Scrutatio

Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Sapienza


font righe continue visite 397
La ricerca della sapienza è comune a tutte le Civiltà dell'Oriente antico. Raccolte di letteratura sapienziale ci sono state lasciate sia dall'Egitto che dalla Mesopotamia, ed i sette sapienti erano leggendari nella Grecia antica. Questa sapienza ha una mira pratica: si tratta per l'uomo di comportarsi con prudenza ed abilità per riuscire nella vita. Ciò implica una Certa riflessione sul mondo e porta pure alla elaborazione di una morale, in cui non manca il riferimento religioso (specialmente in Egitto). Nella Grecia del sec. vi la riflessione prenderà un indirizzo più speculativo e la sapienza si trasformerà in filosofia. Accanto ad una scienza embrionale ed a tecniche che si sviluppano, la sapienza costituisce quindi un elemento importante della civiltà. È l'umanesimo dell'antichità. Nella rivelazione biblica, la parola di Dio assume pure forma di sapienza. Fatto importante, ma Che bisogna interpretare correttamente. Esso non significa che la rivelazione, ad un Certo stadio del suo sviluppo, si trasformi in umanesimo. La sapienza ispirata, anche quando integra il meglio della sapienza umana, è di natura diversa. Già sensibile nel VT, questo fatto appare evidente nel NT.

VT

I. SAPIENZA UMANA E SAPIENZA SECONDO DIO

1. Inizio della sapienza in Israele. - A parte le eccezioni di Giuseppe (Gen 41, 39 s) e di Mosè (Es 2, 10; cfr. Atti 7, 21 s), Israele non ha preso contatto con la sapienza dell'Oriente se non dopo essersi stabilito in Canaan, e bisogna attendere l'epoca regia per vederlo aprirsi ampiamente all'umanesimo del tempo. Qui l'iniziatore è Salomone: « La sapienza di Salomone fu maggiore di quella di tutti gli orientali e di tutta quella dell'Egítto » (1 Re 5, 9-14; cfr. 10, 6 s. 23 s). La parola indica ad un tempo la sua cultura personale e la sua arte di ben governare. Ora, per gli uomini di fede, questa sapienza regale non costituisce un problema: è un dono di Dio, che Salomone ha ottenuto con la preghiera (1 Re 3, 6- 14)- Apprezzamento ottimistico, di cui si ritrovano altrove gli echi: mentre gli scribi di Corte coltivano i generi sapienziali (cfr. gli elementi antichi di Prov 10 - 22 e 25 - 29), gli storici sacri fanno l'elogio di Giuseppe, l'accorto amministratore che aveva da Dio la sua sapienza (Gen 41; 47).
2. La sapienza in discussione. - Ma c'è sapienza e sapienza. La vera viene da Dio, che dà all'uomo « un cuore capace di discernere il bene dal male » (1 Re 3, 9). Ma tutti gli uomini, Come il loro primo padre, sono tentati di usurpare questo privilegio divino, di acquistare Con le loro proprie forze « la conoscenza del bene e del male » (Gen 3, 5 s). Sapienza fallace, verso la quale li attira l'astuzia del serpente (Gen 3, 1). È quella degli scribi che giudicano di tutto secondo viste umane e « cambiano in menzogna la legge di Jahve » (Ger 8, 8), quella dei consiglieri regi che fanno una politica del tutto umana (cfr. Is 29, 15 ss). I profeti insorgono Contro questa sapienza: « Guai a coloro che si credono sapienti, si reputano intelligenti » (Is 5,21). Dio farà sì che la loro sapienza perisca (Is 29, 14 ). Essi saranno presi in trappola per aver disprezzato la parola di Jahve (Ger 8, 9). Infatti questa parola è la sola fonte della sapienza autentica. Gli spiriti sviati l'impareranno dopo il Castigo (Is 29, 24). Il re figlio di David che regnerà « negli ultimi tempi » la possederà in pienezza, ma l'avrà dallo spirito di Jahve (Is 11, 2). L'insegnamento profetico respinge così la tentazione di un umanesimo che pretenderebbe di bastare a se stesso: la salvezza dell'uomo viene da Dio solo. 3. Verso la vera sapienza. - La rovina di Gerusalemme conferma le minacce dei profeti: la falsa sapienza dei consiglieri regi ha dunque condotto il paese alla Catastrofe! Dissipato in tal modo l'equivoco, la vera sapienza potrà manifestarsi liberamente in Israele. Suo fondamento sarà la legge divina, Che fa di Israele il solo popolo sapiente ed intelligente (Deut 4, 6). Il timore di Jahve ne sarà il principio ed il Coronamento (Prov 9, 10; Eccli 1, 14-18; 19, 20). Senza mai lasciare le prospettive di questa sapienza religiosa, gli scribi ispirati vi inseriranno ormai tutto ciò che la riflessione umana può loro offrire di buono. La letteratura sapienziale pubblicata o composta dopo l'esilio è il frutto di questo sforzo. Guarito dalle sue pretese orgogliose, l'umanesimo vi fiorirà alla luce della fede.

