Scrutatio

Sabato, 20 aprile 2024 - Beata Chiara Bosatta ( Letture di oggi)

Mistica grego-ellenistica


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Premessa. Le radici storiche della semantica del fenomeno mistico. Ad apertura del Saggio sul misticismo greco (Roma 1979), D. Sabbatucci, nel notare come un interprete delle tradizioni religiose dell'antica Grecia come E. Rohde ha potuto affermare che " i misteri (di Eleusi) non additavano la via che conduceva al misticismo ",1 sottolinea opportunamente la grave aporia che tale giudizio fa insorgere. Lo studioso, infatti, percepisce che un'affermazione siffatta presuppone, quanto al termine mistico, una netta soluzione di continuità storicosemantica. " Non potrebbe, infatti, non apparire strano, perciò tale da aver bisogno di una spiegazione - egli conclude - il fatto che il fenomeno eleusino, il quale ha dato alla cultura occidentale il termine "mistico", non abbia avuto, almeno in nuce, un reale fondamento mistico ".2

Poiché il termine, e il relativo contenuto concettuale, presuppone naturalmente un particolare fenomeno storico ovvero una serie omogenea di fenomeni di cui esso intende esprimere e definire il carattere distintivo, si tratta di vedere quali fatti religiosi, all'interno della tradizione greca, rientrino nella sfera semantica pertinente a quel termine e ad altri ad esso strettamente connessi.

D. Sabbatucci, pur consapevole della difficoltà pregiudiziale di una definizione generale del " misticismo ", capace di abbracciare una serie assai numerosa e varia di esperienze nei più diversi ambiti religiosi, ha ritenuto necessario premettere all'analisi dei fatti " mistici " greci una tale definizione. Lo studioso riconosce tipico " dell'esperienza mistica " " il concetto di salvezza assoluta ",3 mentre " il bisogno di un assoluto in un fatto mistico è in realtà un a posteriori che ricopre il primario bisogno di rompere le relazioni con un certo ordine di cose... L'interiorizzazione è ugualmente un'immagine a posteriori che ricorda, e in maniera inadeguata, la scelta mistica, ossia la deliberata rinuncia all'ordine vigente ". Si conclude sull'opportunità di " limitare ogni misticismo, sia come atteggiamento, sia come comportamento, sia pure come dottrina, al momento della ricerca non di un assoluto ma... di uno "scioglimento" da un determinato "mondo", e a considerare le vie che sono usate a questo scopo come offerte proprio e soltanto da quel mondo ".4

Sebbene ogni tentativo di circoscrivere un minimum capace di definire il più ampio spettro di fenomeni sia sempre soggetto al rischio di un certo riduzionismo ovvero tenda a privilegiare un aspetto, per quanto importante, dei fenomeni in oggetto a scapito di altri egualmente rilevanti, la definizione proposta dal Sabbatucci, senza dubbio, puntualizza un aspetto importante della fenomenologia del " mistico " e si rivela utile quale strumento di indagine in un campo estremamente complesso come quello in esame. Tuttavia, abbiamo ora insistito sulla posizione dello studioso non per privilegiarla su altre, che in sede fenomenologica potrebbero offrire ulteriori elementi altrettanto proficui alla ricerca, ma perché essa costituisce premessa e fondamento ad un'analisi dei fatti religiosi greci, definibili appunto " mistici " in relazione al parametro così individuato. Tali sono, nella prospettiva del Sabbatucci, sia i misteri di Eleusi e dei grandi dei di Samotracia, sia l'orfismo in quanto tradizione che reinterpreta certi elementi del dionisismo in funzione " antimondana ".

In questa sede intendiamo, peraltro, seguire un diverso itinerario e, prescindendo da definizioni previe, cercare di circoscrivere aspetti e contenuti di quei fenomeni religiosi greci che rientrano nella sfera semantica del " mistico " per individuarne la specificità e l'interna articolazione. " E ciò al fine - come abbiamo avuto modo di notare in altra sede - di verificare se sussistano precise motivazioni storico-religiose della circostanza, già per sé significativa e non riducibile al piano puramente terminologico, dell'utilizzazione dell'aggettivo mystikós, pertinente appunto alla sfera dei mysteria, per esprimere un tipo di esperienza religiosa di natura specialissima, quale è quella definita mistica secondo il vocabolario rispettivo delle moderne lingue occidentali".5

I. I mysteria greci: origine e caratteri del linguaggio mistico. I documenti più antichi che registrano il termine " mysteria " risultano pertinenti in larga parte al culto celebrato in onore della coppia divina costituita da Demetra e Kore-Persefone, rispettivamente madre e figlia, celebrato nella cittadina attica di Eleusi, presso Atene. Quest'ultima, a partire da una certa epoca (sec. VI a.C.), esercitò la propria sovrintendenza sui locali " misteri ", divenendo così essi uno dei più importanti culti ufficiali ateniesi.

