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Sabato, 20 aprile 2024 - Beata Chiara Bosatta ( Letture di oggi)

Eremitismo


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I. Il termine. Idea e movimento ascetici animati da tensione alla solitudine e organizzati in forma di solitudine individuale o comunitaria.

Il vocabolo proviene dalla lingua greca e il concetto dalla cultura classica. Essi abbondano di significati primitivi e secondari. Il sostantivo eremo (erémos o éremos e il femminile eréme) indica un luogo o una situazione: deserto, solitudine, isolamento (specialmente eremía eremosúne). Come aggettivo equivale a solitario, abbandonato, sprovvisto, selvaggio, desertico.

I verbi (eremázo ed eremóo) evocano azioni del rendere desertico e desolare, dello spopolare e devastare, dell'abbandonare e lasciar vuoto, del privare e spogliare; e altresì del liberare e vivere in solitudine.

Il vocabolario registra termini composti, allusivi di situazioni psicologiche non estranee all' ascesi e nemmeno alla mistica: amico della solitudine, abitante del deserto, frequentatore di deserti, itinerante nel deserto.

L'odierna letteratura spirituale specialistica preferisce vocaboli antichi, ma non passati nell'uso comune, come anacoresi e anacoreta; nonché esichia, esicasta, esicastico. Quelli - insieme al verbo omologo anacoréo - focalizzano il ritiro e il rifugio, l'allontanamento e il ritorno. Questi prospettano la calma e la pacificazione, il silenzio e la solitudine, il ritiro e il deserto; identificano l'eremita e il monaco, aggettivano l'ascetico e quanto acquieta lo spirito.

Anacoresi ed esichia sono passi nell'ascesi la quale è esercizio e scelta di vita impegnata. L'asceta è atleta impratichito, colui che si va esercitando a piegare il corpo allo spirito (il verbo aschéo: lavorare, forgiare, esercitare; anche adornare, abbellire); asceta è sinonimo di monaco, e l'asceterio (aschetérion) è il monastero e la cella dell'asceta.

Siffatta pluralità lessicale adombra una versatilità di concetti, un'articolata profondità di ispirazione. Quei vocaboli sono talvolta sinonimi; talvolta aprono via via scenari contigui in una unicità di prospettiva entro la quale la persona umana si muove e si realizza in tutta la propria identità e in tutte le umane sue componenti. E. è un sentiero, scandito dall'ascesi, nel fluente itinerario dell'anacoresi verso l'esichia. L'eremita è come il principiante nell'abbandono del mondano alla ricerca di Dio. L'e. è funzionale alla mistica esperienza di Dio quale assoluto. E cammino, non approdo; una mediazione, non finalità; provvisorio, non definitivo.

Questa mescolanza di valori e limiti connota l'e. come forma, concretata in modalità suggerite da una molteplicità di ragioni culturali (individuali, sociali, filosofiche, religiose) e situata nel mosaico delle varietà storiche. In senso metastorico o psicologico-antropologico e religioso-spirituale, e. può significare opzione qualificante, stile di vita, tensione a essenzialità e radicalità.

II. La storia universale esibisce copiosità di forme d'e., accomunate quasi per la genialità di un archetipo nella finalità di liberare la persona umana dai vincoli che la immobilizzano nella tensione verso la realizzazione del sé autentico, che è la dimensione della personalità rispondente alla propria identità genuina presente come dono e progressivamente scoperta come progettualità condivisibile in consapevolezza e operosità. La fede qualifica il senso dell'e.; la religiosità riveste di significati e simboli le forme di e.

Nella storia e nella dinamica della spiritualità l'e. è uno stato, uno spazio, una metafora. L'eremo ne è il segno forte; segno sommamente forte è il deserto. L'eremita è incarnazione dei valori e dei simboli.

Siffatta dimensione d'esperienza di valori si riscontra in varie culture e religiosità. Il Concilio Vaticano II invita all'attenzione verso le tradizioni ascetiche e contemplative delle antiche culture, seminagione di germi divini (cf AG 18). Esemplificando, riconosce che l' induismo cerca la liberazione dalle angosce della condizione umana attraverso forme di vita ascetica, la meditazione profonda, il rifugio amoroso e confidente in Dio; riconosce che il buddismo insegna una via di liberazione perfetta o di illuminazione suprema (l'iniziatore Siddharta Gautama sei secoli prima di Cristo sperimentò un esasperato deserto, poi abbandonato a favore d'una ascesi per " via mediana "); riconosce che le religioni si sforzano di superare l'inquietudine del cuore umano proponendo vie, dottrine, precetti di vita, riti sacri (cf NAE 2).

