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Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Laico


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Premessa. I dizionari danno un'interpretazione sostanzialmente univoca del termine l. come di persona che non appartiene al clero. Ciò trova riscontro nel linguaggio comune in cui il termine designa il non appartenente a istituzioni che abbiano una loro " sacralità " civile o militare o il non credente e anche l'ateo. In definitiva, si identifica il l. per negazione anziché per affermazione. Tale interpretazione del termine, così consolidata e diffusa, ha le sue radici in convinzioni antiche mantenute fino ad oggi.

I. Cenni storici. 1. Il Medioevo. Per restare nell'ambito del religioso che gli è proprio, troviamo sancita già nel Decretum di Graziano (1140 ca.) una divisione tra coloro che sono considerati cristiani. Di essi, infatti, si parla come di duo genera: chi è chierico e chi non lo è; chi ha tutto il potere e chi è oggetto del potere clericale.

E pur vero che, a poca distanza di tempo dal Decretum e per alcuni secoli, si ha un emergere del l. nella Chiesa con il manifestarsi di movimenti spirituali di grande vivacità contemporaneamente a un profondo evolversi della vita politica, economica e sociale. Si ha così una crescita del ruolo dei laici nella Chiesa - anche se sembra eccessivo parlare di una loro " presa del potere " 1 - soprattutto " in relazione a una riabilitazione della vita attiva nel contesto della spiritualità cristiana ", ossia nella stagione in cui " quanto si riferiva all'azione concreta nel mondo al fine di renderlo più conforme all'ideale evangelico fu valorizzato tra i secc. XII e XIII nella prospettiva di un cristianesimo centrato sul tema dell'Incarnazione, teso a esaltare l'umanità di Dio ".2

Si ha nei secoli d'inizio millennio un vero e profondo risveglio evangelico che vede protagonisti i monaci e, in particolare, i laici. Questi ultimi divengono protagonisti di una vita apostolica che si richiama alle prime generazioni cristiane e che dà luogo alla creazione di una nuova cristianità.3 Un risveglio non privo d'ambiguità, di anarchismo e portatore anche di eresie che ha nelle confraternite un punto di riferimento rilevante.

2. Il Concilio tridentino porrà fine a questo stato di cose in particolare riconducendo a un ordine gerarchico la confraternita laicale.4 Così che uno dei massimi teologi della Controriforma, Roberto Bellarmino, sulla base del Tridentino, può affermare: " Chi ignora che laos, in greco, vale popolo? Che essi chiamano kleros ciò che noi diciamo porzione o eredità? Da qui sono denominati i laici: come dire i plebei e gli appartenenti al popolo, ai quali non è stata affidata alcuna parte della funzione ecclesiastica. Clero, per contro, si usa per indicarlo come appannaggio ed eredità del Signore; chierici poi, dalla parola clero (...), si dicono quelli che, consacrati al culto divino, si sono addossati, per ordine di Dio stesso, la responsabilità e la preoccupazione di amministrare la religione e le realtà sacre ".5

Per secoli questo insegnamento è stato costante e, salvo eccezioni, largamente generalizzato dando luogo e fondandosi su una teologia della Chiesa che, come ha denunciato Y. Congar, lungi dall'essere un'ecclesiologia, si è configurata come gerarcologia. In tal modo, si è consolidata la convinzione che la definizione di l. potesse aver luogo unicamente per negazione.

3. In questo secolo tale convinzione è stata confermata in modo autorevole. E sufficiente ricordare quanto afferma Pio X nell'Enciclica Vehementer (1906) e cioè che " solo nel corpo pastorale risiedono il diritto e l'autorità necessari per promuovere e dirigere tutti i membri verso il fine della società. Quanto alla moltitudine, ossia i laici, essa non ha altro diritto che quello di lasciarsi guidare e, come docile gregge, seguire i suoi pastori ". Il l., quindi, in tale concezione, non è altro che elemento passivo di una dinamica che gli è estranea. Egli è soggetto esclusivamente di doveri, non di diritti. Il solo diritto del l. è quello sancito dal Codice di Diritto Canonico del 1917 là dove, al can. 682, afferma: " I laici hanno diritto di ricevere dal clero i beni spirituali e specialmente gli aiuti necessari alla salvezza ".