L'area semantica relativa a tale culto comprende anche l'aggettivo " mystikos ", il sostantivo " mystes " e il verbo " myeo ", accomunati dalla radice " my ", che già in antico fu messa in rapporto con il verbo " myo " " chiudo ", usato anche in senso assoluto come equivalente a " chiudere la bocca " o " chiudere gli occhi ". In tale etimologia, che i moderni glottologi accettano come sostanzialmente corretta, fu individuato il fondamento stesso della speciale qualità dei riti relativi. Un antico lessicografo, infatti, dichiara che i misteri furono così " chiamati per il fatto che coloro che ascoltavano dovevano chiudere la bocca e non spiegare ad alcuno quelle cose " (Suida s.v.).

Il verbo myeo esprime l'azione sacra che ha come oggetto il fedele e che lo costituisce, al termine di un iter rituale segreto, nella condizione di mystes ovvero ho myoumenos, ossia " iniziato ", essendo tale azione espressa dal termine myesis, " iniziazione ". Quest'ultimo termine e il verbo connesso (" iniziare ") traducono nelle moderne lingue occidentali i termini latini initium e initiare con cui appunto furono resi i corrispondenti etimi greci. Incerto è il significato della terminazione (- terion) del sostantivo mysterion che, solitamente nella forma plurale (mysteria), designa un complesso cultuale a carattere esoterico e iniziatico, quale appunto quello di Eleusi e altri analoghi complessi rituali greci. Tra questi, in particolare, si può ricordare il culto dei Grandi Dei nell'isola di Samotracia, egualmente designato da Erodoto (Hist. VIII, 65) come mysteria e caratterizzato dall'esoterismo e dalla prassi rituale iniziatica.

Il più antico documento relativo ai misteri eleusini, ossia l'inno a Demetra pseudo-omerico databile intorno al 600 a.C., illustra altre dimensioni costitutive del fenomeno misterico e offre materia alla definizione di una tipologia i cui aspetti ed elementi essenziali sono riscontrabili in altri contesti sia greci sia pertinenti alle tradizioni religiose vicino-orientali. Esso, infatti, conferma la specifica qualità esoterica dei riti, affermando che non è dato " trasgredirli né penetrarli né divulgarli ", poiché il sacro rispetto per le due dee " trattiene la voce " (Inno vv. 476-479). L'esperienza religiosa del fedele che partecipa al culto eleusino si definisce per questa via come esperienza fortemente personalistica, sia perché frutto di una scelta individuale, non imposta dall'appartenenza ad una comunità cittadina, come nel caso di tutti gli altri culti ufficiali della polis, sia perché impegna l'individuo all'osservanza di un segreto inerente alla sacralità medesima del culto e allo speciale rapporto in esso instaurato con le personalità divine che ne sono l'oggetto.

Il testo in questione e numerosi indizi contenuti nel resto della nostra documentazione, estremamente reticente da parte pagana, polemica e dissacratrice da parte cristiana, di fatto rivelano le profonde connessioni del culto misterico eleusino con una drammatica vicenda divina, quella appunto che vede protagoniste le due dee (rapimento di Kore, lutto e ricerca da parte della madre, felice soluzione con il ritorno, sia pure periodico, della figlia). E ciò nel senso che l'iniziato, nel corso dell'esperienza cultuale, rievoca - in forme peraltro a noi in gran parte sconosciute - quella vicenda, con i suoi pathe, la sua profonda passionale drammaticità di tipo umano.

