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Sabato, 27 luglio 2024 - San Celestino . ( Letture di oggi)

Meditazione


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Premessa. La preghiera, come espressione essenziale della vita teologale e dell'uomo chiamato fin dalla sua nascita all'unione con Dio (cf GS 19), associato al mistero pasquale di Gesù (cf GS 22), è strettamente unita alla vita della persona. Non può essere che così quando la preghiera si pensa e si vive come relazione interpersonale, amicale o teologale,1 tra Dio e la creatura, relazione di due libertà. Ciò serve per raggiungere la comunione. La m. cristiana, di cui si parla qui, " ricerca, attraverso un cammino di interiorizzazione, l'"incontro" e la "comunione" di due realtà irriducibilmente diverse, accentuando la differenza come base della relazione ".2

Essa è un atto della persona credente, benché sarà bene ricordare che la preghiera è il risultato e il frutto di due che si guardano, si trattano amichevolmente, nella realtà delle rispettive identità personali: Dio e la persona, che costituiscono un " noi " in crescente armonia. Com'è ovvio, da qui sorge e si apre il cammino verso una maggiore e più definita identificazione dell'essere di ciascuno nella loro mutua relazione.

Supponendo questo, e anche di più, sull'identità della preghiera cristiana,3 la m., come forma di preghiera, è praticata da coloro che iniziano il cammino di preghiera, caratterizzando il proprio stato spirituale e la propria relazione personale con Dio. E, pertanto, una tappa temporale e passeggera dell'itinerario mistico. E errato identificare la m. con la preghiera,4 come se sempre si dovesse canalizzare il rapporto orante del credente con il suo Dio. Va, inoltre, aggiunto che vi sono persone che non possono meditare per cause diverse e, non per questo, è loro precluso il cammino della preghiera. Già s. Teresa d'Avila diceva che la " sostanza della preghiera " " non consiste nel molto pensare, ma nel molto amare ". E offriva una spiegazione convincente: " Non tutte le persone sono capaci di pensare ".5 Non perché si discorre con la mente o si pensa, la m. è preghiera. Pregare non è pensare, considerare, discorrere con Dio sui suoi misteri, sulla vita che egli è e che ci partecipa, anche se questo si deve fare. Pregare è " guardare all'Altro ",6 uscire da sé e immergersi nell'Altro.

Fatte queste distinzioni, e conoscendo l'interesse moderno per la m. e l'importanza che ha suscitato in questo senso l'Oriente, cristiano o non,7 sarà opportuno soffermarsi, dunque, su quanto hanno detto due grandi maestri della spiritualità cristiana, Teresa e Giovanni della Croce, sulla m., come forma di preghiera - benché abbiano trattato solo di sfuggita di essa - perché hanno scritto molto e bene dicendo l'essenziale sulla preghiera.8 L'esperienza teresiana della preghiera e la sua parola, così come le chiare e precise considerazioni sanjuaniste, possono aiutare ad uscire dalla crisi in cui si è ridotta ed irrigidita la m. cristiana come unica apertura alla contemplazione, e che non può " imporsi " a tutte le persone. Teresa confessa che " non poteva discorrere con l'intelletto ". E sapeva che questo succede a non poche persone. Per questo propone " l'orazione di raccoglimento ".

I. Natura della m. Teresa ha scritto con tutta semplicità: " Chiamo m. un discorso fatto con l'intelletto ",9 " traendo molte riflessioni da un pensiero e molti altri concetti ".10 Il Dottore mistico, a sua volta, la definisce " atto discorsivo per mezzo di immagini, forme e figure, elaborate e immaginate " dall'immaginazione e dalla fantasia.11 Con insistenza afferma che la m. è un " discorso naturale "; 12 un " discorso spirituale ",13 frutto della " capacità naturale ",14 che si denomina " via del senso ",15 in contrapposizione a " la via dello spirito " che è la contemplazione.16 " E congiunto alla via dello spirito che è la contemplazione ".17

" Discorso naturale " meditativo, collocato alla fine del processo di conoscenza naturale che parte dall'attività dei sensi esterni,18 " finestre " dell'anima,19 passa attraverso le immagini che la memoria conserva, " archivio e ricettacolo dell'intelletto ", finché questo " le considera intelligibili ".20 Poi, l'intelletto, " se parliamo naturalmente ", " non può intendere se non ciò che le offre attraverso il filtro dei sensi e della immaginazione e della fantasia ".21 Nella m. il fedele intende " naturalmente con la forza e il vigore del suo lume naturale ".22 Il santo avverte che anche " lo Spirito divino è unito con esso [intelletto] in quella verità... Questo è uno dei modi in cui lo Spirito Santo insegna ".23

