Scrutatio

Venerdi, 29 marzo 2024 - Santi Simplicio e Costantino ( Letture di oggi)

Uomo


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Gli elementi di un'antropologia biblica sono dati nei diversi articoli anima, cuore, carne, corpo, spirito. Secondo questa concezione sintetica, così diversa dalla mentalità Comune dei nostri giorni, che vede nel corpo e nell'anima le due Componenti dell'uomo, l'uomo si esprime tutto nei suoi diversi aspetti. È anima in quanto animato dallo spirito di vita; la carne fa vedere in lui una creatura caduca; lo spirito significa la sua apertura a Dio; il corpo infine lo esprime all'esterno. A questa prima differenza tra le due mentalità se ne aggiunge un'altra, ancora più profonda. Nella prospettiva della filosofia greca si tratta di analizzare l'uomo, questo microcosmo Che unisce due mondi, lo spirituale ed il materiale; la Bibbia, teologica, non considera l'uomo che dinanzi a Dio di Cui è l'immagine. Invece di rinserrarsi in un mondo naturale e chiuso, essa apre la scena alle dimensioni della storia, di una storia il cui attore principale è Dio: Dio che ha Creato l'uomo e che, per redimerlo, è diventato egli stesso uomo. L'antropologia, già legata ad una teologia, diventa inseparabile da una cristologia. Perciò i comportamenti vari degli uomini nel Corso della storia si sintetizzano nelle due categorie del peccatore e dell'uomo nuovo. E queste ultime realizzano le due figure rivelate in momenti privilegiati della storia sacra, Adamo ed il servo di Jahve, e portate a compimento da Gesù Cristo. Il tipo autentico dell'uomo vivente non è quindi Adamo, ma Gesù Cristo; non è colui che è nato dalla terra, ma colui che è disceso dal cielo; o meglio, è Gesù Cristo prefigurato in Adamo, l'Adamo celeste abbozzato nel terrestre.

I. AD IMMAGINE DI DIO

l. L'Adamo terrestre. - Il C. 2 della Genesi non riguarda soltanto la storia di un uomo, ma quella di tutta l'umanità, Come insinua il termine Adamo, che significa uomo; secondo la mentalità semitica, il capostipite di una stirpe porta in sé la collettività « nata dalle sue reni »; in lui si esprimono realmente tutti i discendenti: gli sono incorporati; è quel che si è potuto Chiamare una « personalità Corporativa ». Secondo Gen 2, l'uomo appare in Adamo Con le sue tre dimensioni principali: in relazione Con Dio, Con la terra, Con i suoi fratelli.

a) L'uomo e il suo creatore. - Adamo non è né un dio decaduto, né una particella di spirito caduta dal cielo in un Corpo; appare creatura libera- in relazione costante ed essenziale con Dio. È quel Che indica la sua origine. Nato dalla terra, egli non è limitato ad essa; la sua esistenza è sospesa allo spirito di vita che Dio gli inspira. Diventa allora anima vivente, cioè ad un tempo un essere personale ed un essere dipendente da Dio. La « religione » non viene a Completare in lui una natura umana, già Consistente, ma entra fin dall'origine nella sua stessa struttura. Parlare dell'uomo senza metterlo in relazione con Dio sarebbe quindi un non senso. Al soffio, mediante il quale l'uomo è costituito nel suo essere, Dio aggiunge la sua parola, e questa prima parola assume la forma di un divieto: « Non mangerai dell'albero della conoscenza del bene e del male, perché il giorno in cui ne mangerai, Certamente morrai » (Gen 2, 16 s). Nel corso della sua esistenza l'uomo continua Così ad essere collegato al suo Creatore dall'obbedienza alla sua volontà. Questo Comando gli appare Come un divieto, una limitazione. Di fatto, esso è necessario al suo completamento: permette all'uomo di comprendere che non è Dio, che dipende da Dio, dal quale riceve la vita, Come il soffio che lo anima senza Che se ne renda Conto. L'uomo è quindi unito al Creatore da una relazione di dipendenza vitale e primaria Che la sua libertà deve esprimere sotto forma di obbedienza. Questa legge scritta nel Cuore dell'uomo (Rom 2,14A è la coscienza con la quale il Dio vivente intreccia un dialogo con la sua Creatura.

