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Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Speranza


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Parlare della speranza significa dire il posto che il futuro occupa nella vita religiosa del popolo di Dio, un futuro di fedeltà a cui sono chiamati tutti gli uomini (1 Tim 2, 4). Le promesse di Dio hanno rivelato a poco a poco al suo popolo lo splendore di questo futuro che non sarà una realtà di questo mondo, ma « una patria migliore, Cioè celeste » (Ebr 11, 16): « la vita eterna » in cui l'uomo sarà « simile a Dio » (1 Gv 2,25; 3,2). La fiducia in Dio e nella sua fedeltà, la fede nelle sue promesse, sono quelle Che garantiscono la realtà di questo avvenire (cfr. Ebr 11, 1) e che permettono almeno di intuirne le meraviglie. Da questo momento è allora possibile per il Credente desiderare questo avvenire, o per essere più precisi, sperarlo. Infatti, la partecipazione a questo indubbio avvenire resta problematica, perché dipende da un amore fedele e paziente, di per sé difficile esigenza per una libertà peccatrice. Il credente quindi non può assolutamente fidarsi di se stesso per conseguire questo avvenire. Può solo sperarlo, in piena fiducia, da Dio, in Cui Crede e che è l'unico in grado di rendere la sua libertà capace di amare. Radicata tosi nella fede e nella fiducia, la speranza può dispiegarsi verso l'avvenire e sollevare con il suo dinamismo tutta la vita del credente. Fede e fiducia, speranza, amore sono quindi aspetti diversi di un atteggiamento spirituale complesso, ma unico. In ebraico le stesse radici esprimono sovente l'una o l'altra di queste nozioni; tuttavia il vocabolario della speranza si collega più specialmente alle radici gawah, jahal e batch,, Che i traduttori hanno reso del loro meglio in greco (elpizo, elpìs, pèpoitba, bypomèno...) od in latino (spero, spes, confido, sustineo, exspecto...). Il NT, probabilmente S. Paolo (1 Tess 1, 3; 1 Cor 13, 13; Gal 5, 5 s), stabilirà in tutta la sua chiarezza la triade: fede, speranza, amore.

VT

I. LA SPERANZA DELLE BENEDIZIONI DI JAHVE

La misteriosa promessa Che Dio fece all'umanità peccatrice fin dalle origini (Gen 3, 15; 9, 1-17) attesta Che Dio non la lasciò mai senza speranza; ma soltanto Con Abramo incomincia veramente la storia della speranza biblica. Il futuro assicurato dalla promessa è semplice: una terra ed una numerosa posterità (Gen 12, 1 s; cfr. fecondità). Per secoli gli oggetti della speranza di Israele resteranno dello stesso ordine terreno: « la terra dove scorrono latte e miele » (Es 3, 8. 17), tutte le forme della prosperità (Gen 49; Es 23, 27-33; Lev 26, 3-13; Deut 28). Questo slancio vigoroso verso i beni di questo mondo non fa tuttavia della religione di Israele una semplice morale del benessere. Questi beni terreni sono per Israele delle benedizioni (Gen 39, 5; 49, 25) e dei doni (Gen 13,15; 24,7; 28,13) di Dio Che si dimostra fedele alla promessa ed alla alleanza (Es 23, 25; Deut 28, 2). Quando la fedeltà a Jahve lo esige, questi beni terreni devono quindi essere sacrificati senza esita zione (Gios 6,17-21; 1 Sam 15); il sacrificio di Abramo restava un esempio di speranza perfetta nella promessa dell'onnipotente (Gen 22). Questa situazione lasciava presagire che un giorno Israele avrebbe conosciuto una « speranza migliore » (Ebr 7, 19) verso la quale Dio condurrà lentamente il suo popolo.

II. JAHVE, SPERANZA DI ISRAELE E DELLE NAZIONI

Questo progresso fu anzitutto opera dei profeti, Che, pur purificando ed alimentando la speranza di Israele, gli hanno aperto prospettive già nuove.

1. La falsa speranza. - Israele dimenticò sovente che un futuro felice era un dono del Dio dell'alleanza (Os 2, 10; Ez 16, 15 ss). Era quindi tentato di assicurarsi questo futuro Come le nazioni: mediante un culto formalistico, l'idolatria, la potenza o le alleanze. I profeti denunciano questa speranza illusoria (Ger 8, 15; 13, 16). Senza fedeltà non C'è da sperare la salvezza (Os 12, 7; Is 26, 8 ss; 59, 9 ss). Il giorno di Jahve, « oscuro, senza luce alcuna » (Am 5,20), sarà « il giorno dell'ira » (Sof 1, 15ss). Geremia (1-29) illustra tipicamente questo aspetto del ministero profetico.

