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Venerdi, 19 aprile 2024 - San Leone IX Papa ( Letture di oggi)

Popolo


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Il tema del popolo di Dio, nel quale si organizzano in sintesi tutti gli aspetti della vita di *Israele, è così centrale nel VT Come lo sarà nel NT il tema della *Chiesa, nuovo popolo di Dio ma anche *corpo di Cristo. Tra i due, l‘escatologia profetica serve da Collegamento: nella Cornice dell‘antica *alleanza, essa annunzia e descrive in anticipo il popolo della nuova alleanza, atteso per la «fine dei tempi». A. IL POPOLO DELL’ANTICA ALLEANZA Per indicare i gruppi umani di una Certa estensione, le parole ebraiche‘am e goy mettevano in evidenza in origine due elementi Costitutivi di essi: la comunità di sangue e la struttura sociologica stabile. Ma nel linguaggio del VT esse sono andate a poco a poco specializzandosi: `am (al sing.) ha designato di preferenza Israele, popolo di Dio, mentre gojim (al pl.) era riservato alle *nazioni straniere, ai pagani (già Num 23, 9); tuttavia quest‘uso Conosce eccezioni. Similmente nella Bibbia greca laòs ha designato il popolo di Dio (più raramente dèmos quando si insisteva sulla sua organizzazione politica) mentre èthne (al pl.) era applicato alle nazioni pagane; ma vi sono ancora eccezioni. Questo fatto linguistico fa vedere che si è sentito il bisogno di una parola speciale per esprimere il carattere particolare di Israele, popolo così diverso dagli altri per il mistero della sua vocazione che la sua esperienza nazionale ha acquistato un significato religioso, ed un aspetto essenziale del disegno di salvezza ha Cominciato a rivelarsi in esso. I. TRASCENDENZA DEL POPOLO DI DIO 1. *Elezione, *vocazione, *alleanza. - Israele, Come tutti gli altri popoli, appartiene alla storia umana; ma, sin dalla sua origine, la rivelazione lo presenta Come trascendente l‘ordine della storia. Esso esiste perché Dio lo ha scelto (Deut 7, 7; Is 41, 8) e chiamato (Is 48, 12) non per il suo numero, per la sua forza od i suoi meriti (Deut 7, 7; 8,17; 9, 4), ma per *amore (Deut 7, 8; Os 11, 1). Avendolo così distinto tra gli altri, lo ha riscattato e liberato al tempo dell‘esodo (Deut 6, 12; 7, 8; 8, 14...; 9, 26). Costituendolo nazíone indipendente, lo ha in qualche modo *creato (cfr. Is 43, 15), formato Come un bambino nel seno materno (Is 44, 2. 24). La coscienza viva di una dipendenza totale nei confronti di Dio accompagna quindi in Israele la presa di coscienza della nazione Come tale. In seguito viene l‘*alleanza, e questo atto di fondazione sottolinea che ormai, per Israele tutto sarà collocato su un duplice piano: quello della storia e quello della fede. Un patto sacro, in cui le dodici tribù sono parti contraenti, è suggellato nel *sangue di un *sacrificio (Es 24, 8); con ciò Jahve diventa il Dio di Israele, ed Israele il popolo di Jahve (cfr. Deut 29,12; Lev 26,12; Ger 7, 23 ecc.; Ez 11, 20 ecc.). Un legame unico s ?intreccia in tal modo tra Dio ed una comunità umana; chiunque, con la *circoncisione, sarà aggregato a questa comunità, parteciperà pure a questo legame (cfr. Gen 17,10 ...). 