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Giovedi, 18 aprile 2024 - San Galdino ( Letture di oggi)

Esperienza mistica


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I. Cenni storici sul termine " mistica ".1 L'aggettivo mystikós proviene dal verbo muo, che vuol dire tacere, chiudere gli occhi; da qui deriva, in primo luogo, mysterion, mistero, nel senso ellenistico del termine, cioè il rito segreto d'iniziazione che mette in contatto l'uomo con la divinità. In secondo luogo, deriva mysteriasmós, che vuol dire iniziazione al mistero del mystés, dell'iniziato. Il termine mystikós, invece, è adoperato, in modo generale, relativamente ai misteri, cioè ai riti iniziatici delle religioni chiamate per questo " misteriche ". Stando, dunque, al significato comune del termine mysterion, il campo mistico implica sempre l'esistenza di una realtà segreta, nascosta alla conoscenza ordinaria e che, quindi, si rivela attraverso una iniziazione quasi sempre di tipo religioso. Nell'area greco-ellenistica, il termine mystikos era usato molto raramente e sottindendeva già un'idea di mistero, ma in un senso molto limitato e difficile da precisare.2

In seguito, lo stesso termine, ma in ambito cristiano, significò prima un'esegesi spirituale, quindi allegorica, dei testi scritturistici e liturgici, orientata su Cristo e sulla Chiesa. In seguito, venne a significare lo sforzo dell' anima che scopre la presenza di Cristo nella Bibbia e nella liturgia e, quasi nello stesso tempo, l'esperienza interiore del possesso di Dio. Molto presto, da un significato oggettivo ed esegetico del termine, si pervenne ad un significato soggettivo e sperimentale.

Difatti, mistico-mistero, cioè la realtà divina, sempre nascosta, passò a indicare l'oggetto della fede comune a tutti i cristiani. In Paolo, il Mistero della salvezza diventa oggetto di esperienza, in seguito alla visione del Cristo (cf Gal 1,15-16) sulla strada di Damasco. L'attenzione viene posta non sull'esperienza dell'uomo, bensì sulla rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Sicché, il termine " mistico ", nel senso originario, viene a significare la scoperta dell'amore di Dio.

Per i Padri greci, il Mistero o i misteri indicano in particolare i vari sacramenti: dietro i simboli sensibili è presente una realtà divina. Come nel battesimo opera la potenza invisibile del Cristo morto e risorto, così nell' Eucaristia i segni del pane e del vino nascondono la presenza del Cristo glorioso. Inoltre, erano intesi come " mistici " sia il senso nascosto dei sacramenti, cioè la presenza della potenza divina sotto forma visibile, sia l'esperienza di Dio nascosto, presente nell'opacità del vissuto.

Proseguendo in questa direzione, " mistico " viene a indicare, più esplicitamente e innanzitutto, lo stesso Gesù come manifestazione visibile e, allo stesso tempo, mistero dell'opera salvifica di Dio. Egli concentra in sé il senso di entrambi i Testamenti e continua ad operare attraverso i gesti salvifici e la Parola nella sua Chiesa. In questa, il mistero di Gesù, rivive nella Scrittura e nel sacramento: il battesimo è una " rinascita mistica " nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ma soprattutto l'Eucaristia è un " cibo mistico ", un " banchetto mistico ". Solo passando per questo significato originario, il termine " mistico " diventa attributo della contemplazione dei divini misteri; sicché contemplazione viene a significare " visione " dei misteri di Dio. Tale visione può includere tutto perché al suo centro sta la sacramentale " mistica " unione del creato con Dio nel Dio-Uomo Gesù Cristo: " E il Verbo si fece carne " (Gv 1,14), il divino si fece cosmico.

Quanto ai Padri latini, essi usano soprattutto il termine mysterion, tradotto spesso con " sacramentum ", nel senso paolino o in un senso più ampio, però sempre dipendente da quello paolino. In breve, nell'ambito cristiano, si parla di una realtà segreta e nascosta, cioè Dio stesso, che trascende ogni cosa; nascosti e segreti rimangono, altresì, i vari aspetti del Mistero salvifico, conosciuti per fede, ma solo in modo imperfetto.

Con Marcello d'Ancira ( 374 ca.) compare un'espressione che, raccolta da Dionigi Areopagita, conoscerà una grande fortuna: teologia mistica. Con questo termine, Marcello intendeva indicare una conoscenza di Dio " ineffabile e mistica ", distinta dalla conoscenza comune. Dionigi Areopagita nella sua Teologia mistica aggiunge una precisazione determinante, cioè che questa conoscenza misteriosa di Dio costituisce l'apice dell'esperienza religiosa.3

Anche se il primo uso del termine " mistica " applicato a un certo modo di conoscere Dio direttamente e in modo quasi sperimentale sembra trovarsi in Origene, è, dunque, soprattutto Dionigi Areopagita a parlare di mistica in senso di esperienza. Nel suo trattato sui Nomi divini, parlando di Ieroteo, suo presunto maestro, e dell'interpretazione delle Scritture, dichiara che " tutto rapito fuori di sé in Dio, egli partecipava dal di dentro e interamente dell'oggetto stesso che celebrava ". Poi passa a un altro soggetto richiamando un termine di cui ha appena finito di parlare, cioè l'esegesi di Ieroteo e la sua esperienza spirituale, tà exeì misticà. E su questo sfondo saturo di esperienza che va inquadrato il libretto intitolato Teologia mistica, con il quale l'Areopagita divenne il teologo normativo della mistica. L'accento decisivo che egli dà alla sua vasta opera è questo: l'essere di Dio rimane un mistero che non si può raggiungere né con il sapere né con l'esperienza; si può soltanto, come Mosè sul Monte Sinai, entrare nell'oscura nube del mistero. Il precedente, ricco mondo d'esperienza delle molteplici percezioni si apre verso Dio solo se il permanente mistero divino non viene dissolto (teologia negativa): Dionigi " canta " così, servendosi del simbolo di Mosè, l'ascesa dell'uomo verso la mistica unione con Dio.

Questa dottrina dell'esperienza di Dio nascosto nella tenebra attraverserà tutto il Medioevo. Nel Cinquecento e nel Seicento, epoca in cui prevale la considerazione psicologica, invece, l'attenzione si sposta sulle condizioni soggettive dell'esperienza e, in particolare, sulle modalità della contemplazione mistica e sui fenomeni parapsicologici che in essa si possono verificare.

L'uso del termine al sostantivo, cioè " mistico ", nel sec. XVII segna una distinzione tra il fatto di poter sperimentare il mistero e il mistero in sé. L'attenzione al soggetto, lo studio psicologico dell'esperienza (come fenomeno di coscienza), il confronto superficiale dei concetti cristiani occidentali con quelli dell'estremo Oriente, in seguito anche alcune esperienze " parossistiche " (peak-experience= esperienza culmine o limite) o alcuni stati inebrianti provocati dalla droga, riducono la mistica a una fusione con il divino, oppure a un sentimento sublime senza contenuto o senza oggetto. La mistica viene, così, intesa come un " concetto-limite ed essenziale " (J. Seyppel) che riassume quanto detto sopra.

Nella teologia posteriore al 1900 si è imposta in maniera forte la questione se la mistica costituisca un prolungamento o un'intensificazione dell'esperienza della fede (R. Garrigou-Lagrange) o un dono di Dio straordinario e qualitativamente nuovo (Foulain). Strettamente legata a tale questione se ne è posta un'altra altrettanto importante, cioè se ridurre l'essenza stessa della mistica alla mistica dei fenomeni straordinari. Tale questione si può ridurre al seguente interrogativo: la mistica dipende da un metodo o è un dono gratuito? Pare che la risposta più elevata sia questa: pur consapevole dell'utilità dei metodi, la mistica cristiana insiste, però, soprattutto sul carattere dei doni gratuiti dello Spirito (J. Maritain). L'esperienza mistica, intesa come pienezza di vita cristiana, si riferisce sempre alla gratuità di Dio, con il quale si entra in intima unione d'amore, sul piano esperienziale.