Quella del l. definito per negazione è una condizione in cui è messa in dubbio la possibilità di raggiungere la perfezione cristiana, poiché esso non appartiene a nessuno degli stati di vita detti di perfezione. Se al l. è data qualche possibilità di raggiungere la perfezione cristiana ciò avviene per la sua sottomissione al clero. Solo così al l. è resa possibile l'unione con Dio. E del tutto evidente che nel contesto di una teologia della Chiesa che è gerarcologia più che ecclesiologia, per cui la maggior parte dei membri della Chiesa è definita, di fatto e in teoria, solo per negazione, non è possibile parlare né di una teologia né, di conseguenza, di una spiritualità del l. Il l. è e resta un battezzato che può solo sperare di salvarsi l'anima nonostante si occupi nella sua vita di cose terrene.

Nel secolo scorso, però, si manifestarono diversi esempi di un nascente movimento laicale che poi trovò un'espressione qualificata in forme di Azione Cattolica. E ciò in connessione con il mutato quadro politico e sociale seguito alla Rivoluzione francese e, in Italia, con la realizzazione di uno Stato nazionale che eliminava lo Stato pontificio. Si aprì così ai laici una certa nozione di apostolato sia pure condizionata e limitata. Una nozione che, via via soprattutto nel nostro secolo, si è affermata anche di fronte ai problemi posti dalla rivoluzione industriale e dalla nascita di un mondo, quello operaio, fuori dalla Chiesa. Tale nozione di apostolato è duplice: vi è quello di tutti i membri della Chiesa che sono costituiti come autorità gerarchica e quello di coloro che, da laici, sono chiamati dalla gerarchia a una collaborazione con essa che si verrà configurando come speciale e diretta. Il l. di Azione Cattolica, in questo contesto, appare come colui che, per mandato gerarchico, è inviato nel mondo dal suo esterno. Egli entra là dove al sacerdote non è possibile essere presente. Si ha così una presenza del l. nel mondo per mandato gerarchico e per supplenza. La presenza del l. nel mondo è congiunturale e tattica.

Negli anni '30, durante il pontificato di Pio XI, si ha uno sviluppo significativo dell'esperienza di Azione Cattolica soprattutto in Italia e in Francia, anche se si tratta di due esperienze con caratteristiche distinte. A tale sviluppo corrisponde un approfondimento della riflessione teologica e si intravedono i presupposti di una spiritualità del laicato. Tale riflessione si viene precisando e assume maturità con gli anni '50; una decade ricca di ricerche circa una teologia del laicato fondata su una rinnovata ecclesiologia che tende a dare del l. una definizione in positivo. Va sottolineato che tale interesse per il l. - che assume un carattere di grande vivacità soprattutto in Francia - così come per la laicità o secolarità corrisponde al manifestarsi di una nuova coscienza religiosa e a una rinnovata riflessione sull'Incarnazione di fronte alle sfide poste dalla società moderna e dalla secolarizzazione.

Tra i pionieri di una teologia del laicato in Italia va ricordato anzitutto e principalmente R. Spiazzi, la cui opera principale e fondamentale è pubblicata agli inizi degli anni '50.6 In particolare, R. Spiazzi è attento a sottolineare e a valorizzare l'apostolato del l. che ha la sua origine nel battesimo e nell'appartenenza del l. stesso alla Chiesa. Pertanto, sostiene l'Autore, l'apostolato del l. di Azione Cattolica è un modo di attuare l'apostolato laicale, ma certamente non lo esaurisce.

