Scrutatio

Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Ignoranza


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I. La nozione. " Dio è conosciuto tramite l'i. ": quest'affermazione, una tra le tante, di Dionigi l'Areopagita 1 avrebbe sconcertato un cristiano dei tempi apostolici. L'i. (agnoia), la non conoscenza di Dio, è infatti la caratteristica dei " pagani che non conoscono Dio " (1 Ts 4,5), i quali sono " accecati nei loro pensieri, estranei alla vita di Dio a causa dell'i. che è in loro " (Ef 4,18). I cristiani sono ammoniti: " Non conformatevi ai desideri di un tempo, quando eravate nell'i. " (1 Pt 1,14). Per essi, invece, Paolo prega perché " acquistino in tutta la sua ricchezza la piena intelligenza e giungano a penetrare nella perfetta conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza " (Col 2,2-3).

Pur tenendo conto del significato più esperienziale che il termine conoscenza (gnosis) ha nel linguaggio biblico, è indubitabile che la crescita nella conoscenza, oltre che nel NT, resti l'ideale e il coronamento della vita cristiana in tutta la tradizione patristica.

II. Nella dottrina dei Padri. Ma è proprio nella dottrina dei Padri, soprattutto orientali, che si sviluppa la dottrina della contemplazione di Dio nella tenebra, quindi il tema della contemplazione di Dio mediante l'" i. ".

E in Gregorio di Nissa, considerato da molti il fondatore della teologia mistica, che il tema della contemplazione nella tenebra fa la sua comparsa. Il modello di questa contemplazione è Mosè: " La manifestazione di Dio a Mosè avvenne dapprima per mezzo della luce, poi parlò con lui nella nube, infine, divenuto più perfetto, Mosè contemplò Dio nella tenebra. Il passaggio dall'oscurità alla luce è la prima separazione dalle idee false ed erronee su Dio. La considerazione più attenta delle cose nascoste, che conduce l'anima mediante le cose visibili alla realtà invisibile, è come una nube che rende oscuro tutto il sensibile e abitua l'anima alla contemplazione di ciò che è nascosto. Infine, l'anima che ha camminato per queste vie verso le cose superne, avendo lasciato le cose terrene per quanto è possibile alla natura umana, penetra nei santuari della conoscenza divina circondata da ogni parte dalla tenebra divina ".2

L'autore, però, che ha lasciato la dottrina più elaborata della totale i. come " conoscenza del principio superiore a tutte le cose conoscibili " (Ep. 1) è Dionigi l'Areopagita. Anch'egli si richiama alla figura di Mosè, il quale, distaccato dalle cose visibili, " entra nella nube della non conoscenza veramente mistica, nella quale egli chiude gli occhi a tutte le comprensioni gnostiche e raggiunge ciò che è totalmente intangibile ed invisibile... unito in modo migliore a colui che è inconoscibile, conoscendo al di là dell'intelligenza per il fatto di non conoscere niente ".3

L'influsso dell'Areopagita e della sua teologia apofatica è stato grandissimo, pure in Occidente (basta vedere quanto sia citato con venerazione da dottori come s. Bonaventura o s. Tommaso). Al di là delle specifiche speculazioni o costruzioni teologiche, l'affermazione che l'unione più alta con Dio avviene nella tenebra si fonda sul principio della sua inconoscibilità. E illuminante l'espressione di s. Agostino: " Se lo hai capito, vuol dire che non è Dio (Si cepisti, non est Deus). Se hai potuto comprendere, hai compreso qualcos'altro al posto di Dio ".4

