Scrutatio

Sabato, 20 aprile 2024 - Beata Chiara Bosatta ( Letture di oggi)

Perfezione


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I. La p. è propria e solo di Dio. Lo stesso Corpo mistico glorioso di Cristo è pur sempre solamente proteso verso la p. costituita dalla pienezza caritativa divina trinitaria, mai definitivamente acquisibile. Quando si afferma che un'anima santa è perfetta, si allude a una p. relativa e fra ineludibili imperfezioni. " Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità di Dio non è in noi " (1 Gv 1,8). Veramente " Dio solo è l'unico buono " (cf Mt 19,17).

Fra le perfezioni create eccelle e primeggia quella di Gesù Cristo risorto glorioso. Nessun'altra la eguaglia. Noi possiamo solo aspirare ad acquisire qualche aspetto del volto spirituale di Gesù, che lo stesso Spirito Santo ama imprimere nell'animo nostro. Ma non potremo avere una p. eguale a quella di Cristo, neppure racimolando le perfezioni dell'intera comunità di credenti.

II. La p. dei singoli credenti si propone come una meta, che si snoda sempre ulteriormente al di là di quanto essi vengono acquistando. Più appropriatamente si suol dire che le singole anime sono incamminate verso la p. senza mai raggiungerla. E vero che s. Paolo propone con insistenza lo stato perfetto (cf Ef 4,13; Col 1,28; Fil 3,12), ma è un'indicazione di p. in prospettiva dinamica. Per il suo stesso dire, essa non è mai completa di fatto, proprio perché Gesù ha proposto al cristiano la p. di Dio Padre del tutto trascendente per le creature: " Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste " (Mt 5,48). Nel linguaggio biblico-teologico, quando si parla di persona perfetta, s'intende solo asserire che ella è perseverante nel progredire verso la meta spirituale.

Il presente stato umano di p. relativa incompleta ha un suo senso benefico: esprime il disegno divino che ci orienta a diventare sempre più intimi al Signore.

III. P. di cammino spirituale. La p. dei credenti, situandosi in un incessante progresso, suole essere concepita prevalentemente in rapporto ai mezzi scelti per perfezionarsi, più che in relazione alla meta perfetta raggiunta. La qualità dei mezzi praticati già svela quale maturità spirituale sia acquisita in armonia con il proprio ambiente culturale religioso. In particolare, si ritiene che si sia acquisita un'autentica esperienza spirituale qualora essa sia vissuta non come un abituale compimento di regole o leggi, ma in spontanea, libera tensione verso un perfezionamento ulteriore.

L'uomo posto in grado inferiore, camminando efficacemente verso la p., è spiritualmente preferibile all'uomo posto in grado più elevato, ma che si sia adagiato in posizione statica. Per sua stessa natura, la p. cristiana dimora dentro una tensione profetica: nel saper intuire ed assecondare quanto il proprio animo e il contesto culturale-spirituale indicano come perfezionamento ulteriore da perseguire.

Come lo Spirito Santo orienta il credente verso una meta superiore? Egli, più che proporre l'azione in se stessa da compiere, viene perfezionando la disponibilità di discernimento e la capacità operativa di ogni singola anima. Presso i credenti viene così favorita la varietà di operati spirituali per il costituirsi del volto spirituale più ricco del Signore nella comunità ecclesiale. Anche se non sarà mai un volto spirituale integrale del Cristo.

IV. Esemplificazioni di p. Non è possibile elencare le molteplici varietà dei vissuti spirituali attuati. Tanto sono molteplici. Allorché Paolo invita: " Cristo sia forma in noi " (cf Gal 4,19), lascia alle singole anime il compito di realizzare l'invito nella maniera personale gradita. Possiamo fare qualche esempio, ricordando taluni modi usati per realizzare la p. La diversità dei modi scelti ingenera diversità di esperienze spirituali attuate.

Tra i Padri della Chiesa, s. Ireneo nel trattato Adversus haereses ricorda che Adamo ebbe in dono una propria singolare capacità di tendere verso la p. Capacità perduta con il peccato e recuperata nello spirito del Cristo Redentore. Clemente Alessandrino nel Pedagogo ritiene che esista p. nella Chiesa per la presenza in essa del Cristo e che ad essa possiamo partecipare mediante il martirio.1

Secondo Origene, i credenti perfetti, a differenza dei semplici fedeli, hanno acquisito lo spirito di filiazione adottiva partecipante all'esperienza teandrica del Verbo incarnato. Secondo s. Agostino, mentre la vita virtuosa umana è frastagliata fra debilitanti programmazioni spirituali, la grazia risospinge al di là dei limiti propri della nostra esistenza.

