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Giovedi, 18 aprile 2024 - San Galdino ( Letture di oggi)

Mistero pasquale


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Premessa. L'esperienza mistica è, nella sua essenza, l'esperienza interiore e personale, dinamica e trasformante del m. Ciò vuol dire che il cristiano può raggiungere la piena maturità umana e spirituale solo se vive in sé il mistero di morte e risurrezione del Cristo. Si può perciò affermare che esso è il nucleo da cui si sviluppa tutta l'esperienza della vita cristiana. Attraverso il m. della sua morte e risurrezione, Cristo comunica al mondo la sua vita divina, affinché gli uomini, morti al peccato e configurati con lui, " non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro " (2 Cor 5,15).

I. Il " mistero ". L'espressione " m. " non si trova nella Scrittura. Lo stesso termine " mistero " (in greco mystêrion) è relativamente raro nel NT. Esso compare soprattutto nelle lettere paoline e deuteropaoline, dove si parla del " mistero " (Rm 16,25), del " mistero di Dio " (Col 2,2), del " mistero di Cristo " (Col 4,3; Ef 3,4), del " mistero della pietà " (1 Tm 3,16) o del " mistero del vangelo " (Ef 6,19): locuzioni che hanno significati affini. La dottrina paolina si può riassumere dicendo che " mistero " è la volontà salvifica divina con il suo mirabile disegno di salvezza, le cui linee si raccolgono e si centrano tutte in Cristo. Questo disegno, nascosto in Dio fin dall'eternità, è stato pienamente manifestato in Cristo, che ne ha consegnato l'annuncio ufficiale agli apostoli. Il " mistero " si manifesta come una " economia " (in greco oikonomia) o disposizione temporale della salvezza, e si parla anche delle tappe successive attraverso le quali si realizza il piano divino: la venuta in terra del Figlio di Dio, il tempo della Chiesa, la consumazione finale. Il mistero non è, quindi, un evento del passato del quale si potrebbe al massimo prendere conoscenza, bensì un dinamismo nel quale sono coinvolti quanti ne sono investiti (cf Col 2,2; Ef 1,17ss.; 3,18ss.). In Col 1,27 il contenuto del mistero viene espresso con la formula " Cristo in voi ", consiste cioè nell'inabitazione del Cristo crocifisso e glorificato " in voi ", ossia nei gentili. In Ef 3,4ss. il mistero è l'ammissione dei gentili all'eredità, al corpo della Chiesa, alla promessa in Cristo. In Cristo, quindi, tutto si ricapitola e si assomma (cf Ef 1,9.10).

II. L'espressione " mistero della pasqua " s'incontra per prima volta, e con notevole frequenza, nelle omelie Sulla pasqua di Melitone di Sardi ( prima del 190) e Sulla santa pasqua dell'Anonimo Quartodecimano, documenti della metà del sec. II. Tutto il contenuto teologico che Paolo aveva riassunto nella categoria " mistero di Cristo " viene racchiuso ora nel " mistero della pasqua ": " Dovete comprendere come nuovo e antico, eterno e temporaneo, perituro e imperituro, mortale e immortale sia il mistero della pasqua ".1 Va aggiunto, però, che le antiche omelie pasquali vanno oltre: il mistero della pasqua o pasquale non solo ricapitola l'intera economia salvifica compiuta in Cristo, ma ne esprime la partecipazione che di essa fa la Chiesa attraverso i riti sacramentali. La storia della salvezza, concretizzatasi nel mistero di Cristo, trova il suo compimento, la sua realizzazione e il suo centro nella Pasqua non solo come momento storico ma anche come avvenimento rituale-memoriale di quell'avvenimento storico. La riflessione dei Padri ed i testi della liturgia riprendono questa dottrina. Così, ad esempio, nel Messale Romano, l'espressione " mistero (=sacramento) pasquale " indica tanto l'economia salvifica compiutasi nella morte-risurrezione di Cristo, quanto la celebrazione annuale della pasqua e i sacramenti del battesimo e dell'Eucaristia, centro di tutta la liturgia cristiana, mediante i quali tale economia si attualizza nella Chiesa.