Oltre alle filosofie soteriologiche che affidano allo sforzo personale (ascesi) la propria salvezza, soprattutto le religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo, islamismo) propongono l'e. come via ascetica verso la mistica, cioè itinerario per l'approdo all'esperienza personale di Dio. Il filosofo esorta al secum morari (Seneca); il teologo invita a redire ad cor (s. Agostino); il monaco stimola a quaerere Deum.

L'e. cristiano s'identifica con il deserto, che è pure uno stato, uno spazio, una metafora. Il deserto è un locus veterotestamentario, itinerario nella storia della salvezza (esodo: e. collettivo di tutto un popolo in cammino), avanzamento nell'esperienza di Dio (profeti: Elia). Il NT rinverdisce il deserto come luogo dell'ascesi e della mistica (il Battista vede lo Spirito, riconosce l'Agnello di Dio); come metafora della verifica e della vittoria (le tentazioni di Gesù, dallo Spirito condotto nel deserto). Il deserto cristiano si popola di asceti (a cominciare dai secc. III-IV), fuggitivi dal mondo per la lotta contro il maligno e per la contemplazione di Dio. Il monachesimo orientale e occidentale nasce e cresce nel deserto, dunque consolida l'e. individuale (anacoretismo) e quello comunitario (cenobitismo: solitudine collettiva). Benedetto da Norcia ammira gli anacoreti, monaci già forgiati e addentrati nell'ascesi, " sicché dalla lotta sostenuta insieme con i fratelli sono bene esercitati per il combattimento singolare della solitudine e valgono ormai con l'aiuto di Dio a lottare sicuri, senza il soccorso di altri e soltanto con il vigore delle mani e delle braccia proprie, contro i vizi della carne e dei pensieri ".1 Il rinnovamento monastico dei secc. XI-XIII non rinuncia all'e., a quello individuale né a quello comunitario (certosini, cistercensi e trappisti, camaldolesi).

Gli Ordini mendicanti (soprattutto del sec. XIII) si avviano con tendenza e forme eremitico-cenobitiche. Francesco d'Assisi - assiduo di romitori - consente " a chi lo desidera " di poter vivere religiosamente negli eremi, esortando a ispirarsi chi a Marta chi a Maria. All'interno di quella tipologia l'e. cresce e rifiorisce nell'epoca delle osservanze (secc. XV-XVI: servi di Maria di Monte Senario, cappuccini, agostiniani, carmelitani scalzi...). Dal sec. XVI in poi le istituzioni dei religiosi rafforzano la diaconia, preferendo come propria finalità la presenza o l'inserimento al posto del ritiro, la compagnia al posto della solitudine.

L'e. femminile attraversa la storia con un percorso in parte analogo (Maria Egiziaca, Sincletica, " madri " del deserto, donne travestite in eremi maschili), in parte diversificato (monasteri a e. cenobitico e claustrale per ragioni di garanzia vocazionale e per difesa). Oltre ogni casistica e problematica, risalta il messaggio della capacità di vivere i valori dell'e. anche da parte della donna.

Sebbene nei tempi moderni manchino forme classiche e diffuse di e., istituzioni eremitiche permangono prevalentemente nella tipologia monastica (la Trappa in Occidente; l'Athos in Oriente), e sono fiorite esperienze nuove e forti di e. Esemplare è la scelta di Charles de Foucauld, il quale preferiva il deserto per incontrare il Cristo fratello prediletto, che seguiva oltre che nello spirito del nascondimento a Nazaret, come asceta nel deserto.