II. ASPETTI DELLA SAPIENZA

1. Un'arte di bei: vivere. - Il sapiente della Bibbia è Curioso delle cose della natura (1 Re 5, 13). Le ammira, e la sua fede gli insegna a vedervi la mano potente di Dio (Giob 36, 22 - 37, 18; 38 - 41; Eccli 42, 15 - 43, 33). Ma egli si preoccupa innanzitutto di sapere Come condurre la propria vita per ottenere la vera felicità. Ogni uomo esperto nel suo mestiere merita già il nome di sapiente (Is 40, 20; Ger 9, 16; 1 Cron 22, 15); il sapiente per eccellenza è l'esperto nell'arte di ben vivere. Egli posa sul mondo circostante uno sguardo lucido e senza illusioni; ne Conosce le tare, il Che non vuol dire che le approvi (ad es. Prov 13, 7; Eccli 13, 21 ss). Psicologo, egli sa ciò che si nasconde nel cuore umano, ciò che Costituisce per esso gioia o pena (ad es. Prov 13,12; 14,13; Ecclie 7,2-6). Ma non si limita a questa funzione di osservatore. Educatore nato, egli traccia regole per i suoi discepoli: prudenza, moderazione nei desideri, lavoro, umiltà, ponderazione, modestia, lealtà di linguaggio, ecc... Tutta la morale del decalogo passa nei suoi consigli pratici. Il senso sociale del Deuteronomio e dei profeti gli ispira ammonizioni sull'elemosina (Eccli 7, 32 ss; Tob 4, 7-11), sul rispetto della giustizia (Prov 11, 1; 17, 15), sull'amore dei poveri (Prov 14, 31; 17, 5; Eccli 4, 1-10). Per avvalorare i suoi consigli, egli fa appello quanto più è possibile all'esperienza, in particolare a quella dei vecchi; ma la sua ispirazione profonda viene da più in alto che l'esperienza. Avendo acquistato la sapienza a prezzo di un duro sforzo, egli non desidera che trasmetterla agli altri (Eccli 51, 13-20), ed invita i suoi discepoli a farne con coraggio il difficile apprendistato (Eccli 6, 18-37).~ 2. Riflessione sull'esistenza. - Non bisogna attendersi dal maestro di sapienza israelitica una riflessione di carattere metafisíco sull'uomo, sulla sua natura, sulle sue facoltà, ecc. In compenso, egli ha un senso acuto della sua situazione nell'esistenza e scruta con attenzione il suo destino. I profeti si dedicavano soprattutto alla sorte del popolo di Dio in quanto tale; i testi di Ezechiele sulla responsabilità individuale figurano Come eccezioni (Ez 14,12-20; 18; 33,10-20). Senza cessare di essere attenti al destino globale del popolo dell'alleanza (Eccli 44 - 50; 36, 1-17; Sap 10-12; 15-19), i sapienti si interessano soprattutto alla vita degli individui. Sono sensibili alla grandezza dell'uomo (Eccli 16, 24 - 17, 14) Come alla sua miseria (Eccli 40, 1-11), alla sua solitudine (Giob 6, I1-30; 19, 13-22), alla sua angoscia dinanzi al dolore (Giob 7; 16) ed alla morte (Ecclie 3; Eccli 41,1-4), all'impressione del nulla che gli lascia la sua vita (Giob 14, 1-12; 17; Eccce 1, 4-8; Eccli 18, 8-14), alla sua inquietudine dinanzi a Dio che gli sembra incomprensibile (Giob 10) od assente (23; 30, 20-23). In questa prospettiva non può non essere affrontato il problema della retribuzione, perché le concezioni tradizionali portano a negare la giustizia (Giob 9, 22-24; 21, 7- 26; Eccce 7, 15; 8, 14; 9, 2 s). Ma saranno necessari lunghi sforzi perché, al di là della retribuzione terrena, Così fallace, il problema si risolva nella fede nella risurrezione (Dan 12, 2 s) e nella vita eterna (Sap 5, 15). 3. Sapienza e rivelazione. - Accordando Così ampio spazio all'esperienza ed alla riflessione umana, l'insegnamento dei sapienti è evidentemente di tipo diverso dalla parola profetica, nata da una ispirazione divina, di Cui il profeta stesso è cosciente. Ciò non impedisce Che esso faccia pure progredire la dottrina, proiettando sui problemi la luce delle Scritture lungamente meditate (cfr. Eccli 39, 1 ss). Ora, in epoca tarda, profezia e sapienza si congiungono nel genere apocalittico, per rivelare i segreti del futuro. Se Daniele « rivela i misteri divini » (Dan 2, 28 SS. 47), non lo fa mediante sapienza umana (2, 30), ma perché lo spirito divino, Che in lui risiede, gli dà una sapienza superiore (5, 11. 14). La sapienza religiosa del VT riveste qui una forma caratteristica, di cui l'antica tradizione israelitica presentava già un esempio significativo (cfr. Gen 41, 38 s). Il sapiente vi appare come ispirato da Dio alla pari del profeta.

