Scrutatio

Sabato, 20 aprile 2024 - Beata Chiara Bosatta ( Letture di oggi)

Sofferenza


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« Io provo diletto... nelle necessità, nelle angustie » (2 Cor 12, 10), osa scrivere Paolo ai convertiti di Corinto. Il Cristiano non è uno stoico, per cantare « la maestà delle sofferenze umane », ma è discepolo del « capo della nostra fede » che « invece della gioia che gli era proposta, tollerò una croce » (Ebr 12,2). Il Cristiano vede ogni sofferenza attraverso Gesù Cristo; in Mosè, « che stimò come una ricchezza superiore ai tesori dell'Egitto l'obbrobrio di Cristo » (Ebr 11, 26), riconosce la passione del Signore. Ma quali significati assume la sofferenza in Cristo? In Che modo la sofferenza, così spesso maledizione nel VT, diventa beatitudine nel NT? Come può Paolo « sovrabbondare di gioia in tutte le tribolazioni » (2 Cor 7, 4; cfr. 8, 2)? La fede sarebbe insensibile, oppure esaltazione morbosa?

VT

I. LA SERIETA DELLA SOFFERENZA

La Bibbia prende sul serio la sofferenza; non la minimizza, la compatisce profondamente e vede in essa un male che non dovrebbe esistere.
1. Le grida della sofferenza. - Lutti, sconfitte e calamità fanno innalzare nella Scrittura un immenso concerto di grida e di lamenti. Il gemito vi è Così frequente Che ha dato origine ad un genere letterario proprio, quello della lamentazione. Per lo più queste grida salgono a Dio. Certamente il popolo grida presso il faraone per avere pane (Gen 41, 55), e i profeti gridano contro i tiranni. Ma gli schiavi d'Egitto gridano verso Dio (Es 1, 23 s), i figli di Israele gridano verso Jahve (14, 10; Giud 3, 9), ed i salmi sono pieni di queste grida di angoscia. Questa litania della sofferenza si prolunga fino al « forte gemito ed alle lacrime » di Cristo dinanzi alla morte (Ebr 5, 7). 2. Il giudizio dato sulla sofferenza risponde a questa rivolta della sensibilità: la sofferenza è un male che non dovrebbe esistere. Certamente, si sa Che è universale: « L'uomo nato dalla donna ha la vita breve, ma tormenti a sazietà » (Giob 14, 1; cfr. Eccli 40, 1-9), però non vi si rassegna. Sr sostiene che sapienza e salute vanno di pari passo (Prov 3, 8; 4, 22; 14, 30), che la salute è un beneficio di Dio (Eccli 31, 20) del quale gli si rende lode (Eccli 17, 28) e per il quale lo si prega (Giob 5, 8; 8, 5 ss; Sal 107, 19). Parecchi salmi sono preghiere di malati Che domandano la guarigione (Sal 6; 38; 41; 88). La Bibbia non ama il dolore per se stesso; fa l'elogio del medico (Eccli 38, 1-15); attende l'era messianica Come un tempo di guarigione (Is 33, 24) e di risurrezione (26, 19; 29, 18; 61, 2). La guarigione è una delle opere di Jahve (19, 22; 57, 18) e del Messia (53, 4 s). Il serpente di bronzo (Num 21, 6-9) non diventa forse una figura del Messia (Gv 3, 14)? Tutte le sventure pubbliche e private, siccità, perdita di beni, lutti, guerre, schiavitù, esilio, sono sentite come dei mali di cui si attende di venir liberati nei giorni del messia. Il VT non conosce sofferenza volontaria, nel senso ascetico e paolino.