Se s. Pacomio identifica la p. con l'istituzione monacale, Cassiano la immedesima con la preghiera perpetua e s. Benedetto con l'amore di Cristo. I monaci, in genere, identificano la loro scelta ascetica con lo spirito proprio del battesimo. La vita monastica viene assimilata al martirio perché ritenuta una costante esistenza di sacrificio in Cristo.

I religiosi mendicanti, amando vivere secundum formam sancti evangelii, pongono la loro p. nell'imitare il Cristo resosi povero per noi: nudus nudum Christum sequi. In contrapposizione ad essi la gerarchia ecclesiastica rivendica la p. nel proprio servizio pastorale, poiché la carità - che ne è la sorgente - è superiore ad ogni contemplazione propria dei religiosi.

S. Tommaso renderà stabile la dottrina della p. innestandola sulla carità.2 P. cristiana equivale a p. della carità, sia essa episcopale, religiosa o laica.3

V. P. come esperienza mistica. La p. può essere considerata non in relazione ai mezzi scelti per acquisirla, ma propriamente nella sua attuata configurazione. In questa ipotesi la teologia spirituale e la prassi ecclesiale sono concordi nel ritenere che la p. si identifichi con l'esperienza mistica: un convivere nella carità pasquale di Cristo in virtù dello Spirito a gloria di Dio Padre.

Già nel Vangelo si ricorda il precetto di Gesù ai suoi discepoli: essere intimamente uniti a lui in amore verso Dio e i fratelli (cf Mt 22,40). Unione mistica con Cristo non al modo in cui viviamo le nostre amicizie umane. Gesù parla di un'intimità caritativa tutta particolare. Rivolgendosi a Dio Padre così la precisa: " Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come ami me " (Gv 17,23).

L'unità fra gli stessi discepoli, pienamente realizzata in amore mistico, è un momento dell'unità che esiste fra Gesù e il Padre suo. Dal punto di vista evangelico è questa la p. suprema dell'umanità: immersi nell'amore divino trinitario presente nella carità pasquale del Cristo e che ci viene partecipato in virtù dello Spirito Santo, noi veniamo resi mistici nella misura in cui ci rendiamo interiormente disponibili a ricevere la carità pasquale cristica dallo Spirito.

La partecipazione al mistero pasquale del Cristo consente di morire a ogni compiacenza verso una propria attività virtuosa; di creare il vuoto in noi così da consentire allo Spirito di renderci "uno" in Cristo; di uscire da sé (ex-tasi) penetrando nell'interiorità profonda del Cristo risorto (in-stasi); di permeare ogni attività dell'esistenza della carità pasquale; di stare in ascolto e in abbandono allo Spirito di Cristo.

Gli altri aspetti straordinari, che possono verificarsi nella vita spirituale, non riguardano propriamente la p. mistica. Teresa d'Avila ha precisato che i " favori " divini (come orazione di raccoglimento, rapimenti, visioni) non interessano la p. " La sovrana p. non sta nelle gioie interiori... né nelle visioni né nello spirito di profezia. Essa sta nel rendere la nostra volontà talmente conforme a quella di Dio che noi abbracciamo di tutto cuore ciò che crediamo che egli vuole ".4

Parimenti, non costituisce p. cristiana un esercizio moralistico. La vita virtuosa è necessaria e irrinunciabile, ma come disponibilità a una vita mistica di carità e di contemplazione. Difatti, la p. d'ordine etico, che si ottiene con il dominio di se stessi attraverso un esercizio virtuoso, oltre a farci acquisire stima sociale, rende idonei a cooperare nell'accoglienza del carisma mistico e a diffonderlo in ogni nostra attività.

Note: 1 Pedagogo, str. IV, 4,14; 2 STh II-II, q. 184, a. 1; 3 Ibid., II-II, q. 184, a. 4; 4 Fondazioni 5,10.

Bibl. V. Balciunas, La vocation universelle à la perfection chrétienne selon s. François de Sales, Annecy 1952; A.-J. Festugière, Les moins d'Orient, IV1, Paris 1964; R. Garrigou-Lagrange, La perfezione cristiana e la contemplazione secondo s. Tommaso d'Aquino e Giovanni della Croce, Torino 1933; T. Goffi, Carità, esperienza di Spirito, Roma 1978; H. de Lubac, Mistica e mistero cristiano, Milano 1979; S. Marsili, Giovanni Cassiano ed Evagrio Pontico, Roma 1936; A. Meynard, Teologia ascetica e mistica, I, Torino 1937; A. Sage, S. Augustinus, vitae spiritualis magister, I, Romae 1959; C.V. Truhlar, L'esperienza mistica. Saggio di teologia spirituale, Roma 1984.




Autore: T. Goffi
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)