b) L'uomo dinanzi all'universo. - Dio pone l'uomo in una creazione bella e buona (Gen 2, 9) perché la coltivi e la custodisca come suo intendente. Vuole che Adamo affermi la propria sovranità sugli animali, dando loro un nome (2,19 s; cfr. 1, 28 s), indicando in tal modo che la natura non dev'essere divinizzata, ma dominata, assoggettata. Il dovere del lavoro della terra non succede al dovere di obbedienza a Dio, visi riferisce continuamente. Lo testimonia a modo suo il primo racconto della creazione: il settimo giorno, giorno di riposo, indica la misura del lavoro umano, perché l'opera delle mani dell'uomo deve esprimere l'opera del creatore.

C) L'uomo in società. - Infine l'uomo è un essere sociale per la sua stessa natura (cfr. carne), e non in virtù di un comando che gli rimarrebbe estrinseco. La differenza fondamentale dei sessi è ad un tempo il tipo e la fonte della vita in società, fondata non sulla forza ma sull'amore. Dio intende questa relazione come un aiuto reciproco; e l'uomo, riconoscendo nella donna, che Dio gli ha presentata, l'espressione di se stesso, si dispone alla pericolosa uscita da sé che è costituita dall'amore. Ogni incontro con il prossimo trova in questa prima relazione il suo ideale, al punto che Dio stesso esprimerà l'alleanza contratta con il suo popolo sotto l'immagine delle nozze (cfr. sposo-sposa).

Uomo e donna, senza vesti, sono « nudi e non provano vergogna l'uno dinanzi all'altra ». Tratto significativo: la relazione sociale è ancora senz'ombra, perché la comunione Con Dio è totale e splendente di gloria. L'uomo quindi non ha paura di Dio, è in pace Con colui che passeggia familiarmente nel suo giardino, è dialogo trasparente con la sua Compagna, Con gli animali, con tutta la creazione.

d) Ad immagine di Dio. - Il racconto sacerdotale (Gen 1) riassume le affermazioni del jahvista, facendo vedere che la creazione dell'uomo viene a Coronare quella dell'universo, e notando lo scopo di Dio: « Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza... Siate fecondi... soggiogate la terra e abbiate dominio su tutti gli animali » (Gen 1, 26 ss). L'uomo, creato ad immagine di Dio, può entrare in dialogo con lui; egli non è Dio, vive in dipendenza da Dio, in una relazione analoga a quella di un figlio nei confronti del padre (cfr. Gen 5, 3); tuttavia con questa differenza, Che l'immagine non può sussistere indipendentemente da Colui Che deve esprimere, come dice il termine « soffio » nel racconto della Creazione. L'uomo esercita la sua funzione di immagine Con due principali attività: immagine della paternità divina, egli deve moltiplicarsi per riempire la terra; immagine della sovranità (cfr. signore) divina, deve assoggettare la terra al suo dominio. L'uomo è il signore della terra, è presenza di Dio in terra.

2. L'Adamo celeste. - Tale è il progetto di Dio. Ma questo progetto si realizza perfettamente soltanto in Gesù Cristo, Figlio di Dio. Cristo eredita gli attributi della sapienza, « riflesso della luce eterna, specchio senza macchia dell'attività di Dio, immagine della sua eccellenza » (Sap 7, 26). Se Adamo era creato ad immagine di Dio, Cristo solo è «l'immagine di Dio » (2 Cor 4, 4; cfr. Ebr 1, 3). Paolo Commenta: « Egli è l'immagine del Dio invisibile, primogenito di ogni creatura, perché in lui sono state create tutte le Cose, in Cielo e in terra... tutto è stato creato per mezzo di lui e per lui. Egli è prima di tutte le cose e tutto sussiste in lui; è pure il Capo del corpo, cioè della Chiesa » (Col 1, 15-18). Si ritrova ancora la triplice dimensione di Adamo, netta ma sublimata.