II. Lo SCANDALO DELLA SOFFERENZA

Profondamente sensibile alla sofferenza, la Bibbia, per spiegarla, non può ricorrere, come tante religioni attorno ad essa, alle liti tra i diversi dèi o alle soluzioni dualistiche. Certamente era grande la tentazione per gli esiliati di Babilonia, oppressi dalle loro calamità « immense Come il mare » (Lam 2,13), di credere Che Jahve fosse stato vinto da uno più forte; tuttavia i profeti, per difendere il vero Dio, non pensano a scusarlo, ma a sostenere che la sofferenza non gli sfugge: « Io formo la luce e Creo le tenebre, faccio il benessere e provoco la sciagura » (Is 45, 7; cfr. 63, 3-6). La tradizione israelitica non abbandonerà mai l'audace principio formulato da Amos: « Succede una disgrazia in città senza che Jahve ne sia l'autore? » (Am 3, 6; cfr. Es 8, 12-28; Is 7, 18). Ma questa intransigenza scatena reazioni terribili: « Non c'è Dio! » (Sal 10, 4; 14, 1), Conclude l'empio dinanzi al male del mondo, oppure un Dio « incapace di conoscenza » (73, 11); e la moglie di Giobbe, logica: « Maledici Dio! » (Giob 2, 9). Indubbiamente si sa distinguere ciò che nella sofferenza può avere una spiegazione. Le ferite possono essere prodotte da agenti naturali (Gen 34, 25, Gios 5, 8; 2 Sam 4, 4), le infermità della vecchiaia sono normali (Gen 27, 1; 48, 10). Nell'universo ci sono potenze malvagie, ostili all'uomo, quelle della maledizione e di Satana. Il peccato porta la sventura (Prov 13, 8; Is 3, 11; Eccli 7, 1) e si tende a ricercare una colpa all'origine di ogni sventura (Gen 12, 17 s;42, 21; Gios 7, 6-13): è la convinzione degli amici di Giobbe. All'origine del male che pesa sul mondo bisogna porre il primo peccato (Gen 3,14-19). Il capriccio con cui la morte colpisce senza preavviso le situazioni più diverse è avvertito dolorosamente (Giob 21, 28-33; Prov 11, 4; Am 5, 19). Peggiore ancora è lo scandalo della morte del giusto e della longevità ell'empio (Eccle 7, 15; Ger 12, 1 s). Questo mondo è veramente uno sviamento dalla giustizia (Ab 1, 2-4; Mal 2, 17; Sal 37; 73). Però nessuno di questi agenti, né la natura, né il caso (Es 21, 13), né la fatalità della vita dell'uomo (Giob 4, 1 ss; cfr. 4, 7); né la fecondità funesta del peccato, né la maledizione (Gen 3, 14; 2 Sam 16, 5), né Satana stesso, sfuggono alla potenza di Dio, cosicché Dio stesso è fatalmente in Causa. I profeti non possono comprendere la fortuna degli empi e la disgrazia dei giusti (Ger 12, 1-6; Ab 1, 13; 3, 14-18), ed i giusti perseguitati si credono forzatamente dimenticati (Sal 13, 2; 31, 13; 44, 10-18)- Giobbe intenta un processo Contro Dio e lo sfida a spiegarsi (Giob 13, 22; 23, 7). Un salmista intenta Con violenza lo stesso processo, ma questa volta a motivo delle ingiuste sventure della nazione (Sal 44, 10-27). Tuttavia, malgrado le peggiori catastrofi, il pessimismo ad Israele non ha mai trionfato; è significativo Che l'autore di Giobbe non riesca a concludere il suo libro sulla nota di disperazione, e neppure il malinconico Ecclesiaste, il quale Consiglia, malgrado tutto, di godersi la vita (Eccle 3, 2. 24; 9, 7-10; 11, 7- 10), e neppure i profeti più foschi, nei quali si scopre sempre un moto di speranza e di gioia (Ger 9, 16-23). Presentimenti ancora indistinti della trionfale risurrezione sembrano percorrere Come un afflato tutta la Bibbia (Gen 22; Sal 22; 49; 73; Rom 4,18-21).

III. IL MISTERO DELLA SOFFERENZA

Provati dalla sofferenza, ma sostenuti dalla loro fede, profeti e sapienti entrano progressivamente « nel mistero » (Sal 73, l-7). Scoprono il valore purificatore della sofferenza, come quello del fuoco che libera il metallo dalle sue scorie (Ger 9, 6; Sal 65, 10), il suo valore educativo, quello di una correzione paterna (Deut 8, 5; Prov 3, 11 s; 2 Cron 32, 26.31), e finiscono per vedere nella prontezza del castigo come un effetto della benevolenza divina (2 Mac 6,12-17; 7, 31-38). Imparano a ricevere nella sofferenza la rivelazione di un disegno divino che ci confonde (Giob 42, 1-6; cfr. 38, 2). Prima di Giobbe, Giuseppe ne faceva testimonianza dinanzi ai suoi fratelli (Gen 50, 20). Un simile disegno può spiegare la morte prematura del sapiente, preservato in tal modo dal peccatore (Sap 4, 17-20). In questo senso il VT Conosce già una benedizione della donna sterile e dell'eunuco (Sap 3, 13 s). La sofferenza e la persecuzione possono essere espiazione del peccato (Is 40, 2). La sofferenza, posta dalla fede nel disegno di Dio, diventa una prova altissima, che Dio riserva ai servi di cui è fiero, ad Abramo (Gen 22), a Giacobbe (1, 11; 2, 5), a Tobia (12, 13), per insegnare loro ciò che egli vale e quel che si può soffrire per lui. Così Geremia passa dalla rivolta ad una nuova Conversione (Ger 15,10-19). Infine la sofferenza ha valore di intercessione e di redenzione. Questo valore appare nella figura di Mosè, nella sua preghiera dolorosa (Es 17, 11 ss; Num 11, 1 s) e nel sacrificio Che egli offre della sua vita per salvare un popolo colpevole (32,30-33). Tuttavia Mosè ed i profeti maggiormente provati dalla sofferenza, come Geremia (Ger 8,18. 21; 11, 19; 15, 18), non sono che figure del servo di Jahve.

