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Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Martire


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I. Il termine. La parola greca màrtys è usata nella lingua classica innanzitutto nel senso giuridico di testimone, colui che dà testimonianza dei fatti che egli ha visto oppure di ciò che egli sa. E anche colui che attesta una verità di cui è convinto.

II. Nella Scrittura. Nell'AT, Israele è chiamato a testimoniare che JHWH è l'unico Dio (cf Is 43,10-12). Durante la persecuzione di Antioco IV Epifane ( 164 a.C.), i giudei fedeli che danno testimonianza della loro fede e della religione dei loro padri fino alla morte (cf 2 Mac 6-7) non ricevono il nome di m., tuttavia la loro fedeltà e ubbidienza verrà posteriormente ricordata da diversi autori a proposito dei m. cristiani (Clemente di Roma, Tertulliano, Cipriano).

Nel NT Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è il testimone per eccellenza. Davanti a Pilato, egli afferma: " Io sono nato e per questo sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità " (Gv 18,37; cf At 1,5; 3,14) e suggella la sua testimonianza con la morte in croce. Nella passione e morte di Gesù, Luca sottolinea il modo umano-divino di patire e di morire che contraddistinguerà i martiri: il coraggio e la fermezza nel testimoniare la verità, l'aiuto divino nell'angoscia, la mansuetudine nei confronti degli oltraggi, la dimenticanza di sé, l'innocenza riconosciuta dai giudici, il perdono dei persecutori. Nell'Apocalisse, il libro dei martiri, Gesù Cristo viene chiamato due volte " testimone fedele " (1,5; 3,14) e coloro che " furono immolati a causa della Parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa " (6,9), che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell'Agnello, partecipano al suo trionfo (7,14). Nei sinottici, Gesù paragona la sua morte ad un nuovo battesimo: " C'è un battesimo che devo ricevere, e come sono angosciato, finché non sia compiuto! " (Lc 12,50; cf Mc 10,38-39) e prepara i discepoli ad essere i suoi testimoni, annunciando loro la persecuzione per causa del suo nome (cf Mt 10,16-22). Gli apostoli, in modo particolare, devono essere testimoni di Gesù Cristo morto e risorto: " Il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete miei testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto " (Lc 24,46-49). Questa testimonianza degli apostoli presuppone quella del loro Maestro e la forza dello Spirito; la persecuzione che essa suscita è considerata, fin dall'inizio della predicazione di Gesù, motivo di beatitudine: " Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così, infatti, hanno perseguitato i profeti prima di voi " (Mt 5,11).

La testimonianza dei discepoli inserita nella linea dei profeti, la trascende in quanto i discepoli sono in comunione con Cristo, partecipi alle sue sofferenze (cf 1 Pt 4,13). La loro testimonianza fino alla morte cruenta, implica la loro totale assimilazione a Cristo morto e risorto. Stefano il primo m., dopo aver testimoniato Cristo davanti al tribunale ebraico, pieno di Spirito Santo, muore lapidato vedendo i cieli aperti e, come Gesù, consegnando il suo spirito al Padre e perdonando ai suoi persecutori (cf At 7,54-60).

A partire dalla prima metà del II secolo, il termine m. è riservato a coloro che sono messi a morte per aver testimoniato Cristo; essi ricevono questo nome non per la pena, ma perché l'hanno subita a causa di Cristo (Agostino, In Ps 34,2,13; 68,1,9). Nella letteratura post-apostolica Clemente di Roma fa riferimento alla testimonianza fino alla morte di Pietro e Paolo a Roma ma soltanto nel Martirio di Policarpo troviamo la parola m. con il suo senso preciso di testimone pubblico della fede in Gesù Cristo, fino alla morte.

III. Negli scritti dei Padri. Secondo i documenti agiografici dei primi secoli e gli scritti dei Padri, il m. non è soltanto testimone ma presenza misteriosa di Cristo che prolunga nelle sue membra, la sua passione (Pass. Perpetua e compagni, 15). Nel sacrificio della sua vita, nel suo corpo spezzato e nel suo sangue versato, il m. rinnova il mistero eucaristico (s. Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani). Intimamente unito al suo Capo, egli rende presente ai suoi fratelli la morte salvifica del Signore, rivelando la dimensione ecclesiale della sua testimonianza (cf Martirio di s. Policarpo). In forza dello Spirito, il m. è battezzato nel suo proprio sangue (Origene, Esort. al martirio, 30); la sua morte implica la vittoria su satana (cf Pass. Perpetua e compagni, 10) ed è la più perfetta espressione di fede, di speranza incrollabile nella vita eterna e di un amore a Cristo più forte della morte. L'umiltà dei m., il loro atteggiamento calmo e sereno di fronte alla morte, la loro libertà di spirito, la carità nei confronti dei loro giudici, testimoniano la loro intima unione con Cristo.