III. LA SAPIENZA DI DIO

1. La sapienza personificata. - Negli scribi postesilicí il culto della sapienza è tale che essi si compiacciono nel personificarla per darle più rilievo (già Prov. 14, 1). È una diletta Che si cerca avidamente (Eccli 14, 22 ss), una madre che protegge (14, 26 s) ed una sposa che nutre (15, 2 s), un'ospite munifica che invita al suo banchetto (Provi 9, 1-6), all'opposto della signora follia, la cui casa è il vestibolo della morte (9, 13-18). 2. La sapienza divina - Ora questa rappresentazione femminile non deve essere intesa come una semplice figura retorica. La sapienza dell'uomo ha una sorgente divina. Dio la può comunicare a chi vuole, perché egli stesso è il sapiente per eccellenza. Gli autori sacri contemplano quindi in Dio questa sapienza da cui deriva la loro. È una realtà divina che esiste da sempre e per sempre (Provi 8, 22-26; Eccli 24, 9). Uscita dalla bocca dell'Altissimo come il suo respiro o la sua parola (Eccli 24, 3), essa è « un soffio della potenza divina, un'effusione della gloria dell'Onnipotente, un riflesso della luce eterna, uno specchio dell'attività di Dio, un'immagine della sua eccellenza » (Sap 7, 25 s). Essa abita nel cielo (Eccli 24, 4), condivide il trono di Dio (Sap 9, 4), vive nella sua intimità (8, 3). 3. L'attività della sapienza. - Questa sapienza non è un principio inerte. È associata a tutto ciò che Dio fa nel mondo. Presente al momento della creazione, essa si rallegrava al suo fianco (Provi 8, 27-31; cfr. 3, 19 s; Eccli 24, 5), e continua a governare l'universo (Sap 8, 1). Lungo tutta la storia della salvezza, Dio l'ha mandata in missione quaggiù. Essa si è stabilita in Israele, a Gerusalemme, come un albero di vita (Eccli 24, 7- 19), manifestandosi sotto la forma concreta della legge (Eccli 24, 23- 34). Da allora risiede familiarmente tra gli uomini (Provi 8, 31; Bar 3, 37 s). È la provvidenza che dirige la storia (Sap 10, 1 - 11, 4), ed assicura agli uomini la salvezza (9, 18). Svolge una funzione analoga a quella dei profeti, rivolgendo i suoi rimproveri ai noncuranti di Cui annunzia il giudizio (Provi 1, 20-33), invitando coloro che sono docili a beneficiare di tutti i suoi beni (Provi 8, 1-21. 32-36), a sedersi alla sua tavola (Provi 9, 4 ss; Eccli 24, 19-22). Dio agisce per mezzo suo Come agisce mediante il suo spirito (cfr. Sap 9, 17); accoglierla ed essere docili allo spirito è quindi la stessa cosa. Se questi testi non fanno ancora della sapienza una persona divina nel senso del NT, scrutano nondimeno in profondità il mistero del Dio unico e ne preparano una rivelazione più precisa.