E indubbio, peraltro, che l'opera a cui ordinariamente si fa riferimento per la teologia del laicato è quella pubblicata in Francia l'anno successivo da Y. Congar.7 Ed è in particolare a questo autore che si deve lo sforzo di una definizione teologica positiva del termine l. Egli, infatti, in prima approssimazione afferma: " I laici in quanto membri del popolo di Dio sono ordinati, come i chierici e i monaci per stato e in maniera diretta, alle realtà celesti. (...) Tuttavia non vi sono ordinati nello stesso modo (...); i laici sono ordinati, per stato e in maniera diretta, sebbene non in esclusiva, alle realtà terrene ". E, in seconda approssimazione, " il l. sarà dunque colui per il quale, nell'opera stessa che Dio gli ha affidato, la sostanza delle cose in se stesse esiste ed è interessante ", mentre " il chierico, e più ancora il monaco, è un uomo per il quale le cose non sono veramente interessanti in se stesse, ma in relazione ad altro, cioè nel rapporto che le lega a Dio ".8 E, infine, Y. Congar afferma: " Al di là della definizione, canonica tutta negativa, del l. come colui che non è religioso, colui che non ha né potere d'ordine né di giurisdizione, l'accordo è praticamente raggiunto su una definizione positiva: il l. è il cristiano il cui contributo all'opera della salvezza ed al progresso del regno di Dio, quindi al duplice compito della Chiesa, si attua nel e col suo impegno nelle strutture del mondo e nell'opera temporale ".9

Gli anni '50, dunque, si caratterizzano per un forte risveglio d'interesse per la figura, il carattere e il compito del l. che va di pari passo con una nuova coscienza ecclesiale da parte dei fedeli in cui essi da oggetto di apostolato ne divengono soggetto. La ricerca - che è segnata da due Congressi mondiali dell'apostolato dei laici (Roma, 7-14 ottobre 1951 e 8-13 ottobre 1957) - conduce a definizioni di l. di carattere ecclesiologico che lo configurano non più per negazione, ma per affermazione.

In particolare, alla fine degli anni '50 e all'inizio della decade successiva, si sviluppa una riflessione particolare a partire da un'espressione di Pio XII contenuta nel suo discorso al II Congresso mondiale dell'apostolato dei laici: la consecratio mundi è essenzialmente opera dei laici. Il testo più significativo in tal senso è di G. Lazzati, il quale non solo approfondisce il significato dell'espressione pontificia, ma chiarisce il senso per cui la consecratio mundi è essenzialmente opera dei laici e individua le condizioni per una piena realizzazione di tale compito non senza mettere in luce l'esigenza di delineare una coerente e corrispondente spiritualità laicale.10

Tra la fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '60, ossia alla vigilia del Vaticano II, si ha, dunque, una stagione molto ricca di studi e di dibattiti di carattere teologico ed ecclesiologico che contribuiscono a formulare una teologia e una spiritualità del l. capaci di farlo uscire dall'indistinta condizione di una definizione per negazione, collocandolo come soggetto attivo e responsabile nella Chiesa e nel mondo.11 La spinta e l'interesse suscitati dal dibattito emerso dal movimento laicale inducono molti a ritenere che il Vaticano II debba configurarsi in modo peculiare come il Concilio dei laici.

II. Il Vaticano II, in realtà, è il primo Concilio nella storia della Chiesa in cui si tratta della vocazione, del carattere, della missione del l. Il tema è presente in ogni documento conciliare ad esclusione di PC e di NAE. In qualche modo, il Concilio si configura come la conclusione e il vertice di una lunga e ricca fase di ricerca di cui fa propri i frutti più significativi. Quanto ai contenuti, presenti in modo particolarmente sviluppato in AA e in LG, essi possono essere colti in due punti di fondo: il l. è soggetto di apostolato; la dignità e il ruolo del l. hanno origine non da un mandato gerarchico, ma dal battesimo che lo fa partecipe dei tria munera di Cristo e che gli imprime un carattere peculiare: quello secolare. Ed è in forza dell'indole secolare che l'apostolato proprio e peculiare del l. si attua nelle e con le realtà " terrene ". In qualche modo, si recupera il senso che il termine l. ha avuto per le prime generazioni cristiane.12

Ma, nel testo fondamentale sul l., contenuto in LG 4, il Vaticano II non ne dà una definizione teologica ma si limita a darne una descrizione " tipologica ".13 Il testo, che resta come fondamentale punto di riferimento, afferma, anzitutto, che il " carattere " o l'" indole " " secolare è propria e peculiare ai laici " e che " per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio " (LG 31).