2. La vera speranza. - Il futuro sembra talvolta richiudersi dinanzi ad Israele, Che allora è tentato di dire: « La nostra speranza è distrutta » (Ez 37, 11; cfr. Lam 3, 18). Per i profeti la speranza è allora Come nascosta (cfr. Is 8, 16 s), ma non deve sparire; un resto sarà salvato (Am 9, 8 s; Is 10, 19 ss). La realizzazione del disegno di Dio potrà così continuare. Nel momento del castigo, l'annuncio di questo « futuro pieno di speranza » (Ger 29, 11; 31, 17) si fa sentire alle orecchie di Israele (Ger 30 - 33; Ez 34 - 48; Is 40 - 55), affinché sia consolato e la sua speranza permanga (Sal 9,19). La stessa infedeltà di Israele non gli deve impedire di sperare: Dio gli perdonerà (Os 11; Lam 3, 22-23; Is 54, 4-10; Ez 35, 29). Se anche la salvezza può tardare (Ab 2, 3; Sof 3, 8), è Certa, perché Jahve, fedele e misericordioso, è « la speranza di Israele » (Ger 14, 8; 17,13s).

3. Una nuova speranza. - La concezione profetica del futuro è molto complessa- I profeti annunciano la pace, la salvezza, la luce, la guarigione, la redenzione. Intravedono il rinnovamento meraviglioso e definitivo del paradiso, dell'esodo, della alleanza o del regno di David. Israele « sarà saziato dalle benedizioni » (Ger 31, 14) di Jahve (Os 2, 23 s; Is 32, 15; Gy:r 31) e vedrà affluire verso di sé la ricchezza delle nazioni (Is 61). I profeti, figli dell'antico Israele, pongono Israele e la sua felicità (beatitudine) temporale al centro del futuro.

Ma aspirano pure al giorno in cui Israele sarà ripieno della conoscenza di Dio (Is 11, 9; Ab 2, 14) perché Dio avrà rinnovato i cuori (Ger 31, 33 ss; Ez 36, 25 ss), mentre le nazioni si convertiranno (Is 2, 3; Ger 3, 17; Is 45, 14 s). Questo futuro sarà l'epoca di un culto finalmente perfetto (Ez 40 - 48; Zac 14), al quale prenderanno parte le nazioni (Is 56, 8; Zac 14, 16 s; cfr. Sal 86, 8 s; 102, 22 s). Ora il vertice del culto è la contemplazione di Jahve (Sal 63; 84). Per i profeti la speranza di Israele e delle nazioni è Dio stesso (Is 60, 19 s; 63, 19; 51, 5) ed il suo regno (Sal 96 - 99). Tuttavia la felicità di Israele, attesa per il futuro, rimane ancora Collocata sulla terra e, salvo eccezioni (Ez 18), resta collettiva, mentre la fedeltà, da cui dipende la sua venuta, è individuale-.

III. LA SPERANZA DELLA SALVEZZA PERSONALE E L'AL DI LA

Per i pii e i sapienti la speranza del VT è ormai destinata ad evolvere nella cornice della fede nella retribuzione personale. Questa fede urtava contro il problema posto dalla sofferenza del giusto. Probabilmente la fine dell'esilio a Babilonia, o un po' più tardi, un profeta aveva bensì insegnato che questa sofferenza doveva far nascere la speranza e non ostacolarla, perché era redentrice (Is 53). Ma questa anticipazione non ebbe seguito nel VT. La speranza di Giobbe ad es., nonostante i presentimenti (Giob 13, 15; 19, 25 ss), sfocia nell'oscurità (Giob 42, 1- 6). La speranza dei mistici, ripiena della presenza di Dio, sente di essere giunta al suo termine: la sofferenza e la morte non hanno più veramente importanza per essa (Sal 73; 49, 16; cfr. 139, 8; 16). La fede dei martiri fa nascere la speranza della risurrezione (Dan 12, 1 ss; 2 Mac 7), mentre la speranza collettiva si rivolge verso il figlio dell'uomo (Dan 7). La speranza dei sapienti si rivolge verso una pace (Sap 3, 3), un riposo (4, 7), una salvezza (5, 2) che non sono più sulla terra, ma nell'immortalità (3, 4), presso il Signore (5, 15 s). In tal modo la speranza diventa personale (5) e si orienta verso il mondo futuro. La speranza giudaica al tempo di Gesù rifletteva le diverse forme della speranza di Israele. Attendeva un futuro nello stesso tempo materiale e spirituale, accentrato in Dio ed in Israele, temporale ed eterno, collettivo e individuale. La realizzazione di questo futuro in Gesù avrebbe invitato la speranza a purificarsi ulteriormente.