L'altro termine con cui si è designato la mistica nel corso della storia è misticismo, termine che in varie lingue europee assume un significato piuttosto negativo, di pseudo-mistica, mentre in inglese e in italiano ha generalmente un senso positivo ed è sinonimo di mistica. E anche vero, però, che con questo termine si indicano la tendenza, l'aspirazione, l'espressione di un bisogno, la ricerca, in breve, un certo dinamismo vitale.4 Alcune volte, gli autori cattolici lo contrappongono a mistica per indicare ogni deviazione che assuma le apparenze di mistica, come ad esempio la teosofia, lo spiritismo, il quietismo, ecc.

Comunque, è evidente che " mistica " sottintende sempre l'idea di un'esperienza interiore del divino.5

II. Esperienza religiosa ed esperienza cristiana. Occorre precisare il concetto di " esperienza ", concetto, in verità, ricco di significati diversi. Esso indica, in primo luogo, la concreta esperienza intesa come sperimentazione scientifica, la somma delle acquisizioni realizzate da un individuo o da un gruppo, oppure l'esperienza comune dei sensi, o infine, l'esperienza psicologica, che può essere filosofica, teoretica, estetica, sentimentale, religiosa. Dal verbo latino ex-perior, il termine assume il significato di attraversare, passare attraverso. E proprio attraverso questo passaggio si arriva a conoscere una situazione vitale, qualcosa fino allora sconosciuto e nascosto nelle sue molteplici possibilità.6 Secondo J.-P. Jossua, vi sono alcune caratteristiche che contrassegnano l'esperienza propriamente detta: la percezione della propria relazione con il mondo, con gli uomini, con se stessi e con Dio; la partecipazione in prima persona a tale evento; la presa di coscienza soggettiva, come distanza oggettiva che permette la comunione, quindi, la conversione, cioè il cambiamento di atteggiamento vitale nel soggetto che fa l'esperienza; tale presa di coscienza si accompagna sempre a una interpretazione, cioè a una decifrazione intelligente di quanto si è percepito e appreso riflessivamente; infine, tale esperienza include in un insieme la percezione cosciente e unificata dall'interpretazione di un determinato settore dell'esistenza (intellettuale, estetica, affettiva, ecc.) o della storia.7

L'esperienza religiosa, è, invece, " un'esperienza affettiva, che scaturisce da un desiderio "naturale" di Dio. E un miscuglio di religiosità, emozioni, sentimenti confusi ",8 attraverso cui Dio viene percepito come un bisogno.

Se, poi, la religione viene concepita in un senso lato, come legame con il sacro, allora l'esperienza religiosa è percezione dell'assoluto interpretato come sacro. Questa percezione è attuazione del senso religioso. L'assolutezza nell'esperienza religiosa si esprime come ineffabilità, illimitatezza, incondizionalità, come essere-uno, totalmente, con Dio nell'amore, nella pienezza del proprio essere creaturale.

L'esperienza cristiana, al contrario, è esperienza di conoscenza offerta dallo Spirito attraverso Cristo Gesù. Si tratta di conoscenza sperimentale delle realtà divine, che va al di là della conoscenza speculativa della verità divina.9 E esperienza dello Spirito, perciò esperienza di fede.10

Tutti i cristiani, indistintamente, sono chiamati a fare tale esperienza che tende alla pienezza della vita cristiana come anticipazione della vita futura. Per questo motivo, al termine " esperienza " spesso viene associato l'altro termine " pienezza ": la perfezione del cristiano consiste nell'esperienza di piena comunione con Dio. In tale pienezza di vita, l'uomo si realizza nella sua totalità, compiendo il progetto salvifico di Dio su di lui.

La prima Lettera di Giovanni offre un criterio essenziale per discernere una vera da una falsa esperienza cristiana: " Ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio " (4,2-3). Giovanni concorda con Paolo quando questi scrive ai Corinti: " Nessuno può dire: Gesù è Signore se non sotto l'azione dello Spirito Santo " (1 Cor 12,3), ragion per cui tale esperienza cristiana risulta essere, per sua natura, compimento, per la forza dello Spirito, del mistero del Cristo nel credente, al quale si richiede l'esercizio delle virtù teologali, all'interno della mediazione ecclesiale.

Più che parlare di " esperienza mistica ", allora, è meglio parlare di esperienza del Mistero cristiano,11 perché l'oggetto dell'esperienza cristiana, che si basa sulla fede, è Dio percepito non già come oggetto qualsiasi e neppure come un altro uomo.12

La rivelazione cristiana rimanda, dunque, a una conoscenza del Mistero fino a quel momento nascosto. Lo Spirito di Dio ha manifestato alla sua Chiesa ciò che prima era nascosto in Dio, cioè le sue recondite profondità (cf 1 Cor 2,10).

In questo Mistero, Paolo vede prima di tutto la manifestazione chiara della sapienza di Dio (cf 1 Cor 2,7; Rm 16,27; Col 2,3) e, in secondo luogo, il pleroma (= la pienezza) (cf Col 1,19 e 2,9). In Efesini 1,10-13; 3,19, 4,13 sia il Mistero che il pleroma si trovano associati al concetto di " ricapitolazione " di tutte le cose in Cristo e a quello della Chiesa, Corpo di cui Cristo è Capo e Sposo (cf Ef 5,32). Il piano salvifico di Dio, comunque lo si consideri, sia come sapienza sia come pleroma, conduce ad un'unica conclusione: il mistero del Padre si compie in Cristo per mezzo dello Spirito nella Chiesa.

Ma, tale Mistero è Cristo stesso. Egli, infatti, nella sua morte e nella sua risurrezione " è " la sapienza di Dio (cf 1 Cor 1,24). Nello stesso tempo, è lui stesso il pleroma, perché in lui " abita corporalmente tutta la pienezza della divinità " (Col 2,9) e perché in lui saranno ricapitolate tutte le cose (cf Ef 1,10). Di conseguenza, poiché il mistero di Dio è lo stesso Cristo Gesù, manifestazione e compimento della sua sapienza eterna, nonché pienezza della sua comunicazione agli uomini, l'unico modo per accedere al Padre è il Cristo, via, verità e vita (cf Gv 14,6).13

La via della conoscenza mistica che permette la realizzazione piena del progetto salvifico-comunionale di Dio è il Cristo della croce. Di qui nasce la dimensione, ineludibile, pasquale propria dell'esistenza cristiana. Si può, allora, addirittura affermare che la mistica cristiana è essenzialmente celebrazione e consumazione nell'intimo del credente del mistero di Cristo morto e risorto, quindi, partecipazione della pienezza della divinità, in Cristo, per mezzo dello Spirito. L'espressione paolina " in Cristo " riassume questo evento salvifico-comunionale nel suo duplice movimento: di Dio che si rivela all'uomo e dell'uomo che va incontro a Dio, attraverso la mediazione del Cristo. Nella sua complementarietà e diversificazione questo duplice movimento costituisce, relativamente alla vita cristiana, il centro propulsore dell'unico mistero che è il Cristo Gesù.14

III. BL'esperienza religioso-mistica, ovvero l'epifania di Dio nella Scrittura. L'esperienza religiosa, nella Bibbia, non è tanto un'esperienza del popolo su Dio ma soprattutto di Dio. Difatti, agli inizi, c'è un'esperienza creatrice di Dio che precede ogni ricerca ed esperienza dell'uomo. L'autorivelazione di Dio: " Io sono il Signore, tuo Dio " (Es 20,2) e l'altra espressione di Giovanni: " Prima che Abramo fosse, Io sono " (8,58) sono alla base dell'esperienza religiosa biblica. E Dio che, nella sua materna misericordia, si prende cura dell'uomo (cf Is 49,14-16). Prima ancora che l'uomo lo cerchi, Dio è già alla porta del suo cuore per potervi entrare: " Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me " (Ap 3,20). Anche l'esperienza di Paolo, " conquistato " (Fil 3,12) dal Cristo, quando era lontano da lui, conferma questa verità. L'intervento di Dio nella storia feriale dell'uomo, nasce, dunque, dalla libera epifania di Dio, o per meglio dire, dal suo amore di Padre che irrompe nella vita del credente.

