Scrutatio

Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Libertà spirituale


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Premessa. E opportuno precisare il posto della l. nell'itinerario che porta alla conoscenza amorosa di Dio. In quale misura l'unione con Dio, la vita in presenza di Dio o, in un modo più ristretto, le esperienze più specifiche della manifestazione di Dio all'uomo nella preghiera, richiedono, o inversamente, provocano la l.?

Per rispondere ad una tale domanda, occorre tentare, prima di tutto, una prima definizione della l. E difficile darla, se non in maniera negativa; l'uomo spirituale è colui che è libero riguardo alle passioni che lo legano a se stesso, direttamente o con la mediazione di realtà create, il cui uso non è perfettamente ordinato; ma è anche colui che è libero nei riguardi delle osservanze rituali o ascetiche; infatti, queste non hanno senso che nella misura in cui contribuiscono alla liberazione dalle passioni e alla purezza dell'apertura a Dio tanto della sensibilità quanto dell'affettività e dell'intelligenza. Mantenere rigidamente queste osservanze, quando non si è o non si è più in questa prospettiva, significa mancare di autonomia riguardo a ciò che dovrebbe essere solo lo strumento provvisorio di una purificazione e di una costruzione dell'uomo.

I. L. in s. Paolo. Se, per stabilire ciò che diciamo, facciamo appello a s. Paolo, vediamo che, contro ogni pretesa delle usanze farisaiche da inserire nel cuore della vita cattolica, l'apostolo non ha cessato di salvaguardare l'intera autonomia del cristiano: costui non è condizionato né dalla circoncisione né dal corteo legale delle pratiche che ne derivano (cf Gal 5,1-12), né da alcuna osservanza relativa al mangiare e al bere o ad ogni altro uso dei beni di questo mondo (cf Col 2,16-23); la mediazione di Gesù Cristo, unica sorgente dell'unione con Dio, trascende ogni pratica. In questo senso, la via cristiana verso la perfetta unione con Dio, non è segnata da alcun comandamento: essa poggia, infatti, solo sulla potenza del Mistero del Cristo e l'unica ascesi da essa richiesta è quella della fede. Questa l. si estende anche, paradossalmente, ad alcune pratiche pagane: il cristiano che sa come regolarsi sulle carni immolate ai presunti dei, che in realtà non sono che idoli, può mangiare di queste, se gli pare, poiché egli è capace di percepire la vanità della loro pretesa al sacro (cf 1 Cor 8,1-5).

Tuttavia, Paolo riconosce un limite e uno solo a questa l. riguardo alle pratiche: la carità, cioè la preoccupazione di edificare il fratello o almeno di non scandalizzarlo (cf 1 Cor 8,7-13). Ciò che guiderà, nella pratica, la condotta cristiana è esattamente ciò: fare quello che può costruire il fratello. Tutti i comandamenti, rituali od altri, conservano tutta la loro validità nella misura in cui sono un'espressione della carità, cioè del rispetto e della promozione dei fratelli. Ecco perché Paolo, da una parte ricorda che tutti i comandamenti si risolvono in quello della carità, (cf Rm 13,8-10; 1 Cor 13) mentre, d'altra parte, insiste presso i cristiani di Corinto perché essi non mangino le carni immolate agli idoli: anche se questo nutrimento è in sé lecito, poiché la consacrazione di queste carni agli dei è un atto senza valore oggettivo, esso potrebbe essere considerato da persone più deboli o meno informate come una compiacenza nei riguardi dell'idolatria. E, nello stesso spirito, Paolo stesso circoncide Timoteo, mentre ha tante volte proclamato l'inutilità della circoncisione per la salvezza (cf At 16,3).

Noi siamo condotti, così, al secondo aspetto della l.: un dominio sereno delle passioni. Il trionfo della carità suppone il distacco da sé in tutti i campi in cui un eccesso di affermazione potrebbe sbarrare il passo al progresso spirituale. Nei casi riportati da s. Paolo si tratta, alla fine, di un certo orgoglio, incapace di giudicare i problemi di coscienza altrui perché manca una giusta stima di se stessi. Ma dall'orgoglio si può passare a tutte le altre passioni, di cui Paolo fa, in diversi passi, elenchi impressionanti (cf Rm 1,29; Gal 5,19-21; Col 3,5). In altri termini, la lotta spirituale è il campo in cui progressivamente si compie la l.