La m. " religiosa ", cristiana, per quanto si applica al mistero di Dio rivelato in Cristo, è un'attività che corrisponde alla " capacità naturale ",24 alla " abilità naturale ",25 a " ciò che è senso e razionale ",26 propria " dell'uomo vecchio ", e che deve morire: Dio porrà " nell'anima un nuovo modo d'intendere di Dio in Dio, lasciando il vecchio intendere dell'uomo, e un nuovo modo di amare Dio in Dio, spoglia ora la volontà di tutti i suoi vecchi desideri e i piaceri di uomo... ", " facendo morire ciò che è dell'uomo vecchio, che è l'abilità dell'essere naturale e rivestendosi di una capacità nuova soprannaturale ".27

La m. è un'attività dell'orante che comporta pluralità di atti discorsivi e affettivi: che genera conoscenza particolare, muove la volontà ad atti molteplici di amore, di lode, di gratitudine, ecc. I due maestri carmelitani approvano senza reticenze questo modo di pregare, come si vedrà più avanti: riconoscono che l'esercizio della preghiera risulta più facile, però essi richiedono moderazione e attenzione alle mozioni dello Spirito per assecondarle con generosità, lasciando la m., soprattutto quando risulta piacevole. La m., dunque, è una porta di accesso ad una forma migliore di " rapporto d'amicizia " con Dio: la contemplazione.28

Tutti e due credono che a ciò viene avvicinato l'orante molto presto, quando conduce seriamente 29 una vita spirituale di preghiera.

Al principio di una forma sottile e tenue l'orante sperimenta " che non può parlare come prima ",30 annunciando il passaggio alla contemplazione iniziale.

II. Finalità della m. " Nella m. tutto è cercare Dio ", oppure " ardere d'amore ", così scrive Teresa.31 Giovanni della Croce chiarisce solo un po' la questione, perché, fedele al suo proposito di sobrietà, mai esplicita con tutta evidenza il suo pensiero, trasmesso con frasi concise che esprimano sicurezza e padronanza della questione. Basta ricordarne alcune: grazie alla m. si riceve " qualche conoscenza e amore di Dio ".32 Si tratta di una conoscenza della verità di Dio che provoca amore, desiderio di incentrare in lui la vita, di raccogliere in lui l'amore: componente noetica della preghiera meditativa, ma che conduce all'amore, conoscenza che muove la volontà. Possiamo dire che coinvolge tutta la persona, rappresentata dalle due " potenze ": intelletto e volontà. Il mistico spagnolo ricorda che, nell'ordine naturale, seguendo la teologia scolastica, non c'è amore senza conoscenza, questa precede e genera amore.33 Dirà che per il principiante, la m. è necessaria " per far innamorare e cibare l'anima attraverso il senso ".34 In quest'ordine, - non è possibile lasciarlo da parte, perché ha molta importanza - si sottolinea che ordinariamente è un amore " saporoso ", " gustoso ". Un segno: il principiante deve meditare e approfittare " del sapore e del gusto sensibile nelle cose spirituali, perché, cibando l'appetito con il sapore delle cose spirituali, si sradica dal sapore delle cose sensibili ".35 Insiste " affinché con questo gusto [delle cose di Dio] lasci l'altro [le cose del mondo] ".36

Teresa e Giovanni parlano della frequenza del gusto all'inizio del cammino della preghiera, come segno della pedagogia divina che si " adatta " alla persona, " che perfeziona l'uomo al modo dell'uomo ";37 pertanto, come riconoscimento all'essere della persona, tale e come lui l'ha creata, è necessario sperimentare " una fiamma più viva di un altro amore migliore, [quale è appunto quello del Cristo], in modo che, riponendo il suo gusto e la sua forza in questo, abbia coraggio e costanza per disprezzare facilmente tutti gli altri amori ".38 A questo si unisce l'idiosincrasia di alcune persone che " si muovono molto verso Dio attraverso gli oggetti sensibili ".39

Un'altra formulazione sulla finalità della m., da parte del Dottore mistico, con una sfumatura importante, affrontando già la contemplazione, la preghiera che attrae veramente l'attenzione del santo è questa: la m. serve " per disporre e abituare lo spirito a ciò che è spirituale per mezzo del senso e sbarazzarsi di tutte le altre forme e immagini... temporali, mondane e naturali ".40 Così introduce il discorso su " i segni che deve avere in sé lo spirituale ", per conoscere quando deve lasciare l'esercizio della m. per addentrarsi nella contemplazione. La m. " dispone " a ricevere più e meglio la comunicazione di Dio per mezzo della contemplazione.