L'esperienza religiosa, riportata dalla Bibbia, mette sempre in rilievo il predominio dell'autorivelazione di Dio sulla ricerca umana, della grazia sugli eventuali meriti umani, del regno, paragonato al seme, che muore e cresce nella terra, sia che il contadino dorma, sia che vegli (cf Mc 4,26-29). In breve, tale esperienza religiosa è l'annuncio del Dio di Gesù Cristo che salva prima ancora che l'uomo chieda di essere salvato, quindi che interviene nella storia degli uomini indipendentemente dalla loro ricerca.

La prima epifania di Dio, che si rivela unico protagonista dell'intera creazione, avviene come un'irruzione all'interno della storia, per segnarla con un suo gesto divino. Di qui, il primo credo d'Israele sarà la confessione dell'onnipotente JHWH, che ha liberato il suo popolo dalla schiavitù d'Egitto (cf Es 20,2). Così, la professione di fede da parte d'Israele si articolerà su tre atti salvifici di JHWH: la vocazione dei patriarchi, la liberazione esodica e il dono della terra promessa (cf Dt 26, 5-9; Gs 24,1-13).15 Tale credo, cantato nel grande Hallel (cf Sal 136), metterà in rilievo questa struttura fondamentale della religione biblica, che ruota e si organizza attorno a Dio artefice della storia umana.

Per questo motivo, il kerigma cristiano non farà che proclamare l'epifania di Dio nella storia attraverso il Cristo. Difatti, l'annuncio marciano si apre con un atto divino che " compie " il tempo portandolo a pienezza (cf Mc 1,15), mentre, secondo Luca (11,20), il regno di Dio è vicino, presente, già nel cuore dell'umanità. Anche il contenuto del " Credo antiocheno " (cf 1 Cor 15,3-5) mette insieme l'evento storico della morte del Cristo e quello escatologico della sua risurrezione. L'apostolo Pietro, a sua volta, nel kerigma rivolto ai pagani ribadisce la medesima struttura della fede cristiana: l'intervento del Cristo nella storia. Salvatore dell'umanità, ovunque passava faceva del bene e guariva da ogni sorta di male; messo in croce, dopo il terzo giorno fu da Dio risuscitato (cf At 10,38-41).

L'esperienza religioso-biblica ha, dunque, inizio con l'epifania di Dio nella storia umana, perché questa venga strappata alla pura temporalità e diventi storia di salvezza. Tale ingresso di Dio nella storia umana evidenzia, ancora una volta, l'azione salvifica della gloria di Dio prima ancora che l'uomo si disponga ad essere tempio del Dio vivente.

Ma il Dio della storia si rivela all'uomo nei fatti ordinari della sua vita quotidiana soprattutto nella Parola. Questa si manifesta, innanzitutto, come Parola cosmica che chiama all'essere le cose che non sono (cf Gn 1ss.; Sal 32,6-9). Si presenta, poi, come Parola profetica che si rivela nella storia indicando il progetto divino su di essa (cf Ger 20,7-9). Si propone, altresì, come Parola etica che induce l'uomo a vivere nella verità e nella giustizia (cf Es 20 e Mt 5-7). Si presenta, infine, come Parola che si rivolge, improvvisamente, all'uomo sconvolgendone l'esistenza (cf Gn 12,1; Am 7,15; At 9,3-4, ecc.). L'esperienza religiosa per la Bibbia si presenta, quindi, come esperienza di Dio che si mette per primo sulle strade dell'uomo, entrando nella sua esistenza storica. Si fa chiamare " Emmanuele ", cioè Dio-con-noi (cf Is 7,14; 8,10), per instaurare con ogni uomo un rapporto d' alleanza, da vivere nei solchi della storia quotidiana.

Proprio perché la rivelazione di Dio avviene nella puntualità storica dell'evento Cristo, la ricerca dell'uomo, che è fides quaerens Deum, si traduce in ricerca-incontro, cioè in conoscenza biblica del Dio di Gesù Cristo. In altri termini, Dio, rispondendo alla ricerca dell'uomo, si lascia incontrare nel Figlio fatto carne, ove risiede la pienezza del suo amore. Da questo momento in avanti, la ricerca dell'uomo non può essere che risposta d'amore a quest'amore che è " primo ".16 Nasce, così, quel rapporto di conoscenza di Dio, ove la fede e l'amore dell'uomo giocano un ruolo importante. La meta ultima di tale conoscenza è la comunione intradivina, mistica, orante ed esistenziale, ove va a concludersi la ricerca umana. Si tratta di un'intimità piena e personale per cui l'uomo prende coscienza di essere realmente figlio del grande amore del Padre (cf 1 Gv 3,1). Per questo motivo, osa chiamarlo, senza soggezione, " Abbà, Padre! " (Rm 8,15). L'esperienza religiosa nella Bibbia è, dunque, un itinerario verso il silenzio pieno solo di quella ineffabile comunione divina, in cui non si rivolge più a Dio, ma lo ama; non lo cerca più, ma lo contempla.

Di conseguenza, quando la Scrittura parla di esperienza religiosa indica una conoscenza vissuta, cioè una conoscenza concreta unita alla vita, una conoscenza d'amore che è il substrato della vita mistica.17 Questa, pur essendo innata nell'uomo, è una conoscenza naturale di Dio trascendente, che supera ogni ordine pensabile.18 E per questo motivo che Paolo parlerà di una conoscenza per amore, cioè di quell'" amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio " (Ef 3,19).19

L'esperienza religioso-cristiana si colloca, dunque, sin dall'origine, sul piano del conoscere per amore e, in quanto tale, è sperimentazione, pur tra il già e non ancora, del mistero di Dio rivelato in Gesù Cristo (cf Gv 1,18). Per questo motivo, non bisogna confondere l'esperienza religiosa, in senso ampio, con l'e. nel senso stretto e cristiano del termine. E importante distinguere bene questa da quella per non correre il rischio di cadere nell'intimismo o nell'affettività, rinunciando così al contenuto espresso dal termine " esperienza "; inoltre, è necessario evidenziare i tratti fondamentali che permettono di definire cristiana tale esperienza e di comprendere, altresì, come si collochi l'esperienza " mistica " in rapporto alla spiritualità.

IV. E. e spiritualità. Prima di descrivere la natura e i tratti fondamentali della mistica cristiana, è opportuno chiarire la distinzione tra spiritualità ed e. Lo studio della spiritualità, o per meglio dire, della teologia spirituale, considera l'evoluzione esistenziale della vita secondo lo Spirito, sperimentata dall'uomo in cammino verso la pienezza della comunione con Dio. Più precisamente, intende riflettere su tale cammino spirituale nel suo continuo divenire, secondo il particolare disegno di Dio, con il quale il cristiano è entrato in un rapporto personale d'amore. Il suo metodo, pertanto, non può prescindere dall'esperienza generale da cui si possono dedurre certe regole dell'azione divina nell'anima, né dall'esperienza di coloro che hanno già raggiunto la pienezza della vita in Dio, né tantomeno dalla storia concreta di coloro che tendono ad essa.20 Pur essendo quasi impossibile, o quanto meno difficile, cogliere il dinamismo di questa vita tutta interiore, la teologia spirituale tenta di fissare alcuni punti fermi: l'origine, la crescita, i mezzi di maturazione di tale vita, il suo fine ultimo, ricorrendo, in primo luogo, alla Scrittura, alla tradizione e all'esperienza, ratificata dal Magistero, di mistici accreditati.21 In questo compito di ricognizione della vita interiore, la teologia spirituale va al di là delle categorie umane (di tempo e di spazio, di prima e di poi, di maggiore o minore, ecc.) per porsi in una prospettiva metastorica, su quel piano di fede adottato da Dio che si è pur sempre rivelato nella carne, quindi nella storia, per farsi conoscere dagli uomini.

