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Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Terra


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La vita dell'uomo dipende interamente dalle ricchezze Che la terra nasconde e dalla fertilità del suo suolo; essa è la cornice provvidenziale della sua vita: « i cieli appartengono a Jahve, ma la terra egli l'ha data ai figli di Adamo » (Sal 115, 16). Tuttavia la terra non è Che la Cornice della vita dell'uomo: tra essa e lui C'è un legame intimo. Egli è sorto da questa 'adamah (Gen 2, 7; 3, 19; cfr. Is 64, 7; Ger 18, 6), da cui trae il nome: Adamo. Tutte le antiche Civiltà hanno percepito quest'intimo legame tra la terra e l'uomo, al punto da esprimerlo Con l'immagine molto realistica della terra-madre o della terra-donna; anche Israele. Dio utilizza appunto l'esperienza che l'uomo farà, nell'ambito dell'alleanza, dei suoi legami con la terra, per portarlo a scoprire quelli che attraverso di essa egli intende stabilire Con lui.
Non deve quindi sorprendere vedere la terra e i suoi beni occupare un posto importante nella rivelazione: essa è associata all'uomo in tutta la storia della salvezza, dalle origini fino all'attesa del regno futuro.

VT

I. IL MISTERO DELLE ORIGINI
1. La terra, creazione e proprietà di Dio. - « In principio », Dio Creò il cielo e la terra (Gen 1, 1). La Bibbia presenta due quadri successivi di questa genesi, anteriore all'uomo, ma a lui ordinata. Da una parte Dio separa dalle acque il continente Che chiama « terra », poi lo popola (1, 9- 25); dall'altra parte la terra è un deserto vuoto e sterile (2, 4-6) in Cui Dio pianterà un giardino per Collocarvi l'uomo. Ad ogni modo la terra dipende interamente da lui; è cosa sua: « a lui appartiene la terra » (Sal 24, l; 89, 12; cfr. Lev 25, 23). Dio, essendo il Creatore della terra, ha su di essa un diritto assoluto: egli solo dispone dei suoi beni (Gen 2, 16 s), stabilisce le sue leggi (Es 23, 10), la fa fruttificare (Sal 65; 104). Egli è il suo Signore (Giob 38, 4-7; Is 40, 12. 21-26); essa ne è lo sgabello (Is 66, 1; Atti 7,49). Come tutta la creazione essa gli deve una lode (Sal 66, 1-4; 96; 98, 4; Dan 3, 74) Che prende forma e linguaggio sulle labbra dell'uomo (Sal 104).
2. La terra, dominio dell'uomo. - Dio ha tratto e fatto emergere l'uomo dalla terra, soffiando in lui un alito di vita, per affidargli questa terra e renderlo padrone di essa. L'uomo deve dominarla (1, 28 s); essa è come un giardino di Cui egli è costituito amministratore (2, 8. 15; Eccli 17, 1- 4). Di qui quel legame intimo tra essi, che lascia tante risonanze nella Scrittura. Da un lato l'uomo, Col suo lavoro, imprime sulla terra il suo segno. Ma dall'altro la terra è una realtà vitale che plasma in qualche modo la psicologia dell'uomo. Il suo pensiero ed il suo linguaggio ricorrono Continuamente ad immagini terrene: « Seminatevi la giustizia, mietete frutti di amore... Perché avete coltivato l'empietà? » (Os 10, 12 s). Isaia, nella sua parabola del coltivatore (Is 28, 23 ... ), spiega le prove necessarie alla fecondità soprannaturale partendo dalle leggi della Coltura, mentre il salmista paragona il suo spirito angosciato ad una terra assetata di Dio (Sal 63, 2; 143, 6). 3. La terra, maledetta a causa del peccato. - Se il legame tra l'uomo e la terra è così stretto, donde viene dunque l'ostilità tra l'uomo e la natura ingrata, che tutte le generazioni possono successivamente sperimentare? La terra non è più per l'uomo un paradiso. E' intervenuta una prova misteriosa, ed il peccato ha viziato i loro rapporti. Certo la terra rimane attualmente governata dalle stesse leggi provvidenziali che Dio ha stabilito alle origini (Gen 8, 22), e quest'ordine del mondo rende testimonianza al creatore (Rom 1, 19 s; Atti 14, 17). Ma il peccato ha Causato alla terra una vera maledizione che le fa produrre « spine e Cardi » (Gen 3, 17 s). Essa è un luogo di prova, in cui l'uomo soffre fino a che ritorni infine alla zolla da cui è stato tratto (3, 19; Sap 15, 8). Continua tosi ad affermarsi la solidarietà dell'uomo Con la terra, sia nel bene che nel male.