IV. Nella teologia. La teologia classica individua nel m. un'espressione suprema di fortezza e di carità in quanto egli testimonia il suo disprezzo nei confronti di tutti i beni creati ed il suo invincibile amore a Dio.1

La Chiesa considera la Madonna partecipe al martirio del suo Figlio, Regina dei m., in quanto in lei si è realizzata misticamente la profezia di Simeone: " Una spada trafiggerà il tuo cuore " (Lc 2,35).

Il Concilio Vaticano II afferma che come Gesù, il Figlio di Dio, manifestò il suo amore consegnando la sua vita per noi e accettando liberamente la morte per la salvezza del mondo, così alcuni cristiani furono chiamati da Dio, fin dai primi secoli e saranno chiamati fino alla fine dei tempi, a rendere questa suprema testimonianza di amore davanti agli uomini, in particolare davanti ai loro persecutori (cf LG 42). Inoltre, in virtù della loro testimonianza di fede e di carità, i m. sono particolarmente uniti in Cristo alla Chiesa pellegrina (cf LG 50). Citando Tertulliano ( 223) (Apologeticum 50,13), ricorda che il sangue dei m. è seme di cristiani (cf AG 5). Senza adoperarne il termine, il Vaticano II allarga il concetto di m. ai cristiani separati che, in forza dello Spirito Santo e dei suoi doni, hanno testimoniato Cristo fino all'effusione del sangue (cf LG 15; UR 4). Il CCC osserva la grande cura con cui la Chiesa ha raccolto i ricordi di questi testimoni fedeli negli Atti dei Martiri, " archivi della Verità scritti a lettere di sangue " (n. 2474).

Giovanni Paolo II, nell'enciclica Veritatis Splendor ricorda i numerosi santi e sante che hanno testimoniato e difeso la verità morale fino al martirio il che manifesta contemporaneamente " la santità della legge di Dio e l'intangibilità della dignità personale dell'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio " (n. 92) Ricorda, inoltre, che se il m. giunge al vertice della testimonianza morale, ogni cristiano è chiamato a dare una coerente testimonianza di Cristo anche a costo di gravi sacrifici e con un impegno a volte eroico (n. 93). Questa testimonianza della verità fino al dono della vita si trova perfino in uomini non cristiani, ma docili all'azione interiore e misteriosa dello Spirito (n. 94).

Il m., reso conforme a Cristo, testimonia in modo radicale la santità di Dio e la dignità dell'uomo e la sua morte realizza paradossalmente, al di là del tempo e della storia, la vittoria definitiva del bene sul male. Offrendo liberamente la sua vita in unione con Cristo, il m. è segno vivente della comunione dei santi e fonte di vita nuova perché, partecipando al mistero della croce, si inserisce nella dinamica della potenza del Risorto e, sperimentando l'unione mistica con le divine Persone, continua a costruire la Chiesa portando salvezza al mondo.

Note: 1 S. Tommaso, STh. II-II, q. 124, a. 2 e 3.

Bibl. L. Bouyer, La spiritualità dei Padri, 3B, Bologna 1986; P.Th. Camelot, Martyr, Martyre, in Cath VIII, 770-776; A. Cappelletti - M. Caprioli, s.v., in DES II, 1518-1525; A.G. Hamman (cura di), Les premiers martyrs dans l'Eglise, Paris 1979; R. Hedde, Martyre, in DTC X, 220-254; S. Indelicato, Martirio e martire, in EC VIII, 233-244; M. Machejek, Il martirio cristiano, in RivVitSp 41 (1987), 110-123; C. Noce, Il martirio. Testimonianza e spiritualità nei primi secoli, Roma 1987; K.W. Rordorf - A. Solignac, s.v., in DSAM X, 718-737; M. Spanneut, Patience et martyre chez les Pères de l'Eglise, in Compostellanum, 35 (1990), 247-262.



Autore: E.C. Rava
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)