Tutti i cristiani, in virtù del battesimo, sono chiamati a vivere questa vita nello Spirito, secondo il proprio stato e la propria condizione di vita, imboccando la via da Dio stesso tracciata per arrivare allo stato di uomo perfetto (cf Ef 4,11-13), in un perenne divenire senza conseguire una perfezione definitiva fino a quando si è nella condizione umana. Criteri fondamentali per rilevare lo stato spirituale raggiunto dal cristiano sono la modalità sempre più pneumatizzata del proprio essere agito dallo Spirito, l' abbandono filiale a Dio Padre nello Spirito di Cristo, la vita di carità vissuta sul modello del Cristo. Certo, sono criteri sempre relativi che danno indicazioni poco verificabili, giacché si prende in considerazione la vita stessa di Dio partecipata nel Cristo dallo Spirito.

Dall'altra parte, la mistica è sostanzialmente la presa di coscienza22 di tale esperienza dello Spirito vissuta nell'intimo del credente. Si tratta, più propriamente di un processo d'interiorizzazione del Mistero cristiano, cioè della rivelazione del Figlio di Dio incarnato nell'ambito della Chiesa, le cui condizioni normali di crescita sono la vita di fede e quella sacramentale. Ragion per cui, l'e. è frutto della fede.23 Si può parlare allora di una mistica sperimentale.24 Il padre V. Bainvel nell'introduzione alla riedizione del libro del Poulain riproponeva la sua concezione di vita mistica, definendola: " Vita di grazia fatta cosciente, conosciuta sperimentalmente ". E, spiegando il suo pensiero, continuava: " Con questo intendo che Dio concede all'anima mistica qualcosa come un senso nuovo, la coscienza della sua vita in Dio e della vita di Dio in essa. Tale coscienza si va sviluppando poco a poco, seguendo l'evoluzione della vita mistica, dal sentimento della presenza o di un tocco amoroso di Dio nell'anima sino al concorso divino a tutti i nostri atti soprannaturali e all'unione (accidentale, ma immediata) tra Dio e noi, tra la sua sostanza e la nostra, inglobando la vita di Dio e le sue operazioni in noi, la nostra vita e le nostre operazioni in lui. Ciò costituisce, allo stesso tempo, conoscenza e amore, predominando a volte la conoscenza, altre volte l'amore ".25

Vi sono due modi per tendere a tale esperienza: uno mediato e l'altro immediato, pur essendo tutti e due dono gratuito di Dio. Il primo è il cammino di perfezione, percorso a tappe o per gradi dai cristiani, divisi, secondo una tradizionale classificazione, in incipienti, proficienti e perfetti, attraverso tre stadi fondamentali: purificativo, illuminativo e unitivo. Il secondo modo, immediato, è accordato direttamente da Dio a chi vuole e quando vuole, al di là di ogni schema logico e cronologico. Nell'una e nell'altra modalità di e. è sempre necessaria la collaborazione dell'uomo, che a questo punto della sua vita spirituale si fa strumento nelle mani di Dio. Si tratta, in termini concreti, di un lavoro di scavo che l'uomo deve operare tra le stratificazioni del suo essere fino ad arrivare alla sostanza dell'essere stesso, cioè alla forma informante ogni cosa: Dio Trinità d'amore, sorgività prima, da cui procedono uomini e cose. E importante, soprattutto in questo caso, notare come alla somma attività o collaborazione dell'uomo all'azione di Dio, debba corrispondere una somma passività, che consiste nel lasciarsi fare da Dio.26

In breve, si può, dunque, affermare che la spiritualità si pone sul piano del vivere secondo lo Spirito, mentre la mistica su quella dell'essere, o per dirla in termini più appropriati, del " lasciarsi fare " da Dio. Entrambe sono la strada che ogni battezzato deve percorrere nel tendere alla perfezione, per conseguire la mistica comunione con Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo, già possibile in questa vita, ma pienamente godibile nell'aldilà. La costante azione dello Spirito santificatore, conduce, dunque, all' inabitazione delle tre divine Persone nell'intimo del cristiano, essendo ormai la promessa divenuta realtà: " Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui " (Gv 14,23). Questa divina presenza non è semplicemente un dato oggettivo, ma personale esperienza dell'inabitazione trinitaria.27

Con questo non si nega che lo Spirito, anche se sovranamente libero, armonizzi il suo dono carismatico mistico sul carattere e sulla mentalità del soggetto in questione. Proprio perché questa inabitazione divina è, nel mistico, dono e non già ricompensa, essa lo fa pienamente uomo, provocando nel sì della sua nuova personalità di uomo nuovo la risposta alla sua vocazione ontica all'unione con Dio. Questa pura e nuda struttura della risposta umana è il frutto di una profonda fede, di una speranza che è tensione verso la piena maturità e di una carità che radica sempre più in Dio, come nella sua vera origine. Tanto è vero che, per mezzo dello Spirito, nell'e. si verifica un volere umano talmente immedesimato a quello divino da dare origine per questo ad una vita nuova, cioè ad una vita di carità. Ciò vuol dire che lo Spirito rispetta nella sua azione trasformante e divinizzante l'uomo. Anzi di più. La divinizzazione dell'uomo comporta la sua piena umanizzazione, in un'armonica unificazione di tutto il suo essere; in altri termini, partecipando alla comunione di vita delle Persone divine, egli diviene pienamente uomo e Dio, per partecipazione, nel senso che raggiunge una perfetta maturità umana e spirituale. Superando i propri limiti umani per prestare un'attenzione d'amore solo al Dio di Gesù Cristo, viene introdotto nelle tenebre luminose del mistero intratrinitario, ove non distingue più tra il conoscere per fede e l'amare per carità.

E ormai giunto alla conoscenza per amore di cui parla Bonaventura, quando definisce la mistica cognitio Dei sperimentalis, cioè una conoscenza di Dio fondata sull'esperienza.28 Nell'acme di tale esperienza, il mistico viene unito alle divine Persone in un profondo scambio divino di conoscenza e d'amore. In questo modo egli pregusta, già qui ed ora, la vita eterna, la gloria dei beati in cielo.29

Tale conoscenza nell'amore è contemplazione mistica, che Tommaso d'Aquino definisce " uno sguardo semplice sulla verità... che termina nell'amore ".30 Giovanni della Croce, invece, la definisce in questo modo: " La contemplazione è scienza d'amore, la quale è conoscenza pregna d'amore, da Dio infusa, che simultaneamente illumina e innamora l'anima fino a farla salire di grado in grado a Dio suo Creatore, perché solo l'amore è quello che unisce e congiunge l'anima a Dio ".31 Entrambi i dottori parlano di conoscenza e di amore uniti in un atto semplice. Giovanni della Croce aggiunge che la contemplazione mistica è infusa direttamente da Dio, quindi non è un'attività dell'uomo.

