazione.

Sul ruolo che il s. gioca nella sfera religiosa (e mistica) hanno insistito tanto Rudolf Otto quanto Thomas MacPherson. Secondo Otto ciò che è tipico della religione non può essere espresso a parole. A suo avviso, " il cristianesimo è una religione fortemente concettualizzata, piena di parole: inni, prediche, libri di teologia, la stessa Bibbia. L'aspetto concettualizzato della religione - quello che è messo in parole - è molto importante, ma non ci deve far dimenticare che c'è qualche altra cosa che non può essere messa in parole, ed è l'elemento non razionale, l'esperienza del luminoso ".

E MacPherson, sulla scia di Otto e di Wittgenstein, afferma che esistono cose che " semplicemente non si possono dire. Se nessuno prova a dirle, non si dà il problema: ma chi lo tenta, deve sopportarne le conseguenze. Non si deve provare a esprimere l'inesprimibile. Le cose che i teologi provano a dire (per lo meno alcune di esse) appartengono a questo tipo di cose che non si possono dire. La strada, dunque, per uscire dalla preoccupazione è quella di una ritirata nel s. ". Quella ritirata che il mistico, quando si è accorto di essere solo una vittima disarmata delle proprie parole, ha sentito infallibilmente come l'unico atto che gli restava da compiere.

Il s., pertanto, non ha solo una valenza ascetica, nel senso che purifica la parola, ma ha, altresì, una valenza mistica in quanto permette la comunione con Dio e il suo mistero. Non per nulla il nome divino nel giudaismo si scrive con quattro consonanti impronunciabili: JHWH.

Bibl. Aa.Vv., Il silenzio e la parola da Eckhart a Jabés, Brescia 1989; Aa.Vv., Le forme del silenzio e della parola, Brescia, 1989; M.I. Angelini, Un silenzio pieno di sguardo. Il significato antropologico-spirituale del silenzio, Bologna 1996; M. Baldini, Le dimensioni del silenzio, Roma 1988; Id., Le parole del silenzio, Milano 1995; H.U. von Balthasar, Parola e silenzio, in Id., Verbum Caro, Brescia 1968, 141-162; A.M. Canopi, Liturgia del silenzio, Casale Monferrato (AL) 1996; Giovanna della Croce, s.v., in DES III, 2308-2312; P. Miquel - M. Dupuy, s.v., in DSAM XIV, 830-859; J.M. Nouwen, Ho ascoltato il silenzio, Brescia 1979; Id., Silenzio, solitudine, preghiera, Roma 1985.



Autore: M. Baldini
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)