Scrutatio

Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Promesse


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I. LE PROMESSE E LA FEDE

Promettere è uno dei termini chiave del linguaggio dell‘amore. Promettere significa impegnare ad un tempo la propria potenza e la propria fedeltà, proclamarsi sicuri del futuro e sicuri di sé, e significa nello stesso tempo suscitare nel partner l‘adesione del cuore e la generosità della *fede. Dal suo modo di promettere, dalla Certezza che possiede di non deludere mai, Dio rivela la sua grandezza unica: «Dio non è un uomo per mentire, né un figlio di Adamo per ritrattarsi» (Num 23, 19). Per lui, promettere è già donare, ma è anzitutto donare la fede capace di aspettare che venga il *dono; e, mediante questa *grazia, è rendere colui Che riceve capace del *ringraziamento (cfr. Rom 4, 20) e di riconoscere nel dono il cuore del donatore. In Israele, le promesse sono le chiavi di una storia della salvezza, che rappresenta la realizzazione delle profezie e dei *giuramenti di Dio (Gen 22, 16-18; Sal 114, 4; Le 1, 73). Questi giuramenti rendono irrevocabili i doni di Dio (Rom 11, 29; Ebr 6, 13 ss). Le infedeltà di Israele determineranno a volte delle restrizioni a tali promesse, che Comunque verranno mantenute grazie ad un *resto, a un «*figlio dell‘uomo» (Dan 7,13 ss). Il giudaismo sottolineerà da una parte la fiducia nelle promesse e dall‘altra, il loro ca rattere di ricompensa: bisogna meritare l‘eredità promessa Con l‘obbedienza ai comandamenti (4 Esd 7, 1. 19 ss). Il cristianesimo, invece, vedrà in esse la pura iniziativa di Dio, il dono promesso a tutti Coloro che credono. Ma, nello stesso periodo, la Comunità di Qumràn vuole limitare ai propri membri osservanti il privilegio delle promesse. Per questo S. Paolo, preoccupato di dimostrare che la vita cristiana si fonda sulla fede, riconosce nella promessa fatta ad Abramo e realizzata in Gesù Cristo (Gal 3, 16-29) la sostanza delle Scritture e del *disegno di Dio. Perciò la lettera agli Ebrei, volendo far apparire nel VT una storia della fede, vi fa apparire nello stesso tempo una storia delle promesse (Ebr 11, 9. 13. 17. 33. 39). Perciò, ancor prima delle riflessioni di Paolo, il discorso di S. Pietro nella Pentecoste, di tono ancora molto arcaico, caratterizza con una perspicacia infallibile il dono dello Spirito e l‘apparizione della Chiesa Come «la promessa» (Atti 2, 39) ed il compimento delle profezie (2, 16). Per un Giudeo le *Scritture sono anzitutto la *legge, la *volontà di Dio da osservarsi a qualunque costo; per i cristiani esse diventano anzitutto il libro delle promesse; gli Israeliti furono i depositari delle promesse (cfr. Rom 9, 4), i cristiani ne sono gli eredi (Gal 3,29). Il linguaggio del NT traduce questa scoperta: mentre l‘ebraico non ha termini particolari per designare la nozione di promessa, e l‘esprime mediante una quantità di termini: *parola, *giuramento, *benedizione, *eredità, *terra promessa, o con formule, «il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe», «la stirpe di Abramo», il NT invece Conosce un termine proprio per la promessa, gr. epanghelìa, che sottolinea il valore di questa «parola data»: è una «dichiarazione». D‘altronde il termine è affine a quello di *vangelo, euanghèlion, la «buona novella».