4. I doni della sapienza. - Non è sorprendente che questa sapienza sia per gli uomini un tesoro superiore ad ogni Cosa (Sap 7, 7-14). Essendo essa stessa un dono di Dio (8,21), è la distributrice di tutti i beni (Provi 8, 21; Sap 7, 11): vita e felicità (Provi 3, 13-18; 8,32-36; Eccli 14, 25-27), sicurezza (Provi 3, 21-26), grazia e gloria (4, 8 S), ricchezza e giustizia (8, 18 ss), e tutte le virtù (Sap 8, 7s)... Come l'uomo non si sforzerebbe di averla per sposa (8, 2)? Effettivamente essa fa gli amici di Dio (7, 27 s). L'intimità Con essa non si distingue dall'intimità con Dio stesso. Quando il NT identificherà la sapienza con Cristo, Figlio e Verbo di Dio, troverà in questa dottrina l'esatta preparazione di una rivelazione completa. Unito a Cristo, l'uomo partecipa alla sapienza divina e si vede introdotto nella intimità di Dio.

NT

1. Gesù, maestro di sapienza. - Gesù si è presentato ai suoi contemporanei sotto aspetti complessi: profeta di penitenza, ma più che profeta (Mt 12, 41); messia, ma che deve passare attraverso la sofferenza del servo di Jahve prima di conoscere la gloria del figlio dell'uomo (MC 8, 29 ss); dottore, ma non al modo degli scribi (Mc 1, 21 s). Ciò che meglio richiama il suo modo di insegnare, è quello dei maestri di sapienza del VT: egli riprende volentieri i loro generi (proverbi, parabole), dà, al pari di essi, regole di vita (cfr. Mt 5 - 7). Gli spettatori non si ingannano, quando stupiscono di questa sapienza senza pari, accreditata da opere miracolose (Mc 6, 2); Luca la nota già fin dall'infanzia di Cristo (LC 2, 40. 52)- Gesù, da parte sua, lascia Capire che essa pone un problema: la regina del mezzogiorno si è mossa per ascoltare la sapienza di Salomone, ed ecco che qui c'è più che Salomone (Mt 12, 42 par.).

I. GESù E LA SAPIENZA

2. Gesù, sapienza di Dio. - Effettivamente Gesù promette ai suoi il dono della sapienza in nome proprio (Lc 21, 15). Misconosciuto dalla sua generazione incredula, ma accolto dai Cuori docili a Dio, egli conclude misteriosamente: « La sapienza è stata giustificata dai suoi figli » (Lc 7, 35; oppure « dalle sue opere » (Mt 11, 19). Il suo segreto traspare ancora meglio quando egli modella il suo linguaggio su quello che il VT attribuiva alla sapienza divina: « Venite a me... » (Mt 11, 28 ss; cfr. Eccli 24, 19); « Chi viene a me, non avrà più fame, chi crede in me non avrà più sete » (Gv 6, 35; cfr. 4, 14; 7, 37; Is 55, 1 ss; Provi 9, 1-6; Eccli 24, 19-22). Questi appelli superano ciò che si aspetta da un sapiente comune; fanno intravvedere la misteriosa personalità del Figlio (cfr. Mi 11, 25 ss par.). La lezione è stata raccolta dagli scritti apostolici. Se Gesù vi è Chiamato « sapienza di Dio » (1 Cor 1, 24. 30), non è soltanto perché egli comunica la sapienza agli uomini, ma perché è egli stesso la sapienza. Per parlare della sua preesistenza presso il Padre, si riprendono quindi i termini stessi che definivano un tempo la sapienza divina: egli è il primogenito prima di ogni creatura e l'artefice della creazione (Col 1, 15 ss; cfr. Prov 8, 22-31), lo splendore della gloria di Dio e l'impronta della sua sostanza (Ebr 1, 3; cfr. Sap 7, 25 s). Il Figlio è la sapienza del Padre, come ne è pure il Verbo (parola) (Gv 1, 1 ss). Questa sapienza personale un tempo era nascosta in Dio, quantunque governasse l'universo, dirigesse la storia, si manifestasse indirettamente nella legge e nell'insegnamento dei sapienti. Ora è rivelata in Gesù Cristo. Così tutti i testi sapienziali del V assumono in lui la loro portata definitiva.