II. IL POPOLO DI DIO E LA SUA TERRA

Legata all'uomo per le sue origini, la terra conserverà la sua funzione nella rivelazione biblica: a modo suo essa rimane al centro della storia della salvezza.
1. L'esperienza patriarcale. - Tra Babilonia, terra straniera e pericolosa di dove Dio trae Abramo (Gen 11, 31 - 12, 1), e l'Egitto, terra tentatrice e luogo di schiavitù donde Dio trarrà la sua posterità (Es 13, 9...), i patriarchi troveranno in Canaan un luogo di soggiorno Che rimarrà per la loro posterità la terra promessa, « dove scorre latte e miele » (Es 3, 8). Questa terra Dio di fatto la promette ad Abramo (Gen 12,7). Sul suo esempio gli antenati di Israele la percorrono, prima Che essa diventi loro eredità (Gen 17,8). Essi vi sono ancora soltanto come stranieri in soggiorno provvisorio: li guidano unicamente i bisogni dei greggi. Ma più ancora che pascoli o pozzi essi vi trovano il luogo dove si manifesta loro il Dio vivente. Le querce (Gen 18), i pozzi (26, 15 ss; cfr. 21, 3 s), gli altari costruiti (12, 7) sono testimoni Che conservano il ricordo di queste manifestazioni. Taluni di questi luoghi portano il suo nome: Bethel, « casa di Dio » (28, 17 ss), Penuel, « faccia di Dio» (32, 31). Con la grotta di Macpela (23), Abramo inaugura il possesso giuridico di una piccola porzione di questa terra promessa; Isacco, Giacobbe, Giuseppe vorranno riposarvi, facendo così di Canaan la loro patria.

2. Il dono della terra. - La promessa di Dio rinnovata (Gen 26,3; 35,12; Es 6,4) ha conservato negli Ebrei la speranza della terra dov'essi si stabiliranno. Jahve li fa uscire dall'Egitto, terra straniera (cfr. Gen 46,3); tuttavia, per entrare nella terra promessa, è necessaria prima la spogliazione, « la splendida solitudine del deserto » (Deut 32, 10). Israele, il « popolo scelto fra tutte le nazioni che sono sulla terra » (Deut 7, 6), non deve aver altro possesso che Dio. Purificato, può conquistare allora, sotto la guida di Giosuè, Canaan, « luogo in cui nulla manca di ciò che si può avere sulla terra » (Giud 18, 10). Jahve interviene in questa conquista sicché, paradossalmente si può dire che sia stata ottenuta « senza fatica »- È lui che dà la terra al suo popolo (Sal 135, 12); essa è un dono gratuito, una grazia, come l'alleanza da cui deriva (Gen 17, 8; 35, 12; Es 6, 4. 8). Ed Israele si entusiasma, perché Dio non lo ha deluso. « E'una terra buona, ottima » (Num 14, 7; Giud 18, 9) che contrasta Con l'aridità e la monotonia del deBerto; è il paradiso terrestre ritrovato. Il popolo quindi si attacca di colpo a questa « terra felice di torrenti e di fonti,... terra di frumento e di orzo, di viti, di fichi, di melograni, terra di oliveti, di olio, di miele, terra in cui il pane non è misurato » (Deut 8, 7 ss). Non l'ha forse da Dio come una eredità (Deut 15, 4), da quel Dio Che solo egli vuole servire (Gios 24, 16 ss)? La terra ed i suoi beni saranno così per esso un ricordo permanente dell'amore e della fedeltà di Dio alla sua alleanza. Chi possiede la terra possiede Dio; infatti Jahve non è più soltanto il Dio del deserto: Canaan è diventato la sua dimora. A mano a mano che i secoli passano, lo si crede così ben legato alla terra di Israele che David non ritiene possibile adorarlo in terra straniera, appartenente ad altri dèi (1 Sam 26,19), e Naaman porta con sé a Damasco un po' di terra di Israele per poter rendere culto a Jahve (2 Re 5,17).

