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Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Ignazio di Antiochia (Santo)


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I. Vita e opere. " I., tuttora celeberrimo, occupa la sede vescovile di Antiochia, secondo dopo s. Pietro ".1 Succede a Evodio 2 nell'anno 70; 3 ha relazioni con gli apostoli.4 E inviato dalla Siria a Roma per essere gettato in pasto alle fiere a causa della testimonianza da lui resa a Cristo.

Compiendo il suo viaggio attraverso l'Asia nelle singole città, dove sosta, scrive lettere alle chiese. Nella prima tappa, a Smirne, dov'è vescovo Policarpo ( 155), scrive quattro lettere: rispettivamente alla chiesa di Efeso, a quella di Magnesia, di Tralli e di Roma, che egli scongiura di non privarlo del martirio. Nella seconda tappa, a Troade, scrive tre lettere: alla chiesa di Filadelfia, di Smirne e al vescovo Policarpo, cui affida il proprio gregge di Antiochia. Da Troade, condotto per mare a Neapolis in Macedonia, I. prosegue sulla via Egnazia, giungendo per la Macedonia e l'Illirico ad uno dei due porti di Durazzo e di Apollonia, da cui salpa per Brindisi; da qui per la via Appia raggiunge Roma, dove subisce il martirio verso il 107. Quanto alle lettere, delle tre recensioni trasmesseci dalla tradizione manoscritta, la recensio media è suffragata da sicure testimonianze: lo Zahn (1873), il Funk (1883) e il Lightfoót (1885-89), con l'Harnack, hanno dimostrato che questa recensione è il textus receptus autentico.

II. Dottrina teologica. Le lettere d'I. sono occasionali, non offrono una sistematica dottrina teologica, ma testimoniano la più antica tradizione, quella della chiesa di Antiochia, dove per la prima volta i fedeli sono chiamati cristiani (cf At 11,26). Vi sono attestati i più importanti dogmi: unità e trinità di Dio, divinità di Gesù Cristo (in chiave antidocetica), sua risurrezione, concezione verginale di Maria, effetti della redenzione, battesimo, Eucaristia, matrimonio (Polic. 5,2: unico esempio nei Padri apostolici), Chiesa mistica e chiese locali, gerarchia ecclesiastica a tre gradi (vescovo, presbiteri e diaconi). L'ecclesiologia di I. è di modello gerarchico-piramidale con a capo il vescovo, centro dottrinale, disciplinare e liturgico secondo la logica della partecipazione. " Il vescovo tiene il luogo di Dio, i presbiteri tengono il luogo del senato degli apostoli, i diaconi sono incaricati del servizio di Gesù Cristo " (Magn. 6,1). " Il Padre di Gesù Cristo è il vescovo universale: chi inganna il vescovo visibile, inganna quello invisibile " (Magn. 3,1-2).

III. La mistica d'I. (e dei Padri) si spiega unicamente in rapporto al mistero di Cristo, in senso paolino, ossia al carattere salvifico della croce di Cristo; solo così si dà una mistica cristiana. I migliori storici contemporanei delle religioni comparate attestano che il mistero paolino non si spiega mediante una contaminazione dei misteri pagani. Da parte sua Paolo afferma: " Io ritenni (...) di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso " (1 Cor 2,2). Ed ancora: " Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, (...); parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria " (Ibid. 2,6-7). La sapienza, di cui parla Paolo, al di là di tutte le sapienze del mondo, è il disegno di Dio creatore di salvare l'umanità decaduta, riconciliandola con lui, mediante la croce di Cristo, che apre al trionfo finale: " Cristo in voi, speranza della gloria " (Col 1,27). Ma il disegno sapiente di Dio fu reso possibile dall'Incarnazione del Figlio suo, Dio-uomo. Ora, I. è l'unico tra i Padri apostolici ad usare il termine mysterion, anche se in tutti loro è principale la fede in Cristo morto, risorto e vivificatore del cristiano.5 In I. il tema è centrale e sta alla base di ogni sviluppo, specie della teologia del martirio e dell'Eucaristia (cf Lettera ai Romani). Il primo passo contenente il nostro termine è Magn. 9,1-2, dove I. parla dei giudei, che non osservano più il sabato, " ma vivono secondo la domenica, in cui è spuntata la nostra vita per mezzo di lui e della sua morte (...): lui, per mezzo del cui mistero (mysteríon) noi abbiamo ricevuto la fede ". Anche per I., come per Paolo, il senso ultimo del mistero salvifico della croce di Cristo è la nostra vita risorta con lui. Il secondo passo è Ef 19,1, primo esempio, in cui mysterion è applicato all'Incarnazione, includente, a sua volta, altri misteri: " Nascosti al principe di questo mondo furono la verginità di Maria e il suo parto, come pure la morte del Signore: tre misteri destinati a venire proclamati (mysteria krauges), maturati nel silenzio di Dio ". Pur tra misteri costituenti l'economia salvifica, l'orizzonte è sempre quello paolino della croce. Il silenzio di Dio, in I. come in Paolo, è riferito al disegno nascosto di salvezza, ma destinato ad essere rivelato a tutti, a differenza del "silenzio sacro" dell'ellenismo, caro a certi gnostici eretici, dal quale sarebbe emanata la Parola (logos). I. non parla di misteri pagani; notiamo che Giustino ( 165 ca.) è il primo scrittore cristiano a ricordare il mistero cristiano e insieme i misteri pagani; si dovrà arrivare ad Ireneo per trovare un incontro tra la terminologia del mistero cristiano e quella di altri misteri, non di quelli pagani, ma di quelli della gnosi eretica.6