NT

I. LA SPERANZA DI ISRAELE REALIZZATA DA GESU'

Gesù proclama l'avvento in questo mondo del regno di Dio (Mt 4,17). Ma questo regno è una realtà spirituale, accessibile soltanto alla fede. Per essere colmata, la speranza di Israele deve quindi rinunziare ad ogni aspetto materiale della sua attesa: Gesù esige dai suoi discepoli Che accettino la sofferenza e la morte al suo seguito (Mt 16, 24 ss). D'altra parte il regno già presente è non di meno ancora futuro. La speranza quindi continua, ma orientata unicamente verso la vita eterna (18, 8 s), verso la venuta gloriosa del figlio dell'uomo « che renderà a ciascuno secondo il suo operato » (16, 27; 25, 31-46). In attesa di quel giorno la Chiesa, forte delle promesse (16, 18) e della presenza di Gesù (28, 20), deve finire di realizzare la speranza dei profeti, aprendo alle nazioni il regno e la sua speranza (8, 11 s; 28, 19).

II. GESÙ CRISTO, SPERANZA DELLA CHIESA

La speranza della Chiesa è, nella fede, una speranza pienamente appagata. Infatti il dono dello Spirito ha terminato di compiere le promesse (Atti 2, 33. 39). Tutta la forza della sua speranza si concentra quindi nell'attesa del ritorno di Gesù (1, 11; 3, 20). Chiamato parusia (Giac 5, 8; 1 Tess 2,19), giorno del Signore, visita, rivelazione, questo futuro appare vicinissimo (Giac 5, 8; 1 Tess 4, 13 ss; Ebr 10, 25. 37; 1 Piet 4, 7) e Ci si stupisce facilmente che tardi (2 Piet 3, 8 ss). In realtà verrà « Come un ladro nella notte » (l Tess 5, 1 ss; Piet 3, 10; Apoc 3, 3; cfr. Mt 24, 36). Questa incertezza esige che si vegli (1 Tess 5, 6; 1 Pier 5, 8) Con una pazienza incrollabíle nelle prove e nella sofferenza (Giac 5, 7 ss; 1 Tess 1, 4 s; 1 Piet 1, 5 ss; cfr. Lc 21, 19). La speranza della Chiesa è gioiosa (Rom 12, 12), anche nella sofferenza (1 Piet 4, 13; cfr. Mt 5, 11 s), perché la gloria attesa è così grande (2 Cor 4, 17) da ridondare sul presente (1 Piet 1, 8 s). Essa produce la sobrietà (1 Tess 5,8; 1 Piet 4,7) e il distacco (1 Cor 7, 29 ss; 1 Piet 1, 13 s; Tito 2, 12). Che sono infatti i beni terreni nei confronti della speranza di partecipare alla natura divina » (2 Piet 1, 4)? La speranza suscita infine la preghiera e l'amore fraterno (1 Piet 4, 7 s; Giac 5, 8 s). Ancorata nel mondo futuro (Ebr 6, 18), essa anima tutta la vita Cristiana.

III. LA DOTTRINA PAOLINA DELLA SPERANZA

S. Paolo condivide la speranza della Chiesa, ma la ricchezza del suo pensiero e della sua vita spirituale apporta al tesoro comune elementi di grande valore. Così il posto che egli accorda alla « redenzione del nostro corpo » (Rom 8, 23), sia essa trasformazione dei viventi (1 Cor 15, 51; cfr. 1 Tess 4, 13- 18), oppure soprattutto risurrezione dei morti. Non credere a quest'ultima significa per Paolo essere « senza speranza » (1 Tess 4, 13; 1 Cor 15, 19; cfr. Ef 2, 12).

La gloria non coronerà che « la costanza nella pratica del bene » (Rom 2, 7 s; cfr. Ebr 6, 12). Ora la libertà umana è fragile (Rom 7, 12-25). Il cristiano può quindi sperare veramente di aver parte all'eredità promessa (Col 3, 24)? Può e deve, come Abramo, « sperare contro ogni speranza », a motivo della sua fede nelle promesse (Rom 4, 18-25) e della sua fiducia nella fedeltà di Dio che assicurerà la fedeltà dell'uomo (1 Tess 5, 24; 1 Cor 1, 9; cfr. Ebr 10, 23) dalla sua Chiamata (vocazione) fino alla gloria (Rom 8, 28-30).