3. Il dramma di Israele nella sua terra.
a) La legge della terra. - La terra promessa è stata data a Israele come suo « dominio » (Deut 12, 1; 19,14), un dominio che deve procurargli la felicità. Ma non senza sforzo da parte sua: il lavoro è una legge per chi vuole ricevere le benedizioni divine, ed i libri sacri non sonolteneri verso i pigri Che « dormono al tempo della messe » (Prov 10, 5; 12, 11; 24, 30- 34). Fittavolo di Dio su un suolo dove rimane « straniero ed ospite » (Lev 25, 23; Sal 119, 19), Israele deve inoltre soddisfare a diverse obbligazioni. In primo luogo deve manifestare a Dio la sua lode, il suo ringraziamento, la sua dipendenza. E' questo il senso delle feste agricole (Es 23,14 ...) Che associano la sua vita cultuale ai ritmi stessi della natura: feste degli azzimi, della messe, delle primizie (Es 23, 16), del raccolto. In più, l'uso dei prodotti del suolo è soggetto a regole precise: si deve lasciar spigolare il povero e lo straniero (Deut 14, 29; 24, 19-21); per non esaurire il suolo, bisogna abbandonarne i prodotti ogni sette anni (Es 23, 11). Questa legge della terra, ad un tempo religiosa e sociale, indica l'autorità di Dio a Cui il suolo appartiene di diritto. La sua osservanza deve differenziare Israele dai contadini pagani che lo circondano.

b) Tentazione e peccato. - Ora, proprio qui, Israele si troverà alle prese Con la prova e la tentazione. Alla sua terra ha legato la propria attività e la propria vita, imperniate su campo, casa e moglie (Deut 20, 5 ss). Divenuto possidente e sedentario, ridurrebbe facilmente il suo modo di comprendere Dio alle dimensioni del proprio campo e della propria vigna. Israele fa l'esperienza della terra-madre e della terra-donna, nel senso pagano di queste immagini. Mentre impara dai Cananei le leggi della sua vita agricola, tende ad adottarne i costumi religiosi, idolatrici, materialistici. E Jahve diventa sovente per esso un Baal (signore del paese) protettore e garante della fertilità (Giud 2, 11). Di qui la reazione violenta di un Gedeone (6, 25-32), e più tardi quella dei profeti, che fustigano « coloro Che aggiungono Casa a Casa e uniscono campo a campo » (Is 5, 8); essi metteranno in guardia contro i pericoli della sedentarizzazione e della proprietà, in cui vedranno una fonte di furti (cfr. 1 Re 21, 3-19), di rapine (Mi 2, 2), di ingiustizie, di differenze di classi, di arricchimento provocante l'orgoglio e la invidia (cfr. Giob 24,2-12). Come potrebbe il Dio santo sopportare queste cose? Non è evidente che, invece di trovare nella sua terra un segno della bontà di Dio per elevare il proprio Cuore fino a lui, Israele vi si è attaccato egoisticamente, come tutti gli altri membri dell'umanità peccatrice? Questo appello al dialogo scaturisce dall'immagine significativa utilizzata dai profeti della terra-sposa (Os 2, 5; Is 45, 8; 62, 4; cfr. Cant 4, 12; 5, 1; 6,2. 11) e non della terra-donna; la terra Che all'occorrenza serve a designare gli uomini, perché se Dio ne è lo sposo, non è in virtù di essa, ma degli uomini (cfr. 2 Mac 5,19).

c) Ammonizioni e castighi. - Ma Israele non è ancora in grado di capirlo. Perciò, dinanzi a questa situazione, le ammonizioni dei profeti si uniscono alle grida d'angoscia del Deuteronomio: « Guardati dal dimenticare Jahve, tuo Dio! » (Deut 6, 12; 8, 11; 11, 16). Di fatto il popolo che fruisce di una terra meravigliosa (6, 10 s) ha dimenticato donde gli veniva questo beneficio: « Perché Jahve ha amato i tuoi padri... ti ha fatto entrare in questo paese » (4, 37 s; 31, 20). A quale altro scopo quel vagabondare attraverso i paesi stranieri, se non per ricevere infine il dono della terra e per fare l'esperienza dell'amore divino? « Ricordati del cammino Che Jahve ti ha fatto compiere durante quarant'anni nel deserto per umiliarti... e conoscere il fondo del tuo cuore » (8,2). Il diritto di Dio sulla terra è esigente. L'uomo deve rimanere umile, fedele, obbediente (5, 32 - 6, 25). Se agisce in tal modo, riceverà in ricompensa le benedizioni: « Saranno benedetti i prodotti del suo suolo... il frutto del suo bestiame » (28, 4...), perché « Jahve ha cura di questo paese... i suoi occhi rimangono fissi su di esso dal- l'inizio dell'anno fino al termine » (15, 12). Maledizione, invece, se Israele si svia (Deut 28, 33; Os 4, 3; Ger 4, 23-28)! Si intravvede persino la peggiore delle minacce, la perdita della terra: « Sarete strappati dalla terra dove stai per entrare » (Deut 28, 63). Questa minaccia che i profeti precisano con forza (Am 5, 27; Os 11, 5; Ger 16, 18) si realizza infine come un duro castigo divino in mezzo alle angosce della guerra e dell'esilio.