Ciò porta a considerare alcune caratteristiche dell'esperienza mistico-contemplativa. E vero che la vita spirituale richiede uno sforzo ascetico volontario, ma è altrettanto vero che, dall'altra parte, essa assume, in certi casi, un carattere passivo 32 in quanto la conoscenza mistica è sempre un'iniziativa di Dio che rivela il proprio mistero d'amore, pur nell'oscurità di una conoscenza inadeguata al suo essere trascendente, nella ricezione passiva del credente.33

Ma, passività nell'e. autentica non significa affatto inattività; al contrario, proprio perché la persona si sente agita dallo Spirito, è più che mai impegnata nell'azione; o, se si tratta di contemplazione, che è conoscenza intima del mistero divino, tale passività si trasforma in azione redentrice.34

Da quanto detto, si può desumere il carattere di gratuità dell'e., nel senso che si è perfettamente coscienti dell'incapacità di procurarsela con le sole forze umane. Dio rimane sovranamente libero nel dono di sé: egli si manifesta a chi vuole, quando e come vuole. Non rimane allora, all'uomo disposto all'azione dello Spirito, che affidarsi completamente alla sua libera iniziativa: per mezzo di luci e mozioni interiori, egli permetterà di penetrare nell'amore di Dio e del suo mistero salvifico-comunionale.

Altra caratteristica dell'e. autentica è che essa si svolge sempre nell'ortodossia: poiché è frutto della grazia santificante, delle grazie abituali e delle virtù infuse, non può verificarsi in un peccatore. Inoltre, poiché tali grazie avvengono sempre nell'ambito ecclesiale, esse fanno esplicito riferimento alla Chiesa, quindi non possono condurre ad azioni ad essa contrarie. Così pure, chi fa e. non trattiene per sé questo dono d'amore, ma lo partecipa agli altri per fare chiesa con loro.

Lo sviluppo individuale dell'e. è, altresì, legato alle peculiarità del soggetto e dell'epoca in cui è vissuta. Di qui la stretta interdipendenza tra l'e., oggettiva in sé, e i condizionamenti personali, sociali e culturali. Tale interdipendenza obbedisce al principio normante dell' Incarnazione di Dio che si è fatto uomo in un preciso contesto storico e culturale. Per questo motivo, occorre, prendere in considerazione anche la dimensione psicologica dell'e.,35 empiricamente controllabile, come fa la ricerca storica che prende in esame realtà tipiche della mistica come le stimmate, le guarigioni, le estasi, le visioni; oppure l'analisi clinica delle dipendenze ed influenze in un soggetto " mistico "; la critica delle fonti e il problema del linguaggio in una testimonianza di un mistico o della stessa e.36

V. L'e. come sapienza divina. Stando ai mistici cristiani e alle tradizionali riletture in chiave più o meno dionisiana che dell'e. è andata proponendo una lunga serie di interpreti, la teologia della mistica ha ristretto il proprio campo d'indagine attorno a due nuclei principali: l'e. cristiana è un " sapere ", anche se " non-sapendo "; l'e. cristiana è un " sapere " " subendo " l'iniziativa o la divina presenza operante nella passività mistica dell'anima.37

La teologia odierna tende a identificare questo " sapere-non-sapendo " con il " sapere " proprio della vita spirituale, in quanto vita di fede operante nella carità. In altri termini, la fede è il " sapere " tipico del cristiano, cioè una conoscenza relativa rispetto alle verità rivelate, che egli crede ciecamente e liberamente, perché le riconosce come manifestazioni dell'unica Verità rivelatrice. Per questo motivo, anche nell'e. si riesce a cogliere solo qualche particella della Verità assoluta, che come un prisma presenta innumerevoli sfaccettature che solo Dio ha presente in sé, nell'immediatezza, nella profondità e nella totalità. Appena si varca la soglia della conoscenza umana e teologica, si scorgono come in lontananza orizzonti sconfinati, ove regna la tenebra più assoluta. A questo punto ci si convince che " Dio è più grande del nostro cuore " (1 Gv 3,20), ossia che la Verità è talmente immensa da richiedere una ricerca che mai si esaurirà. A questo proposito il Qoelet afferma: " Molta sapienza molto affanno, chi accresce il sapere, aumenta il dolore " (1,18). Scrutare le profondità di Dio (cf 1 Cor 2,10), dunque, vuol dire, per chi fa l'e., scoprire il proprio limite creaturale, passare attraverso il deserto, il silenzio, le tenebre, ove Dio si " mostra " come il Deus absconditus deutero-isaiano (cf Is 15,45).

In breve, l'e., che è conoscenza al di qua della visione beatifica, quindi della situazione escatologica definitiva dell'uomo, si deve muovere non sul piano dell'intelligenza, ma su quello dell'amore. Del resto, il Dio rivelato in Gesù Cristo può essere conosciuto, nel senso biblico del termine, solo mediante l'esercizio della carità. In questa ricerca-incontro, si è favoriti dal fatto che lo spirito umano è strutturalmente aperto a Dio 38 fino a " conoscerlo " misticamente. L'esperienza mistico-conoscitiva si pone, dunque, sul piano della " sapienza del Mistero " (1 Cor 2,7), essendo oggetto di tale conoscenza " le cose di lassù ", ossia quelle pasquali e trascendenti (cf Col 3,1). Di qui l'invocazione di Paolo, a nome di tutti coloro che sono alla ricerca della Sapienza eterna: " Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui " (Ef 1,17).

La perfetta conoscenza mistica, vero e proprio pellegrinare in avanti oltre le frontiere dei limiti umani verso l'infinito di Dio, sbocca sull'eterno, ove si verifica una penetrazione vitale nel mistero salvifico in tutta la sua estensione. Non si tratta qui di una conoscenza mediata, fondata sulle proposizioni della fede, ma di una intuitiva percezione 39 del mistero del Dio vivente, che si manifesta tra ombre e luci. La struttura cognitivo-religiosa si rivela, pertanto, completamente inadeguata, perché l'e. si pone tra l'umano e il divino, l'esistenziale e il metastorico, cioè in quella intersezione con il limite creaturale, al di là del quale regna il mistero divino. E la terra del silenzio di Dio, che sconvolge più dell'abbandono o dell'assenza. Questo divino silenzio è la Parola più loquace che Dio possa pronunciare, perché è un evento salvifico-comunionale, attraverso il quale la Trinità partecipa all'uomo il suo progetto d'amore, di fronte al quale il mistico riconosce il proprio destino creaturale, aperto a cogliere, seppure in parte, il volto di Dio trascendente e immanente al tempo stesso.

L'esperienza del divino è, dunque, protesa a questa conoscenza sapienziale del Padre, sorgività d'amore, del Figlio soggetto dell'amore del Padre e dello Spirito vincolo d'amore tra il Padre e il Figlio. Tutto ciò conferma, una volta di più, che la comunione mistica con le divine Persone è essenzialmente trinitaria. Riprendendo il pensiero paolino del cristiano tempio dello Spirito (cf 1 Cor 3,16) e quello giovanneo sulla dimora del Padre e del Figlio presso il credente (cf Gv 14,23), la tradizione cristiana ha sottolineato questa misteriosa presenza di Dio nell'uomo, e ha ribadito il valore della conseguente divinizzazione, che è il nucleo centrale dell'e.

Dio dalla sua diafana trascendenza si comunica e rivela nello spazio immanente dell'uomo. Nasce così una unità con Dio che tiene insieme la più abissale differenza, mai ignorata, da Dio e la più profonda comunione con lui; l'immediatezza della presenza di Dio diventa, così, inabitazione del suo mistero d'amore, realtà tanto più profonda quanto più l'unione con lui diventa reale. Nella comunione offerta dallo Spirito divino, il mistero irraggiungibile di Dio viene sperimentato come fedeltà e prossimità. In tale vicinanza-comunione con Dio, il mistico raggiunge, nella fede, quella sapienza che alimenta la carità e la gioia di stare in Dio, coltivando al tempo stesso la speranza di vederlo faccia a faccia, in un'estasi d'amore senza fine.

VI. L'e. come vita teologale. L'esistenza cristiana del mistico è aperta all'accoglienza del Dio di Gesù Cristo per la forza dello Spirito: nella sua storia feriale, egli viene a narrare la trama della sua alleanza con le divine Persone, cioè la sua comunione di vita con la Trinità beata, come vita teologale.

