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Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Vocazione


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Le scene di vocazione sono tra le pagine più impressionanti della Bibbia. La vocazione di Mosè al roveto ardente (Es 3), quella di Isaia nel tempio (Is 6), il dialogo tra Jahve ed il giovane Geremia (Ger 1), mettono in presenza Dio nella sua maestà e nel suo mistero, e l'uomo in tutta la sua verità, nella sua paura e nella sua generosità, nelle sue potenze di resistenza e di accettazione. Perché questi racconti occupino un simile posto nella Bibbia, bisogna che la vocazione sia, nella rivelazione di Dio e nella salvezza dell'uomo, un momento importante.

I. LE VOCAZIONI E LE MISSIONI NEL VT

Tutte le vocazioni nel VT hanno come oggetto delle missioni: Dio chiama per mandare; ad Abramo (Gen 12, 1), a Mosè (Es 3, 10. 16), ad Amos (Am 7, 15), ad Isaia (Is 6, 9), a Geremia (Ger 1, 7), ad Ezechiele (Ez 3, 1. 4), egli ripete lo stesso ordine: Va'! La vocazione è la chiamata che Dio fa sentire all'uomo che si è scelto e che destina ad un'opera particolare nel suo disegno di salvezza e nel destino del suo popolo. All'origine della vocazione C'è dunque un'elezione divina; al suo mtermine, una volontà divina da compiere. Tuttavia la vocazione aggiunge qualcosa alla elezione ed alla missione: una chiamata personale rivolta alla coscienza più profonda dell'individuo, che ne sconvolge l'esistenza, non soltanto nelle sue condizioni esterne, ma sin nel cuore, facendone un altro uomo.

Questo aspetto personale della vocazione è reso nei testi: sovente si sente Dio pronunciare il nome di colui che egli Chiama (Gen 15, 1; 22, 1; Es 3, 4; Ger 1, 11; Am 7, 8; 8, 2). Talora, per meglio indicare la sua presa di possesso ed il Cambiamento di esistenza Che essa significa, Dio dà un nome nuovo al suo eletto (Gen 17, 1; 32, 29; cfr. Is 62, 2). E Dio si aspetta una risposta alla sua chiamata, una adesione cosciente, di fede e di obbedienza. Talora questa adesione è istantanea (Ger 12, 4; Is 6, 8), ma spesso l'uomo è preso da paura e tenta di sottrarsi (Es 4, 10 ss; Ger 1, 6; 20, 7). E questo perché normalmente la vocazione isola, e fa del chiamato un estraneo tra i suoi (Gen 12, 1; Is 8, 11; Ger 12, 6; 15, 10; 16, 1-9; cfr. 1 Re 19, 4).

Questa chiamata non è rivolta a tutti coloro che Dio sceglie come suoi strumenti: i re, ad esempio, pur essendo gli unti del Signore, non sentono questo appello, ed è Samuele ad informarne Saul (1 Sam 10, 1) e David (16, 12). Neppure i sacerdoti hanno il loro sacerdozio da una chiamata ricevuta da Dio, bensì dalla nascita. Aronne stesso, quantunque Ebr 5, 4 lo dica « chiamato da Dio », non ha ricevuto questa chiamata se non per mezzo di Mosè (Es 28, 1) e non si dice nulla dell'accoglienza interna Che egli vi fece. Senza che la lettera agli Ebrei lo dica esplicitamente, non costituisce infedeltà al suo pensiero il vedere nel carattere mediato di questa chiamata un segno della inferiorità, persino di Aronne, del sacerdozio levitico nei confronti del sacerdozio di colui al quale, di fatto, Dio rivolge direttamente la sua parola: « Tu sei il mio Figlio... Tu sei sacerdote... secondo l'ordine di Melchisedec » (Ebr 5,5 s).