III. Comportamento dell'orante. Abbiamo appena finito di dire che la m. è " un discorso naturale ", e che, pertanto, si regge con le medesime leggi del processo conoscitivo. In tale processo ciò che conta sono la persona e le " circostanze " in cui ella vive, il contesto, l'ambito nel quale si produce l'attività intellettuale che indaga sulla verità e nella quale, come ricordava Giovanni della Croce, interviene anche lo Spirito Santo.

Sempre con l'aiuto del Dottore mistico si possono distinguere le " circostanze " nemiche interiori, i sentimenti, per usare una parola frequente nei suoi scritti, e quelle esterne che " toccano " i sensi e che provocano l'attività intellettuale e volitiva della persona e influiscono su di essa. Soffermiamoci su quest'ultima perché per la persona inizia da qui il processo della conoscenza.

Giovanni della Croce, parlando direttamente del " luogo " della preghiera, enuncia un principio nella sua formulazione valido per tutti i " mezzi " in e per i quali ci si rivolge a Dio nella preghiera. A questo proposito scrive: " Quel luogo si deve scegliere perché meno occupi e porti il senso... E un buon luogo solitario e anche aspro, affinché lo spirito si consolidi e direttamente salga a Dio ".41 Il " mezzo " migliore sarà quello che, più e meglio, in ogni momento del processo della preghiera della persona, attivi, centri e interiorizzi la relazione personale con Dio. E questo dev'essere costantemente oggetto di discernimento. " Il vero spirituale, quando vuol pregare, non guarda mai alla comodità del luogo... ma ha di mira solo il raccoglimento interiore, dimentico di se stesso e degli altri ".42

In relazione ai sentimenti, alle esperienze psicologiche che si sviluppano nella preghiera, alle medesime reazioni nemiche che si producono per l'utilizzazione dei " mezzi " distinti, la parola del santo è inequivocabile: sono buoni se sono " motivi e forza per andare a Dio ".43 Quando non lo sono essi sono negazione della preghiera, esaltazione dell'egocentrismo - il più diametralmente opposto e contrario alla preghiera-amicizia, che è l'uscire da sé per incentrarsi sull'Altro -, quando portano il fedele a porre " la sua gioia più nei [mezzi] che in ciò che essi rappresentano ",44 o a lasciarsi guidare " dal piacere ",45 identificando con esso la verità della sua preghiera " approdano al piacere e alla propria volontà, e questo ritengono come Dio ".46 Il piacere, la devozione non aggiungono nulla alla preghiera, non la migliorano. Tantomeno la sua mancanza la colpisce nella sua autentica realtà. I sentimenti, il piacere, le esperienze gratificanti, soprattutto queste, nell'esercizio della m., devono essere lasciati indietro per " uscire " da sé ed " entrare " nell'Altro per mezzo dell'amore. Scrive Giovanni della Croce a questo riguardo: l'uomo si unisce a Dio " per mezzo dell'amore; e, come il diletto, la soavità, e qualche piacere... non sono l'amore, ne consegue che nessuno dei sentimenti saporosi può essere mezzo proporzionato per unirsi a Dio, ma solo l'operazione della volontà. Tale operazione è ben distinta dal suo sentimento: la volontà si unisce a Dio e termina in lui che è amore, che è l'amore, per l'operazione della volontà non per il sentimento... che si stabilisce nell'anima come fine e coronamento. Pertanto, i sentimenti di per sé non incamminano l'anima, al contrario la trattengono in se stessi ".47 Il Dottore mistico esprime così lo scambio purificatore operato dalla " notte " che apre alla contemplazione iniziale: " Non si muove all'azione per il gusto e il sapore dell'opera... ma solo per piacere a Dio ".48 La medesima espressione è usata da Teresa per definire il comportamento retto del fedele: andare " per la strada dell'amore come occorre, solo per servire Cristo crocifisso ".49 Il santo spiega a tutti coloro che vogliono capire: " Io riprendo l'attaccamento del cuore e l'affetto di proprietà che portano al modo, alla moltitudine e alla vaghezza di quelle cose, perché ciò è molto contrario alla povertà di spirito che guarda soltanto alla sostanza della devozione ".50 Giovanni della Croce insiste molto su questo punto: " Non condanno anzi approvo il fatto che alcuni stabiliscono di fare le loro devozioni e digiuni... in determinati giorni..., ma riprovo l'attaccamento che hanno al loro modo limitato di pregare e alle cerimonie che usano ".51 Afferma con sicurezza che Dio " fa poco caso ai tuoi oratori e ad altri luoghi ben preparati, se per l'appetito che tieni legato ad essi, hai minore nudità spirituale ".52