Il Dio trinitario, comunicando la sua divinità ed unità al mistico, gli imprime anche qualcosa del movimento eterno della sua vita, restaurando nel suo intimo l'immagine e somiglianza delle origini (cf Gn 1,26). In breve, il mistico riflette nella sostanza del suo essere il Dio uno e trino, in quanto riflette l'unità comunionale ed essenziale del dinamismo della vita intradivina. Tutto ciò costituisce le " vestigia " della Trinità, che la riflessione postpasquale ha saputo scoprire nello spirito di ogni uomo. Tale riflessione non ha inteso con questo spiegare il mistero trinitario, ma ha voluto piuttosto cercare di comprendere l'uomo partendo dalla rivelazione trinitaria, per meglio inquadrarlo nel mistero di cui ogni creatura umana è immagine.40

La vita nuova ricevuta nel battesimo e dinamicamente ora comunicata al mistico mediante l'identificazione al Cristo pasquale, nella grazia dello Spirito Santo è, dunque, vita che riflette l'unità trinitaria nell'incorporazione al Corpo ecclesiale di Cristo (cf Ef 4,4ss.) e nell'anticipazione della visione futura e definitiva del volto di Dio. L'esistenza del mistico viene, così, sempre più radicata nella vita intradivina e si esplica in un dinamismo, quotidianamente vissuto come vita teologale.41 Il mistico, insomma, vive nella Trinità e in rapporto alla storia feriale come uomo di fede, di speranza e di carità.42

Proprio perché, mediante il battesimo, il mistico è entrato a far parte della famiglia di Dio Padre, come figlio adottivo e immagine restaurata di lui (cf Col 3,10; Rm 8,29; ecc.), egli riflette in sé la sorgività dell'amore eterno, cioè l'essere amore amante proprio del Padre. Tale riflesso in lui e nella sua esistenza storica è la carità: 43 dono che rapporta il mistico all'origine e al principio di ogni cosa e di ogni amore. Esercitando la carità, il mistico può amare con la sorgività, la gratuità, la creatività, la forza stessa di Dio, appunto perché gli vengono comunicate dall'eterno Padre.

Incorporato con il battesimo al Verbo incarnato, nella sua esistenza pasquale, il mistico riflette in sé, altresì, la ricettività dell'amore, propria del Figlio, cioè l'essere amore amato. Tale riflesso che è fede, si esprime nell'e. come accoglienza del dono di Dio, come obbedienza nell'amore e, infine, come ascolto fedele della Parola. Nella e per la fede, il mistico partecipa, in un certo senso, al movimento eterno dell'amore, per mezzo del quale il Figlio accetta senza misura l'amore del Padre. Per questo motivo, nell'e. il cristiano si lascia amare, incondizionatamente, come il Figlio, da Dio Padre, nel senso che si lascia gestire dallo Spirito, senza chiedere garanzie o fare calcoli umani; accoglie la volontà salvifica del Padre, si fida ciecamente di essa, e ad essa obbedisce senza riserve.

Infine, riempito dal dono dello Spirito Santo, il mistico riflette nella propria vita teologale quel vincolo di unità e quell'apertura nella libertà dell'amore, propri dello Spirito Santo. Questo riflesso nell'esistenza pasquale del mistico costituisce la speranza. Questa virtù nella sua tensione teleologica unisce la presente realtà del mistico alla pienezza di Dio, aprendogli continuamente il cuore alla sua imprevibile volontà. Lungi dal risolversi, quindi, in passiva attesa, la speranza teologale è anticipo della beatitudine eterna promessa. La speranza, insomma, dona audacia all'amore e pazienza all'obbedienza della fede (cf Rm 5,1-5), per camminare senza stancarsi, come su ali d'aquila (cf Is 40,31), verso la comunione trinitaria.

La carità, la fede e la speranza, imprimono, dunque, un carattere tutto particolare all'esistenza redenta del mistico, intesa come esistenza trinitaria. Queste tre virtù non sussistono perciò separatamente, ma si rapportano mutuamente, in un dinamismo vitale, che riflette il dinamismo intradivino proprio della vita della Trinità. Lo spazio di quest'accoglienza sempre più profonda della Trinità nell'esperienza vitale del mistico alimenta un rapporto vitale, filiale, che comunemente viene definito preghiera.44

VII. Tipologie dell'e. cristiana. Nel vissuto cristiano sono state individuate varie forme di esperienze mistiche. E pressocché impossibile classificarle tutte in una mappa completa ed esaustiva, perché lo Spirito di Dio si comunica all'anima in modi singolari, diversi, e quasi sempre nascosti. Non ci è permesso conoscere le forme più elevate di e., perché troppo ineffabili per poter esser comprese dall'intelligenza umana.45 Ciò nonostante si possono individuare alcune tipologie registrate nella storia della mistica riproposte qui in maniera sintetica.

Innanzitutto, la mistica dell'essenza e la mistica sponsale. La prima è rappresentata dai mistici renano-fiamminghi nei secc. XIII-XIV, che si esprimeranno secondo il modello di " mistica dell'essenza " (Wesenmystik) distinto dal modello " sponsale " (Brautmystik).

In questa l'unione con Dio avviene secondo l'analogia del fidanzamento prima e del matrimonio poi, secondo il modello proposto dal Cantico dei Cantici, quindi muove da un retroterra più tipicamente biblico. E il retroterra dell'alleanza e della simbologia nuziale che la esprime. La comunione dell'uomo con Dio è vista come la comunione dell'anima (sposa) con lo Sposo (Dio). Il simbolo nuziale, insomma, esprime l'esperienza dell'essere-unito a Dio, cioè della comunione della sposa-creatura nella trasformazione dello Sposo-Creatore.

Nella mistica dell'essenza, invece, l'unione con Dio viene concepita come esperienza dell'unità dell'essere creato nell'Essere increato, di cui il primo è certamente partecipazione, sul modello del mistero di Dio, che è mistero di unità nella Trinità. La partecipazione-unità ontologica con il Divino essenziale avviene nel punto radicale dello spirito umano (fondo, scintilla, apice, centro, sostanza dell'anima). Tale esperienza mistica consiste, da parte dell'uomo, nel ritrovarsi o stabilirsi in permanenza in codesto " luogo ", dove ritrova il fondo della sua umana esistenza e quello di Dio, nel loro reciproco fluire e rifluire.

La mistica dell'assenza: è l'esperienza dell'assenza di Dio, dell' aridità, del deserto o molto più semplicemente della purificazione o notte dei sensi e dello spirito. Per Giovanni della Croce, è la fase di passaggio per arrivare alla comunione-trasformazione in Dio, non ancora definitiva.

La mistica della luce consiste nella illuminazione dell'oscurità della non-conoscenza attraverso la luce divina che si mostra e lascia sperimentare a squarci di luce. Nella Scrittura, soprattutto nell'AT, Dio viene rappresentato come luce e le sue epifanie avvengono sotto forma di illuminazioni, visioni, folgorazioni. Ma è soprattutto nella Chiesa ortodossa che si insiste sulla mistica della luce, attraverso cui è possibile ricevere la visione della Luce increata (per es. nell'esicasmo), fine ultimo della vita spirituale.

La mistica contemplativa, infine, è un vissuto spirituale che si propone al termine dell'esperienza spirituale di preghiera. Difatti, la preghiera inizia in un modo discorsivo e, nella fase contemplativa, si riduce ad un atto semplice, a conclusione di quel processo di pneumatizzazione da parte dello Spirito. In questo modo, il mistico, che è in tutto " rinnovato e mosso da Dio " 46 e in lui solo totalmente raccolto, è come travolto ed assorbito entro il vortice della vita trinitaria.

