Scrutatio

Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Vendetta


font righe continue visite 761
Nel linguaggio odierno, vendicarsi significa punire un'offesa rendendo agli altri male per male. Nel linguaggio biblico la vendetta designa anzitutto un ristabilimento della giustizia, una vittoria sul male. Se è sempre vietato vendicarsi per odio del malvagio, è un dovere vendicare un diritto vilipeso. Tuttavia l'esercizio di questo dovere si è evoluto nel corso della storia: lo si è tolto all'individuo per affidarlo alla società e, soprattutto, Dio si è rivelato a poco a poco come il solo legittimo vendicatore della giustizia.

1. Il vendicatore del sangue. - Nella società nomade che Israele formava alle sue origini, i membri del clan dovevano proteggersi e difendersi reciprocamente. In caso di omicidio, un gó'el, « vendicatore del sangue » (Num 35, 21), vendicava il clan uccidendo l'assassino. Al motivo di solidarietà si aggiungeva la Convinzione che, come quello di Abele, il sangue versato grida vendetta (cfr. Gen 4, 10; Giob 16, 18), ha profanato la terra dove abita Jahve (Num 35, 33 s). Così doveva essere salvaguardata la giustizia. Israele, diventato popolo sedentario, conservò questa usanza (cfr. 2 Sam 3, 22-27). Ma la sua legislazione (Es 21, 12; Lev 24, 17), pur Considerando ancora il vendicatore del sangue Come un giustiziere (Num 35, 12.19), si preoccupa di regolare l'esercizio del suo diritto, affinché sia premunito contro gli eccessi della sua ira (Deut 19, 6). Ormai solo più in caso di omicidio volontario (Deut 24,16) l'omicida cade sotto i Colpi del vendicatore del sangue, ed un processo deve aver avuto luogo nella città-rifugio dove l'assassino avrà cercato scampo (Num 35, 24. 30; Deut 19). In tal modo il diritto alla vendetta passa a poco a poco dall'individuo alla società.

2. La vendetta personale. - Con la legge del taglione (Es 21, 23 ss; Lev 24, 19; Deut 19, 21), la legislazione ebraica frena la passione umana sempre pronta a rendere male per male: proibisce la vendetta illimitata dei tempi barbari (cfr. Gen 4,15. 24). Infine addolcisce anche la legge del taglione, ammettendo in taluni casi che ci sia compensazione pecuniaria, principio ammesso da altri codici orientali (Es 21, 18 s. 26 s). Tuttavia il taglione minacciava di impedire alla coscienza di innalzarsi progressivamente: anche codificato dalla giustizia sociale, il desiderio di vendetta può continuare a dimorare nel cuore dell'uomo. Occorreva dunque realizzare anche un'educazione della coscienza.

a) Divieto di vendicarsi. - La legge di santità colpisce il desiderio di vendetta alla radice: « Non avrai nel tuo cuore odio per il tuo fratello... Non ti vendicherai e non conserverai rancore verso i figli del tuo popolo. Amerai il tuo prossimo come te stesso » (Lev 19, 17 s). Sono Celebri taluni esempi di perdono: quello di Giuseppe, Che interpreta la persecuzione di cui è stato vittima come un disegno di Dio che sa trarre il bene dal male (Gen 45, 3 s. 7; 50, 19); quello di David che non si vendica di Saul (1 Sam 24, 4 s; 26, 5-12), per non levare la mano sull'unto di Jahve. Tuttavia lo stesso David fa eser. citare una vendetta postuma Contro Shimei e contro Joab (1 Re 2,6-46). Ad ogni modo il dovere del perdono resta limitato ai fratelli di razza: Così il libro dei Giudici non Critica affatto Sansone che si vendica personalmente dei Filistei (Giud 15, 3. 7). Con i Sapienziali questo dovere tenderà ad universalizzarsi e ad approfondirsi: « Chi si vendica, proverà la vendetta del Signore... Non conservar rancore contro il tuo prossimo » (Eccli 28, 1. 7). Il principio, a quanto pare, non esclude nessuno.