a) Il Figlio dinanzi al Padre. - Colui che è l'immagine di Dio, è il Figlio di cui Paolo ha or ora parlato (Col 1, 13). Egli non è semplicemente l'immagine visibile del Die invisibile, è il Figlio sempre unito al Padre. Come dice egli stesso di sé: « Il Figlio non può fare nulla da sé Che non veda fare al Padre... Io non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato » (Gv 5,19 s. 30; cfr. 4, 34). Ciò Che doveva essere Adamo: creatura in relazione costante di dipendenza filiale nei Confronti di Dio, Gesù lo realizza perfettamente. Chi vede lui, vede il Padre (14, 9). b) Cristo e l'universo. - L'uomo compie l'opera delle sue mani; Gesù Compie quella del Padre: « Il Padre mio agisce continuamente, ed io pure agisco » (Gv 5,17). Ora quest'opera è in realtà la stessa creazione: « tutto è stato creato per mezzo di lui »; sotto il suo sguardo la creazione si anima e diventa parabola del regno dei Cieli. E come nel racconto della creazione, tutto ordinato all'uomo, ecco Che « tutto è stato Creato per lui »; di fatto il suo dominio si estende non soltanto sugli animali, ma ad ogni creatura.

c) Cristo e l'umanità. - Egli infine è il « capo, la testa del Corpo ». Ciò significa innanzitutto Che egli è colui Che dà la vita, 1'« ultimo Adamo » (1 Cor 15,45), l'Adamo celeste di cui bisogna rivestire l'immagine (15, 49). È il Capo della famiglia che è la Chiesa, società umana perfetta. Meglio ancora, egli è il principio di unificazione della società costituita dagli uomini (Ef 1, 10). Adamo quindi non trova il senso del suo essere e della sua esistenza che in Gesù Cristo, il Figlio di Dio che si è fatto uomo affinché noi diventassimo figli di Dio (Gal 4,4s).

II. ATTRAVERSO L'IMMAGINE SFIGURATA

All'ideale fissato dalla Creazione, al quale bisogna continuamente riferirsi, non si può più giungere, e neppure mirare direttamente. Oramai l'uomo deve passare dall'immagine mutilata, offerta dal peccatore, all'immagine ideale del servo di Dio. Queste sono le nuove condizioni in cui si svolge la vita dell'uomo concreto.

1. Adamo peccatore. - L'autore di Gen 3 non ha voluto tracciare il quadro di una sconfitta, ma annunziare la vittoria dopo la lotta. Prima di pronunziare il mutamento Che colpirà l'uomo nella sua triplice dimensione, Dio pone nel suo Cuore la speranza: la discendenza della donna sarà senza dubbio Colpita dal calcagno dal suo avversario, ma schiaccerà la testa della razza del serpente (Gen 3, 15). Questo protovangelo illumina i foschi annunci che seguono ed assicurano l'uomo del trionfo finale di Dio.

a) Divisioni della famiglia umana. - Ciò Che Adamo peccatore constata in primo luogo è Che la sua nudità (Ger 3, 7. 11), fin qui solo simboleggiata, diventa separazione: alla domanda di Dio, Adamo, accusando la moglie, fa vedere che rifiuta la solidarietà con essa (Gen 3,12). Dio allora annunzia ad entrambi che la loro unità è scissa: le loro relazioni si eserciteranno sotto il dominio della forza istintiva della Concupiscenza, della sete di potere; il frutto del loro amore verrà loro Concesso solo a prezzo dei dolori del parto. I capitoli della Genesi che seguono mostrano come questa prima divisione si ripercuota attraverso tutti i legami sociali: tra Caino ed Abele, fratelli nemici (Gen 4), tra gli uomini che a Babele non si Comprendono più (Gen 11, 1-9). La storia sacra è un tessuto di divisioni, una sequela di guerre, tra il popolo e le nazioni, tra i membri di questo stesso popolo, tra il ricco ed il povero... Ma la promessa della vittoria rimane, aurora nella notte, ed i profeti non cesseranno di annunziare il principe pacifico che riconcilierà gli uomini fra loro (Is 9, 5 s...).

b) L'universo ostile all'uomo. - Per la colpa di Adamo, ecco che ormai il suolo è maledetto; l'uomo dovrà mangiare il pane non più come un frutto spontaneo della terra, ma a forza di pene, col sudore della sua fronte (3, 17 s). La creazione dunque è, suo malgrado, assoggettata alla corruzione (Rom 8, 20): invece di lasciarsi sottomettere volentieri, essa si rivolta Contro l'uomo; certamente, in qualunque modo, la terra avrebbe tremato, avrebbe prodotto spine; ma questi rovi e queste calamità non significano più soltanto che il mondo è caduco, ma anche che l'uomo è peccatore. E tuttavia i profeti annunciano uno stato paradisiaco (Is 11, 6-9), rivelando a qual punto rimane viva nell'uomo la natura qual è uscita dalle mani del creatore: la speranza non è morta (Rom 8,20).