II. VOCAZIONE DI ISRAELE E VOCAZIONE DI GESÙ CRISTO

Israele ha ricevuto una vocazione? Nel senso corrente della parola, è evidente. Nel senso preciso della Bibbia, quantunque un popolo non possa evidentemente essere trattato come una persona singola ed avere le sue reazioni, Dio nondimeno agisce nei suoi Confronti Come nei confronti di coloro che Chiama. Certamente gli parla per mezzo di intermediari, particolarmente per mezzo di Mosè, ma, a parte questa differenza imposta dalla natura delle Cose, Israele ha tutti gli elementi di una vocazione. L'alleanza è anzitutto una chiamata di Dio, una parola rivolta al cuore; la legge ed i profeti sono pieni di questo appello: « Ascolta Israele » (Deut 4, 1; 5, 1; 6, 4; 9, 1; Sal 50, 7; Is 1, 10; 7, 13; Ger 2, 4; cfr. Os 2, 16; 4, 1). Questa parola impegna il popolo in una esistenza separata, di cui Dio si fa il garante (Es 19, 4 ss; Deut 7, 6), e gli proibisce di appoggiarsi su altri Che non sia Dio (Is 7, 4-9; cfr. Ger 2, 11 ss). Questa chiamata, infine, aspetta una risposta, un impegno del Cuore (Es 19, 8; Gios 24, 24) e di tutta la vita. Sono tutti i tratti della vocazione. In un senso, è vero che questi elementi si ritrovano pienamente nella persona di Gesù Cristo, il perfetto servo di Dio, colui Che ascolta sempre la voce del Padre e gli presta obbedienza. Tuttavia il linguaggio proprio della vocazione non è praticamente usato dal NT a proposito del Signore. Se Gesù evoca Costantemente la missione che ha ricevuto dal Padre, non si dice mai che Dio l'abbia Chiamato, e questa assenza è significativa. La vocazione suppone un mutamento di esistenza; la chiamata di Dio sorprende l'uomo nel suo compito abituale, in mezzo ai suoi, e lo impegna verso un punto di Cui Dio si riserva il segreto, verso « la terra che ti indicherò » (Gen 22, 1). Ora nulla indica in Gesù Cristo la presa di coscienza di una chiamata; il suo battesimo è ad un tempo una scena di investitura regale: « Tu sei il mio Figlio » (Mc 1, 11) e la presentazione da parte di Dio del servo nel quale si compiace in modo perfetto; ma nulla evoca qui le scene di vocazione: da un capo all'altro dei vangeli Gesù sa donde viene e dove va (Gv 8, 14) e se va dove non lo si può seguire, se il suo destino è di tipo unico, ciò non è in virtù di una vocazione, ma del suo stesso essere.

III. VOCAZIONE DEI DISCEPOLI E VOCAZIONE DEI CRISTIANI

Se Gesù, per suo conto, non sente la chiamata di Dio, in Compenso moltiplica le chiamate a seguirlo; la vocazione è il mezzo medíante il quale egli raggruppa attorno a sé i Dodici (MC 3,13), ma fa sentire anche ad altri un'analoga chiamata (MC 10, 21; Lc 9, 59-62); e tutta la sua predicazione ha qualcosa che comporta una vocazione; una chiamata a seguirlo in una via nuova di cui egli possiede il segreto: « Chi vuol venire dietro di me... » (Mt 16, 24; cfr. Gv 7, 17). E se « molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti », si è perché l'invito al regno è una chiamata personale, alla quale taluni rimangono sordi (Mt 22, 1-14).

La Chiesa nascente ha subito inteso la condizione cristiana come una vocazione. La prima predicazione di Pietro a Gerusalemme è un appello ad Israele, simile a quello dei profeti, e cerca di suscitare un passo personale: « Salvatevi da questa generazione perversa! » (Atti 2, 40). Per Paolo c'è un parallelismo reale tra lui, « apostolo per vocazione », e i cristiani di Roma o di Corinto « santi per vocazione » (Rom 1, 1. 7; 1 Cor 1, 1 s). Per rimettere i Corinzi nella verità, egli li riporta alla loro chiamata, perché essa costituisce la Comunità di Corinto così Com'è: « Considerate la vostra chiamata, non ci sono molti sapienti secondo la carne » (1 Cor 1, 26). Per dar loro una regola di condotta in questo mondo la cui figura passa, li impegna a rimanere ciascuno « nella condizione in Cui l'ha trovato la sua chiamata » (7, 24). La vita cristiana è una vocazione perché è una vita nello Spirito, perché lo Spirito è un nuovo universo, perché « si unisce al nostro spirito » (Rom 8, 16) per farci sentire la parola del Padre e risveglia in noi la risposta filiale.

Poiché la vocazione cristiana è nata dallo Spirito, e poiché lo Spirito è uno solo Che anima tutto il Corpo di Cristo, in seno a quest'unica vocazione c'è « diversità di doni... di ministeri... di operazioni... », ma in questa varietà di carismi non c'è infine che un solo corpo ed un solo Spirito (1 Cor 12, 4-13). Poiché la Chiesa, la Comunità dei Chiamati, è essa stessa la Ekklesìa, « la chiamata », Come è la Eklektè, «l'eletta » (2 Gv 1), tutti coloro che in essa sentono la Chiamata di Dio rispondono, ognuno al suo posto, all'unica vocazione della Chiesa che sente la voce dello sposo e gli risponde: « Vieni, o Signore Gesù! » (Apoc 22, 20).

Autore: L. Guillet
Fonte: Dizionario di Teologia Biblica