IV. La mistica dell'unità teocentrica, cristocentrica, ecclesiale ed eucaristica. A I. è " affidato il compito dell'unità " (Fil 8,1): unità di Dio, di Cristo, della Chiesa cattolica (qualificativo usato per la prima volta nei Padri), dell'Eucaristia.

1. La contemplazione del mistero di Cristo si configura in I. anzitutto come una contemplazione mistica su Dio e il suo disegno salvifico e su Cristo. Contro i giudaizzanti, la contemplazione s'incentra sull'unità dell'economia divina (cf Ef 18,2 e 20,1), su Cristo rivelatore del Dio unico (cf Magn. 8,2). Dio invisibile si è reso conoscibile in Cristo (cf Polic. 3,2): " La conoscenza (gnosis) di Dio, è Gesù Cristo " (Ef 17,2). Ma il Cristo è uno col Padre. Gesù Cristo si è veramente incarnato (contro i doceti) (cf Trall. 1-2; Sm. 1,1-2). La mistica di I. non è una mistica metafisica, né vago misticismo. " Fondata sulla fede nella passione e nella risurrezione di Gesù Cristo, essa si radica in pieno realismo cristiano. Questo ruolo, assolutamente primo, dato al mistero del Cristo incarnato, morto e risorto separa una mistica autenticamente cristiana da un misticismo gnostico e platonico ".7 L'influsso di Paolo è qui decisivo (P. Meinhold).

Chiamato " dottore e mistico dell'unità ",8 egli stesso si autodefinisce " un uomo fatto per l'unità " (Fil. 8,1). Unità, in primo luogo, in Dio (cf Trall. 11,2; Fil. 8,1).

2. Ma l'unità di Dio rifluisce nell'unità di Cristo, anche se finalizzata a Dio: " (...) Prego perché vi sia in esse (nelle chiese) l'unità di carne e di spirito di Gesù Cristo, nostra vita per sempre, (l'unità) di fede e di amore, di cui nulla è preferibile, e, ciò che è più importante, (l'unità) di Gesù e del Padre, in modo che resistendo e scampando ad ogni assalto del principe di questo mondo, noi raggiungeremo Dio " (Magn. 1,1-2). La prima è l'" unità di carne e di spirito di Gesù Cristo ". Il binomio sintetico-antitetico sarx-pneuma, tipico in I., indica la sfera umana (sarx) e divina (pneuma) dell'Uomo-Dio. La preghiera del mistico I. è diretta a conseguire nelle sue comunità l'unità "cristica", in quanto è la stessa unità costitutiva della Persona umano-divina del Cristo stesso; l'unità teandrica di Cristo si fa archetipo dell'unità del cristiano e della comunità. Cristo, che è il risorto e il vivente, mantiene unite, in quanto sarx-pneuma, in sé queste due sfere. Il Cristo, "nostra vita per sempre", è l'archetipo esemplare, il paradigma dell'Uomo-perfetto, in quanto egli come mediatore (cf Magn. 7,2), realizza in sè l'unione dell'umano e del divino. L'unità di Cristo dev'essere imitata dal cristiano, che partecipa dell'unità teandrica di lui e, costituendosi in una unità quasi "ipostatica", diviene un altro Cristo. La seconda unità è quella di " fede e amore ", binomio sintetico, che indica la globalità della vita cristiana, che ha come archetipo assoluto " l'unità di fede e di amore " del Figlio fattosi uomo. La terza unità, quella fondamentale, è " l'unità di Gesù e del Padre ". Ogni unità su questa terra è finalizzata a diventare una cosa sola come il Cristo e il Padre, nel Cristo e nel Padre. L'espressione tykein Theou (congiungersi a Dio),9 con cui è sintetizzata la triplice unità, è usata nel passo citato al plurale, in riferimento ad ogni cristiano come membro della comunità: per il martire I., e per ogni cristiano che vive nella Chiesa, lo scopo è lo stesso: congiungersi a Cristo nella sua Unità col Padre.10