4. Promesse di un futuro. - Tuttavia il castigo, per quanto radicale, non è mai considerato dai profeti Come assoluto e definitivo. Sarà una prova purificatrice, come lo fu quella del deserto. Al di là sussiste una speranza il Cui oggetto riveste tutti i tratti dell'esperienza passata: la terra vi ha ancora una parte Capitale. Questa terra sarà da prima quella di Israele, dove il popolo nuovo sarà ricollocato da Jahve. Purificata ed integralmente sacralizzata (Ez 47, 13 - 48, 35; Zac 14), questa « terra santa » (Zac 2, 16; 2 Mac 1, 7; Sap 12, 3) potrà essere chiamata, Come la sua Capitale Gerusalemme, la sposa di Jahve (Is 62, 4). Ma oltre la terra santa, la terra intera parteciperà con essa alla salvezza: religiosamente accentrata su Gerusalemme (Is 2, 2 ss; 66, 18-21; Sal 47, 8 ss), essa diventerà la « terra di delizie » (Mal 2, 12) di una nuova umanità in cui le nazioni si congiungeranno ad Israele per ritrovare l'unità primitiva. Più ancora, soltanto le origini offrono una rappresentazione adeguata di questa terra trasfigurata. I « cieli nuovi e la terra nuova » Che Dio allora creerà (Is 65, 17) daranno al soggiorno degli uomini i tratti del paradiso primitivo, Con la sua fertilità e le sue meravigliose Condizioni di vita (Am 9, 13; Os 2, 23 s; Is 11, 6-9; Ger 23, 3; Ez 47, 1 s; Gioe 4, 18;Zac 14, 6- 11).
In questa prospettiva il possesso della terra assumerà quindi un significato escatologico, che è ancora accentuato dal passaggio dal piano collettivo al piano individuale, iniziato in Is 57, 13; 60, 21, e sviluppato dai sapienti: « la terra » designa allora ad un tempo quella promessa ad Abramo ed alla sua discendenza, ed un'altra realtà più alta, ma ancora imprecisa; tale è il retaggio dell'uomo giusto che pone tutta la sua fede in Dio (Sal 25, 13; 37, 3...). Innalzato progressivamente dalle preoccupazioni terra terra ad aspirazioni spirituali più pure, Israele è maturo per ricevere il messaggio di Gesù: « Beati i miti, perché erediteranno la terra » (Mt 5, 4).

NT

I. GESU' E LA TERRA

Gesù condivide la sovranità di Dio sulla terra (Col 1, 15 s; Ef 4, 10); senza di lui non è stato fatto nulla (Gv 1, 3); « a lui è stato dato ogni potere in cielo ed in terra » (Mt 28, 18). Tuttavia egli, uomo tra gli uomini, è legato alla terra di Israele Con tutte le fibre del suo essere. 1. Egli viene a rivelate agli uomini un messaggio di salvezza- universale; ma lo fa con il linguaggio di un paese e di una civiltà particolare. I paesaggi e gli usi di Palestina hanno plasmato in qualche modo l'immaginazione di colui che li ha creati. Nelle sue parabole egli ricorre quindi sovente ad immagini che li riflettono: immagine del seminatore e della messe, della vigna e del fico, della zizzania e del granello di senapa, del pastore e delle pecore, della pesca che si praticava sul lago... Senza contare gli insegnamenti Che egli dà in occasione degli spettacoli della vita: « Guardate gli uccelli del cielo... ed i gigli » (Mt 6, 26 ss), le spighe strappate (Mt 12, l-8 par.), il fico sterile (Mt 21, 19).

2. Ma al di là di queste immagini, Gesù fornisce un insegnamento sull'atteggiamento dell'uomo di fronte alle realtà terrene. Con lui l'aspirazione a possedere la terra diventa aspirazione ad entrare in possesso dei beni spirituali (Mt 5, 4); il regno terrestre fa posto alla realtà da esso prefigurata, il regno dei Cieli (Mt 5, 3). Ormai bisogna saper Cristo e il vangelo più dei propri Campi (Mc 10, 29 s): le prospettive strettamente terrene delle promesse profetiche sono quindi definitivamente superate. Non già che le cose di questa terra in Cui viviamo siano condannate in se stesse; ma sono rimesse al loro vero posto, secondario in rapporto all'attesa del regno (Mi 6, 33). Se così è, tutto si stabilisce nell'ordine e la volontà di Dio è fatta « sulla terra come in cielo » (Mt 6, 10). In questo modo paradossale Gesù restituisce il suo valore sacro alla terra degli uomini, opera delle mani di Dio, segno della sua presenza e del suo amere. Se gli uomini se ne sono serviti e se ne serviranno ancora per sviarsi da Dio, per « nascondervi il loro talento » (Mt 25, 13), egli ne riprende la responsabilità con amore (cfr. Col l, 20) e la rende capace di portare il suo mistero: giunge fino a prendere del pane, frutto della terra (Sal 104, 14), per lasciare quaggiù sotto un segno la presenza del suo corpo.