L'insegnamento del Vaticano II si configura, da un lato, come la sintesi del meglio della ricerca preconciliare e, dall'altro lato in qualche modo, come il suo esaurimento. Ciò nel senso che le numerose pubblicazioni uscite nell'immediato postconcilio sono limitate a commentari dei documenti conciliari, quindi, a ribadirne linee e contenuti. Nel processo di ricezione del Concilio spicca il magistero di Paolo VI, sensibilissimo al tema della laicità, della vocazione e missione del l. In particolare, papa Montini ribadisce più volte che la consecratio mundi è il compito e la missione fondamentale del l. mostrando anche come tale formula abbia assunto nel Concilio denominazioni differenti. Infatti, Paolo VI, il 15 ottobre 1967, rivolgendosi ai partecipanti al III Congresso mondiale per l'apostolato dei laici afferma: " Un altro compito vi aspetta, espresso da una parola che ha fatto fortuna in questi ultimi anni, cioè la consecratio mundi. Il mondo è il vostro campo di azione. Voi vi siete immersi per vocazione (...). Il Concilio ve l'ha detto e ridetto: i laici "consacrano a Dio il mondo" lavorano alla "santificazione del mondo" all'"animazione cristiana del mondo", al "risanamento delle istituzioni e delle condizioni di vita del mondo", sono le espressioni stesse dei documenti conciliari ". In altra occasione, il 23 aprile 1969, papa Montini offre un articolato excursus sulla storia, sul significato di consecratio mundi e sulla responsabilità autonoma che essa implica per i laici e dice: " Come si può oggi pensare a una consecratio mundi? La Chiesa accetta di riconoscere il mondo come tale, libero cioè, autonomo, sovrano, in un certo senso autosufficiente (...), la Chiesa ammette anche per i suoi fedeli del laicato cattolico, quando agiscono nel terreno della loro realtà temporale, una certa emancipazione, attribuisce loro una libertà d'azione e una loro propria responsabilità, accorda loro fiducia ".

III. Il dibattito in corso. Resta il fatto che nell'immediato postconcilio si arresta l'approfondimento sulla figura del l. in vaste aree europee (Italia, Spagna, Francia), mentre in America Latina, là dove i presupposti della teologia del laicato erano stati assunti dalla teologia dello sviluppo, a questa subentra la teologia della liberazione che prescinde dal laicato.

Con gli inizi degli anni '70, si ha una nuova fase di ricerca che parte da presupposti diversi da quella conciliare. Anche tale fase di ricerca ha come punto di riferimento Y. Congar. E lui infatti, che ritenendo ormai troppo angusti i limiti della teologia del laicato - anche di quella fatta propria dal Vaticano II - tenta un superamento con una teologia dei carismi e dei ministeri con un'opera che attira l'attenzione.14 L'esigenza di andare oltre il dualismo clero-laici viene superata dal teologo francese svolgendo la tesi di una Chiesa tutta ministeriale in cui anche i laici trovano una loro collocazione. La tesi viene largamente ripresa nel dibattito sui ministeri anche se in essa, per la verità, non trova risposta l'interrogativo di quale sia lo specifico del l. nella teologia conciliare. Si obietta, infatti, che la via di una " ecclesiologia globale ", tutta ministeriale e tutta secolare, in cui tutti i battezzati sono " cristiani e basta ", faccia correre il rischio di ricadere in un clericalismo superato dal Vaticano II.15

Comunque, si deve registrare un fatto: dopo il volume di Y. Congar - che è strutturato al modo delle Retractationes agostiniane - si formano due correnti di pensiero circa il l.: una che segue e sviluppa l'" ecclesiologia globale " che ritiene superato il Vaticano II in materia di natura, vocazione e missione del l. e che, dunque, non si debba proseguire oltre nel considerare il compito del l. distinto da quello degli altri battezzati assumendo, invece, la nozione di " cristiano comune "; l'altra che insiste nel ribadire il dettato conciliare. E da sottolineare che il magistero, nelle sue diverse espressioni, adotta la seconda linea rimanendovi costantemente fedele nel tempo.