II. ISRAELE, POPOLO DELLE PROMESSE
L‘intuizione Cristiana, messa in Così forte luce dalla lettera ai Galati, scopre una struttura essenziale del VT: l‘esistenza di Israele ha Come fondamento unico e indistruttibile la promessa di Dio. 1. Le promesse ai patriarchi. - Le diverse tradizioni combinate nella Genesi coincidono per farne il libro delle promesse. *Abramo è colui che riceve le promesse (Gen 12, 1. 7; 13,15 ss; 15; 17; Sal 105, 8 s). Esse comportano sempre un erede ed una eredità, una discendenza gloriosa e numerosa, una *terra fertile. Si Collegano ? pure sempre al destino di tutta l‘umanità. La tradizione jahvista fa della benedizione, promessa ad Abramo (Gen 12, 2), la replica divina alla empia impresa di Babele, che sognava di innalzare fino ai Cieli il nome dell‘umanità (11, 4); ma anche una riparazione della *maledizione apportata alla terra dal *peccato dell‘uomo (3,17; 4,11) e la prima *figura concreta della speranza vittoriosa che Dio ha fatto intravedere dopo il primo peccato (3,15). Più ancora, questa promessa ha di mira «tutte le famiglie della terra» (12, 3). La tradizione «sacerdotale» collega esplicitamente la *benedizione di Abramo alla benedizione primitiva sulla *creazione (1, 22. 28; 17, 6. 20). Indubbiamente la *circoncisione sembra limitare la portata delle promesse; ma in realtà Israele, mediante questo rito, può aggregarsi qualsiasi razza (34), e vede compiersi la promessa ricevuta da Abramo di essere «il *padre di una moltitudine di popoli» (Gen 17, 5; Eccli 44, 19-22). La benedizione delle famiglie di Seni e di Abramo, preparando «un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19, 6) concretizzerà il privilegio della promessa, quello di essere «un popolo di Dio». 2. Le promesse e la legge. - Le promesse rivolte ai patriarchi, manifestazioni della iniziativa e della *grazia di Dio, comportano già delle esigenze; esse si rivolgono alla *fede, suscitano Cioè un‘esistenza nuova, fondata sulla *parola di Dio: la partenza di Abramo (Gen 12, 1), il suo camminare alla presenza di Dio (17, 1), la sua *obbedienza (22, 1 s). La *legge estende questa esigenza a tutta l‘esigenza del popolo. La legge è la Carta dell‘*alleanza (Es 19, 5; 24, 8; Gios 24, 25 s), cioè il mezzo per Israele di entrare in un‘esistenza *nuova e *santa, di vivere come *popolo di Dio, di abbandonarsi alla sua guida. La legge suppone una promessa anteriore e ne precisa le condizioni. Le promesse offerte all‘obbedienza non sono la sanzione della *giustizia di Israele; esprimono la generosità di un Dio sempre disposto a Colmare di favori i suoi, ma spietato nei Confronti del peccato ed incapace di donarsi a chi non gli offre la sua fede. 3. Le promesse a David. - Affinché tutta la esistenza di Israele riposi sulla fede, bisogna che tutte le sue istituzioni abbiano saldezza soltanto nella *parola di Dio. L‘istituzione monarchica, fondamento normale della comunità nazionale ed espressione della sua volontà di vita, ha in Israele un aspetto paradossale. È nello stesso tempo semplicemente tollerata da Dio, quasi a malincuore, perché corre il grave rischio di menomare la fiducia esclusiva che Jahve rivendica dal suo popolo (1 Sam 8, 7 ss), - ed è portata ad una grandezza e ad un futuro ultraterreni (2 Sam 7). Un ragazzo «tratto dal pascolo» conoscerà «un nome uguale ai più grandi» (2 Sam 7, 9); sarà il fondatore di una dinastia reale (7, 11 s), il privilegiato di Jahve che lo colmerà di beni (Sal 89, 21-30); la sua discendenza, assisa «alla destra di Dio» (Sal 110, 1), erediterà nazioni (Sal 2, 8). Nei momenti del più profondo avvilimento e fino ai tempi di Cristo, queste promesse nutriranno ancora la fede di Israele (Is 11, 1; Ger 23, 5; Zac 6, 12; Lc 1, 32. 69). Le promesse si mantennero a lungo terrene: un figlio, .una terra, un re, un‘abbondante prosperità. Tuttavia, già il Deuteronomio attribuisce ad esse un carattere di appagante felicità. Con i profeti, esse si spiritualizzano e si interiorizzano: l‘essenziale diventa una nuova *alleanza: «Porrò la mia legge in fondo al loro essere e la inscriverò nel loro cuore» (Gen 31, 33). Quest‘alleanza comporta, oltre alla conoscenza interiore, il *perdono di Dio e un *cuore nuovo (Ez 36,26; Sal 51, 12). Proprio quando Gerusalemme ha perduto ogni funzione politica, i profeti le indirizzano promesse meravigliose, i salmisti cantano «Jahve è la mia parte» (Sal 16, 5; 73, 26) e promettono l‘*eredità di Dio e le beatitudini ai *poveri, i sapienti annunciano ai giusti «una speranza piena di immortalità» (Sap 3, 1-5), mentre i martiri attendono la *risurrezione (Dan 12, 2 s; 2 Mac 7). 4. Le promesse messianiche. - Le promesse fatte ai patriarchi e a David, Che assicurano la gloriosa perpetuità della loro stirpe, culminano nell‘attesa di «Colui che deve venire» (Is 26, 20; Ab 2, 3 s LXX). I profeti, accanto alle minacce di castighi, hanno formulato le promesse della speranza messianica. Isaia vede nell‘Emmanuel, nato da una vergine, un segno di benedizione per il popolo (Is 7,14); canta le prerogative future di questo bambino della stirpe di David, «principe della pace» (9, 5 s), «re giusto» (11, 11); secondo Mt 2, 6, Michea nomina il luogo dove nascerà «colui che deve regnare su Israele» e le cui «origini risalgono... ai giorni antichi» (Mi 5,15); Geremia promette un «germe giusto» (Ger 23, 5 s; 33, 15 s; cfr. Is 4, 2; Zac 3, 8 s; 6, 12) che sarà la gloria di Israele e il restauratore del popolo; Ezechiele annuncia il Pastore Che verrà a pascere le sue pecore, come un nuovo David (Ez 34, 23 s; cfr. 37, 24 s); Zaccaria vede il gioioso corteo del re messia Che entra a Gerusalemme in umili sembianze, portatore di pace (Zac 9, 9 s). 5. Le nuove promesse. - Nel momento in cui Israele non esiste più, avendo perduto il suo *re, la sua capitale, il suo *tempio, il suo onore, Dio ne risveglia la fede mediante *nuove promesse. Egli ha l‘ardire di fondarsi sulle «cose antiche» che aveva predetto ad Israele, le minacce di distruzione Che si sono verificate con una esattezza spaventosa (Is 48, 3 ss; 43, 18), per promettergli «Cose nuove, segrete e sconosciute» (48, 6; 42, 9; 43, 19), delle meraviglie inimmaginabili. La sintesi più espressiva di queste meraviglie è la nuova *Gerusalemme, «casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56, 7), *madre di una discendenza innumerevole (54, 3; 60, 4), gioia e orgoglio di Dio (60, 15). 6. Le promesse della sapienza. - Il posto che le promesse di Dio occupano negli scritti *sa_ pienziali provano a qual punto esse costituiscano il fondamento di tutta l‘esistenza di Israele. È vero Che ogni sapienza Contiene una promessa, perché incomincia Col raccogliere e Classificare le esperienze, per discernere i frutti che è possibile attenderne. L‘originalità della sapienza di Israele Consiste nel sostituire a questa attesa, fondata sui calcoli dell‘esperienza, una *speranza di provenienza diversa, venuta dalla fedeltà allo spirito autentico del Jahvismo, «all‘alleanza del Dio altissimo ed alla legge di Mosè» (Eccli 24, 23). La sapienza di Israele gli viene dall‘alto (Prov 8, 22-31; Eccli 24, 2 ss; Sap 9, 4. 10), e perciò la *beatitudine che essa promette (Prov 8, 32-36) supera le speranze umane (Sap 7, 8-11) per mirare al «favore di Jahve» (Prov 8, 35), «all‘amicizia di Dio» (Sap 7, 14). Il Sal 119, eco di queste promesse in un cuore retto, attesta Che esse hanno alimentato la fede in Israele, la certezza Che Dio basta-