c) L'uomo in balìa della morte. - « Tu sei polvere e ritornerai in polvere » (Gen 3, 19). Invece di ricevere Come un dono la vita divina, Adamo ha voluto disporre della propria vita, e, mangiando del frutto dell'albero, diventare un dio. Con questa disobbedienza l'uomo ha spezzato il suo legame con la fonte della vita. Mentre la morte sarebbe stata un semplice passaggio verso Dio, non è più soltanto un fenomeno naturale: divenuta fatale, significa il castigo, la morte eterna. È quel che simboleggia pure l'esilio dal paradiso. Avendo rigettato la legge interna (reo-nomìa), l'uomo è abbandonato a se stesso, alla sua fallace auto-nomla. La storia racconta i ripetuti fallimenti di Colui che pensava di uguagliare Dio, ed è diventato soltanto un mortale. Tuttavia il sogno di una vita piena non svanisce; Dio apre di nuovo all'uomo la via verso l'albero della vita (Prov 3, 18; 11, 30): la sua legge, fonte di sapienza per Colui Che la pone in pratica. Ma essa, avendo abbandonato il suo cuore, gli sembra ormai esteriore (etero-nomìa).

d) Divisione della coscienza. - Ora questa legge, Capace di far vedere dov'è la salvezza, ma incapace di darla, scava nell'uomo una divisione ad un tempo mortale e salutare. All'Adamo, che la Comunione con il creatore unificava, succede un Adamo che fugge se stesso fuggendo Dio. Si nasconde dinanzi a Colui Che lo Chiama (Gen 3, 10). Questa paura, caricatura dell'autentico timore di Dio, è contagiosa; significa la divisione della coscienza. Soltanto un essere internamente unificato poteva afferrare e dominare questo intimo divorzio: lo esprime Paolo, illuminato dallo Spirito. Nella lettera ai Romani egli descrive l'io abbandonato dal dominio del peccato ed esistente senza lo Spirito che gli è nondimeno indispensabile. Come un decapitato che rimanesse vivo, egli ha coscienza del suo disordine: « Io sono un essere di carne venduto al potere del peccato. Quel che faccio, non lo comprendo: perché non faccio Ciò Che voglio, ma faccio ciò che odio » (Rom 7, 14 s). Senza cessare di simpatizzare Con la legge di Dio nel suo foro interno, l'uomo, che ha permesso al peccato di installarsi in lui, vede la carne rendere « Carnale » il suo intelletto (Col 2, 18), indurire il suo cuore (Ef 4, 18), tiranneggiare il suo corpo al punto da fargli produrre opere cattive (Rom 8, 13). Gli sembra tosi di andare alla morte in modo irrimediabile. Ciò tuttavia non è vero, perché un atto di fede può strappare il peccatore al dominio della carne. Ma fino a quest'atto di fede, il peccatore rimane in uno stato di alienazione. Gli manca il suo principio di unità e di personalizzazione: lo Spirito. Per bocca di Paolo egli invoca il salvatore con quel grido che era risuonato durante tutto il VT: « O me infelice! chi mi libererà da questo corpo, fonte di morte? » (Rom 7, 24). Con questa invocazione il peccatore termina il suo itinerario: avendo rifiutato di ricevere la vita come un dono, avendo constatato il suo fallimento nell'impadronirsene Con le proprie forze, egli si rivolge infine a colui dal quale viene la grazia. Eccolo nuovamente nell'atteggiamento fondamentale della Creatura; ma il dialogo che inizia è ormai quello di un peccatore con il suo salvatore.