Ciò si verifica puntualmente, per esempio, nel 1974 nel corso della III Assemblea generale del sinodo dei vescovi sull'evangelizzazione nel mondo contemporaneo che coglie il risveglio del senso missionario nella Chiesa. Il fatto è sottolineato un anno dopo da Paolo VI con la pubblicazione dell'Esortazione apostolica Evangeli Nuntiandi (8 dicembre 1975), ove Papa Montini non solo ribadisce l'insegnamento del Vaticano II circa il l., ma va oltre nella sua puntualizzazione. Egli, anzitutto, non evita di trattare dei ministeri laicali dicendo che " i laici possono anche sentirsi chiamati a collaborare con i loro pastori nel servizio della comunità ecclesiale, per la crescita e la vitalità della medesima, esercitando ministeri diversissimi, secondo la grazia e i carismi che il Signore vorrà loro dispensare " (n. 73). Ma, insiste Paolo VI, non è ciò che caratterizza in modo peculiare i laici. Essi per la loro natura e per loro vocazione peculiare sono tali per cui il loro " compito primario e immediato non è l'istituzione e lo sviluppo della comunità ecclesiale che è il ruolo specifico dei pastori, ma è la messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti e operanti nelle realtà del mondo " (n.70).

Su una linea conciliare si muove il rettore dell'Università Cattolica italiana G. Lazzati che, preoccupato del diffondersi di nuove tesi mentre è ancora pressocché assente una recezione del magistero conciliare, sollecita il Dipartimento di scienze religiose dell'Ateneo a riprendere e a sviluppare la riflessione in materia di l. e di laicità16 e a dedicarvi l'intero corso di aggiornamento culturale del 1977 che l'Ateneo stesso organizza annualmente.17 Si tratta, però, di un risveglio intenso ma di breve durata che, peraltro, non sposta e non muta le posizioni assunte in precedenza.

Un'altra vivace riapertura del dibattito si ha con l'annuncio della VII Assemblea generale del Sinodo dei vescovi dedicata al tema: Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo a vent'anni dal Concilio Vaticano II. Un tema fissato da Giovanni Paolo II su richiesta della maggioranza degli organismi ecclesiali consultati. Il Sinodo, rinviato dal 1986 al 1987 a causa dello svolgersi della II Assemblea generale straordinaria del Sinodo stesso, è destinato, in qualche modo, a fare un bilancio del magistero conciliare e postconciliare e ad approfondire, in particolare, il binomio vocazione-missione del l. in linea con la sensibilità del tempo. Così, è attorno alla metà degli anni '80 che si ha la pubblicazione di un numero considerevole di articoli e di volumi di interesse, ma è soprattutto in Italia che il dibattito si fa vivo per un confronto franco e diretto, nel modo della quaestio disputata, tra G. Lazzati e i teologi B. Forte e S. Dianich.

Lazzati ha appena pubblicato due volumi a larga diffusione che rappresentano una sintesi matura della sua quarantennale riflessione e ne ha in corso di pubblicazione un terzo.18 Egli si pone criticamente di fronte alle riflessioni di " alcuni teologi " che ritiene non conformi al magistero conciliare sulle pagine di una diffusa rivista d'informazione religiosa.19 E vero - dice Lazzati - che la Chiesa è nel mondo per il mondo, cioè per salvarlo. È, infatti, in questo senso che Paolo VI ha detto che la Chiesa " ha un'autentica dimensione secolare " (2 febbraio 1972). Ma, il termine " secolare ", dice Lazzati, o quello di " secolarità " applicato a tutta la Chiesa non ha precisamente lo stesso significato dell'aggettivo " secolare " applicato al l. nella definizione che ne fa LG 31. Nella Costituzione sulla Chiesa indica un " particolare rapporto con il mondo " che caratterizza l'azione del l. " sul mondo al fine di ricondurlo al disegno del Creatore ". I laici di cui parla LG 31 " vivono nel mondo ", non nel senso generico qual è quello per cui tutti i cristiani sarebbero " secolari ", ma in senso specifico, cioè in quanto " implicati in tutti e singoli i doveri e affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta ". Distinguere diversi modi di assumere la " secolarità " secondo vari carismi e ministeri, non significa separare ministeri e laici e neanche negare il " vitale rapporto " tra momenti e dimensioni - ministeriali o secolari - della missione di salvezza della Chiesa.

