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Martedi, 23 aprile 2024 - San Giorgio ( Letture di oggi)

Sapienza


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Premessa. Il dono della s. rappresenta il più alto grado di conoscenza e di esperienza della vita spirituale. Non si tratta di una s. umana, come frutto maturato alla luce della ragione né di una s. teologica, acquisita in base all'elaborazione dei dati rivelati. La s. è, innanzittutto, un dono dello Spirito Santo comunicato ai cristiani gratuitamente con liberalità e benevolenza.

I. Nella Scrittura. Non c'è dubbio che lo Spirito Santo agisca mediante il dono della s. nel nostro intelletto e nella nostra volontà, producendo una meravigliosa conoscenza esperienziale delle cose divine, ma la prova principale dell'esistenza di questo dono, in quanto realtà soprannaturale, si trova nella Scrittura.

E classico il testo di Isaia che parla del germoglio della radice di Iesse: " Su di lui si poserà lo spirito del Signore: spirito di s. e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore " (Is 11, 2).

Altri brani dell'AT (cf Gn 41,37; Nm 24,2; Sal 31,8; 118,30-31; 142,10; Sap 7,28; 10,10; Sir 15,2; Is 6,1; Mi 3,8) e del NT (Lc 12,12; 24,25; Gv 3,8; 14,17; At 2,2; Rm 8,14; 1 Cor 2,10,12,18; Ap 3,1; 5,6) vengono a confermare sia l'esistenza dei doni dello Spirito Santo sia l'efficacia della sua azione in particolare.

Grazie al dono della s., l'anima può avere una esperienza così alta e profonda delle cose soprannaturali che risulta quasi indescrivibile in termini umani. Questa " visione " di Dio durante il pellegrinaggio terreno diventa il segno più chiaro della visione beatifica, fonte della suprema felicità.

II. Cos'è la s.? Per comprendere meglio la natura di questo dono dello Spirito si può tentare la seguente definizione: " La s. è un abito soprannaturale che, unito strettamente alla virtù della carità, giudica rettamente le cose soprannaturali nelle ultime cause, grazie a un aiuto speciale dello Spirito Santo che ce la fa gustare per una certa connaturalità ".

Non è possibile dare un giudizio esatto sui misteri divini senza una luce soprannaturale. Proprio il dono della s. viene ad illuminare la nostra mente per giudicare, senza possibilità di errore e secondo le ultime cause, sia la natura di Dio sia il contenuto dei suoi misteri. Si tratta di una esperienza sublime, irripetibile, quasi incomunicabile.

I teologi e i mistici affermano, da un punto di vista dottrinale e pratico rispettivamente, che il giudizio e il gusto delle cose divine vengono acquisiti dall'anima grazie a una certa " connaturalità ". In realtà, è una caratteristica propria del dono della s. possedere, nel senso di fare un'esperienza personale, le realtà che deve giudicare.1

Questo dono infuso dallo Spirito Santo si colloca al primo posto, perché riguarda direttamente le cose soprannaturali. Il cristiano, sotto l'influsso della s., acquista una conoscenza chiara, dà un giudizio esatto e ha un'esperienza personale delle realtà che superano le facoltà umane, quella dell'intelletto e della volontà.

Come causa della contemplazione infusa, l'atto mistico per eccellenza, il dono della s. ci permette di contemplare Dio mediante un'intuizione profonda, non attraverso una serie di ragionamenti discorsivi.

Inoltre, questo dono va normalmente unito alla carità, la virtù teologale più importante, perché unisce direttamente a Dio e permette di sperimentare in questa vita le sue dolcezze; infine, perché resterà nella vita eterna. E siccome la perfezione cristiana consiste essenzialmente negli atti più perfetti di carità, la s. conserva un rilievo di primo ordine.