2. Titoli e funzioni del popolo di Dio. - Israele è il popolo *santo, consacrato a Jahve, separato per lui (Deut 7, 6; 14, 2), sua proprietà (Es 19, 5; Ger 2, 3), sua *eredità (Deut 9, 26). È il suo gregge (Sal 80, 2; 95,7), la sua *vigna (Is 5,1; Sal 80,9), il suo *figlio (Es 4, 22; Os 11, l), la sua *sposa (Os 2, 4; Ger 2,2; Ez 16, 8). È un «*regno di sacerdoti» (Es ì 19, 6), in Cui Dio regna su sudditi votati al suo servizio. Questa finalità cultuale dell‘alleanza fa vedere nello stesso tempo la funzione che Israele svolge nei confronti delle altre nazioni: *testimone del Dio unico presso di esse (Is 44, 8), esso è il popolo-*mediatore per mezzo del quale si riannoderà il legame tra Dio e l‘insieme dell‘umanità, di modo che salga a Dio la lode di tutta la terra (Is 45, 14 s. 23 s) e tutte le nazioni abbiano parte alla *benedizione di Dio (Gen 12,3; Ger 4,2; Ecch 44,21). II. SIGNIFICATO RELIGIOSO DI UNA ESPERIENZA NAZIONALE In virtù dell‘alleanza Israele realizza quindi in seno alla storia umana un paradosso: comunità specificamente religiosa, trascendente per la sua stessa natura, il popolo di Dio è nello stesso tempo un‘entità di questo mondo, che assume tutti gli elementi temporali che compongono quaggiù la vita dei popoli. Di Conseguenza, la sua esperienza nazionale, in Cui tutti gli altri potranno riconoscere il loro volto, assumerà un significato religioso illuminante per la fede. 1. Una comunanza di stirpe. - Il popolo di Israele si raffigura la propria unità interna come derivante dalla sua unità di origine. I patriarchi *ebrei sono i *padri della stirpe, ed i ricordi della storia anteriore all‘esodo si cristallizzano nella cornice di una genealogia che, da *Abramo, porta, attraverso Isacco, a Giacobbe-Israele, padre dei dodici figli, eponimi delle dodici tribù. È vero Che nel corso delle età la stirpe ha assimilato molti elementi eterogenei: già all‘uscita dall‘Egitto (Es 12, 38), nel deserto (Num 11, 4; Gíud 4, 11), dopo la Conquista di Canaan (Gios 9; Giud 3, 1...)... Ma in epoca tarda si nota piuttosto l‘accentuarsi della preoccupazione della *purità del sangue ebraico: vengono proibiti i matrimoni misti, per difendere la «stirpe santa» (Esd 9, 2) contro i popoli pagani Che hanno l‘idolatria nel sangue. Si idealizza perfino il passato collegando alla genealogia patriarcale taluni stranieri assimilati da molto tempo, come i clan calebiti (1 Cron 2, 18; cfr. Num 32, 12 e Gen 15, 19). E questo perché l‘elezione di Israele è passata attraverso i suoi padri: non si vedono forse, ad ogni tappa della loro genealogia, i popoli vicini scartati nei loro padri dal disegno della salvezza (Gen 19, 30; 21,8 ...; 25, 1...; 36)? Per partecipare alle promesse ed alla alleanza divina occorre quindi appartenere alla stirpe di Abramo, l‘amico di Dio (Is 41, 8; 51, 2; cfr. 63, 16; Ger 33,26; Sal 105,6; 2 Cron 20,7). Un certo universalismo sussiste all‘orizzonte del pensiero, perché Abramo deve diventare «padre di numerosi popoli» (Gen 17, 5 s). Ma praticamente gli *stranieri che si convertono al giudaismo, i proseliti (Is 56,8), di fatto si aggregano alla stirpe eletta per partecipare ai suoi privilegi religiosi. La fede comune non è ancora sufficiente per costituire il popolo di Dio; esso ha Come base concreta un ramo etnico scelto da Dio in mezzo agli altri. 2. Una comunanza di istituzioni. - La stirpe dei patriarchi non è una massa amorfa, ma una società organizzata. Le sue Cellule fondamentali, famiglia e clan (mispa(ta), in cui si ritrova la Comunanza del sangue, perdurano nei secoli e sopravvivono persino allo sradicamento della dispersione (Esd 2; Neem 7). Ora, in materia economica, esse determinano la proprietà delle greggi, delle terre, dei diritti di pascolo; determinano usanze come la *vendetta del sangue (Num 35,19), il levirato (Deut 25,5 ...), il diritto di riscatto (Rut 4, 3). Per mezzo di esse ciascun individuo