E per questo che Lazzati non può accettare l'affermazione che tutta la Chiesa è " laica ", come fa il teologo S. Dianich,20 né il modo di presentare il tema della laicità di B. Forte.21 Lazzati contesta anche l'uso dell'espressione " ecclesiologia totale " ripresa da Y. Congar e critica soprattutto l'affermazione di B. Forte secondo cui " la riscoperta dell'ecclesiologia totale " porta con sé " l'esigenza di superare non solo la divisione della Chiesa in due classi, ma anche la connessione specifica laici-secolarità ".22

L'essenziale della posizione di G. Lazzati può essere colta in questo passaggio: " Nel momento in cui, perdendo la specificità del significato per la quale il fedele è chiamato l., attribuisco alla Chiesa, nella sua globalità, la qualifica di "laica" non aggiungo nulla alla conoscenza della sua natura e invece perdo il valore della nota che caratterizza nella Chiesa un momento tipico della sua azione redentiva, quello cui per loro vocazione, attendono (dovrebbero attendere) i fedeli per questo chiamati laici ".

Nella sua replica, S. Dianich riconosce e accetta la preoccupazione di Lazzati " di esorcizzare il sempre risorgente mostro dell'integrismo clericale ". Ma egli insiste su un aspetto che non è negato da Lazzati: la necessità di " prendere sul serio i criteri della laicità e applicarli coerentemente a qualsiasi soggetto ecclesiale ", chierico o l., ove i " criteri riguardano il riconoscimento del valore proprio e autonomo delle realtà terrestri ".23

B. Forte, a sua volta, difende l'uso della terminologia e dei concetti ripresi da Y. Congar: " ecclesiologia totale " e " binomio comunità-carismi e ministeri " che segnano il superamento del binomio " gerarchia-laicato " e rileva che " l'affermazione della laicità come dimensione di tutta la Chiesa si offre allora come l'altro nome della corresponsabilità ". L'impressione che suscita il dibattito è che sembra necessario arrivare a una sintesi più chiara e avanzata tra il Congar dei Jalons e quello dello schema " comunità-carismi e ministeri ".24

Il VII Sinodo dei vescovi, per parte sua, accogliendo l'Instrumentum laboris,25 fa un bilancio complessivo del magistero a partire dal Vaticano II e ne ribadisce le tesi di fondo non accogliendo le tesi sviluppate da numerosi teologi circa la laicità di tutta la Chiesa e di tutti nella Chiesa. L'Esortazione apostolica post-sinodale di Giovanni Paolo II (30 dicembre 1988) segna e accoglie il pensiero dei padri sinodali fin dalle prime parole del testo che danno il titolo al documento. Infatti, il Papa non si limita a parlare di christifideles, ma specifica subito che si tratta di christifideles laici, ove il laici specifica, qualifica e distingue i fedeli di cui si tratta. Ossia, distingue tra i fedeli coloro che formano una porzione specifica del popolo di Dio avendo un'indole peculiare definita dalla secolarità e dall'essere e dal vivere nel mondo come luogo teologico peculiare. Si ha così una continuità diretta con le prime generazioni cristiane. L'indagine sui testi, infatti, fa rilevare come in nessuno di essi si considerino i " laici " come la comunità composta dai membri del popolo di Dio in opposizione ai popoli profani. Nei testi si trova un'opposizione costante: si tratta di categorie all'interno del popolo di Dio. (...) D'altronde, se il termine l. designasse veramente i membri del popolo di Dio presi nel loro complesso, non si capirebbe perché mai i sacerdoti non sarebbero anch'essi " laici, dal momento che sono cristiani. Invece, i testi oppongono costantemente questi a quelli ".26 Ma il fatto che va registrato è che, dopo il Sinodo e dopo la pubblicazione della Christifideles laici, la ricerca sul l. di nuovo segna un arresto mentre, particolarmente in area tedesca, si sviluppano ministeri laicali nuovi caratterizzati dalla supplenza del clero per servizi alle comunità cristiane. Servizi che, poiché richiedono praticamente il tempo pieno e prevedono un sostentamento economico di coloro che lo esercitano finiscono per mettere in dubbio il permanere in una piena laicità di coloro che vi sono chiamati.