Perno e centro di tutto il piano creativo e salvifico del Padre è il Cristo morto e risorto. Parlare, quindi, del m. equivale, perciò, a parlare del mistero di Cristo quale compimento del disegno divino di salvezza dell'uomo. Dal Medioevo in poi non si parla più di m. e la teologia moderna da Trento in avanti ignora questa terminologia. Il primo a riprenderla è O. Casel che la riscopre nell'antica tradizione e riporta nella teologia. In seguito, la troviamo nei documenti del Vaticano II.

III. Il m. nella vita del credente. Gesù, nel m. della sua morte e risurrezione, ha portato a compimento l'opera della salvezza affidatagli dal Padre: la redenzione umana e la perfetta glorificazione di Dio (cf SC 5). Il prefazio della veglia pasquale dice: " E lui che morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita ". Il m. è, quindi, il fondamento della salvezza dell'umanità, che dà accesso ad una nuova vita. Come già in Cristo glorificato, anche in ogni credente, all'inizio della sua nuova esistenza, c'è l'azione dello Spirito: " Per lui il Padre ridà la vita agli uomini, morti per il peccato, finché un giorno risusciterà in Cristo i loro corpi mortali (cf Rm 8,10-11) " (LG 4).

Il Vaticano II è consapevole della centralità del m. nella vita del cristiano e pone questa dottrina come fondamento e chiave interpretativa della liturgia cristiana intesa come azione memoriale dell'evento salvifico o m. e come esperienza vitale dello stesso (cf SC 2, 5, 6, 61, 104, 109; CD 15; OT 8; GS 14, 22): La liturgia della Chiesa annunzia e celebra il m. per mezzo del quale Cristo ha compiuto l'opera della salvezza, affinché i fedeli ne vivano e ne rendano testimonianza nel mondo. La stessa dottrina esprime il Catechismo della Chiesa Cattolica: " Nella liturgia della Chiesa Cristo significa e realizza principalmente il suo m. " (CCC 1085; cf 1067, 1068, 1076). Il culto cristiano è il culto che Cristo ha iniziato nella sua vita mortale, ha portato al suo stadio definitivo con la morte-risurrezione e prolunga nella Chiesa quale suo capo celeste.

" La liturgia spinge i fedeli, nutriti dei "sacramenti pasquali" a vivere "in perfetta unione" e domanda che "esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede" " (SC 10). I fedeli sono quindi chiamati a realizzare nella vita quotidiana la morte e risurrezione di Cristo, compiuta in essi sacramentalmente, rinunziando ogni giorno alla vetustà del peccato per vivere in novità e libertà di vita (cf Rm 6,3-11). Possiamo affermare che l'esistenza cristiana consiste nel realizzare nella vita il mistero celebrato nei sacramenti: " ...Conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dei morti " (Fil 3,10-11). Tale speranza si fa certezza nella comunione mistica d'amore con le tre divine Persone.

Note: 1 Melitone di Sardi, Sulla pasqua, 2, ed. a cura di R. Cantalamessa 1972, 25.

Bibl. G. Borkamm, Mysterion, in GLNT VII, 645-715; P. Massi, Il mistero pasquale nella storia della salvezza, Roma 1968; Id., Il mistero pasquale nella vita della Chiesa. Saggi di teologia ecclesiale e liturgica, Roma 1968; B. Neunheuser, Il mistero pasquale " Culmen et fons " dell'anno liturgico, in RL 62 (1975), 151-174; A. Nocent, s.v., in Aa.Vv, Dizionario del Concilio Ecumenico Vaticano II, Roma 1969, 1449-1457; I. Sanna, s.v., in NDS, 971-984; H.J. Sieben - W. Loeser, Mysteres de la vie du Christ, in DSAM X, 1874-1886; A. Solignac, Mystere, in Ibid., 1861-1874; P. Sorci, s.v., in NDL, 823-842.



Autore: M. Augé
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)