prende coscienza di un‘appartenenza sociale Che lo protegge e nello stesso tempo lo obbliga. I clan si raggruppano a loro volta in tribù, unità politiche di base, e la prima forma Che la nazione organizzata assume è quella di una confederazione di dodici tribù, legate assieme dal patto dell‘alleanza (Es 24, 4; Gios 24). Quando lo stato israelitico prenderà maggior consistenza, la monarchia centralizzata vi si sovrapporrà senza abolirla (2 Sam 2, 4; 5, 3), tanto che, dopo la rovina dell‘edificio monarchico, quando la nazione sarà dispersa, la confederazione delle tribù rimarrà l‘ideale dei restauratori giudaici (cfr. Ez 48). Ora, se questa evoluzione delle istituzioni è determinata da fattori storici diversi, dipende innanzitutto da un principio che trascende la pressione dei fatti: la *legge, di cui Mosè ha posto i fondamenti essenziali e che, sviluppandosi, assicura nel Corso delle età la permanenza di uno stesso spirito negli usi e costumi (cfr. Neem 8). Per mezzo di essa, tutte le istituzioni di Israele acquistano un senso ed un valore in funzione del disegno di Dio: essa è il «pedagogo» provvidenziale del popolo dell‘alleanza (Gal 3, 24). 3. Una comunanza di destino. - Parallelamente alle istituzioni Che strutturano la nazione, la comunanza di destino dà ai suoi membri uno spirito comune: esperienza della vita nomade, dell‘oppressione e della liberazione, delle peregrinazioni nel deserto e delle lotte per il possesso di una patria, dell‘unità nazionale pagata a caro prezzo e dell‘apogeo imperiale, della divisione politica che prelude alla rovina delle due frazioni dello stato, del disastro e della dispersione... Ora queste esperienze hanno un significato religioso; a loro modo sono un‘esperienza concreta delle vie di Dio. Il loro lato luminoso mostra chiaramente i *doni di Dio al suo popolo e fa presagire le sue intenzioni segrete; il loro lato oscuro fa sentire l‘*ira divina, che si manifesta in *giudizi esemplari. Con Ciò la storia diventa *rivelazione. Dalle sue esperienze secolari il popolo di Dio trae schemi di pensiero fondamentali in cui vengono a sistemarsi le esperienze successive (cfr. 1 Mac 2, 51 ...; 2 Mac 8,19); esso trova nel suo passato termini di riferimento per raffigurarsi il proprio avvenire e per esprimere l‘oggetto delle sue speranze (cfr. Is 63, 8-..). 4. II radicamento in una patria. - Dal deserto, sua dimora primitiva, il popolo di Dio è stato condotto in Canaan. $ la *terra dove i suoi padri vissero e dove hanno le loro tombe (Gen 23; 25,9; ecc.); è la terra promessa (Gen 12, 7; 13, 15) e poi data da Dio in *eredità (Es 23, 27 ...; Deut 9, 1...; Ger 2, 7; Sal 78, 54 s); è la terra conquistata nel Corso di un‘impresa umana che realizzava il disegno di Dio (Gios 1, 13 ...; 24, 11 ...). Non è quindi più Canaan, un paese pagano; è-la terra di Israele, la terra santa dove Dio stesso, presente in mezzo al suo popolo, ha posto la sua residenza (1 Re 8, 15). *Gerusalemme, dimora di Jahve e Capitale politica, è un segno sensibile di unità insieme nazionale e religiosa (Sal 122). Perciò la *dispersione, conseguente alla catastrofe nazionale, non fa che rafforzare l‘attaccamento del popolo di Dio alla sua terra. La mistica sionistica nasce già Con il decreto di Cito (Esd 1, 2) e rimane viva nei secoli seguenti (Esd 7). Anche quando soggiornano in mezzo agli stranieri, i Giudei non si sentono mai totalmente sradicati, perché laggiù hanno ancora una *patria, dove sono le tombe dei loro padri (Neem 2, 3), e verso la quale si volgono per pregare (Dan 6, 11). 