IV. Il l. e l'unione con Dio. Si deve concludere che, se si segue la linea indicata insistentemente dal magistero, si verifica che per il l. l'unione con Dio avviene per vie distinte da quelle dei chierici, dei religiosi e dei monaci. Via peculiare, infatti, appare l'essere e l'agire nel mondo come luogo d'origine e di residenza, anche se resta pur sempre, secondo la Lettera a Diogneto, un essere residenti come stranieri col permesso di soggiorno.27 Mentre, infatti, per chierici, religiosi e monaci il mondo resta una realtà che ostacola il raggiungimento della propria perfezione e, dunque, l'unione con Dio, per il l. avviene il contrario. Egli, per la sua indole, per la vocazione e la missione che ha ricevuto col battesimo può raggiungere la santità e, con essa, l'intimità con Dio solo nel mondo e per mezzo del mondo, ossia operando in modo da " cercare il regno di Dio trattando le realtà temporali e ordinandole secondo Dio " (LG 31). Per il l., dunque, il mondo non è una realtà ostile per cui si giunge a santità nonostante essa, ma proprio grazie ad essa. Il mondo, in definitiva, si configura come il luogo teologico, l'ambiente divino 28 in cui avviene l'incontro con Dio e si raggiunge con lui la pienezza di unione. Ciò che caratterizza il rapporto del l. col mondo è quello di divenire un liturgo di una celebrazione cosmica per cui, come arditamente si è espresso un teologo laico, il prof. J. Lagovsky, " la carne del mondo comincia sostanzialmente e veramente a transustanziarsi, a mutarsi nella carne del nuovo cielo e della nuova terra, nella carne del regno di Cristo che viene ".29 Tra l. e mondo, dunque, avviene un rapporto dinamico, un processo attraverso il quale il l. e il mondo si santificano e si collocano al centro dell'economia della creazione e della redenzione e i laici danno così attuazione alla speranza escatologica della creazione tutta " che attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio... e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio " (Rm 8,19-21).