III. LE PROMESSE DI GESÙ CRISTO
1. I sinottici. - Gesù, il messia promesso e nel quale «tutte le promesse di Dio hanno il loro sì» (2 Cor 1, 20), si presenta anzitutto come latore di nuove promesse. Inizia la sua predicazione con la promessa della venuta del *regno (Mt 4, 23) e della *beatitudine imminente (Mt 5, 3-10; Lc 6, 20. 23); si aggrega dei discepoli promettendo loro una pesca miracolosa di uomini (4, 19), il potere sulle dodici tribù di Israele (19, 28). A *Pietro promette di fondare su di lui la sua *Chiesa e gli garantisce la vittoria sull‘inferno (16,16 ss). A Chiunque lo segue, promette il centuplo e la vita eterna (19,29); a Chi si dichiara per lui, promette il suo appoggio dinanzi a Dio (10, 32). Egli riprende in proprio tutte le promesse del VT, promesse di un *popolo e di una *terra, di un regno, della beatitudine: esse dipendono dalla sua missione e dalla sua persona. Non sono ancora *compiute, finché non è giunta la sua *ora, e non si può seguire Gesù se non nelle fede, ma Credere in lui significa pervenire al loro compimento, significa già aver trovato (Gv 1,41.45). 2. Il vangelo di Giovanni mette per l‘appunto in luce a qual punto Gesù, per mezzo della sua persona e di tutti i suoi atti, è già nel mondo la presenza viva delle promesse. Egli è tutto ciò che l‘uomo attende, tutto Ciò che Dio ha promesso al suo popolo, la *verità, la *vita, il *pane, l‘*acqua viva, la *luce, la *risurrezione, la *gloria di Dio; ma è tutto questo nella *carne e non può donarsi se non nella *fede. Egli è più di una promessa, è già un dono, ma «donato» alla fede, «affinché Chiunque Crede in lui... abbia la vita eterna» (Gv 3, 16). 3. La promessa dello Spirito. - «La promessa del Padre» (Lc 24, 49; Atti 1, 4) è lo Spirito; «riempiendo l‘universo e tenendo unite tutte le cose» (Sap 1, 7), esso contiene pure tutte le promesse (Gal 3, 14). Affinché quindi esso sia donato, Gesù deve terminare la sua opera sulla terra (Gv 17, 4), deve amare i suoi fino alla fine (13, 1), dare il suo Corpo ed il suo sangue (Lc 22, 19 s). Allora gli sono aperti tutti i tesori di Dio ed egli può promettere tutto: «nel suo nome si può domandare tutto a Dio», si è sicuri di riceverlo (14, 13 s). Questo «tutto», è «lo Spirito di verità, che i? mondo non può ricevere» (14, 17) perché non può credere, e Che è la ricchezza vivente del Padre e del Figlio (16, 15). Quando «tutto è compiuto», Gesù spira e . «rende lo *spirito» (19, 30), ha mantenuto tutte le sue promesse. Egli può promettere ai suoi di essere con essi «fino alla fine del mondo», dal momento Che dà loro «il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo» (Mt 28, PROSTITUZIONE PROVA TENTAZIONE