5. La comunanza di lingua. - Conquistando la terra santa, Israele ha fatto della «lingua di Canaan» (Is 19, 18) la propria lingua. In un popolo, la *lingua è fattore di unità, assicura una mentalità comune, è veicolo di una cultura e di una Concezione del mondo; è una vera patria spirituale. Ora, in Israele, la stessa rivelazione divina si esprime in ebraico, assumendo le categorie di pensiero coniate dalla cultura semitica e beneficiando del Carattere concreto e dinamico dell‘ebraico. Di secolo in secolo prende forma una vera Cultura nazionale, in cui si riconoscono apporti umani molto diversi (cananeo, assirobabilonese, iranico, ed anche greco); ma la rivelazione vi effettua sempre una cernita, eliminando gli elementi non assimilabili, dando alle parole ed alle Concezioni dello spirito nuovi contenuti, in rapporto con il disegno di Dio. Infine, quando i Giudei parlano aramaico o greco, l‘ebraico rimane la «lingua santa»; tuttavia la pratica dei targum e la versione dei Settanta permettono allora all‘aramaico ed al greco di trasmettere a loro volta la dottrina rivelata senza tradirla. In tal modo l‘evoluzione culturale di Israele è dominata dalla parola di Dio, fissata nelle Sacre Scritture; ma per rendersi intelligibile, la parola di Dio ha preso forma in uno stampo giudaico. 6. La comunità cultuale. - Nelle società dell‘antico Oriente il Culto era un aspetto essenziale della vita della città. In Israele il *culto del Dio unico è, per via dell‘alleanza, la funzione suprema della nazione. La lingua ebraica possiede termini tecnici per designare il popolo radunato in questa funzione Cultuale. Esso forma una Comunità Cedah), una convocazione santa (miqra), una assemblea (gahal), e questi termini, tradotti in greco, hanno dato origine alle parole synagoghè ed ekklesìa- Cercando il suo ideale nella Comunità santa del deserto, qual è descritta dal Pentateuco, il giudaismo non è ancora certamente una *Chiesa, nel senso stretto della parola, perché rimane legato alle strutture temporali di una nazione particolare; ma ne abbozza già i tratti, poiché i caratteri specifici del popolo di Israele si rivelano nettamente soprattutto nella sua qualità di comunità cultuale (gahal/ekklesìa). III. L‘ANTICA ALLEANZA: VALORE E LIMITI Già nell‘antica alleanza si è quindi rivelata la struttura sociale del disegno della salvezza: l‘uomo non sarà salvato da Dio evadendo dalla storia; non troverà Dio nella solitudine di una vita religiosa tagliata fuori del mondo. Sarà legato a Dio condividendo la vita ed il destino della comunità scelta da Dio per essere il suo popolo. Questo disegno divino riceve un inizio di realizzazione in Israele, perché i membri del popolo dell‘alleanza posseggono già effettivamente una vita di *fede, che ha come basi le istituzioni e la storia nazionale, nonché la parola di Dio e le assemblee Cultuali. Qui appare il carattere imperfetto di questa realizzazione provvisoria. La vita di fede, come esperienza del rapporto di alleanza con Dio, vi costituisce già una realtà positiva, Che reca in sé la promessa della salvezza definitiva. Ma resta ancora legata a condizioni che la limitano a due punti di vista: le sue prospettive non trascendono né l‘ordine delle cose temporali, né l‘orizzonte di una sola nazione. $ tuttavia, mediante questa stessa unione di una realtà trascendente (il «popolo do Dio») con una realtà nazionale e temporale in Cui essa trova una base visibile, qualcosa del suo mistero profondo è divenuto intelligibile agli