VIII. Pellegrino dell'Assoluto sulle strade del mondo. L'e., fin qui descritta, non è una realtà avulsa dalla storia, ma si pone attraverso il soggetto mistico nel cuore stesso della storia come testimonianza concreta del Dio di Gesù Cristo. Il mistico, pertanto, non è uno spirito sazio di sé, chiuso in se stesso per fuggire dal consesso umano e rimanere in una sterile solitudine. Al contrario, egli è aperto agli altri nella comunicazione dell'amore; anzi, egli vive per le strade in solidarietà con gli altri uomini: condivide le loro aspirazioni, le loro gioie, le loro pene per edificare con loro la città celeste e narrare, qui ed ora, le meraviglie che Dio va compiendo in lui (cf 1 Gv 1,1-3) e nella storia degli uomini. Sulle strade del mondo, il mistico, come il Risorto a Emmaus, si fa compagno di viaggio degli uomini per fare della sua vita mistica un umile servizio di corredenzione e di mediazione tra il Salvatore e l'umanità.

Il mistico, proprio perché non è uno spirito disincarnato è, dunque, tutto impegnato nella collaborazione e nel completamento dell'opera creatrice dei primi giorni e nel rendere nuove tutte le cose, secondo l'azione salvifica del Cristo (cf Ef 1,10; Rm 8,22). La sua e. è, in conclusione, un frammento dell'eternità di Dio nella storia vissuta di ogni uomo, per cantare con la sua vita la Canzone " Tu " del rabbino hassidico di Berditschev nel '700 mitteleuropeo: " Dovunque io vada, Tu, dovunque io sosti Tu. Solo Tu, ancora Tu, sempre Tu. Cielo Tu, Tu terra, Tu. Dovunque mi giro, dovunque guardo, Tu, Tu, Tu! ".47