3. L'unione del cristiano a Cristo è realtà che si realizza nella Chiesa: " Il Capo (Cristo) non può essere generato separatamente senza le membra, dal momento che Dio ha promesso l'unità che è egli stesso " (Trall. 11,2). L'ecclesiologia d'I. è di tipo gerarchico-piramidale, al cui vertice è situato il vescovo: " Là dove appare il vescovo, ci dev'essere la comunità, come là dove c'è Cristo, c'è la Chiesa cattolica " (Sm. 8,1-2). Solo nella Chiesa il cristiano si congiunge a Dio (cf Magn. 6,1-2). " ... Una sola preghiera, una sola supplica, una sola mente, una sola speranza nell'amore, nella gioia senza macchia; (tutto) questo è Gesù Cristo ... Tutti accorrete insieme come ad un unico tempio di Dio, come ad un unico altare, ad un unico Gesù Cristo che, uscito dal Padre Uno, era con l'Unico ed è ritornato verso lui " (Magn. 7,1-2). Ma la Chiesa, intesa in I., per lo più, come comunità locale, viene costruita nella celebrazione eucaristica, tempo e luogo, in cui si attua l'unione dei fedeli a Cristo e tra di essi: " Preoccupatevi di partecipare ad una sola Eucaristia. Una, infatti, è la carne del Signore nostro Gesù Cristo e uno il calice in vista dell'unità del suo sangue, uno l'altare, [come uno è il vescovo insieme al presbiterio e ai diaconi, miei con-servi]. Se farete ciò, lo farete secondo Dio " (Fil. 4; cf Ef. 5,2-3). L'unione con Cristo deve, infine, essere concreta e visibile: " Bisogna non solo chiamarsi cristiani, ma esserlo " (Magn. 4). " Facciamo ... tutto pensando che egli abita in noi, affinché siamo templi suoi ed egli il nostro Dio in noi. Così è davvero, e ciò apparirà manifestamente ai nostri occhi se lo ameremo realmente " (Ef. 15,1-2). L'unione a Cristo deve diventare imitazione di lui, nell'amore anche ai nemici: " Nell'accondiscendenza troviamoci loro (dei nemici) fratelli; sforziamoci di essere imitatori del Signore; ... in ogni purezza e temperanza rimanete in Gesù Cristo, nella carne e nello spirito " (Ef. 10,3). I. prega, affinché il cristiano imiti Cristo e diventi un crocifisso per amore, testimone di quell'unità che dal Padre si comunica nello Spirito al Figlio Uomo-Dio e da lui alla comunità dei credenti.

V. Mistica del martirio. Per primo egli ci fornisce una mistica del martirio. Alle radici del martirio egli colloca la speranza cristiana che ha per oggetto non l'immortalità naturale, ma la risurrezione del corpo umano, garantita dalla risurrezione di quello di Cristo; in lui, realtà della passione e realtà della risurrezione procedono insieme (contro i doceti) (cf Sm. 3). Ora " l'importanza del martirio deriva dal fatto che esso ci offre una possibilità, mediante l'assimilazione al Cristo morto e risorto, di raggiungere e, in un certo senso, d'anticipare l'evento escatologico ".11 L'essenziale per lui è, infatti, " ritrovarsi in Gesù Cristo per la vita eterna " (Ef. 11,1). " Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi è dato di raggiungere Dio! " (Rom. 4,2). E il desiderio struggente di raggiungere Dio e Cristo, il segreto della sua aspirazione al martirio: " Quanto è per me più glorioso morire per (verso: eis) Cristo Gesù, che regnare su tutta la terra... Io cerco colui che è morto per noi; io voglio colui che per noi è risorto ... L'acqua viva mormora dentro di me e mi dice: "Vieni al Padre!" " (Ibid. 6,1; 7,2).