Ancora, lo stesso Inno indica che l'obiettivo del culto è l'ottenimento da parte del fedele di un rapporto di familiarità con la grande dea della cerealicoltura, Demetra, e con la sovrana degli inferi, Persefone, che ne sono le titolari a garanzia di un benessere per la vita presente e quella futura. Egli, infatti, è proclamato " felice e fortunato " (olbios), perché le due dee lo " amano con animo propizio " e inviano ricchezza al suo focolare; in pari tempo, quando discenderà nell'oscura tenebra, otterrà una " buona parte ", di cui non partecipano i non iniziati. Altre fonti definiscono come " un vivere " (Sofocle fr. 753 Nauck) questa condizione ultramondana ovvero come un'eterna e beata ripetizione del culto in un'atmosfera di luminosità (Aristofane, Rane 154-163; 311-459). La " felicità " dell'iniziato si configura talora come una " conoscenza " non peraltro intellettuale e discorsiva bensì esistenziale, in quanto riguarda i fondamenti stessi della condizione umana: " La fine della vita e il suo inizio dato da Zeus " (Pindaro fr. 137 Schroeder).

Tale beatitudine, pur proiettata in prospettiva escatologica, investe peraltro tutta l'esperienza vitale dell'individuo che, in virtù della partecipazione ai misteri, consegue quelle " buone speranze " che illuminano la sua intera esistenza permettendogli di guardare alla morte con serenità, nella certezza della " buona parte " che gli è garantita (Isocrate, Paneg. 28).

A definire l'esperienza misterica intervengono ancora almeno due elementi costitutivi, il primo dei quali è rappresentato dalla componenete catartica, soprattutto pertinenete all'iter rituale, scandito da astensioni alimentari e cerimonie di purificazione varie, ma non disgiunto da valenze religiose ed etiche, sviluppate nel corso di un lungo processo storico e forse anche per influsso orfico, ma già attive nell'Atene del sec. V a.C. se Aristofane può insistere sulla qualità di " pii " propria degli iniziati eleusini.

Il secondo essenziale elemento che dà ragione di quel processo di trasposizione della terminologia e della simbologia misterica ad esperienze conoscitive e spirituali che si definiranno " mistiche " in senso più ampio, quale ha inizio con Platone e si prolunga in tutta la tradizione platonica per trasferirsi, con modalità e accezioni peculiari, in ambito cristiano contribuendo a definire il linguaggio stesso " della mistica " nelle sue diverse espressioni storiche, è costituito infine dal carattere tipicamente " visivo " dell'esperienza misterica, definita in radice dall'immediatezza e dalla dimensione partecipativa, " patetica ", della sua realizzazione.

Il fondamentale dato del " vedere " come qualificante il ruolo dell'iniziato emerge già dall'Inno pseudo-omerico quando proclama " beato colui che ha visto " i sacri riti e dalla stessa definizione dell'ultimo, supremo atto dell'iter misterico come epopteia (" visione "), essendo il mista del secondo grado appunto epoptes " colui che ha visto ". Tale elemento è illustrato in un passo aristotelico della perduta opera Sulla filosofia. Qui il filosofo ateniese affermava " che coloro che sono iniziati non devono apprendere qualche cosa, bensì provare delle emozioni ed essere posti in certe disposizioni, evidentemente dopo essere divenuti capaci di riceverle " (fr. 15 Rose).

L'opposizione del mathein, proprio del processo logico-discorsivo dell'apprendimento razionale, al pathein misterico che circoscrive il carattere sperimentale e immediato del processo iniziatico, si qualifica ulteriormente nel seguito del discorso aristotelico quando definisce " del tipo dei misteri " l'illuminazione improvvisa dell'intelletto che permette di raggiungere le verità più alte, così come si verificava nel corso dell'iniziazione eleusina, nella quale " l'iniziato riceveva delle impressioni dalle visioni, non un insegnamento " (J. Croissant 1932, pp. 137-146).

In conclusione, dal complesso delle fonti i mysteria eleusini emergono quale struttura mitico-rituale omogenea, alla quale si accede attraverso una myesis finalizzata a rendere quanti liberamente scelgono di compiere tale esperienza religiosa epitedeioi, ossia atti a ricevere i typoi, " le impressioni " prodotte dall'azione misterica. Questa è primariamente caratterizzata dal momento sperimentale, visivo, in un alterno moto di timore e di gioia, di tenebra e di luce in sintonia con una " patetica " vicenda divina rievocata ritualmente, e culmina, in un contesto di luminosità, nel momento risolutivo della contemplazione " epoptica ". Essa è esoterica, riservata ai soli iniziati, definendosi come un arrheton in senso duplice, in quanto " non dev'essere detta " ed è " indicibile ", ossia non può essere comunicata a quanti non ne hanno fatto l'esperienza diretta.