uomini: in base alle esperienze di Israele come popolo di questo mondo, i diversi aspetti della società santa, in cui il disegno di salvezza giungerà infine a Compimento, si sono a poco a poco delineati sotto il velo delle *figure. B. LA PROMESSA DEL NUOVO POPOLO L‘economia fondata sull‘antica alleanza non aveva soltanto i limiti Che si sono detti; ma era incapace di a rendere *perfetto» alcunché (Ebr 7, 19; 9, 9; 10, 1), incapace di realizzare quaggiù il «popolo *santo» che Israele era Chiamato a diventare. Lo hanno dimostrato i fatti stessi, poiché i peccati di Israele gli attirarono il *castigo radicale dell‘esilio e della *dispersione. Tuttavia il *disegno di Dio non è divenuto caduco; perciò l‘escatologia profetica annunzia per gli «ultimi *tempi» l‘avvento di una *nuova economia in cui Dio troverà il popolo perfetto di cui l‘antico era l‘abbozzo ed il germe. I. IL POPOLO DELLA NUOVA ALLEANZA 1. Superiorità della nuova alleanza. - Come già Israele, il nuovo popolo deve nascere da una iniziativa di Dio. Ma questa volta Dio trionferà del *peccato Che aveva Contrastato il suo primo disegno: purificherà il suo popolo, ne muterà il *cuore, infonderà su di esso il suo *spirito (Ez 36,26 ...); ne eliminerà i peccatori per conservare un‘ ? ?resto umile e giusto (ls 10, 20 s; Sof 3, 13; Giob 3, 5). Con questo popolo, da lui «*creato» (Is 65, 18) concluderà una nuova *alleanza (Ger 31, 31...; Ez 37,26)- Questo popolo sarà il «popolo santo» (Is 62, 12), il gregge (Ger 31, 10) e la *sposa (Os 2, 21) di Jahve. La rettitudine interiore tosi descritta contrasta con lo stato spirituale di Israele, popolo peccatore; evoca uno stato dell‘umanità anteriore al peccato del suo primo *padre (Gen 2). 2. Universalità del nuovo popolo. - Nello stesso tempo le frontiere del disegno di Dio si allargano, perché le *nazioni si uniranno ad Israele (Is 2, 2...); parteciperanno Con esso alla *benedizione promessa ad Abramo (Ger 4,2; cfr. Gen 12,3) ed all‘alleanza di cui il misterioso *servo di Jahve sarà il mediatore (Is 42,6). La separazione di Israele appare così Come uno stadio provvisorio nello svogimento del disegno divino; alla fine dei tempi, sarà raggiunto l‘universalismo primitivo. II. EVOCAZIONE SIMBOLICA DEL NUOVO POPOLO Per evocare in modo concreto il nuovo popolo, i profeti non hanno che da interrogare l‘esperienza passata del popolo di Israele: se ne vengono eliminate le imperfezioni e le ombre, essa appare Come una *figura anticipata degli «ultimi tempi». 1. Una nuova stirpe. - Israele entrerà nel nuovo popolo in qualità di stirpe di *Abramo (Is 41, 8). Ma anche le *nazioni si uniranno al popolo del Dio di Abramo (Sal 47, 10), Come per diventare a loro volta la posterità spirituale del patriarca. A Sion, *madre simbolica del popolo santo, tutti diranno: «Madre!» (Sal 87). Tutta la stirpe umana ritroverà quindi la sua *unità primitiva, quando si raduneranno i superstiti delle nazioni disperse dopo l‘avventura di Babele (Is 66, 18 ss; cfr. Gen 10-11; Zac 14,17). 2. Nuove istituzioni. - Per descrivere in anticipo il nuovo popolo come una Comunità organizzata, si fa ancora appello alle istituzioni figurative: nuova *legge, scritta questa volta nei cuori (Ger 31, 33; Ez 36, 27); riunione delle dodici tribù (Ez 48) e fine dell‘antagonismo tra Israele e Giuda (Ez 37, 15 ...); regno del germoglio di David (Is 9; 11; Ger 23, 5; Ez 34, 23; Zac 9, 9), ecc. Anche qui l‘universalismo infrange i limiti delle istituzioni passate. Il *re, figlio di David, regna su tutte le nazioni (cfr. Sal 2; 72); soprattutto, esse riconoscono tutte il Dio unico come *re (Zac 14, 16; Sal 96, 10), il cui diritto è insegnato loro perché apporti la *luce (Is 2,2 ...; 42,1. 