La necessità della s., si giustifica o perché il cristiano non ha raggiunto ancora il fine proprio, cioè la santità, o perché sono poco intensi gli atti di carità. Ma questa virtù ha bisogno realmente di un dono dello Spirito Santo? Mentre l'abito della fede è un po' oscuro, perché tratta di cose " non viste ", o quello della speranza riguarda realtà " non ancora possedute ", la carità invece ci unisce direttamente all'oggetto proprio: Dio-Amore. Ma, ciò nonostante, se la carità non fosse mossa dalla s. non potrebbe realizzare atti più intensi né tantomeno potrebbe svilupparli sotto l'influsso divino.

L'agente di questa virtù teologale, senz'altro la più perfetta, è la persona che vive in grazia, che opera però in modo umano. Perciò, quando vuole esercitare la carità in grado perfetto, deve avvalersi della s. infusa direttamente dallo Spirito Santo. Ancora di più: l'agente della s. è il Verbo che " spira l'Amore ".2 Proprio in questo modo soprannaturale consiste la nota caratteristica di ogni dono in confronto con la virtù corrispondente.3

La s. è un dono che risiede propriamente nell'intelletto mediante il quale la persona umana aspira a conoscere la verità suprema, Dio stesso, fonte della felicità. Sebbene il desiderio di possedere Dio, con la gioia conseguente, appartenga alla volontà, la conoscenza della verità infinita e il giudizio sulle cose divine è un'operazione specifica dell'intelletto.

III. La carità, causa principale della s. Per superare alcune polemiche circa il rapporto tra conoscenza e amore, facendo prevalere un elemento sull'altro, possiamo ricorrere direttamente a s. Tommaso. La s., come dono, " ha la causa nella volontà, cioè nella carità, ma l'essenza nell'intelletto, il cui atto è quello di giudicare rettamente ".4

Soltanto la carità è capace di muovere liberamente il soggetto verso il bene conosciuto fino al punto di possederlo, cioè di averne un'esperienza viva e personale.

Il compito preciso della s. è quello di comunicare una modalità divina che realmente perfeziona gli atti della carità. In quanto abito, la s. si trova in tutte le anime che, vivendo nella grazia, desiderano ardentemente la perfezione incarnando gli insegnamenti di Cristo.

Tra i vari effetti attribuiti al dono della s., conviene sottolineare: a. una sensibilità autenticamente divina per dare un giudizio retto su Dio in se stesso o sulle cose soprannaturali; b. un modo divino di sperimentare nel profondo dell'anima la luce che proviene da Cristo, giacché la s. incarnata ci ha rivelato la profondità e l'ampiezza dei misteri divini; c. una partecipazione ineffabile alla vita trinitaria, percependo chiaramente la presenza delle tre divine Persone; 5 d. una spinta efficace alla carità per produrre atti eroici e per animare, allo stesso tempo, tutte le altre virtù affinché possano agire in modo divino.

Sebbene sia difficile esprimere in termini umani tutti questi effetti soprannaturali, la ricerca del teologo alla luce dei dati rivelati viene a chiarire l'esperienza del mistico che, a sua volta, conferma l'azione trasformamte dello Spirito nella vita del cristiano.

IV. Come alimentare il dono della s.? Prima di tutto lottando contro la stoltezza, opposta radicamente al dono della s. La stoltezza consiste in un certo oscuramento della luce soprannaturale che rende impossibile il discernimento autentico delle cose divine. Già s. Paolo previene i cristiani contro una forma di stoltezza, propria dei sapienti di questo mondo, che è contraria alla prospettiva di Dio (cf 1 Cor 1,25-27; 3,19). Tale ignoranza spirituale ci impedisce non solo di dare un retto giudizio dal punto di vista di Dio, ma anche di sperimentare queste cose con quel gusto proveniente dalla conoscenza per connaturalità. In secondo luogo, superando la miopia spirituale: l'anima deve vedere sia le realtà divine sia le realtà umane da un punto di vista divino. Senza questo sforzo per giudicare ogni avvenimento alla luce che viene dall'alto, si cade rapidamente in una specie di miopia spirituale. Bisogna chiedere il dono della s. che punta direttamente alla Causa prima, andando oltre le cause seconde. Infine, occorre nutrire un gusto sempre più profondo dei valori soprannaturali. Senza disprezzare le cose buone di questo mondo, occorre cercare decisamente i valori della vita spirituale che rendono l'uomo felice. Quando l'anima è troppo legata al modo umano di pensare e di agire, sente una certa nausea verso le cose divine. Il dono della s., invece, aiuta il cristiano a gustare gli effetti della presenza di Dio, appagando così la sete di felicità insita nel cuore umano.

