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Giovedi, 25 aprile 2024 - San Marco ( Letture di oggi)

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Premessa. Fra le più nobili attività dell'ingegno umano sono, a pieno diritto, annoverate le arti liberali, soprattutto l'arte religiosa e il suo vertice, l'arte sacra (cf SC). Una forma particolare di arte sacra è l'i. La tecnica e alcuni elementi estetici rivelano il carattere particolare di quest'arte. In effetti, essa è una pittura ad encausto o a tempera, su un pannello di legno, eseguita secondo una tradizione tramandata da secoli. Vi sono raffigurati il Cristo, la Madonna, i santi, scene dell'AT e del NT, nonché numerose feste del calendario liturgico.

I. Il termine. I. (dal greco eikon) significa immagine. Tuttavia l'i., per il suo carattere simbolico, aggiunge all'immagine un'altra dimensione, quella del trascendente: supera le forme del nostro mondo per rendere presente il mondo di Dio. Riflette, perciò, le realtà invisibili nella materia (Giovanni Damasceno). In effetti, l'i. rappresenta un personaggio (o un avvenimento): richiama colui che raffigura e diviene, pertanto, un legame tra colui che è rappresentato e lo spettatore attraverso un'analogia. Neanche la più elevata unione mistica può equivalere alla perfetta unione.

II. Nella vita cristiana. L'intero percorso mistico orienta a questa unione con Dio. Che l'anima cristiana abbia sete di qualche mezzo che la elevi e la unisca al divino, è innegabile. La preghiera e soprattutto la contemplazione sono mezzi efficaci e indispensabili. Infatti l'uomo, per instaurare un incontro con Dio, deve liberarsi da ogni legame con il mondo e il peccato, come pure da ogni influsso esteriore, immergersi nella notte mistica ed attendere l'illuminazione divina. L'i. opera questo incontro nella preghiera. Invitando l'orante a riconciliarsi con Dio, lo aiuta a ritrovarlo e, infine, a realizzare una visione spirituale, ma non meno reale di Dio.

Un incontro personale esige una presenza personale, perciò la presenza divina è necessaria nell'incontro dell'orante con Dio e l'i., per gli orientali, è come un sacramentale di tale presenza. Questo afferma il Concilio Costantinopolitano IV dell'869-870: " Ciò che il Vangelo ci dice con le parole, l'i. ce lo annuncia con i colori e lo rende presente ". E una presenza dinamica al punto da rendere misteriosamente presente Dio. Essa ricrea nel credente la coscienza di una presenza divina tangibile. Vale la pena sottolineare che è proprio la teologia della presenza, secondo la Chiesa ortodossa, che costituisce l'essenza dell'i.

Il Metodo della Riforma carmelitana di Touraine, dopo aver descritto in poche parole la vita mistica, conclude tutto il trattato sull'orazione con queste parole: " Ecco i confini di quella regione al cui possesso aspirano gli esercizi dell'orazione e della presenza di Dio ". Quella regione è il divino e il suo possesso va inteso come comunione interpersonale tra Dio e l'uomo. Da parte sua, l'i. permette questo possesso o comunione per il fatto che è un simbolo. Secondo la tradizione secolare della Chiesa d'Oriente e d'Occidente, l'esperienza spirituale che si avvale delle i. può trasformarsi in sorgente di santità e di mistica comunione con il Dio di Gesù Cristo.

Essa, infatti, si ritrova nell'esperienza dei mistici. Ai suoi vertici tale esperienza trascende verso l'indescrivibile e l'ineffabile, postula una radicale metamorfosi dell'essere umano, la sua deificazione. " Se l'arte non compie il miracolo di trasformare l'anima dello spettatore, non è che una passione passeggera... " (N. Gogol). Per questo motivo, non si può neppure pensare che la più alta forma dell'arte sacra, l'i., non trasformi l'anima dell'orante. In effetti, attraverso l'i. l'invisibile si lascia intravedere, contemplare, e tale contemplazione trasforma l'orante di luce in luce, di gloria in gloria: è la divinizzazione.

Di conseguenza, l'orante sente in se stesso di comprendere infinitamente chi è Dio e sperimenta in sé un'infinita gioia. Tuttavia, nessun mistico può narrare adeguatamente la sua esperienza, neppure gli stessi mistici possono comprendere ciò che sperimentano. Ciò nonostante, è facile dedurre dalle loro parole che le cose che vengono ad essi comunicate dalla divina generosità sono mirabili e soavissime e che nessuna delizia della terra può essere paragonata ad esse. E siccome nella contemplazione mistica tutto l'uomo, spirito e corpo spiritualizzato, partecipa all'esperienza delle cose divine, anche il corpo è, a volte, ripieno di grandi delizie. Si dice che A. Rublëv ( 1430) e un suo amico trascorressero i rari momenti di riposo davanti alle antiche icone, " ripieni di gioia divina ", come assorti in una incessante contemplazione.

Bibl. J. Castellano, s.v., in DES II, 1241-1251; M. Donadeo, Le icone, Brescia 1980; P. Evdokimov, Teologia della bellezza, Roma 19905; G.I. Gargano, Icona e Parola, in C. Valenziano (cura di) Spiritualità cristiana orientale, Milano 1986, 61-72; M.G. Muzj, Trasfigurazione. Introduzione alla contemplazione delle icone, Cinisello Balsamo (MI) 1987; H. Nouwen, Behold the Beauty of the Lord - Praying with Icons, Notre-Dame 1987; M. Quenot, L'icona, finestra sull'Assoluto, Roma 1991; E. Sendler, L'icona immagine dell'invisibile, Roma 19924; T. Spidlík - P. Miquel, s.v., in DSAM VII, 1224-1239; L. Uspenskij, La teologia dell'icona, Milano 1995.



Autore: V. Borg Gusman
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)