4). Così, senza perdere la loro personalità, esse si aggregano al popolo di Dio in modo organico. 3. Gli avvenimenti della salvezza. - L‘esperienza storica di Israele fornisce parimenti il mezzo per rappresentare gli avvenimenti della salvezza: nuovo *esodo, che sarà, come il primo, *redenzione e liberazione (Ger 31, 1; Is 43,16...; 44,23); nuova marcia attraverso il *deserto, rinnovando i prodigi di un tempo (Os 2,16; Ger 31, 2; Is 40, 3; 43, 14; 48, 21; 49, 10), ritorno nella *terra promessa (Os 2, 17; Ger 31, 12; Ez 37, 21), trionfo del re sui nemici all‘intorno per inaugurare un regno pacifico (Is 9)... Ma ancora una volta l‘orizzonte si allarga: non soltanto Samaria parteciperà alla restaurazione promessa, ma anche Sodoma (Ez 16, 53 ...), tipo della città peccatrice! La *pace universale così ristabilita alla fine della storia della *salvezza (Is 2) riporterà il genere umano in uno stato che non conosceva più dopo il peccato di Caino (cfr. Gen 4,8). 4. La nuova terra santa. - La *terra santa sarà naturalmente il luogo di raduno del nuovo Israele (Ez 34, 14; Ger 31, 10 ...). Ma allora avrà una *fecondità meravigliosa che supererà di molto le descrizioni più entusiastiche del Deuteronomio (Ez 47, 12; Gioe 4,18). Sarà, letteralmente, un *paradiso ritrovato (Ez 36, 35; Is 51, 3). *Gerusalemme, sua capitale, diventerà il Centro del mondo intero (Is 2). Così, in un universo «ricreato» (Is 65,17), Dio realizzerà l‘unità di tutte le *patrie per assicurare ai suoi eletti una felicità ed una *pace paradisiache (Os 2,20; Is 65, 17-25). 5. Il raduno di tutte le lingue. - Non invano Dio ha fatto della lingua di Canaan la lingua santa; quando negli ultimi tempi l‘Egitto si convertirà, invocherà Jahve nella lingua santa (Is 19,18 ...). Ma l‘escatologia profetica va più lontano: Dio purificherà le *labbra di tutti i popoli, affinché ciascuno possa lodarlo nella sua propria *lingua (Sof 3, 9). Così, in un *culto tornato unanime, si Compirà il raduno delle nazioni e delle lingue (Is 66, 18); esso porrà termine alla divisione del genere umano e sarà il segno della ritrovata unità spirituale, come alle origini del disegno di Dio (Gen 11, 1). 6. Il nuovo culto di Dio. - Il *culto escatologico è evidentemente descritto con i tratti del culto israelitico (cfr. Ez 40- 48). Ma è notevole il fatto che l‘universalismo vi si afferma costantemente. L‘umanità ritroverà la sua unità mediante il comune *servizio del Dio unico (Is 2,2 ...; 56, 6 s; 66, 20 s). Il suo raduno finale assumerà la forma dei pellegrinaggi in cui il popolo di Dio si raduna per la *festa dei tabernacoli (Zac 14,16), e quella dei *pasti cultuali con cui entra in *comunione Con Dio (Is 25,6). Benché il termine non compaia nei testi, si pensa ad una nuova «assemblea santa» analoga al gahal (= ekklesìa) del deserto, dove le nazioni si uniranno al resto di Israele. III. IL POPOLO ESCATOLOGICO E L‘ISRAELE DELLA STORIA Il popolo della nuova alleanza è quindi evocato in anticipo sulla base dell‘esperienza storica d‘Israele, di cui si vede così chiaramente il valore di prefigurazione. Su due punti tuttavia si va oltre i dati dell‘esperienza: la cornice nazionale è superata, ed il nuovo popolo si apre a tutta l‘umanità; l‘umanità e lo stesso universo ritrovano la loro perfezione originale, perduta a motivo del peccato umano- Ma in questo