Instaurazione di un intimo rapporto di familiarità con le personalità divine oggetto del culto, acquisizione di una " conoscenza " esistenziale che illumina di sé tutto intero l'arco dell'esistenza e permette di guardare senza timore alla morte sono, infine, i " benefici " elargiti all'iniziato dall'esperienza " mistica " vissuta all'interno della prassi rituale esoterica dei mysteria eleusini.

Non è possibile in questa sede illustrare in dettaglio tutti i fenomeni che, all'interno del mondo greco e nelle culture vicino-orientali, possono essere situati nella medesima categoria tipologica dei mysteria ovvero presentano più o meno qualificate analogie con essa. Diciamo soltanto che precise connotazioni " mistiche ", nel senso di aspetti ed elementi specifici dell'esperienza religiosa realizzata nel quadro del culto misterico eleusino assunto qui a parametro dell'area semantica e dei relativi contenuti religiosi coperti dal termine in questione, sono individuabili in complessi cultuali greci, quali il dionisismo, che non presentano, almeno nelle loro più antiche manifestazioni, la struttura esoterica e iniziatica, ma tuttavia realizzano, nelle forme della mania, il divino invasamento ritualmente procurato, e dell'enthousiasmòs un rapporto di interferenza tra piano divino e piano umano analogo a quello che si attua nei misteri. Anche complessi mitico-rituali di origine orientale, come quello delle divinità anatoliche Cibele e Attis, degli egiziani Osiride e Iside nelle loro forme originarie, che contemplano una drammatica vicenda di presena-assenza, di morte e restaurazione in una condizione più stabile e garantita, la quale è rievocata dai fedeli in cerimonie pubbliche con alternanza di manifestazioni luttuose e gioiose presentano degli aspetti più o meno fortemente analoghi a quelli greci definiti mysteria sotto il profilo della vivida esperienza religiosa di partecipazione ad una " passione " divina vissuta dai fedeli. Anche questi complessi religiosi, verosimilmente per influsso del tipo dei misteri greci, in età tardo-ellenistica assunsero la forma esoterico-iniziatica che caratterizza questi ultimi e, insieme con nuove " creazioni " misteriche quale il mitraismo di età imperiale romana, dalle radici iraniche (U. Bianchi 1979; U.Bianchi - M.J. Vermaseren 1982), esprimono e coagulano attorno a sé le istanze religiose di quanti, nell'ambito delle culture tradizionali del mondo ellenistico-romano nei primi secoli d.C., ricercano un rapporto diretto e una " simpatetica " comunicabilità con il livello divino all'interno di una prassi cultuale riservata ai gruppi specializzati.

In tal senso è paradigmatica l'esperienza dell'eroe delle Metamorfosi di Apuleio ( 180 ca.), nella sua totale dedizione alla dea Iside conseguente all'esperienza misterica, allusivamente evocata come accesso alla soglia della morte, di " viaggio " visionario di respiro cosmico, di contatto diretto con le divinità infere e celesti (Met. XI).

II. Il linguaggio " mistico e la filosofia: metafora e struttura di un'esperienza religiosa. La notevole popolarità dei fenomeni misterici nella Grecia classica e nell'oikoumene mediterranea in età ellenistica e imperiale romana si riflette nell'uso assai frequente di linguaggio e figure mutuati dalla sfera semantica e concettuale di tali fenomeni nelle più diverse espressioni letterarie. Al di là di un uso puramente metaforico della terminologia misterica, tuttavia, è significativo individuare una specifica tradizione al cui interno l'utilizzazione della semantica " mistica " si coniuga all'assunzione di schemi concettuali e di contenuti religiosi tipici dell'esperienza ad essa soggiacente. Ne risulta la possibilità di percepire una certa continuità, quanto a struttura e contenuti, tra il fenomeno cultuale dei mysteria e l'istanza spirituale e religiosa tesa all'instaurazione di un contatto diretto e di una piena comunicabilità dell'uomo con il livello trascendente sia esso inteso sotto il profilo prevalentemente intellettuale della conoscenza sia piuttosto ricercato al fine di un rapporto religioso, " unitivo " con la divinità.