V. La s. porta al senso di Dio. Chi ha ricevuto questo dono dello Spirito Santo è capace di contemplare la verità divina in se stessa, di riflettere sulle conseguenze concrete nella propria vita spirituale e di sentire più chiaramente l'opera trasformante della grazia. Oltre a dare un giudizio retto sulle cose divine, la s. regola gli atti umani alla luce di Dio.

D'ora in poi, tutta l'esistenza umana entra in un'orbita trascendente. Ogni avvenimento è visto alla luce di Dio e in ordine alla perfezione personale. Perfino le tentazioni sono considerate occasioni per acquistare nuovi meriti e le più dolorose malattie, sopportate con rassegnazione cristiana, aiutano a scoprire il volto glorioso del Signore. In breve, si tratta di una conoscenza teorica e pratica allo stesso tempo. La conoscenza acquisita grazie al dono della s. non è soltanto speculativa, ma anche pratica: Dio, oggetto trascendente, è percepito sperimentalmente dall'anima. Quanto più chiara è la sua visione di Dio tanto meglio riesce a sentire la sua presenza e la sua azione. Non si tratta di un atto qualunque della ragione umana, ma di una visione chiara o di una intuizione profonda di Dio, Bene supremo.

L'intelletto umano, illuminato dalla s., riesce a riflettere sulle verità rivelate perché non agisce più con la forza della ragione, ma in base a una luce soprannaturale fino ad arrivare ad una unione tale che, secondo il Dottore mistico, " l'intelletto umano e quello di Dio sono una cosa sola ".6

Come forma contemplativa, la s. ci fa comprendere, in grado supremo, tutti i misteri divini e tutte le realtà create alla luce della Causa prima. In quanto s. d'azione, questo dono scopre le motivazioni concrete delle cause seconde, sotto lo sguardo di Dio. Così la dimensione contemplativa diviene anche guida di tutte le azioni umane.7

La conoscenza sapienziale di Dio comporta anche una serie di sentimenti profondi. La pace, in primo luogo. La settima beatitudine è un frutto maturo del dono della s.: " Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio " (Mt 5,9). S. Tommaso, sulla scia di s. Agostino, spiega questa associazione sia per quanto riguarda il merito, perché la pace è la " tranquillità dell'ordine ",8 sia per quanto riguarda il premio, perché i cristiani diventano figli adottivi di Dio grazie al Figlio unigenito del Padre, s. eterna.9

La s. causa anche gioia. Essa, " sapida scientia ",10 in quanto conoscenza che produce la gioia più profonda nel cuore umano, rinnova continuamente il gusto delle cose soprannaturali. Perciò, l'anima che riposa in Dio è immensamente felice.11

Altri sentimenti affettivi sono l'ammirazione dinanzi agli effetti causati direttamente da Dio e lo stupore dinanzi al suo mistero insondabile.

Secondo l'insegnamento della Scrittura, è impossibile vedere Dio in questa terra " faccia a faccia ", senza morire (cf Es 33,20). Esiste una differenza sostanziale tra l'esperienza di Dio in questa terra e quella riservata in cielo.

I teologi sono d'accordo nel ritenere che l'anima non può contemplare Dio se non nella gloria celeste. Per questo, a volte, i mistici sono tentati di varcare i limiti del tempo e desiderano rompere l'ultimo legame con questo mondo per unirsi per sempre a Dio, Amore Amato, nell'eterna visione beatifica.