Note: 1 Cf E. Amman - A. Dumas, La Chiesa in balia dei laici (888-1057), in A. Fliche - V. Martin (cura di), Storia della Chiesa, VII, Torino 1973; 2 A. Vauchez, I laici nel Medioevo. Pratiche ed esperienze, Milano 1989, 13; 3 Cf M.-D. Chenu, La teologia nel XII secolo, Milano 1986; 4 Cf G.G. Meersseman - G.P. Papalini, Le confraternite laicali in Italia dal Quattrocento al Seicento, in Aa.Vv., Problemi di storia della Chiesa nei secoli XV-XVII, Napoli 1979, 109-136; 5 R. Bellarmino, De membris Ecclesiae militantis, I: De clericis, cap I, in Id., Opera Omnia, II, Napoli 1857, 149; 6 Cf R. Spiazzi, La missione dei laici, Roma 1952. È anche da ricordare Id., Il laicato nella Chiesa, in Aa.Vv., Problemi e orientamenti di teologia dogmatica, I, Milano 1957, 303-358; 7 Cf Y. Congar, Per una teologia del laicato, Brescia 1966; 8 Ibid., 37-39; 9 Id., Esquisse d'une théologie de l'Action catholique, in Les Cahiers du Clergé Rural, agosto-settembre 1958, poi ripreso in Sacerdozio e laicato di fronte ai loro compiti di evangelizzazione e civiltà, Brescia 1966, 285; 10 G. Lazzati, La " consecratio mundi " essenzialmente opera dei laici, in Studium, 55 (1959), 791-805. Cf anche G. De Rosa, Il significato teologico della " consecratio mundi ", in CivCat 114 (1963)3, 521-532; Id., La " consecratio mundi " missione specifica dei laici nella Chiesa, in CivCat 114 (1963)4, 121-131; 11 Tra le pubblicazioni in lingua italiana, oltre a quelle citate, cf almeno: L. Sartori, La teologia del laicato, Padova 1955; Id., I laici nella Chiesa, in Sacra Doctrina, 7 (1962), 207-342: numero monografico in cui sono da segnalare i contributi di J. Hamer, Il fondamento biblico e teologico dell'apostolato dei fedeli, 218-242 e di P.A. Liégé, I laici nella Chiesa, 207-217; D. Tettamanzi, Verso una teologia del laicato nella Chiesa, in Rivista del Clero Italiano, 43 (1962), 435-449; G. Belotti, Il Concilio e i laici, Milano 1963; P.C. Landucci, Fondamenti dogmatici dell'apostolato dei laici nella Chiesa, in Aa.Vv., I laici nella Chiesa, Roma 1963, 15-29; D. Pieraccioni, I laici e il Concilio, in Città di Vita, 18 (1963), 582-585. Ma, nello stesso periodo, sono importanti i contributi pubblicati in francese e in tedesco; 12 Almeno così come viene messo in luce da due importanti ricerche: I. De la Potterie, L'origine et le sens primitif du mot " laïc ", in NRTh 79 (1958), 840-853 poi, con alcune variazioni, in I. De la Potterie - S. Lyonnet, La vita secondo lo Spirito condizione del cristiano, Roma 1967, 15-34; E. Lanne, Le laïcat de l'Église ancienne, in Verbum Caro, 18 (1964), 105-126; 13 Cf E. Schillebeeckx, La definizione tipologica del laico cristiano secondo il Vaticano II, Roma 1971; 14 Cf Y. Congar, Ministeri e comunione ecclesiale, Bologna 1973; 15 Cf T. Citrini, La questione teologica dei ministeri, in Aa.Vv., I laici nella Chiesa, Leumann (TO) 1986, 57-72; 16 Frutto di tale sollecitazione è la pubblicazione del volume Laicità nella Chiesa, Milano 1977, con contributi di B. Maggioni, L. Sartori, A. Acerbi, A. Lattuada, G. Grampa, G. Ghiberti, U. Benedetti; 17 Cf Laicità. Problemi e prospettive. Atti del XLVII Corso di aggiornamento culturale dell'Università cattolica, Milano 1977. Le relazioni sono state tenute da G. Lazzati, B. Maggioni, L. Pizzolato, G. Picasso, V. Vinay, F. Traniello, P. Scoppola, N. Raponi, L. Sartori, S. Vanni Rovighi, L. Lombardi Vallauri, U. Pototschnic, G. Pastori, F. Stella, A. Ardigò, R. Ruffilli, N. Galli, L. Pazzaglia, G. Bettetini; 18 Cf G. Lazzati, La città dell'uomo. Costruire, da cristiani, la città dell'uomo a misura d'uomo, Roma 1984; Id., Laicità e impegno cristiano nelle realtà temporali, Roma 1985 (è importante la recensione di B. Sorge, Per un autentico " movimento laicale " nella Chiesa, in CivCat 136 [1985]3, 388-389); Id., Per una nuova maturità del laicato. Il fedele laico attivo e responsabile nella Chiesa e nel mondo, Roma 1986; 19 Cf Id., Secolarità e laicità. Le caratteristiche del laico nella Chiesa e per il mondo, in Il Regno Attualità, 30 (1985), 333-339; 20 Cf S. Dianich, Chiesa in missione: per una ecclesiologia dinamica, Roma 1985; 21 Lazzati si riferisce specificamente a B. Forte, La Chiesa icona della Trinità, Brescia 1984; 22 Cf B. Forte, Laicità, in NDT, 2004-2013; Id. Laicato e laicità, Casale Monferrato (AL) 1986; 23 Cf S. Dianich - B. Forte, Laicità: tesi a confronto, in Il Regno Attualità, 30 (1985), 459-461; 24 Cf D. Bonifazi, Sacerdozio-laicato nell'ecclesiologia di Y. Congar, evoluzione e prospettive, Padova 1983, 307-320; 25 Cf Sinodo dei vescovi, Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo a vent'anni dal Concilio Vaticano II. Instrumentum laboris, Città del Vaticano 1987; 26 I. De la Potterie, Il significato primitivo del termine " laico ", o.c., 33; 27 Lettera a Diogneto, V; 28 Cf P. Teilhard de Chardin, L'ambiente divino, Milano 1968; 29 Citato da O. Rousseau, Il messaggio dell'ortodossia, in P. Evdokinov, Le età della vita spirituale, Bologna 1968, XV.

Bibl. La bibliografia sul laicato è amplissima. Si rimanda, pertanto oltre ai testi indicati in nota a: Il laicato. Rassegna bibliografica a cura di A. Scola, C. Giuliodori, G. Marengo, P.A. de Proost, G. Wagner, Città del Vaticano 1987.




Autore: A. Oberti
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)