In altri termini, si vuole vedere se, oltre ad un patrimonio lessicale specifico, i fenomeni religiosi greci omologabili nella categoria " mistico-misterica ", abbiano fornito allo stesso mondo greco e, per suo tramite, all'intera oikoumene ellenistica tardo-antica una serie di strutture concettuali a cui ancorare e mediante le quali esprimere un'esperienza religiosa peculiare, quella appunto " mistica ", la quale peraltro ha contenuti e qualità suoi propri, certo non riducibili a quei fenomeni nella loro tipica dimensione cultuale né tantomeno da essi " derivati ". In questa problematica risulta coinvolta la stessa tradizione cristiana, notoriamente nutrita dall'esperienza filosofica greca, sicché si pone la questione di valutare il significato e il peso storico delle analogie, nel linguaggio e negli schemi concettuali, non certo nei contenuti, fra la tradizione cultuale greca dei fenomeni misterici, mediata dal linguaggio e dall'esperienza intellettuale e religiosa di certi ambienti filosofici, e le più antiche espressioni della " mistica " cristiana soprattutto nella forma attestata da Dionigi Areopagita.

Il problema è complesso e delicato. Basti solo avervi accennato per sottolineare l'interesse storico-religioso di un'adeguata attenzione al fenomeno " mistico " greco-ellenistico in tutte le sue diverse espressioni.

Come è noto, Platone è il primo autore che decisamente assume l'esperienza misterica, quale per un ateniese era sostanzialmente quella eleusina, come modulo privilegiato di rappresentazione del fine supremo dell'uomo, ossia la conoscenza della realtà trascendente del mondo intellegibile (E. Des Places 1981). In particolare, due testi decisivi del Fedro (248b-250c) e del Convito (209e-210a) mostrano la trasposizione del linguaggio e della simbologia dei misteri ad esprimere un evento intellettuale e religioso di rilevanza " mistica " assai forte. Nel primo caso si attua una convergenza profonda tra l'esperienza cultuale dei mysteria e quella intellettuale dell'immediata percezione dell'intelligibile, qui definito nella sua dimensione del bello. Si tratta della " contemplazione " di tale suprema realtà goduta dalle anime nella loro condizione pre-mondana. Essa è interamente calata nei moduli dell'esperienza misterica, sicché sotto il profilo semantico e strutturale non può essere avulsa da tali moduli, essendo tutto il quadro articolato sul tema della visione, in un contesto di luminosità. Appunto da siffatta visione scaturisce la perfetta beatitudine delle anime nell'iperuranio, nell'attuazione di un contatto diretto con l'oggetto della visione medesima.

Nel Convito esperienza misterica e modalità della conoscenza del bello sono profondamente omologate nelle loro modalità e nei loro risultati: dopo un processo graduale di approccio alla realtà trascendente, che riflette la tipica gradualità del processo iniziatico, quella realtà diventa accessibile all'uomo solo attraverso il salto qualitativo realizzato dalla repentina e diretta rivelazione del sommo principio, espressa nelle forme di un'illuminazione " epoptica ".

Infine nell'Epinomis (968c-d), sia essa opera di Platone o più verosimilmente del suo discepolo Filippo di Opunte, la terminologia e gli schemi simbolici misterici sono utilizzati per esprimere quella particolare esperienza " mistica " di respiro cosmico che caratterizzerà tanta parte della spiritualità ellenistica. Si tratta della contemplazione beatificante dell'ordine cosmico espresso nei regolari movimenti dei corpi astrali che nutre di sé ampi settori della religiosità tardo-antica e che realizza quella forma di " misticismo cosmico " così acutamente analizzato dal Festugière.