Il compimento delle promesse in Gesù Cristo (1 Cor 1, 20) ha una parte fondamentale nella riflessione di Paolo. La gloria attesa è una realtà attuale (2 Cor 3, 18 - 4, 6), benché invisibile (2 Cor 4, 18; Rom 8, 24 s). Il battezzato è già risuscitato (Rom 6, 1-7; Col 3, 1); nello Spirito che ha ricevuto come pegno (2 Cor 1, 22; 5, 5; Ef 1, 14) e primizie (Rom 8, 11. 23) del mondo futuro, possiede già questo mondo, e la sua speranza può così « sovrabbondare » (15, 13). Dio ha fatto la grazia della giustificazione a uomini Che Adamo trascinava verso la morte; « quanto più » la loro solidarietà Con il suo Figlio li condurrà alla vita (Rom 5). Questo Compimento in Cristo della speranza di Israele è la rivelazione Completa del motivo della speranza cristiana: un amore tale che nulla e nessuno può strappargli il cristiano (Rom 8,31-39).

Infine la speranza personale di Paolo è un esempio mirabile. Essa si dispiega nella sua anima con un'estrema intensità. Geme di non essere ancora appagata (2 Cor 5, 4 s; Rom 8, 23) ed esulta al pensiero dell'avvenire che attende (1 Cor 15; 54 ss). Alla sua luce le speranze umane più legittime perdono ogni valore (Fil 3, 8). Fondandosi soltanto sulla grazia di Dio e non sulle opere (1 Cor 4, 4; 15, 10; Rom 3,27), essa non di meno anima con il suo dinamismo la corsa (Fil 3, 13 s) e la lotta (2 Tim 4, 7) che Paolo conduce per compiere la sua missione, pur evitando di essere « egli stesso squalificato » (1 Cor 9, 26 s). Essa suscita allora, ma « nel Signore », nuove speranze (Fil 2, 19; 2 Cor 1, 9 s; 4, 7-18). Quando la morte gli sembra vicina, egli attende il premio (Fil 3, 14) Che Coronerà la sua corsa (2 Tim 4, 6 ss; cfr. 1 Cor 3, 8). Ma sa che la sua ricompensa è Cristo stesso (Fil 3,8). La sua speranza è innanzitutto di essere con lui (Fil 1, 23; 2 Cor 5, 8). L'apostolo non attende più la propria felicità personale, ma semplicemente qualcuno che ama. Questo profondo disinteresse della sua speranza si manifesta ancora con la sua apertura alla salvezza degli « altri » (2 Tim 4, 8; 2, 7), cristiani (1 Tess 2, 19) o pagani, ai quali egli vuole rivelare Cristo « speranza della gloria » (Col 1, 24-29). La speranza di Paolo abbraccia tosi, in tutta la sua ampiezza (cfr. Rom 8, 19 ss), il disegno di Dio e risponde « con amore » (2 Tim 4, 8) all'amore del Signore.

IV. LE NOZZE DELL'AGNELLO

La speranza giovannea non Cessa di essere attesa del ritorno del Signore (Gv 14, 3; 1 Gv 2, 18), della risurrezione e del giudizio (Gv 5, 28 s; 6, 39 s). Ma preferisce riposarsi nel possesso di una vita eterna già donata al credente (3, 15; 6, 54; 1 Gv 5, 11 ss) che è già risuscitato (Gv 11, 25 s; 1 Gv 3,14) e giudicato (Gv 3, 19; 5, 24). Il passaggio del cristiano all'eternità non sarà che la manifestazione tranquilla (l Gv 4, 17 s) di una realtà che già esiste (1 Gv 3, 2). Nell'Apocalisse le prospettive sono profondamente diverse. L'agnello risorto, circondato da cristiani (Apoc 5, 11-14; 14, 1-5; 15, 2 ss), trionfa già in cielo, di dove verrà la Chiesa sua sposa (21,2). Ma questa sposa è nello stesso tempo sulla terra (22, 17) dove si svolge il dramma della speranza cristiana alle prese Con la storia. I trionfi apparenti delle potenze sataniche minacciano di stancare questa speranza. In realtà il Verbo invincibile combatte e regna a fianco dei suoi (19, 11-16; 20, 1-6), e la vittoria decisiva è vicina (Apoc 1, 1; 2, 5; 3, 11; 22, 6. 12). La speranza dei cristiani deve quindi trionfare sino alla venuta del « nuovo universo » che realizzerà infine pienamente e definitivamente le profezie del VT (Apoc 21-22).

Alla fine del libro lo sposo promette: « Il mio ritorno è vicino », e la sposa gli risponde: « Vieni, Signore Gesù! » (Apoc 22, 20). Questo appello riprende una preghiera aramaica della Chiesa dei primi tempi: « Marana tha! » (cfr. 1 Cor 16, 22). La speranza cristiana non troverà mai un'espressione migliore, perché in fondo altro non è se non il desiderio ardente di un amore che ha fame della presenza del suo Signore.

Autore: I. Duplacy
Fonte: Dizionario di Teologia Biblica