2. Il servo di Dio. - Questo salvatore, Paolo, sull'esempio della comunità primitiva, lo ha visto annunciato da Isaia sotto i tratti del servo di Dio. Di fatto, al momento del trionfo pasquale, i cristiani non si sono rivolti ad una qualche descrizione grandiosa del messia-re, o del glorioso figlio del- l'uomo. Essi non avevano bisogno di un superuomo, ma dell'uomo che porta e toglie il peccato del mondo.

a) Fedele a Dio fino alla morte. - Nel suo servo Dio si compiace e « ha posto il suo spirito, affinché porti con fedeltà il diritto alle nazioni » (Is 42, 1 ss). Mentre pare Che sprechi le sue forze e si affatichi invano, egli sa che Dio lo glorifica continuamente (49, 4 s); è obbediente, come il discepolo di cui ogni mattina Dio apre l'orecchio; non oppone resistenza, neppure sotto gli oltraggi, perché la sua fiducia in Dio non è scossa (50, 4- 7). E quando viene l'ora del sacrificio, « trattato in modo orribile, egli si umilia, non apre bocca, come un agnello condotto al macello » (53, 7). Accetta in modo perfetto la volontà del Signore che fa ricadere su di lui i delitti degli uomini, e offre se stesso alla morte (53, 12). Tale è il servo fedele, ultimo resto dell'umanità, Che con la sua obbedienza riannoda il legame spezzato da Adamo e, accettando la morte, manifesta il carattere assoluto di questo legame.

b) L'uomo dei dolori. - Adamo peccatore s'era visto afflitto da pene e da dolori, II servo porta le nostre sofferenze ed i nostri dolori (Is 53, 3); più ancora, colui che doveva dominare sugli animali, è divenuto simile ad essi, « non ha più apparenza umana » (Is 52, 14), è « un verme, non un uomo » (Sal 22, 7).

c) Dinanzi alla società. - « Oggetto di disprezzo e rifiuto dell'umanità » (Is 53, 3), il servo infine è rigettato da tutti; i suoi contemporanei non vi vedono che fallimento (52, 14); ma, tramite il suo profeta, Dio fa loro riconoscere e confessare il valore espiatorio e salutare di questo sacrificio: « Egli è stato trafitto a motivo dei nostri peccati, schiacciato a motivo dei nostri delitti... Il castigo Che Ci rende la pace è su di lui: grazie alle sue piaghe noi siamo guariti » (53, 5). Nell'uomo di dolore, il profeta intravvede l'intercessore Che prega per i peccatori e la vittima Che giustifica la moltitudine (53, 11). Attraverso la morte del Servo, Adamo può confessarsi vinto dal peccato, ed è proprio nel momento in cui rinuncia alla propria giustizia che si opera la salvezza; l'azione di Dio diventa efficace solo attraverso la passione ultima dell'uomo abbandonato dagli uomini. Invero la vita non è più il risultato di una conquista, ma il frutto sempre nuovo di un dono gratuito.

d) Il servo Gesù Cristo- - La profezia del servo è soggiacente a numerosi inni cristiani primitiviEssi riassumono l'esistenza di Gesù in un dittico che dipinge la miseria e la grandezza dell'uomo: abbassamento ed esaltazione (Fil 2,6-11; Ebr 1,3; Rom 1,3s; ecc.). Colui che, durante tutta la vita, si era nutrito della volontà del Padre, lungi dal ritenere gelosamente la dignità Che lo faceva uguale a Dio, prese la Condizione di schiavo; diventando simile agli uomini, si umiliò ancora di più, obbedendo fino alla morte ed alla morte di croce. Perfettamente obbediente, Gesù si è comportato da vero Adamo, entrando nella solitudine perfetta per diventare il padre della nuova stirpe, fonte di vita per sempre. Pilato lo fa vedere, vestito da re da burla, sul palco: « Ecco l'uomo » (Gv 19, 5): questa è la via della gloria. Attraverso questa immagine sfigurata dal suo peccato, l'uomo deve riconoscere il Figlio di Dio, che « è stato fatto peccato affinché in lui diventassimo giustizia di Dio » (2. Cor 5, 21).