Per questo, sicuro ancora una volta, scrive che alla persona " si deve offrire materia per meditare e discorrere ",53 " fintanto che con piacere può discorrere nella m. ".54 E Teresa: " E bene discorrere talvolta "; 55 però " che non ci si affanni in questo " 56 " che non si perda tutto il tempo in ciò ".57 L'orante farà bene a percepirsi dinanzi al Cristo e a parlare con lui a tu per tu, da persona a persona, con amore.58

In conclusione, i due maestri di preghiera parlano della m. come di una tappa, la prima forma di preghiera " per coloro che possono farlo ", precisa Teresa.59

Si tratta di una forma di preghiera propria dei principianti, in sé povera, come povero è innaffiare un giardino con il secchio, secondo il paragone di Teresa.60 E una forma di preghiera che dev'essere gestita dalla libertà della persona e non dev'essere schiavizzata da nessun metodo. Però, occorre la guida di un bravo direttore spirituale, affinché l'orante possa scoprire il cammino attraverso cui Dio lo conduce.

Note: 1 Cf M. Herraiz, La oración, historia de amistad, Madrid 19944; Id., La oración, palabra de un maestro. San Juan de la Cruz, Madrid 1991; 2 S. Guerra, Meditación cristiana, in Nuevo Diccionario de espiritualidad, Madrid 1991, 1234; 3 Cf Congregazione per la dottrina della fede, Alcuni aspetti della meditazione cristiana, Città del Vaticano 1989; 4 Anche il CCC parla di " tre forme di preghiera ": la vocale, la meditazione, della quale dice che " mette in azione il pensiero, l'immaginazione, l'emozione, il desiderio... " (n. 2708), terminando sorprendentemente, dicendo che " questa forma di riflessione orante ha un grande valore, ma la preghiera cristiana deve tendere più lontano: alla conoscenza d'amore del Signore Gesù, all'unione con lui " (n. 2708); 5 Fondazioni 5,2; 6 Cammino di perfezione 26,3; 7 Cf S. Guerra, Meditación y drogas, in REsp 45 (1986), 203-386; K. Dürckheim, Hacia la vida iniciática. Meditar? Porqué y cómo?, Bilbao 1982, che, nella presentazione dell'edizione spagnola inizia manifestando la sua soddisfazione nel vederlo tradotto e notando che " s'inserisce nella forte tradizione spirituale spagnola, quella dei grandi maestri del cammino interiore che furono Teresa d'Avila e san Giovanni della Croce "; 8 Così scrive Teresa: " Le persone di buona intelligenza che, essendo già pratiche della meditazione possono raccogliersi in se stesse, hanno a loro disposizione molti libri ben fatti e scritti " (Cammino di perfezione 19,1). E Giovanni della Croce, nel Prologo (n. 3) al Cantico spirituale, afferma che illustrerà " alcuni punti ed effetti della preghiera... lasciando i più comuni, parlerò brevemente dei più straordinari che avvengono a coloro che hanno superato... lo stato dei principianti " (cf Notte oscura I, 8,3-5); 9 Castello interiore VI, 7,10; 10 Vita 13,11; 11 Cf Salita del Monte Carmelo II, 12,3; Notte..., o.c., I, 12,6; Salita..., o.c., II, 14,6; Fiamma viva d'amore 3,32; 12 Salita..., o.c., II, 14,12; 13 Ibid. 14,13; 14 Fiamma..., o.c., 3,31; Salita..., o.c., II, 17,7; 15 Ibid., II, 13,5; Notte..., o.c., I, 10,1; 8,3; 16 Notte..., o.c., I, 9,9; 1,1; 17 Fiamma..., o.c., 3,44; 18 Cf Salita..., o.c., II, 17,3-4; 19 Cf Ibid., I, 3,3; 20 Salita..., o.c., II, 16,2; 21 Ibid., 8,4; 3,2; 22 Fiamma..., o.c., 2,34; 23 Salita..., o.c., II, 29,1; 24 Fiamma..., o.c., 3,28; Notte..., o.c., II, 17,8; 25 Salita..., o.c., III, 2,13; 26 Ibid., II, 4,2; 27 