Difatti, tutte le forme di conoscenza e di amore che l'anima può possedere di Dio sono limitate sia dalla condizione temporale sia dalla capacità recettiva del soggetto. Perfino la trasformazione totale dell'anima in Dio, ultimo grado della vita spirituale, è un'esperienza non definitivamente perfetta, ragion per cui s. Giovanni della Croce precisa: " La perfezione dell'amore glorioso... è totalmente ineffabile ".12

Conclusione. E evidente che il dono della s., in quanto giudizio retto delle cose soprannaturali, è unito strettamente alla virtù della carità. Questo tipo di conoscenza provoca un amore più intenso che, allo stesso tempo, cerca di approfondire i misteri divini per prestare un'adesione completa e piena d'amore a Dio, sommo Bene.13 In questo modo, il rapporto conoscenza-amore si rafforza a vicenda.

L'anima in grazia riceve dal dono della s. la capacità di conoscere e sperimentare Dio insieme ai suoi misteri, sempre più perfettamente. Il modo soprannaturale con cui il cristiano pratica la carità ammette diversi gradi, secondo la propria disponibilità e l'intensità di operazione del dono. L'illuminazione divina dell'intelletto umano non consiste soltanto in una comprensione chiara delle realtà che trascendono la natura umana, ma soprattutto in una esperienza che sa gustare le infinite dolcezze di Dio.

Ai " viatori ", che hanno sperimentato la presenza di Dio nell'intimo dell'essere e in modo sublime, non resta altro che rinnovare la propria disponibilità all'azione sempre più efficace dello Spirito Santo. Così potranno scoprire meglio le insondabili ricchezze divine, fare di esse un tesoro proprio e praticare in grado perfetto la carità. Quasi identificati con Cristo, s. eterna, desiderano soltanto unirsi a Dio-Amore nella visione beatifica.14

Note: 1 Cf STh II-II, q. 45, a. 2; 2 Cf STh I, q. 43, a. 5, ad 2; II-II, q. 45, a. 6, ad I; II-II, q. 68, a. 1; 3 Afferma chiaramente s. Tommaso: " Dona a virtutibus distinguuntur in hoc quod virtutes perficiunt ad actus modo umano, sed dona ultra humanum modum " (III Sent. 34, q. 1, a. 1); 4 STh II-II, q. 45, a. 2; 5 Giovanni della Croce afferma che l'anima deve liberarsi da ogni vincolo terreno per essere degna dimora della SS. Trinità. E come può sperimentarne gli effetti concreti? Mediante una illuminazione nella sapienza del Figlio, l'amore gioioso dello Spirito Santo e l'abbraccio potente del Padre buono: cf Fiamma viva d'amore I, 15;6 Ibid., II, 5,30; 7 Cf S. Agostino, De Trinitate, 12,14; 8 Id., De civitate Dei, 19,13,1; 9 Cf STh II-II, q. 45, a. 6; 10 Cf Ibid., q. 180, a. 7; 11 Fiamma... o.c., IV, 3,15; 12 Cantico spirituale, 38,4; 13 Cf STh II-II, q. 180, a. 7, ad 2; 14 Cf Cantico ..., o.c., 31,7.

Bibl. Aa.Vv., s.v., in DSAM XIV, 72-132; P.E. Bonnard, Cristo Sapienza di Dio, Torino 1968; U. Degl'Innocenti, La conoscenza sapienziale in sant'Agostino e san Tommaso, in Aquinas, 3 (1966), 143-162; M. Gilbert, s.v., in NDTB, 1247-1447; M. Gilbert - J.N. Aletti, La Sapienza e Gesù Cristo, Torino 1981; A. Grion, s.v., in DES III, 2250-2253; J.B. Metz, s.v., in DT III, 231-249; M.M. Philipon, I doni dello Spirito Santo, Milano 1965, 223-271; A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Roma 19656, 625-638.



Autore: E. De Cea
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)