quadro simbolico sussistono talune ambiguità, di cui è in parte responsabile il richiamo all‘esperienza di Israele. La restaurazione della *unità umana attorno al popolo dell‘antica alleanza, al suo re, alla sua città santa, conserva talvolta limitazioni (cfr. Is 52, 1), risonanze nazionalistiche (Is 60, 12), persino un aspetto *guerresco (Sal 2; 72) che tenderà a svilupparsi sotto l‘aspetto della *guerra escatologica (Ez 38 - 39). I? soprattutto, anche se la felicità promessa al nuovo popolo implica la soppressione di ogni male morale e fisico (la *sofferenza: Is 65, 19; la stessa *morte: Is 25, 8), l‘orizzonte rimane per lo più temporale, legato alle *gioie terrene. Perfino il «popolo dei *santi dell‘altissimo» (Dan 7, 22. 27), Che tende a superare questi limiti ed assumere un aspetto trascendente, si vede attribuire un dominio che rassomiglia a quello dei potenti di questo mondo (Dan 7,27; cfr. 14). Perché l‘ambiguità si dissipi, occorrerà Che con Cristo e la sua Chiesa il popolo escatologico entri a sua volta nel Campo dell‘esperienza umana. C. IL POPOLO DELLA NUOVA ALLEANZA Nel greco del NT, meglio ancora che nei Settanta, si ritrova la distinzione dei termini laòs, popolo di Dio, e ethne, nazioni pagane. Ma per definire la Comunità della salvezza, legata a Dio dalla nuova alleanza, il tema della ekklesìa («assemblea Cultuale») prende il sopravvento su tutti gli altri. Tuttavia la *Chiesa di Cristo, dove il popolo dell‘antica alleanza è invitato ad entrare, e poi al suo seguito le altre nazioni, rimane veramente un popolo, Con tutte le risonanze che il termine contiene, perché, succedendo alle sue prefigurazioni, la realtà escatologica non ne abolisce il senso, ma lo porta a *compimento. I. IL NUOVO POPOLO Mediante la nuova *alleanza, suggellata nel sangue di Gesù, Dio ha quindi creato un nuovo popolo, per il quale si realizza pienamente la parola della Scrittura: «Sarete il mio popolo ed io sarò il vostro Dio» (2 Cor 6, 16; cfr. Lev 26, 12; Ebr 8, 10; cfr. Ger 31, 33; Apoc 21, 3). Questo è il popolo di cui Gesù ha *espiato i peccati (Ebr 2, 17), il popolo che egli ha santificato con il suo *sangue (13, 12). Perciò i titoli di Israele sono ora riferiti ad esso: popolo particolare di Dio (Tito 2, 14; cfr. Deut 7, 6), stirpe eletta, nazione santa, popolo di acquisto (1 Piet 2, 9; cfr. Es 19, 5 e Is 43, 20 s); gregge (Atti 20, 28; 1 Piet 5, 2; Gv 10, 16) e *sposa del Signore (Ef 5, 25; Apoc 19, 7; 21, 2). E poiché il popolo dell‘antica alleanza aveva esperimentato le vie di Dio negli avvenimenti della sua storia, l‘esperienza della salvezza accordata al nuovo popolo si può esprimere in Categorie di pensiero Che ricordano quegli eventi figurativi: questo popolo deve entrare nel *riposo divino prefigurato dalla *terra promessa (Ebr 4, 9); deve uscire da *Babilonia, città del male (Apoc 18, 4), per radunarsi in *Gerusalemme, residenza di Dio (Apoc 21, 3). Ma questa volta il livello della vita temporale in cui si muovono le *nazioni è superato. La trascendenza del popolo di Dio è totale: «*regno sacerdotale» (1 Piet 2, 9), esso non appartiene a questo *mondo (Gv 18, 36); la sua *patria è nei Cieli (Ebr 11, 13 ...), dove i suoi membri hanno diritto di cittadinanza (cfr. *città) (Fil 3,20), perché sono i figli della *Gerusalemme di lassù (Gal 4, 26), la stessa che alla fine dei tempi discenderà dal cielo sulla terra (Apoc 21, 1 ss). Tuttavia questo popolo soggiorna ancora quaggiù. Per mezzo suo lo spirituale e l‘escatologico si articolano quindi sul temporale