II. SAPIENZA DEL MONDO E SAPIENZA CRISTIANA

1. La sapienza del mondo condannata. - Nel momento di questa rivelazione suprema della sapie ricomincia il dramma Che i profeti avevano già posto in evidenza. Divenuta stolta dopo Che av disconosciuto il Dio vivente (Rom 1, 21 s; 1 Cor 1, 21), la sapienza di questo mondo ha portato colmo la sua follia quando gli uomini « hanno crocifisso il Signore della gloria » (1 Cor 2, 8). Perciò Dio ha condannato questa sapienza dei sapienti (1, 19 s; 3, 19 s), che è « terrena, animale diabolica » (Giac 3, 15); per schernirla, egli ha deciso di salvare il mondo me dfante la follia de croce (1 Cor 1,17-25). Quando si annuncia agli uomini il vangelo della salvezza, si può quindi lasciar da parte tutto Ciò che deriva dalla sapienza umana, dalla cultura e dal parlare forbito (1 C 1, 17; 2,1-5): la follia della croce non tollera mistificazioni.
2. La vera sapienza. - La rivelazione della vera sapienza avviene quindi in modo paradossale. E non è accordata ai sapienti ed agli scaltri, ma ai piccoli (Mt 11, 25); per confondere i sapienti inorgogliti, Dio ha scelto ciò che vi era di stolto nel mondo (1 Cor 1, 27). Bisogna quindi rendersi stolti agli occhi del mondo, per diventare sapienti secondo Dio (3, 18). Infatti la sapien cristiana non si acquista mediante sforzo umano, ma per rivelazione del Padre (Mi 11, 25 ss). Es è, in sé, cosa divina, misteriosa e nascosta, che non è possibile sondare mediante l'intelligenza umana (1 Cor 2, 7 ss; Rom 11, 33 ss; Col 2, 3). Manifestata mediante il compimento storico del salvezza (Ef 3, 10), essa può essere comunicata soltanto dallo Spirito di Dio agli uomini che gli sono docili (1 Cor 2, 10-16; 12, 8; Ef 1, 17).

III. ASPETTI DELLA SAPIENZA CRISTIANA

1. Sapienza e rivelazione. - La sapienza cristiana, qual è stata descritta, presenta nette affinità co apocalissi giudaiche: non è in primo luogo regola di vita, ma rivelazione del mistero di Dio (1 C 2, 6 ss), vertice della conoscenza religiosa che Paolo chiede a Dio per i fedeli (Col 1, 9) e di cui questi possono istruirsi reciprocamente (3,16), « con un linguaggio insegnato dallo Spirito » (1 2,13).
2- Sapienza e vita morale. - Tuttavia l'aspetto morale della sapienza non è eliminato. Alla luce d rivelazione di Cristo, sapienza di Dio, tutte le regole di Condotta, che il VT collegava alla sapie secondo Dio, acquistano al contrario la pienezza del loro significato. Non soltanto ciò che deriv dalle funzioni apostoliche (1 Cor 3,10; 2 Piet 3, 15); ma anche ciò che concerne la vita cristiana ogni giorno (Ef 5, 15; Col 4, 5), in cui bisogna imitare la condotta delle vergini prudenti, non qu delle vergini stolte (follia) (Mt 5, 1-12). I consigli di morale pratica, enunziati da S. Paolo nelle finali delle sue lettere, sostituiscono qui l'insegnamento dei sapienti antichi. Il fatto è ancora più evidente per la lettera di Giacomo, che, su questo preciso punto, oppone la falsa sapienza alla « sapienza dall'alto » (Giac 3, 13-17). Quest'ultima implica una perfetta rettitudine morale. Bisogn sforzarsi di conformarvi i propri atti, pur domandandola a Dio come un dono (Giac 1, 5). Questa è la sola prospettiva in Cui le conquiste dell'umanesimo possono inserirsi nella vita e ne pensiero Cristiani. L'uomo peccatore deve lasciarsi crocifiggere Con la sua sapienza orgogliosa, vuol rinascere in Cristo. Se lo fa, tutto il suo sforzo umano assumerà un senso nuovo, perché si effettuerà sotto la guida dello spirito.

Autore: A. Barucq e P. Grelot
Fonte: Dizionario di Teologia Biblica