Il servo Conosce la sofferenza nelle sue forme più terribili, più scandalose. Essa ha Compiuto su di lui tutte le sue devastazioni e lo ha sfigurato al punto da non provocare neppure più la compassione, ma l'orrore ed il disprezzo (Is 52, 14 s; 53, 3); non è in lui un accidente, un momento tragico, ma la sua esistenza quotidiana ed il suo segno distintivo: « uomo dei dolori » (53, 3); non sembra potersi spiegare se non Con una colpa mostruosa ed un castigo esemplare del Dio santo (53, 4). Di fatto C'è colpa, e di proparzione inaudita, ma non in lui: in noi, in tutti noi (53, 6). Egli è innocente: questo è il colmo dello scandalo. Ora proprio qui sta il mistero, « il successo del disegno di Dio » (53, 10). Innocente, « egli intercede per i peccatori» (53, 12) offrendo a Dio non soltanto la sup plica del cuore, ma « la sua propria vita in espiazione » (53, 10), lasciandosi Confondere tra i peccatori (53, 12) per prendere su di sé le loro Colpe. Così lo scandalo supremo diventa la meraviglia inaudita, la « rivelazione del braccio di Jahve » (53, 1). Tutta la sofferenza e tutto il peccato del mondo si sono concentrati su di lui e, poiché li ha portati nell'obbedienza, egli ottiene per tutti la pace e la guarigione (53, 5).

NT

I. GESU' E LA SOFFERENZA DEGLI UOMINI

Gesù, l'uomo dei dolori, in cui si incarna la misteriosa figura del servo sofferente, si dimostra sensibile a ogni dolore umano; non può essere testimone di ima sofferenza senza esserne profondamente Commosso, di una misericordia divina (Mt 9, 36; 14, 14; 15, 32); se egli fosse stato presente, Lazzaro non sarebbe morto: Marta e Maria glielo ripetono (Gv 11, 21. 32) ed egli stesso l'ha lasciato Capire ai Dodici (11, 14). Ma allora, dinanzi ad una emozione Così evidente - « quanto lo amava! » -, Come spiegare questo scandalo: « non poteva egli far sì che quest'uomo non morisse? » (11, 36 s).

1. Gesù Cristo vincitore della sofferenza. - Le guarigioni e le risurrezioni sono i segni della sua missione messianica (Mt 11, 4; cfr. Lc 4, 18 s), i preludi della vittoria definitiva. Nei miracoli compiuti dai Dodici, Gesù vede la sconfitta di Satana (LC 10, 18). Egli realizza la profezia del servo « carico delle nostre malattie » (Is 53, 4) guarendole tutte (Mt 8,17). Ai suoi discepoli dà il potere di guarire in suo nome (MC 15, 17) e la guarigione dell'infermo della porta Bella attesta la sicurezza della Chiesa nascente a questo riguardo (Atti 3, 1-10).

2. Gesù Cristo dichiara beata la sofferenza. - Tuttavia Gesù non sopprime nel mondo né la morte, che egli viene tuttavia a « ridurre all'impotenza » (Ebr 3, 14), né la sofferenza. Rifiuta di stabilire un nesso sistematico tra la malattia o l'accidente ed il peccato (Lc 13, 2 ss; Gv 9, 3), ma lascia Che la maledizione dell'Eden porti i suoi frutti. E questo perché è capace di cambiarli in gioia; non sopprime la sofferenza, ma la consola (Mt 5, 5); non sopprime le lacrime, ne asciuga soltanto qualcuna sul suo passaggio (LC 7, 13; 8, 52), il segno della gioia che unirà Dio ed i suoi figli il giorno in cui « asciugherà le lacrime di tutti i volti » (Is 25, 8; Apoc 7, 17; 21, 4). La sofferenza può essere una beatitudine, perché prepara ad accogliere il regno, permette di « rivelare le opere di Dio » (Gv 9, 3), « la gloria di Dio » e quella del « Figlio di Dio » (11, 4).