3. Egli è venuto a portare il fuoco sulla terra (Lc 12,49). Per propagarlo ha trovato i suoi primi discepoli tra la massa dei contadini di Galilea e di Transgiordania: essi sono « il sale della terra » (Mt 5, 13). Ecco dunque il vangelo fortemente impiantato in un angolo particolare del nostro universo, in quella stessa terra santa che Dio aveva dato ad Israele. Colà pure, nella capitale Gerusalemme, egli pianterà la sua croce per infiammare la terra intera: allora, « innalzato da terra, trarrò a me tutti gli uomini » (Gv 12, 32). In tal modo la terra santa rimarrà per sempre il centro geografico donde sarà partita la salvezza per Conquistare l'intera umanità.

II. IL NUOVO POPOLO E LA TERRA

1. Ormai il disegno di salvezza universale abbozzato alle origini è restaurato. Dalla terra di Israele il vangelo si estenderà al mondo intero secondo il piano indicato da Gesù: « Sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria, e fino ai confini della terra » (Atti 1, 8; cfr. Mt 28, 16 ss).

2. Con ciò Gesù opera il passaggio non soltanto dalla terra di Israele, racchiusa nei suoi confini, all'universo, ma anche dalla terra materiale a ciò Che essa figurava: la Chiesa e il regno dei cieli. Il popolo del VT aveva creduto alle promesse per entrare in possesso della terra di riposo; ora, questa non era che una figura della salvezza futura. Siamo noi, ora, ad entrare, mediante la fede, nella vera terra del riposo (Ebr 4, 9), in quella dimora celeste dove Gesù risiede dopo la sua risurrezione e di cui abbiamo una pregustazione nella sua Chiesa.

3. In questa nuova prospettiva si rivela il senso che ormai è connesso con il lavoro umano e Con la liturgia. Sull'esempio di Cristo il nuovo popolo è già penetrato con la speranza nella terra di riposo che gli era destinata. Ciò comporta una trasformazione della sua attività terrena. Esso deve ancora « dominare la terra », corre ancora il rischio di impantanarsi nella felicità che essa gli procura (Lc 12, 16-34); ma, con gli occhi fissi su Cristo salito al cielo, deve ormai « pensare alle Cose dell'alto, non a quelle della terra » (Col 3, 2); non per disprezzo, ma per « usarne Come se non ne usasse » (1 Cor 7, 31). Lo sguardo celeste del credente non nega, ma porta a compimento la terra dandole il suo vero senso. Di fatto la preghiera liturgica dà una voce alla terra, a tutto ciò che essa contiene, a ciò che essa permette di produrre Con il lavoro. Con ciò l'uomo solleva in qualche modo la terra e la fa salire a Dio- Infatti il nuovo popolo non ha perduto le sue radici terrene; tutto al Contrario « regna sulla terra » (Apoc 5, 10), e finché compie quaggiù il suo pellegrinaggio, non può rimanere sordo al « gemito » della creazione materiale che attende anch'essa la salvezza (Rom 8, 22).

III. LA TERRA NELLA SPERANZA CRISTIANA

Di fatto la terra è associata alla storia del nuovo popolo, come fu coinvolta un tempo nel dramma dell'umanità peccatrice. Anch'essa « attende » « la rivelazione dei figli di Dio... con la speranza d'essere' anch'essa liberata dalla schiavitù della Corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio » (Rom 8, 19 ss). Solidale con l'uomo fin dalle origini, essa rimane tale fino al termine; al pari di esso è oggetto di redenzione, quantunque in modo misterioso. Infatti la terra, nel suo stato attuale, « passerà » (Mt 24, 35 par.), « sarà consumata con le opere che racchiude » (2 Píet 3, 10). Ma per essere sostituita dalla « nuova terra » (Apoc 21, 1) « Che noi aspettiamo secondo la promessa di Dio e in cui abiterà la giustizia » (2 Piet 3, 13).

Autore: G. Becquet
Fonte: Dizionario di Teologia Biblica