III. AD IMMAGINE DI CRISTO

Adamo, peccatore, non può tornare ad essere pienamente Ciò che è di diritto - « ad immagine di Dio » - se non è nuovamente modellato « ad immagine di Cristo », non semplicemente ad immagine del Verbo, ma ad immagine del crocifisso, vincitore della morte. I valori riconosciuti al C. 2 della Genesi si ritroveranno, trasferiti sulla persona di Cristo. 1. Obbedienza della fede a Gesù Cristo. - L'uomo non deve più rivolgere la sua obbedienza ed il suo omaggio direttamente a Dio né alla legge misericordiosamente donata all'uomo peccatore, bensì a colui Che è venuto ad assumere figura umana (cfr. Rom 10, 5-13); l'unica opera da compiere è di credere in colui che Dio ha mandato (Gv 6,29). Infatti « unico è il mediatore tra Dio e gli uomini, Cristo Gesù, uomo egli stesso » (l Tim 2,5). Unico è il Padre al quale i credenti sono condotti per avere, per mezzo del Figlio, la vita in abbondanza e per sempre.

2. Primato di Cristo. - Gesù dà la vita del Padre perché è « il principio, primogenito di tra i morti... Piacque a Dio far abitare in lui tutta la pienezza, e per mezzo suo riconciliare con sé tutti gli esseri, facendo la pace mediante il sangue della sua croce » (Col 1, 18 ss). Le divisioni Che affliggono l'umanità peccatrice non sono disconosciute, ma sono orinai superate e poste in rapporto ad un essere nuovo, secondo una nuova dimensione, l'essere in Cristo: « Non c'è più né Giudeo né Greco, non c'è più né schiavo né libero, non c'è più né uomo né donna; perché voi tutti non fate che uno in Cristo Gesù » (Gal 3, 28). Tra i sessi la differenza era diventata conflitto; la scissione della coppia si era dilatata in divisioni sociali e razziali. Ritrovando la propria unità in Cristo, l'uomo è in grado di dominare le situazioni umane: libertà o schiavitù, matrimonio o verginità (1 Cor 7), ciascuna ha un senso, ciascuna ha il suo valore in Cristo Gesù. La confusione delle lingue, che simboleggiava la divisione e la dispersione degli uomini, è superata dal linguaggio dello Spirito che Cristo dona continuamente; e questa carità si esprime attraverso la varietà dei carismi, a gloria del Padre.

3. L'uomo nuovo è anzitutto Cristo in persona (Ef 2, 15), ma anche ogni credente nel Signore Gesù. La sua esistenza non è più asservita alla carne, ma vittoria continua dello spirito sulla Carne (Gal 5, 16-25; Rom 8, 5-13). Unito a colui Che prese un « Corpo di carne » (Col 1, 22), il corpo del cristiano partecipando nel battesimo alla morte di Cristo (Rom 6, 5 s), è morto al peccato (Rom 8, 10), il suo corpo di miseria diventerà un corpo di gloria (Fil 3, 21), un « corpo spirituale » (1 Cor 15, 44). Il suo intelletto è rinnovato, trasformato (Rom 12, 2; Ef 4, 3); sa giudicare (Rom 14, 5) alla luce dello Spirito di cui esprime razionalmente le esperienze: non è esso forse l'intelletto stesso di Cristo (1 Cor 2,16)? Se l'uomo non è più un semplice mortale perché la fede ha posto nel suo cuore un germe di immortalità, deve nondimeno morire Continuamente all'« uomo vecchio », in unione con Gesù Cristo morto una volta per tutti; la sua vita è nuova. Così « noi tutti che, a viso scoperto, riflettíamo Come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati in questa stessa immagine, sempre più gloriosa, come conviene all'azione del Signore che è Spirito » (2 Cor 3,18). L'uomo nuovo deve progredire continuamente lasciandosi pervadere dall'immagine unica che è Cristo: attraverso l'immagine sfigurata dell'uomo vecchio si manifesta sempre meglio l'immagine gloriosa dell'uomo nuovo, Gesù Cristo nostro Signore; e con ciò l'uomo « si rinnova ad immagine del suo creatore » (Col 3, 9).

4. Infine la creazione, Che suo malgrado fu assoggettata alla vanità e che fino a questo giorno geme con noi nel travaglio del parto, conserva anch'essa la speranza di essere liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà gloriosa dei figli di Dio. Se, in seguito al peccato, il lavoro resta penoso, è nuovamente valorizzato dalla speranza di essere trasfigurato nella gloria finale (Rom 8,18-30). E quando l'ultimo nemico, la morte, sarà stato distrutto, il Figlio consegnerà il regno a Dio Padre, e così Dio sarà tutto in tutti (1 Cor 15,24-28).

Autore: X. Leon Dufour