II. LE SOFFERENZE DEL FIGLIO DELL'UOMO

Gesù è « familiare con il patire » (Is 53, 3); soffre per la folla « incredula e perversa » (Mt 17, 17) come una « razza di vipere » (Mt 12, 34; 23, 33), soffre del rifiuto dei suoi che « non l'hanno riconosciuto » (Gv 1, 11). Piange dinanzi a Gerusalemme (Lc 19, 41; cfr. Mi 23, 37); « si turba » al pensiero della passione (Gv 12, 27). La sua sofferenza diventa allora un'angoscia mortale, una « agoma », un Combattimento nell'angoscia e nella paura (Mc 14, 33 s; LC 22, 44). La passione concentra tutta la sofferenza umana possibile, dal tradimento fino all'abbandono di Dio (Mt 27, 46). Questo apice coincide Con la grande offerta redentrice di Cristo, il dono espiatorio della sua vita (Mt 20, 28) per il quale è stato inviato nel mondo secondo gli eterni disegni del Padre (Atti 3, 18); Gesù vi si sottomette obbedientemente (Ebr 3, 7-8), amorosamente (Gv 14,31; 15,13): « Bisogna », dei, questa breve parola, sempre associata alla sofferenza, riassume la sua vita e ne chiarisce il mistero; ritorna come un leitmotiv sulle labbra di Gesù quando annuncia la sua passione, senza preoccuparsi dello scandalo di Pietro e dei discepoli (Lc 17, 25; cfr. Mc 8, 31 ss; Mi 17,22 s; LC 9, 42-45). Ma la passione redentrice rivela la gloria del Figlio (Gv 17, 1; 12, 31 s); riunisce « intorno a lui nell'unità i figli di Dio dispersi» (11, 52). Colui Che nei giorni della sua vita mortale, ha potuto « venire in aiuto ai provati » (Ebr 2, 18), nel giorno del giudizio, quando ritornerà in gloria, vorrà identificarsi con tutti i sofferentí della terra (Mt 25,35-40).

III. LE SOFFERENZE DEI DISCEPOLI

Dopo la vittoria di Pasqua, una illusione minaccia i Cristiani: niente più morte, niente più sofferenza; ed essi rischiano di essere scossi nella loro fede dalle realtà tragiche dell'esistenza (cfr. 1 Tess 4, 13). La risurrezione non abolisce gli insegnamenti del vangelo, ma li Conferma. Il messaggio delle beatitudini, l'esigenza della croce quotidiana (Lc 9, 23) assumono tutta la loro urgenza alla luce del destino del Signore. Se la sua stessa madre non è stata risparmiata dal dolore (LC 2, 35), se il maestro, « per entrare nella sua gloria » (Lc 24, 26), ha Conosciuto tribolazioni e persecuzioni, i discepoli devono seguire la stessa via (Gv 15, 20; Mt 10, 24), e l'era messianica è un tempo di tribolazioni (Mi 24, 8; Atti 14, 22; 1 Tim 4, 1).

1. Soffrire con Cristo. - Come il cristiano, se vive, « non è più [lui] che vive, ma Cristo Che vive in [lui] » (Gal 2, 20); così le sofferenze del cristiano sono « le sofferenze di Cristo in [lui] » (2 Cor 1, 5). Il cristiano appartiene a Cristo con il suo stesso corpo, e la sofferenza configura a Cristo (Fil 3, 10). Come Cristo, « pur essendo Figlio, imparò, per le cose patite, l'obbedienza » (Ebr 5, 8), così bisogna che noi « affrontiamo con costanza la prova che ci è proposta, fissando i nostri occhi sul capo della nostra fede... Che tollerò una croce » (Ebr 12, 1 s). Cristo si è fatto solidale con Coloro Che soffrono, e lascia ai suoi la stessa legge (1 Cor 12, 26; Rom 12, 15; 2 Cor 1, 7). 2. Per essere glorificati con Cristo.- Se « noi soffriamo con lui », lo facciamo « per essere pure glorificati con lui » (Rom 8, 17), se « noi portiamo dovunque e sempre nel nostro corpo le sofferenze di morte di Gesù », lo facciamo « affinché la vita di Gesù sia anch'essa manifestata nel nostro corpo » (2 Cor 4, 10). « La grazia di Dio che ci è stata data [non è] soltanto di credere in Cristo, ma di soffrire per lui » (Fil 1, 29; cfr. Atti 9, 16; 2 Cor 11, 23-27). Dalla sofferenza sopportata con Cristo non nasce soltanto « il peso eterno di gloria preparato al di là di ogni misura » (2 Cor 4, 17; cfr. Atti 14, 21) oltre la morte, ma, fin d'ora, la gioia (2 Cor 7, 4; cfr. 1, 5-7). Gioia degli apostoli che fanno a Gerusalemme la loro prima esperienza e scoprono « la gioia di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome » (Atti 5, 41); appello di Pietro alla gioia di « partecipare alle sofferenze di Cristo » per Conoscere la presenza dello « Spirito di Dio, Spirito di gloria » (1 Piet 4, 13 s); gioia di Paolo « nelle sofferenze che sopporta » di poter « Completare nella [sua] carne Ciò Che manca alle prove di Cristo per il suo Corpo, che è la Chiesa » (Col l, 24).

Autore: M. L. Ramlot, L. Guillet
Fonte: Dizionario di Teologia Biblica