IV. 1 CRISTIANI, EREDI DELLE PROMESSE
Possedendo lo Spirito, i cristiani sono in possesso di tutte le promesse (Atti 2, 38 s) e, poiché «anche i pagani hanno ricevuto il dono dello Spirito Santo» (10, 45), ciò significa Che anch‘essi, un tempo «estranei all‘alleanza della promessa» (Ef 2, 12), sono divenuti in Cristo «partecipi della promessa» (Ef 3, 6). La promessa, dal momento Che è sempre stata indirizzata alla fede (Rom 4, 13), è «assicurata a tutta la discendenza Che si appoggia... sulla fede di Abramo, padre di noi tutti» (4, 16), Circoncisi ed incirconcisi (4, 9). «Ricolmi di tutte le *ricchezze», «non mancando di alcun dono della grazia» (1 Cot 1, 5. 7), i cristiani non hanno più nulla da desiderare, poiché lo Spirito è in essi un possesso permanente e vivente, un‘*unzione ed un *sigillo. Tuttavia esso non è ancora che «il pegno della nostra eredità» (Ef 1, 14; cfr. 2 Cor 1, 22; 5, 5), «le *primizie... della nostra redenzione» (Rom 8, 23), e la sua preghiera in noi rimane «un gemito» e «una speranza» (8, 23 s). I cristiani sono ancora i pellegrini di una «*patria migliore» (Ebr 11, 16) e vi tendono, sull‘esempio di Abramo, «mediante la fede e la perseveranza» (6, 12. 15). Fino all‘ultimo giorno la promessa è, per l‘amore di Dio, il mezzo di offrirsi alla fede.

Autore: M. L. Ramlot e J. Guillet
Fonte: Dizionario teologico biblico