L'e. contiene venature di ambiguità, di eccessi, di irrazionalità. Nemmeno il deserto come tale, e separato da autenticità motivazionali e gestionali, è valore tout court: il deserto per il deserto non è positivo; la fuga per paura o come isolamento non è positiva. Padri e monaci erano consapevoli dell'ambivalenza e dei rischi; taluni furono decisamente avversari della vita solitaria. Il monaco e vescovo Basilio segnala che " il primo e più grande (pericolo) è quello dell'autocompiacimento ".2

Niceta, discepolo di Simeone il Nuovo Teologo, scrive: " Ho udito alcuni dire che non si può pervenire all'abito della virtù senza ritirarsi lontano e fuggire nel deserto, e mi sono meravigliato che ad essi sembri circoscrivibile in un luogo ciò che è "incircoscrivibile" ".3

III. Attualità dell'e. Per l'uomo e la donna, incamminati lungo l'ascesi verso la mistica o, in altre parole, intenti a progredire nella fedeltà alla vocazione evangelica, conviene rimarcare i valori e l'utilità dell'e. Veramente, il vocabolo e. non è eloquente, veicola lontananze e inattualità, evoca forme di vita strane e impraticabili. A tutti è necessario scoprire e additare i valori celati nella metafora dell'e. e del deserto, distillare i messaggi, enucleare le possibilità a loro adeguate: Liminarietà. L'eremita si emargina, sta in disparte: è sul liminare. La liminarietà è il valore della marginalità, del ritirarsi al margine; è l'evitare protagonismi e presenzialismi che tradiscono il complesso del messia: nulla è possibile né buono se non intervengo io! Ma non è nemmeno complesso di inferiorità. Il valore della liminarietà è il senso delle proporzioni, la consapevolezza della piccolezza evangelica, il realismo della minoranza.

Spogliazione. L'eremita si spoglia di sicurezze e di proprietà: è povero sino alla denudazione. La povertà come opzione di libertà da cupidigie, accumuli ed egoismi significata da essenzialità e frugalità è un vertice dell'e. Quanto minore è la quantità di possesso, tanto maggiore si staglia l'autenticità della personale identità. Il distacco favorisce la scoperta e l'apprezzamento dell'essenziale e agevola la condivisione.

Silenzio. L'eremita è taciturno: diventa amico della parola coltivando il silenzio. Tra frase e frase c'è bisogno di stacchi silenziosi. Nella colluvie di messaggi c'è bisogno di ritiro nella riflessione. I pensieri hanno bisogno di linfa che salga dalla radice della meditazione. Il silenzio eremitico non è mutismo, incomunicabilità, rifiuto di dialogo. Invece è riappropriazione dell'autonomia nel concepire idee; è spazio ecologico del riposo operoso; è sapienziale selezione di impulsi; è ascolto delle voci che sussurrano nella calma interiorità o nelle abissali altezze della contemplazione. Questo silenzio è veicolo di comunicazione.

Purificazione. L'eremita è l'asceta che si misura con il limite per estirpare le porzioni saprofitiche del negativo in sé, per resistere indenne alle pressioni dei negativi esteriori che lo circuiscono: entra nel deserto per affrontare il maligno. Il combattimento eremitico non è la scompostezza di un impaurito né del fanatico ossessionato dal fatto che tutto, dovunque e sempre, è peccaminoso. Il cimento è la ricerca di purificazione, cioè la purezza di cuore che consente di vedere Dio. La via della purificazione sale tra rinunce e scelte, penitenza e mortificazioni, equilibrio, realismo ed essenzialità. La purificazione eremitica è custodia del cuore.

Pacificazione. L'eremita è un pacificato: ascesi e anacoresi sono guide alla pacificazione e contemporaneamente sono dono della pacificazione. Questa attitudine non è indifferenza, abulica apatia, sistemazione nel quieto vivere, appena assenza di conflittualità. Incomincia con l'autocontrollo, prosegue con la compassione, approda alla disponibilità per le opere di pace. Serenità e gioia, calma e pazienza, verità e tolleranza, robustezza e tenerezza, fraternità ed ecologia sono segni della pacificazione. Sono segni dell'esperienza di Cristo che ha donato la sua pace; l'esperienza del Signore Gesù " che è la nostra pace ".

Consapevolezza. In ogni situazione esistenziale la consapevolezza è condizione della verità e del valore. Tutto quanto configura stile e metafora dell'e. porta alla consapevolezza; ma altresì comporta consapevolezza. La consapevolezza è conoscenza, convinzione, coscienza. E visione sapienziale e accettazione diaconale dei valori. Sulla linea della spiritualità, la consapevolezza è convinzione che i valori - compresi quelli germinati nell'e. storico e quelli disponibili lungo gli itinerari delle metafore dell'e. attuale - sono dono dello Spirito e frutto della disponibilità operosa del discepolo del Signore.

Note: 1 Regola, I; 2 Regola maggiore, 7; 3 Centurie, I.

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Autore: L. De Candido
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)