III. Da Plotino a Proclo ( 485): aspetti della mistica neoplatonica. Una forte dimensione religiosa caratterizza il vasto e denso orizzonte intellettuale costruito da Plotino su un terreno di tradizione platonica. Di essa è stata nettamente definita la componenete " mistica ", peculiarmente qualificata dai suoi fondamenti logico-razionali e dal suo obiettivo in senso " unitivo ". L'anima intelligente, allontanandosi dalla molteplicità in cui è caduta a causa della primordiale frattura dell'unità originaria, muove - in un graduale processo conoscitivo e catartico insieme - verso l'Uno, il primo principio di tutta la realtà. Questo obiettivo, assai difficile da perseguire, sbocca in un'estasi implicante il contatto " da solo a solo " con l'Uno, una contemplazione di questo principio sovra-razionale possibile quando l'anima medesima sia divenuta " tutta intelligenza ". L'unione dell'anima all'Uno, in un movimento unitivo-intuitivo, è peraltro un evento eccezionale che lo stesso Plotino avrebbe sperimentato, secondo la testimonianza di Porfirio ( 305 ca.), soltanto quattro volte. Si noterà che tale esperienza eccezionale e beatificante è espressa in termini tipicamente misterici allorché Plotino, per definire l'indicibilità dell'unione mistica realizzata nella contemplazione, la equipara all'obbligo del silenzio imposto nei misteri: " In verità, è perché il divino non può rivelarsi che si rifiuta di mostrarlo a chi non abbia avuto la felicità di vederlo lui stesso " (Enn. VI, 9, 11). Ne risulta che il peculiare arrheton dei misteri è assunto a figura dell'incomunicabilità dell'esperienza unitiva con il divino, mantenendo peraltro tutto il suo senso forte di evento indicibile, di cui non può essere messo a parte chi non lo abbia sperimentato nel concreto nell'iter " mistico ".

Com'è noto, la tradizione neoplatonica, mentre per un verso persiste nella via di una " mistica " perseguita attraverso lo sforzo di elevazione intellettuale, insieme conoscitiva e catartica, per l'altro si apre, in misura diversa secondo i casi, ad esperienze religiose di tipo " operativo " che intendono realizzare la comunione dell'uomo con i livelli divini, fino al più alto, mediante la manipolazione di sostanze materiali, sulla base della nozione di " simpatia " sussistente tra i diversi gradi dell'essere. Queste tecniche operative sono riconducibili all'arte teurgica che conosce diverse applicazioni nel mondo tardo-antico, dalle più fortemente utilitaristiche di stampo francamente magico a quelle che si vogliono più specificatamente religiose e orientate verso l'elevazione graduale agli stessi intelligibili. Così un Porfirio potè accettare tali tecniche, almeno in un periodo pre-plotiniano della sua esperienza culturale e religiosa ovvero, dopo i lunghi anni di contatto con il maestro, considerarle come momento propedeutico alla vera purificazione ed elevazione dell'intelletto umano verso l'Uno, in quanto adatte a " purificare " l'anima inferiore, irrazionale.

Giamblico ( 330), senza rinunziare ai metodi dell'indagine razionale nel processo salvifico che concerne l'anima intelligente, privilegiò fortemente le istanze religiose, sia in rapporto alle speculazioni teologiche sia nella pratica dell'arte teurgica. Nel trattato sui misteri ovvero Lettera ad Abammone, di cui ormai gli si riconosce la paternità, Giamblico indica nella teurgia, quale conoscenza e realizzazione delle pratiche rituali che permettono il contatto con le varie realtà divine, il terreno stesso in cui si compie il processo di " assimilazione a Dio " già definito da Platone come supremo obbiettivo dell'uomo. L'" unione teurgica ", ottenuta attraverso il compimento di " azioni ineffabili " e la manipolazione delle sostanze materiali cui si riconosce valore di " simboli " della realtà divina, ancorché " muti ", si configurano nel " divino " Giamblico come il supremo obiettivo dell'esperienza mistica di elevazione e contatto con il divino. (De myst. II, 11, 96).