b) L'appello alla vendetta divina. - La ragione per cui il giusto rinunzierà completamente a vendicarsi è la sua fiducia in Dio. « Non dire: restituirò il male; dà fiducia a Jahve, egli ti libererà » (Prov 20, 22). Il giusto non si vendica, ma lascia a Dio la cura di vendicare la giustizia: « A me la vendetta, dice il Signore » (Deut 32, 35). Così fa Geremia perseguitato, quando « rimette a Dio la sua causa » (Ger 20, 12); certamente egli desidera di « vedere la vendetta divina » (11, 20), ma perché ha identificato la sua causa Con la causa di Dio (15, 15). Non desidera il male, ma la giustizia; e questa non può essere ristabilita se non da Dio solo. Così pure il salmista che, a sua volta, desidera, con enfasi semitica, « lavare i suoi piedi nel sangue dei nemici » (Sal 58, 11) e proferisce Contro di essi imprecazioni terribili (Sal 5, 11; 137, 7 s), è animato da una volontà di giustizia. Rimane possibile illudersi sull'autenticità di un simile sentimento, ma il valore religioso dell'atteggiamento è innegabile. Esso si ricollega a quello di Giobbe: « Io so Che il mio difensore (g8'el) è vivo e che egli per ultimo si ergerà sulla terra », e renderà la giustizia (Giob 19, 25).

3. Il Dio vendicatore. - La speranza di Giobbe non è vana, e Così pure non lo è quella di Geremia: Dio è il giudice per eccellenza Che scruta reni e Cuori e ricompensa ciascuno secondo le sue opere; egli è il g8'el di Israele (Is 41, 14). Il giorno del Signore può quindi essere Chiamato « giorno di vendetta » (Ger 46, 10): Dio vendicherà allora la giustizia; vendicherà pure il suo onore e, in questo senso, si può dire che soltanto Dio « si » può vendicare. Giustizia, salvezza, vendetta: ecco ciò che porterà il giorno del Signore (Is 59,17 s). Nella misura in cui Israele è fedele all'alleanza può quindi fare appello per l'ingiustizia dei giudici umani al suo gó'el, al « Dio delle vendette », affinché compaia e giudichi la terra (Sal 94). Se questo non è ancora perdonare da cristiano, è attendere, con umíle sottomissione al Signore, il giorno della sua visita.

4. Cristo e la vendetta. - Quel giorno è venuto quando Gesù ha versato il suo sangue: allora la suprema ingiustizia degli uomini ha rivelato la giustizia infinita di Dio. Ormai il Comportamento del credente sarà radicalmentem utato dall'esempio di Cristo che, « insultato, non ha restituito l'insulto » (1 Piet 2, 23). Non soltanto Gesù instaura una nuova legge che porta a compimento (compiere) il principio del taglione, ma prescrive di non resistere al malvagio (Mt 5, 38-42). Egli non condanna la giustizia dei tribunali umani, di cui Paolo dirà che ha l'incarico di esercitare la vendetta divina (Rom 13, 4); ma esige dal suo discepolo il perdono delle offese e l'amore dei nemici. Soprattutto insinua che soltanto colui Che è capace di sopportare l'ingiustizia personale risparmierà l'ingiustizia agli altri. Ormai non basta più rimettersi alla vendetta divina, bisogna « essere vincitori del male mediante il bene » (Rom 12,21): in tal modo « si pongono Carboni accesi sul capo del proprio nemico », Collocandolo in una situazione impossibile che lo impegna a tramutare il suo odio in amore.

Se, in virtù del sangue di Cristo, è stata compiuta ogni giustizia, l'ultimo giorno non è tuttavia ancora giunto. L'amore subisce quaggiù sconfitte. Dopo Gesù, i Cristiani muoiono, vittime di una violenza ingiusta. Se essi perdonano ai loro Carnefici (Atti 7, 60), il loro sangue versato grida tuttavia a Dio: « Fino a quando, o Signore santo e vero, tarderai a far giustizia, a prendere vendetta del nostro sangue sugli abitanti della terra? » (Apoc 6, 10; cfr. 16, 6; 19, 2). Ma questa vendetta finale della giustizia ad opera del Dio- giudice avrà Come risultato di annientare per sempre la maledizione (22, 3).

Autore: A. DARRIEUTORT e X. LÉON-DUFOUR
Fonte: Dizionario di Teologia Biblica