Il cristiano, inoltre, è chiamato ad imitare Cristo fino al martirio: " Se noi non siamo disposti a morire per imitare la sua passione, la sua vita non è in noi " (Magn. 5,2): nel Martirio di Policarpo è detto che " i martiri (...) li veneriamo degnamente, come discepoli e imitatori del Signore " (17,3). A questo punto, speranza di " raggiungere Cristo " e imitazione di Cristo si fondono insieme. Tutto si orienta verso una presenza di Cristo in noi e di noi in lui, che il martirio deve realizzare: questo è lo scopo del martirio.12

In I. il tema del martirio s'intreccia col tema dell'Eucaristia, che è " farmaco d'immortalità, antidoto che preserva dalla morte e assicura per sempre la vita in Gesù Cristo " (Ef. 20,2). Ciò è reso possibile dal fatto che l'Eucaristia è partecipazione al Cristo risorto, garanzia che anche noi risorgeremo. La mistica del martirio rapportata all'Eucaristia veicola un significato assai ricco che, cioè, l'Eucaristia, nutrendoci del Cristo risorto, ci fa partecipare alla sua passione e, più profondamente, all'agape che la suscita e la nutre. " Nell'Eucaristia, egli ci ha dato il germe di quello che egli è, ha innestato in noi il processo che ve l'ha condotto; nel martirio, questo processo si dispiega e questo germe porta il suo frutto: soffrendo con lui, non solo noi risuscitiamo con lui, ma diventiamo in qualche maniera il Risorto ".13 Il sacrificio del martire (" Lasciate che io sia immolato a Dio, finché l'altare è pronto " [Rom. 2,2]), è finalizzato alla chiesa di Efeso: " Io mi offro in sacrificio per voi, Efesini, chiesa famosa attraverso i secoli " (Ef. 8,1; cf Trall. 13,3). In questi testi lo slancio mistico è diretto dalla volontà di diventare un tutt'uno con Cristo, morto e risorto: il tema dell'unità, il tormento d'I., finisce sempre per focalizzarsi in Cristo.

Note: 1 Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, 3,36; 2 Ibid., 3,22; 3 Id., Chron. ad annum Abr. 2085; 4 Crisostomo, Omelia su Ignazio: PG 50, 588; 5 L. Bouyer, Mysterion. Du mystère à la mystique, Paris 1986, 167-168; 6 Ibid., 170-171; 7 P-T. Camelot, Ignace d'Antioche [saint], Paris 1958, 1257; 8 Ibid., 20; 9 G. Bosio, La dottrina spirituale di s. Ignazio di Antiochia, in Sal 28 (1966), 524; 10 F. Bergamelli, L'unione a Cristo in Ignazio d'Antiochia, in S. Felici (ed.), Cristologia e catechesi patristica I, Roma 1980, 98; 11 L. Bouyer - L. Dattrino, La spiritualità dei Padri (II-V sec.), 3A Bologna 1984, 45; 12 P.-T. Camelot, Ignace d'Antiochie (saint), in DSAM VII2, 1263; 13 L. Bouyer - L. Dattrino, La spiritualità..., o.c., 52.

Bibl. F. Bergamelli, L'unione a Cristo in Ignazio d'Antiochia, in S. Felici (ed.), Cristologia e catechesi patristica I, Roma 1980, 73-105; Id., s.v., in G. Bosio et Al., Introduzione ai Padri della Chiesa. Secoli I e II, Torino 19932, 88-106; G. Bosio, La dottrina spirituale di sant'Ignazio di Antiochia, in Sal 28 (1966), 519-560; L. Bouyer - L. Dattrino, La spiritualità dei Padri (II-V secolo). Martirio-verginità-gnosi cristiana, 3A, Bologna 1984, 43-54; L. Bouyer, Mysterion. Du mystere à la mystique, Paris 1986, 167-169; P.-T. Camelot, Hellenisme et Spiritualité patristique, in DSAM VII1, 145-164; Id., s.v., in DSAM VII2, 1255-1266; Id., Ignace d'Antioche. Polycarpe de Smyrne. Lettres, Paris 1958; H. Paulsen, Studien zur Theologie des Ignatius von Antiochien, Göttingen 1978; Th. Preiss, La mystique de l'initiation du Christ et de l'unité de Église chez Ignace d'Antiochia, in Revue d'histoire et de philosophie religieuse, 18 (1938), 197-241; M. Viller - K. Rahner, Ascetica e mistica nella patristica. Un compendio della spiritualità cristiana antica, Brescia 1991, 37-40.




Autore: O. Pasquato
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)