Salita..., o.c., I, 5,7; Fiamma..., o.c., 2,34; Notte..., o.c., II, 4,2. E il linguaggio che usa quando parla della contemplazione, che fa " venir meno gli atti naturali delle potenze " (Fiamma..., o.c., 3,54), " l'uso delle potenze, memoria, intelletto e volontà " (Ibid., 2,33). " Vengono meno " e " muoiono " queste potenze " ai suoi atti... almeno discorsivi " (Salita..., o.c., II, 13,4), " agli atti particolari " (Ibid., 17,8), " alle notizie distinte " (Fiamma..., o.c., 3,48); 28 Per due volte, in contesti simili, e con qualche variante che non riguarda la sostanza, Giovanni della Croce tornerà a presentare i " segni che lo spirituale deve scorgere in sé ", attraverso cui si capirà che si sta passando dalla meditazione alla contemplazione (cf Salita..., o.c., II, 13-14; Notte..., o.c., I, 9); 29 Dio " inizia " a " porre l'anima in stato di contemplazione, che in alcune persone suole accadere molto presto, maggiormente tra persone religiose, perché distaccate dalle cose del mondo, in più breve tempo sanno adattare a Dio il loro senso e l'appetito e ne trasferiscono l'esercizio allo spirito " (Fiamma..., o.c., 3,32; Notte..., o.c., I, 8,3). Santa Teresa dice che è alle quarte Mansioni, alla prima forma di preghiera contemplativa, " credo che sia in questa in cui entrano più anime " (3,15). Allo stesso modo, il santo dottore nel Prologo della Salita..., o.c., 3; 30 Castello interiore, V, 7,7; 31 Ibid., 6,7; 32 Salita..., o.c., II, 14,2; 33 Cf Fiamma..., o.c., 2,49; Cantico..., o.c., 26,8; 34 Salita..., o.c., II, 12,5; 35 Fiamma..., o.c., 3,32; 36 Salita..., o.c., III, 39,1; Notte..., o.c., I, 8,3; 37 Salita..., o.c., II, 17,4; 38 Ibid., I, 14,2; 39 Ibid., III, 24,4; 40 Ibid., II, 13,1; 41 Ibid., III, 39,2; 42 Ibid., III, 39,3. Parola chiave, " il raccoglimento ", di profondo senso teologale, prima che psicologico o fisico, nella pedagogia teresiana-sanjuanista della preghiera (cf M. Herraiz, La oración palabra... o.c., o.c., 23-31 e La oración historia..., o.c., 42-83; 162-168; 43 Salita..., o.c., III, 24,4; 44 Ibid. 35,2,8; 43,2; 45 Notte..., o.c., I, 6,6; 1,3; 46 Ibid., 6,3; 47 Lettera 11; 48 Notte..., o.c., I, 13,12; 49 Castello interiore IV, 2,10; 50 Notte..., o.c., I, 3,1; 51 Salita..., o.c., III, 44,5; 52 Ibid., 40,1; 53 Fiamma..., o.c., 3,22; 54 Salita..., o.c., II, 13,2; 55 Vita 13,22; 56 Ibid.; 57 Ibid., 11; 58 Cf Ibid.; 59 Cf M. Herraiz, La oración, historia..., o.c., 156-162. A coloro che non possono farlo la santa propone " la preghiera di raccoglimento ", principalmente nel Cammino di perfezione 26,28; 60 Cf Vita 11,7.

Bibl. Aa.Vv., s.v., in DSAM X, 906-934; Aa.Vv., L'orazione mentale, Roma 1965; Aa.Vv., Méditation, in Studia missionalia, 25 (1976), tutto il numero; E. Ancilli, s.v., in Aa.Vv., Dizionario di spiritualità dei laici, II, Milano 1981, 23-31; H.U. von Balthasar, La meditazione, Alba (CN) 1958; Ch.-A. Bernard, s.v., in NDS, 947-954; K. Dürckheim, Meditieren, wozu und wie, Freiburg i.B. 1976; P.Y. Émery, La méditation de l'Écriture, Taizé 1975; F. Foresti - E. Bortone, s.v., in DES II, 1558-1565; J. Sudbrack, s.v., in WMy, 350-352; Sich in Gottes Ordnung begen. Von Reichtum christlicher Meditation, Würzburg 1986; Id., K. Tilmann - H.T. von Peinen, Guida alla meditazione cristiana, Brescia 1980; H. Waldenfels, La méditation en Orient et en Occident, Paris 1981.



Autore: M. Herraiz
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)