Si potrebbero riprendere le stesse affermazioni relative alla l. di fronte sia alle osservanze, sia alle passioni, considerando il tema paolino della legge dello Spirito. Questi libera il cristiano da ogni comandamento esteriore; lo pone nella situazione intravista dai profeti Geremia (31) e Ezechiele (36), dove nessuno ha più nulla né da insegnare né da comandare al cristiano, perché lo Spirito all'interno di lui opera il discernimento di un atto da porre o da omettere, in accordo con l'unico comandamento della carità: gli altri insegnamenti o comandamenti servono, allora, da verifica del discernimento interiore a meno che non siano stati i coadiuvanti provvisori. Si arriva, così, alla condizione dell'uomo spirituale che si potrebbe chiamare anche uomo evangelico: quello le cui reazioni, tanto intime che esteriori, si trovano sempre d'accordo con l'insegnamento e l'esempio del Cristo. Il segno di una tale condizione è ciò che si vorrebbe chiamare il vivere a proprio agio, il " naturale " nell'arte di vivere, la gioia.

II. L. ed esperienza mistica. Qual è la relazione di una tale condizione di l. con l'esperienza mistica? Si potrebbe illustrarla ispirandosi all'insegnamento della tradizione monastica, qui ben rappresentata da Evagrio Pontico, sull'apatheia. La parola significa " assenza di passioni ", " stato non passionale " e la si potrebbe tradurre positivamente con un'espressione come " sereno possesso di sé ". Secondo Evagrio, questa condizione sopraggiunge nel momento in cui il lavoro dell'ascesi ha prodotto il suo frutto di purificazione, ma soprattutto essa è la porta della carità: l'uomo libero da ogni legame non è un signore stoico, " padrone di sé come dell'universo ", ma un uomo umilmente disposto a tutte le occasioni di carità, tanto verso Dio quanto verso gli altri. A sua volta, la carità è l'introduzione alla conoscenza (" gnosi "), cioè ad una percezione interiorizzata, ad immagine di quella di Dio, sia dell'universo delle cose che appaiono nella sua trasfigurazione, sia della realtà stessa di Dio che si manifesta nella vita ineffabile della Trinità. La scala è dunque questa: ascesa, apatheia (che io designerei qui come l.), amore (agape), conoscenza (gnosis).1 Tuttavia, - e forse contrariamente alla mistica abbastanza intellettualista di Evagrio, - non è necessario conservare un carattere cronologico a questa progressione: in realtà, c'è un andirivieni costante tra questi quattro elementi che giocano incessantemente l'uno sull'altro, in modo che si potrebbe ugualmente invertirne la progressione: la conoscenza spirituale di Dio incita all'amore; l'amore rende libero e la l. mantiene la serietà di un'ascesi senza scrupoli. Supponendo che Evagrio abbia veramente considerato come cronologica l'ascesa alla conoscenza, passando per l'amore e per l'apatheia, possiamo qui superarlo: forse c'è stato, infatti, nella storia della tradizione mistica una scoperta progressiva, al di là dell'intellettualismo delle prime sistematizzazioni mistiche, di ciò che si potrebbe chiamare l'uguaglianza dell'amore e della conoscenza: noi sappiamo che Dio è amore, conseguentemente ogni pratica o esperienza dell'amore è della stessa natura di ogni pratica o esperienza della conoscenza: nell'uno e nell'altro caso, è la realtà stessa di Dio che si manifesta attraverso una duplice e complementare esperienza. Colui che ama conosce e colui che conosce ama e tanto l'amore che la conoscenza stabiliscono la persona nella l., mentre questa si schiude in conoscenza come in amore e sfocia in un giusto amore fraterno.

Nota: 1 Cf tra molti altri testi: Ad monachos, 3-6 e 67-69; Praktikos, 81 e 84; Kephalaia gnostika, I, 84-87.

Bibl. A. Agaësse, Liberté: IV: Experience des mystiques, in DSAM IX, 824-838; H.U. von Balthasar, Spiritus Creator, Brescia 1972; I. De la Potterie - S. Lyonnet, La vita secondo lo spirito, condizione del cristiano, Roma 1967; T. Goffi, Uomo spirituale, in NDS, 1630-1647; J. Moltmann, La Chiesa nella forza dello Spirito, Brescia 1976; R. Penna, Lo Spirito di Cristo, Brescia 1976.




Autore: G. Lafont
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)