e sullo storico. Dopo il paradosso di Israele, ecco il paradosso della Chiesa: nella sua condizione terrena, essa rimane un popolo visibile chiamato a svilupparsi nel tempo. II. ISRAELE E LE NAZIONI NEL NUOVO POPOLO È naturale che *Israele sia chiamato per primo a far parte del nuovo popolo; è la sua vocazione già nella prima alleanza. Gesù è stato mandato Come «il *profeta simile a *Mosè» (Atti 3, 23) per «salvare il suo popolo» (Mt l, 21), portargli *luce (Mt 4, 15 s), *redenzione (Le l, 68), Conoscenza della *salvezza (Le 1, 77), *gioia (Lc 2, 10), *gloria (Le 2, 32). Egli è il capo Che lo deve governare (Mt 2, 6), e infine morrà per esso (Gv 11, 50). Ma attorno a Gesù, e poi all‘annunzio del *vangelo, si rinnova il dramma del «popolo dalla dura Cervice», di cui il VT forniva già esempi evidenti (Mt 13,15; 15,8; Atti 13,45; 28,26; Rom 10,21; 11, 1 s). Proprio allora il disegno di salvezza raggiunge il suo obiettivo completo. Di fatto la morte di Gesù, che porta al colmo il peccato del popolo dell‘antica alleanza (Mt 23, 32-36; cfr. Atti 7,51 s), pone termine a questa prima economia. Essa abbatte la barriera che separava Israele dalle altre *nazioni (Ef 2, 14...): Gesù muore «non soltanto per la sua nazione, ma per radunare nell‘*unità tutti i *figli di Dio dispersi» (Gv 11, 52). Del primo popolo di Dio un *resto si convertirà e passerà nel nuovo popolo; ma Dio ha deciso di «trarre pure di mezzo alle nazioni un popolo per il suo nome» (Atti 15, 14); di Coloro Che non erano il suo popolo, egli ora vuol fare il suo popolo (Rom 9, 25 s; 1 Piet 2, 10), «affinché tutti abbiano una parte di eredità con i santificati» (Atti 26,18). Mediante questa untone di Israele e delle nazioni si realizza quindi la riunione escatologica della «nuova umanità» (Ef 2, 15), stirpe eletta (1 Piet 2, 9) che è ancora spiritualmente la stirpe di Abramo (Rom 4, 11 s), ma che di fatto comprende tutta la razza umana, ora che Cristo, nuovo *Adamo, ri. capitola in sé tutta la discendenza del primo Adamo (1 Cor 15, 45; Rom 5, 12 ...). Il popolo santo è ormai Costituito da uomini «di tutte le tribù, popoli, nazioni e lingue» (Apoc 5, 9; 7, 9; 11, 9; 13, 7; 14, 6), e l‘antico Israele è incluso in questa enumerazione. Tale è il volto eterno della Chiesa, Che il veggente dell‘Apocalisse Completa nel cielo. Tale è pure la sua realtà terrena, perché non essendo più «né greca, né ebraica» (Gal 3,28), essa costituisce un tertium genus, come dicevano i cristiani dei primi secoli. III. IL NUOVO POPOLO IN CAMMINO VERSO LA SUA CONSUMAZIONE La Chiesa rimane così un «popolo» radicato neila storia. Come i figli di Israele, i suoi membri hanno Comunanza di origine, comunanza di istituzioni e di destino, comunanza di patria verso la quale camminano (Ebr 11, 16), comunanza di lingua assicurata dalla parola di Dio, comunanza di culto, che è la finalità suprema della ekklesìa (cfr. 1 Piet 2,9; Apoc 5, 10). Il destino terreno di questo popolo separato presenta ancora sorprendenti parallelismi con quello di Israele: stesse infedeltà dei suoi membri peccatori (cfr. Ebr 3, 7...); stesse persecuzioni provenienti dalle potenze terrene Che incarnano la *bestia diabolica (Apoc 13, 1-7; cfr. Dan 7); stessa necessità di lasciare *Babilonia per sfuggire alla rovina che la minaccia (Apoc 18, 4...; cfr. Is 48, 20). La storia sacra e le Scritture del VT rimangono così pregne di senso per il nuovo popolo, finché esso è in cammino verso la sua Consumazione celeste.

Autore: P. Grelot
Fonte: Dizionario teologico biblico