III. Il significato. Certamente per conoscere Dio occorre iniziare a scoprirne le orme nel creato, dove " le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute " (Rm 1,20), come pure si ha bisogno di formarsene una qualche immagine e un concetto sempre più appropriato nello studio e nella vita di orazione. Dio, però, rimane sempre al di là delle nostre immagini e dei nostri concetti analogici, che, se da una parte ce lo rivelano, dall'altra ce ne nascondono il vero volto. E come per la fotografia di una persona: ce la rappresenta in maniera più o meno soddisfacente, ma non è la persona; e se noi dovessimo rimanere con gli occhi fissi sul ritratto, ci precluderemmo la strada all'incontro con la persona rappresentata. S. Giovanni della Croce insegna: " Coloro che immaginano Dio sotto figura di qualche cosa, o come un gran fuoco o splendore o qualsiasi altra forma e pensano che alcunché di tal genere sia simile a Dio, vanno assai lontano da lui. Certamente, tali considerazioni o maniere di meditare sono necessarie ai principianti per innamorare la loro anima e nutrirla per via dei sensi... Ma, quantunque le anime ordinariamente debbano passare per tali mezzi prima di arrivare al termine e alla stanza del riposo spirituale, tuttavia, ciò non vuol dire che debbano fermarvisi e dimorarvi sempre, perché altrimenti mai giungerebbero al termine, il quale è ben diverso dai mezzi remoti, e con questi non ha nulla a che vedere: allo stesso modo che i gradini di una scalinata non hanno a che vedere col termine o stanza della salita... Per la qual cosa, l'anima che vuole arrivare in questa vita all'unione di quel sommo bene e riposo, ha da passare per tutti i gradi di considerazioni, forme e notizie, ma anche farla finita con essi, perché non hanno alcuna somiglianza e proporzione col termine a cui incamminano, che è Dio ".5 La ragione, come sempre, è che " Dio, a cui l'intelletto s'incammina, eccede questa potenza, essendo incomprensibile e inaccessibile ad essa, perciò quando l'intelletto intende, non si va avvicinando a Dio, ma se ne allontana. Piuttosto, esso deve allontanarsi da se stesso e dalla sua intelligenza per avvicinarsi a Dio, camminando nella fede, ossia credendo e non intendendo. In questa maniera, l'intelletto giunge alla perfezione, poiché per fede, non per altro mezzo, si unisce a Dio; e l'anima si avvicina a Dio più non intendendo che intendendo ".6

Ci troviamo davanti a un dato comune della dottrina e dell'esperienza mistica, a un dato, quindi, che si trova presente in numerosi autori di varie epoche e di varie correnti di spiritualità.

Per la loro specifica connessione con il tema vanno ricordate almeno due opere. La prima, più speculativa, è il De docta ignorantia del card. Nicola Krebs da Cusa. Per il Cusano anche l'intelletto, con cui si raggiunge il più alto grado di conoscenza in questo mondo, rimane sconcertato di fronte all'Infinito in cui si trova la coincidentia oppositorum: riconoscere tale impotenza è la somma saggezza, è appunto una docta ignorantia. L'ultima parola per accostarsi alla verità è l'intuizione mistica.

L'altra opera da ricordare è quella di un anonimo autore inglese che tra il 1350 e il 1370 scrisse La nube della non-conoscenza (The Cloud of Unknowing), dove viene riproposta la dottrina che " solo l'amore può raggiungere Dio in questa vita, e non la conoscenza " (c. VIII).

E sostanzialmente questo il senso dell'i. nell'esperienza più alta di Dio in questo mondo. Come si esprime mirabilmente s. Bonaventura: " E questo un fatto mistico e straordinario che nessuno conosce se non chi lo riceve. Lo riceve solo chi lo desidera, non lo desidera se non colui che viene infiammato dal fuoco dello Spirito Santo che Cristo ha portato in terra... Se vuoi sapere come avvenga tutto ciò, interroga la grazia, non la scienza, il desiderio non l'intelletto, il sospiro della preghiera non la brama del leggere, lo sposo non il maestro, Dio non l'uomo, la caligine non la chiarezza, non la luce ma il fuoco che infiamma tutto l'essere e lo inabissa in Dio con la sua soavissima unzione e con gli affetti più ardenti ".7

Note: 1 De divinis nominibus, 7,3; 2 In Cant. hom., II, 3 Mystica Theologia 1,3; 4 Sermo 52,16; 5 Salita del Monte Carmelo II, 11,4; 6 Fiamma viva d'amore III, 45; 7 Itinerarium mentis in Deum 7,4.6.

Bibl. J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique, Paris 1953; R. Garrigou-Lagrange, Le sens du mystère et le clair-obscur intellectuel, Paris 1934; B. Honings, s.v., in DES II, 1260-1261; V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d'Oriente, Bologna 1967; G. Moioli, Sapere teologico e sapere proprio del cristiano. Note per un capitolo di storia della letteratura spirituale e della teologia, in ScuCat 106 (1978), 569-596; J. Nicolas, Dieu connu comme inconnu, Paris 1966; F. van Steenberghen, Dieu caché. Comment savons-nous que Dieu existe?, Louvain-Paris 1966; C. Yannaràs, Ignoranza e conoscenza di Dio, Milano 1973.



Autore: U. Occhialini
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)