Note: 1 Cf L. Bouyer, " Mystique ". Essai sur l'histoire d'un mot, in VSpS 3 (1943), 3-23; 2 Cf a tale riguardo U. Rahner, Mysterion. Il mistero cristiano e i misteri pagani, Brescia 1952; 3 Cf Dionigi Areopagita, in Id., Teologia mistica, Tutte le opere, Milano 1981, 406-407; 4 Cf R. Moretti, Mistica e misticismo, oggi, in Aa.Vv., Mistica e misticismo oggi, Roma 1979, 28-41; 5 All'inizio della sua opera intitolata Teologia della mistica, tradotta in italiano con il titolo La scala del paradiso. Teologia della mistica, Brescia 1979, A. Stolz, ad esempio, fa notare come tutti, attualmente, siano concordi nel riconoscere che questo termine sottende un'esperienza del divino. Vedasi a tale proposito B. Calati, Teologia della mistica, in Id., Sapienza monastica, Roma 1994, 141-172; cf anche A. Bertuletti, Il concetto di " esperienza " nel dibattito fondamentale della teologia contemporanea, in Teologia, 5 (1980), 283-341; G. Moioli, Dimensione esperienziale della spiritualità, in Aa.Vv., Spiritualità: fisionomia e compiti, Roma 1981, 45-62; 6 Cf L. Duch, La experiencia religiosa en el contexto de la cultura contemporánea, Barcelona 1979, 39; vedasi soprattutto A. Godin, Psicologia delle esperienze religiose. Il desiderio e la realtà, Brescia 1983; 7 Expérience chrétienne et communication de la foi, in Con 9 (1973), 74-75; 8 J.-R. Armogathe, Esperienza dello spirito e tradizione cristiana, in Com 30 (1977), 18; 9 Così scrive s. Bonaventura a tale riguardo: " La conoscenza sperimentale della dolcezza divina aumenta la conoscenza speculativa della verità divina, perché Dio rivela i suoi segreti ai suoi amici e ai suoi intimi ", (in IV Sent., I.III, dist. 34, a. 2, q. 2, 2m); 10 " E opportuno insistere sul fatto che l'esperienza dello Spirito non è un'esperienza della grazia, cioè di ordine mistico: ciò riporterebbe a concepire l'esperienza cristiana come un'esperienza mistica a un livello inferiore. E la tentazione quietista (o pietista) di non ammettere l'esperienza che come sola teologia - quindi di riservare ad alcuni l'esperienza cristiana... L'uomo religioso fa un'esperienza attiva, ma il teologo che si umilia, gusta anche l'esperienza della conoscenza ", J.-R. Armogathe, Esperienza..., a.c., 22-23; 11 Cf a questo proposito H. de Lubac, Mistica e mistero cristiano, Milano 1979, soprattutto a p. 7 ove il noto teologo afferma: " Se bisogna intendere per "mistica" una certa perfezione raggiunta nella vita spirituale, una certa unione effettiva alla Divinità, allora, per un cristiano, non può trattarsi d'altro che dell'unione col Dio Tri-personale della rivelazione cristiana, unione realizzata in Gesù Cristo e per mezzo della sua grazia; dono "infuso" di contemplazione "passiva" "; 12 " Dio non è un ente tra gli altri, come quelli che s'incontrano nel mondo e sono esperibili con i sensi umani e con i criteri spirituali con una esperienza [Esperimentare significa letteralmente: "accertare viaggiando, recandosi sul posto". E "viaggiare" stesso deriva dalla stessa radice "per" (immergersi in qualcosa, penetrare qualche cosa, viaggiare attraverso), come il latino per = attraverso, ex-per-ientia = esperienza guadagnata facendo tentativi; in greco: peira = esperienza, peiro = penetrare, periao = tentare, provare, conoscere] che si arricchisce nel corso di una vita. Perciò, c'è da attendersi a priori che non si può sperimentare Dio come un oggetto mondano, neppure come un altro uomo. Dio è essenzialmente il nostro principio dal quale proveniamo non con una crescita naturale, come un ramo germoglia dal tronco, ma in sovrana libertà che ci apre la strada alla nostra indipendenza e libertà creaturale. Naturalmente non per abbandonarci in un'isola deserta, ma perché in libera ricerca ci apriamo al nostro principio "se mai arriviamo a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi" (At 17,27). Questo "sperimentare" si verifica quando vediamo Dio e l'uomo solamente in questo confronto di Creatore e creatura, paragonabile al procedere a tentoni di un cieco che al di là dello spazio colmo di oggetti finiti tasta nell'infinito per vedere se la sua mano spirituale si imbatta in qualche cosa ", (H. U. von Balthasar, Nuovi punti fermi, Milano 1980, 20); 13 Cf B. Jiménez Duque, Cristo y la mística cristiana, in Teologia espiritual, 19 (1975), 155-185; 14 Cf J. Mouroux, L'expérience chrétienne, Paris 1952, soprattutto il cap. VIII; 15 Cf L. Borriello, Indicazioni per una lettura spirituale del Deuteronomio, in Asprenas, 32 (1984), 479-495; 16 " Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi... egli ci ha amati per primo ", 1 Gv 4,10.19; 17 Cf D. De Pablo, Amor y conoscimiento en la vida mistica, Madrid 1979; 18 Cf G. Colombo, Conoscenza di Dio e antropologia, Milano 1988; 19 Questo " principio è stato ripreso molte volte nelle varie formulazioni dagli autori spirituali dell'Oriente ed è divenuto uno dei cardini del monachesimo. Citerò un testo recente che è assai suggestivo. L'autore è un teologo russo, B. Vyseslavcev: E profetica per ogni intellettualismo recente, quest'espressione di Leonardo da Vinci: Un grande amore è figlio di una grande conoscenza. Noi cristiani d'Oriente possiamo dire il contrario. Una grande conoscenza è figlia di un grande amore. Il principio, come notiamo, si dichiara universalmente valido per tutti i cristiani. Eppure vi è chiaramente sottolineato l'elemento mistico. La conoscenza di Dio è al di là delle nozioni intellettuali. Suppone l'esperienza vitale con Dio nella carità " (T. Spidlík, La mistica, in Aa.Vv., Mistica e scienze umane, Napoli 1983, 21); 20 Cf Ch.-A. Bernard, Teologia spirituale, Cinisello Balsamo (MI) 19893, soprattutto il cap. III; 21 Cf a tale riguardo L. Bouyer, Mysterion. Dal mistero alla mistica, Città del Vaticano 1998; 22 " Nella riflessione teologica la mistica si presenta come il farsi cosciente da parte dell'esperienza della grazia increata, in quanto rivelazione e autocomunicazione del Dio trinitario ", H. Fischer, Mistica, in K. Rahner (cura di), Sacramentum mundi, V, Brescia 1976, 409; 23 Cf H. de Lubac, Mistica..., o.c., 19ss.; 24 Così afferma Fr. Claudio de J. Crucificado, in un articolo denso e interessante, ove tenta una definizione della mistica: Hacia una definición clara y precisa de la teología de la mística, in Revista española de teología, 1 (1940), 573-601; 25 Des grâces d'oraison, Paris 1922, Introduzione, III, 12; 26 A conferma di tale atteggiamento è opportuno riportare le parole di Gesù a Pietro: " Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi " (Gv 21,18); 27 Cf A. Hamman, La Trinità nella liturgia e nella vita cristiana, in Mysterium salutis, a cura di J. Feiner e M. Löhrer, III, Brescia 1969, 180-184; 28 III Sent. d. 35, q. 2, corp. Si pensi anche a un'altra definizione, offerta da Tommaso d'Aquino, quando, rispondendo alla seguente questione: " Duplex est cognitio divinae bonitatis vel voluntatis, una quidem speculativa... ", afferma: " ... alia autem est cognitio divinae bonitatis seu voluntatis affectiva seu experimentalis, dum quis experitur in seipso gustum divinae dulcedinis et complacentiam divinae voluntatis " (STh, II-II, q. 97, a. 2 ad 2; un'altra definizione di mistica viene proposta da J. Maritain in Vita di preghiera, liturgia e contemplazione (Roma 1979, 60-77). Secondo tale autore, la vita mistica è caratterizzata dall'influsso abituale dei doni dello Spirito Santo. Si può, dunque, affermare che la vita mistica si svolge sotto l'influsso particolare e abituale dello Spirito Santo. Ora, quando questo influsso si manifesta soprattutto nel predominio della conoscenza e durante l'orazione, si avrà uno stato di contemplazione mistica; quando, invece, tale influsso sarà più forte nelle attività del cristiano posto di fronte alle difficoltà della vita, si avrà un'orazione, più semplice e penetrante, o per dirla con il Maritain, di una contemplazione impropriamente detta o mascherata (Ibid., 66-67) che permea la stessa attività dell'orante; 29 Direbbe l'apostolo Giovanni: " Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato Gesù Cristo " (17,3); 30 STh, II-II, q. 180, 3, 1m e 3m.; 31 Notte oscura, II, 18,5; 32 Cf Ch.-A. Bernard, Structure et passivité dans l'expérience religeuse, in NRTh 110 (1978), 643-678; 33 Di qui la tentazione di privilegiare tale conoscenza "passiva" a scapito della vita spirituale più comune. Si preferisce la passività in cui Dio stesso opera, all'attività umana, perché incapace di far conoscere Dio e di unire a lui. Tale è la posizione di coloro che propendono per il quietismo, rinunciando alla cooperazione dell'uomo per disciplinare, quindi, conformare la propria volontà a quella di Dio. Questo è il motivo per cui, a partire dal Seicento, entrò nell'uso comune contrapporre le due espressioni "teologia ascetica" e "teologia mistica". Ed è anche per questo motivo che si è giunti a distinguere sempre più l'ascetica, volontaria, attiva, ordinaria nella vita dello Spirito e di preghiera, dalla mistica, che è essenzialmente contemplativa, passiva e straordinaria; 34 H.U. von Balthasar, Au-de-là de l'action et de la contemplation, in Vie consacrée, 45 (1973), 65-74; 35 Cf a tale proposito L. Ancona, Interpretazione clinica del comportamento religioso, in Archivio di psicologia, neurologia e psichiatria, gen-feb. 1961, 7-28; M. Bellet, Psychologie et spiritualité, in Christus, 16 (1969), 495-509; Fr. Gabriele di S.M. Maddalena, Indole psicologica della teologia spirituale, in Rivista di Filosofia neoscolastica, 32 (1940), 31-42; 36 In realtà, specialmente oggi, non si possono ignorare gli interrogativi posti dalla psicologia del profondo circa la natura dell'esperienza mistica. Questa può essere il risultato di forze naturali o di un processo inconscio, come pure le sue manifestazioni, straordinarie o normali che siano, possono essere il frutto di condizionamenti psicosomatici o di isteria; 37 Tommaso d'Aquino direbbe: " Il grado supremo della conoscenza umana di Dio è sapere di non sapere che cosa è Dio, in quanto appunto ci si rende conto che "ciò che Dio è" supera tutto ciò che comprendiamo di lui ", (De potentia, q. 7 a. 5 ad 14); 38 Cf C. Tresmontant, La mistica cristiana e il futuro dell'uomo, Casale Monferrato (AL) 1988; 39 " L'esperienza mistica è, dunque, il percepire "ad una profondità" e "da una profondità". E come sentire che vi è un "centro", un "fondo", oppure, secondo un'altra immagine, un "vertice". "Fondo" e "vertice" sono le due immagini antitetiche che i mistici usano. Questa percezione "ad una profondità" o "da una profondità, oppure "ad un vertice" o "da un vertice", postula che il soggetto sia totalmente implicato, al di là di ogni esercizio distinto del pensare, del volere, della fantasia e della memoria " (G. Moioli, L'esperienza spirituale, Milano 1992, 77); 40 Cf K. Rahner, Il Dio trino come fondamento originario e trascendente della storia della salvezza, in Mysterium salutis, a cura di I. Feiner e M. Löhrer, III, Brescia 1969, 401ss.; 41 Cf H. de Lubac, Mistica..., o.c., 21-23, passim; 42 Cf E. Jüngel, Dio, mistero del mondo, Brescia 1982, 505ss.; 43 Cf I. Hausherr, Carità e vita cristiana, Roma 1970; 44 Cf Teresa d'Avila, Vita 8,5; 45 Si pensi, ad esempio, alle esperienze mistiche di Gesù, della Vergine Maria, di Abramo, del profeta Isaia, di Paolo, dell'apostolo Giovanni, ecc.; 46 Giovanni della Croce, Fiamma viva d'amore 4;47 Cf M. Buber, I racconti dei Chassidim, Milano 1979, 257.

Bibl. Aa.Vv., Mystique, in DSAM X, 1889-1984; Aa.Vv., Vita cristiana ed esperienza mistica, Roma 1982; J. Beaude, La mistica, Cinisello Balsamo (MI) 1992; A.M. Enebral Casares, Fundamentos antropológicos de la mística, Madrid 1991; H. Fischer, s.v., in K. Rahner (cura di), Sacramentum mundi, V, Brescia 1976, 409-424; S. Guerra, s.v., in Aa.Vv., Diccionario teológico: El Dios cristiano, Salamanca 1992, 897-916; B. Jimenez Duque, Teología de la mística, Madrid 1963; W. Johnston, L'occhio interiore. Inedita meditazione sul senso della vita mistica, Roma 1987; A. Léonard, Expérience spirituelle, in DSAM IV2, 2004-2026; G. Moioli, Mistica cristiana, in NDS, 985-1001; J. Sudbrack, Mystik, in WMy, 367-370; Id., Mistica, Casale Monferrato (AL) 1992; C. Tresmontant, La mistica cristiana e il futuro dell'uomo, Casale Monferrato (AL) 1988; R. Woods (ed.), Understanding Mysticism, New York 1980; R.C. Zaehner, Mysticism Sacred and Profane, Oxford 1980.

Autore: L. Borriello
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)