Anche Proclo individua nell'arte ieratica la forma suprema di realizzazione dell'unione mistica. Spirito profondamente religioso, il terzo scolarca della rinata scuola platonica di Atene, realizza un'osmosi profonda tra l'esercizio dialettico del pensiero razionale e lo slancio mistico, coniugando l'ideale platonico dell'ascesa dell'intelletto verso l'unione contemplativa con la divinità e la pratica teurgica. Questa è ritenuta strumento efficace di purificazione del " corpo pneumatico " assunto dall'anima nella sua discesa nella materia cosmica e corporea, abituandola al contatto con gli dei e al raggiungimento di una condizione di immaterialità. Proclo manifesta grande devozione verso gli dei tradizionali dei diversi politeismi, ritenuti peraltro espressioni diverse dell'unica essenza divina che ha origine e fondamento nell'Uno ineffabile e inconoscibile. A questo primo principio l'uomo deve aderire con una fede " unitiva " che trascende la pura ragione, ma che ammette la pratica teurgica, in quanto la manipolazione degli elementi materiali si fonda sulla nozione della " simpatia " universale e delle " serie divine ", ossia di linee omogenee di corrispondenze e di rapporti tra elementi diversi ma solidali tra di loro.

Il processo di elevazione dell'intelletto verso l'Uno è scandito dai tre momenti della purificazione, dell'illuminazione e dell'unione, e contempla il passaggio dalla conoscenza razionale all'esperienza di un'illuminazione dell'anima da parte dell'intelletto divino. Questo evento è ancora una volta espresso evocando l'esperienza misterica nel suo tipico carattere visivo, epopteia, che proprio per il suo carattere immediato e " sperimentale " si rivela capace di rappresentare l'indicibilità dell'esperienza mistica. Questa in Proclo si realizza allorché il " fiore dell'intelletto ", l'apice estremo dell'anima, ottiene " l'unificazione ", ossia realizza il contatto con l'Uno permettendo all'uomo di diventare entheos, interamente posseduto dal divino.

Si confermano, in tal modo, l'efficacia e l'incidenza nel lungo e complesso percorso della " mistica " greco-ellenistica del linguaggio e delle strutture fondamentali dell'esperienza religiosa che fin da epoca arcaica i Greci realizzarono all'interno di quei particolari complessi mitico-rituali che sono i mysteria. Tale esperienza naturalmente ha caratteri e contenuti specifici, diversi rispetto alle tante espressioni che segnano quel percorso, ma non è privo di rilevanza storica che essa abbia potuto fornire gli strumenti semantici e alcune delle forme espressive caratteristici, travasati poi e in varia misura trasformati all'interno della nuova e specialissima tradizione mistica cristiana.

Note: 1 Psyche, vol. I, Bari 1914, 296; 2 Saggio sul misticismo greco, 11; 3 Ibid., 21; 4 Ibid., 38; 5 G. Sfameni Gasparro, Dai misteri alla mistica: semantica di una parola, in La Mistica I, 73.

Bibl. R. Arnou, Le desir de Dieu dans la philosophie de Plotin, Paris 1921; U. Bianchi (ed.), Mysteria Mithrae, Leiden-Roma 1980; U. Bianchi - M.I. Vermaseren (edd.), La soteriologia dei culti orientali nell'Impero romano, Leiden 1982; P. Boyancé, Théurgie et telestique neoplatoniciennes, in Revue de l'histoire des religions, 147 (1955), 189-209; W. Burkert, Ancient Mystery Cults, Cambridge Mass. 1987; J. Croissant, Aristote et les mystères, Paris 1932; A.J. Festugière, La révélation d'Hermés Trismégiste I-IV, Paris 1942-1954; Id., Hermétisme et mystique païenne, Paris 1967; Id., Contemplation philosophique et art théurgique chez Proclus, in Aa.Vv., Studi di storia religiosa della tarda antichità, Messina 1968, 7-18; G.E. Mylonas, Eleusis and the Eleusinian Mysteries, Princeton 1961; A.D. Nock, Early Gentile Cristianity and its Hellenistic Background, New York-Evanston-London 1964; É. des Places, Platonismo e tradizione cristiana, Milano 1976; Id., Etudes platoniciennes 1929-1979, Leiden 1981; D. Sabbatucci, Saggio sul misticismo greco, Roma 19792; G. Sfameni Gasparro, Dai misteri alla mistica: Semantica di una parola, in La Mistica I, 73-113; Ead., Soteriology and Mystic Aspects in the Cult of Cybele and Attis, Leiden 1985; Ead., Misteri e culti mistici di Demetra, Roma 1986; J. Trouillard, La purification plotinienne, Paris 1955; Id., La mystagogie de Proclôs, Paris 1982; N. Turchi, Fontes historiae mysteriorum hellenistici, Roma 1930.



Autore: G. Sfameni Gasparro
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)