Scrutatio

Venerdi, 19 aprile 2024 - San Leone IX Papa ( Letture di oggi)

Peccato


font righe continue visite 871
La Bibbia parla spesso, quasi ad ogni pagina, di questa realtà che noi Chiamiamo comunemente il peccato. I termini Con Cui il VT lo designa sono molteplici e desunti ordinariamente dalle relazioni umane: mancanza, iniquità, ribellione, ingiustizia, ecc.; il giudaismo aggiungerà quello di debito, di cui si servirà anche il NT; più generalmente ancora il peccatore è presentato Come «colui che fa il male agli occhi di Dio», ed «al giusto» (saddíq) si oppone normalmente il «malvagio» (rafia ‘). Ma la vera natura del peccato, la sua malizia e le sue dimensioni appaiono soprattutto attraverso la storia biblica; e noi vi apprendiamo pure Che questa rivelazione sull‘uomo è nello stesso tempo una rivelazione su Dio, sul suo *amore, al quale il peccato si oppone, e sulla sua *misericordia, alla quale esso permette di esercitarsi; infatti la storia della salvezza non è altro che la storia dei tentativi instancabilmente ripetuti dal Dio creatore per strappare l‘uomo al suo peccato.

I. IL PECCATO DELLE ORIGINI
Tra tutti i racconti del VT, quello della caduta con cui si apre la storia dell‘umanità offre già un insegnamento di straordinaria ricchezza. Da esso bisogna partire per comprendere ciò che è il peccato, anche se il termine non vi è pronunziato. 1. Il peccalo di *Adamo vi si manifesta essenzialmente come una disobbedienza, un atto Con Cui l‘uomo si oppone coscientemente e deliberatamente a Dio, violando uno dei suoi precetti (Gen 3, 3); ma al di là di questo atto esterno di ribellione, la Scrittura menziona espressamente un atto interno da cui quello procede: Adamo ed Eva hanno disobbedito perché, cedendo alla suggestione del serpente, hanno voluto «essere come dèi che conoscono il bene ed il male» (3, 5), cioè, secondo l‘interpretazione più comune, sostituirsi a Dio per decidere del *bene e del male: prendendo se stessi per misura, essi pretendono essere i soli padroni del loro destino e disporre di se stessi a modo loro; rifiutano di dipendere da Colui che li ha creati, pervertendo in tal modo la relazione Che univa l‘uomo a Dio. Ora, secondo Gen 2, questa relazione non era soltanto di dipendenza, ma di amicizia. All‘uomo creato «a sua immagine e somiglianza» (Gen 1, 26 s), il Dio della Bibbia non aveva rifiutato nulla; non aveva riservato a se stesso nulla, neppure la *vita (cfr. Sap 2,23) (ad es. Gilgamesh X, 3). Ed ecco Che, per istigazione del serpente, prima Eva, poi Adamo incominciano a dubitare di questo Dio infinitamente generoso: il precetto dato per il bene dell‘uomo (cfr. Rom 7, 10) non sarebbe Che uno strattagemma escogitato da Dio per salvaguardare i propri privilegi, e la minaccia aggiunta al precetto non sarebbe Che una menzogna: «No! Voi non morrete! Ma Dio sa che il giorno in cui mangerete di questo frutto, sarete come dèi che conoscono il bene ed il male» (Gen 3, 4 s). L‘uomo diffida di Dio diventato suo rivale. La nozione stessa di Dio viene ad essere pervertita: alla nozione del Dio sovranamente disinteressato perché sovranamente perfetto, che non manca di nulla e non può che *donare, è sostituita quella di un essere indigente, interessato, tutto occupato a proteggersi contro la sua Creatura. Prima di provocare l‘atto dell‘uomo, il peccato ha corrotto il suo spirito; e poiché lo tocca nella sua stessa relazione con Dio, di cui è l‘*immagine, non si potrebbe concepire perversione più radicale né meravigliarsi Che essa comporti conseguenze così gravi. 2. Le conseguenze del peccato. -- Tra l‘uomo e Dio tutto è mutato: questo è il verdetto della *coscienza. Ancor prima Che intervenga il *castigo propriamente detto (Gen 3, 23), Adamo ed Eva, che fruivano fino allora della familiarità divina (cfr. 2, 25), «si nascondono dinanzi a Jahve Dio tra gli alberi» (3, 8). L‘iniziativa è venuta dall‘uomo e su di lui ricade la *responsabilità della colpa; egli non ha più voluto saperne di Dio e lo fugge; l‘espulsione dal paradiso ratificherà questa volontà dell‘uomo; ma questi allora constaterà che la minaccia non era una menzogna; lontano da Dio non C‘è più possibilità di accesso all‘*albero della vita (3, 22); non C‘è più che la *morte, definitiva. Rottura tra l‘uomo e Dio, il peccato introduce parimenti una rottura tra t membri della società umana, già nel paradiso, entro la stessa coppia primordiale. Appena commesso il peccato, Adamo, accusandola, rinnega la sua solidarietà con colei Che Dio gli aveva dato Come aiuto (2, 18), «osso delle sue ossa e carne della sua carne» (2, 23), ed il castigo consacra questa rottura: «La tua passione ti spingerà verso il tuo marito ed egli dominerà su di te» (3, 16). In seguito, questa rottura si estenderà ai figli di Adamo: ecco l‘uccisione di Abele (4, 8), poi il regno della violenza e della legge del più forte celebrato dal Canto selvaggio di Lamec (4, 24)- E non è tutto. Il mistero del peccato supera il mondo umano. Tra Dio e l‘uomo è entrato in scena un terzo personaggio, di cui il VT non parla quasi, senza dubbio per evitare che se ne faccia un secondo Dio, ma che la sapienza (Sap 2,24) identificherà Col demonio o *Satana e che riapparirà Con il NT. Infine il racconto di questo primo peccato non termina senza Che all‘uomo sia data una speranza. Indubbiamente la schiavitù alla quale egli si è condannato credendo di acquistare l‘indipendenza, è, di per sé, definitiva; il peccato, una volta entrato nel mondo, non può che proliferare, e, a mano a mano che si moltiplicherà, la vita effettivamente diminuirà fino a Cessare completamente col *diluvio (Gen 6, 13 ss). L‘iniziativa della rottura è venuta dall‘uomo; è chiaro che l‘iniziativa della riconciliazione non può venire che da Dio. Ma appunto, già in questo primo racconto, Dio lascia intravvedere che un giorno prenderà l‘iniziativa (3, 15). La bontà di Dio, che l‘uomo ha disprezzato, infine prevarrà; «vincerà il male col bene» (Rom 12,21). La Sapienza precisa Che Adamo «fu liberato dalla sua Colpa» (Sap 10, 1). In ogni caso, la Genesi fa già vedere questa bontà di azione: essa preserva Noè e la sua famiglia dalla corruzione universale e dal suo Castigo (Gen 6, 5-8), al fine di creare con lui, per così dire, un nuovo universo (8, 17. 21 s, confrontato Con 1, 22. 28; 3, 17); soprattutto, quando «le *nazioni unanimi nella loro perversità furono Confuse» (Sap 10, 5), essa scelse Abramo e lo ritrasse dal mondo peccatore (Gen 12, l; cfr. Gios 24, 2 s. 14), affinché «per mezzo suo si dicano benedette tutte le nazioni della terra» (Gen 12, 2 s, rispondendo visibilmente alle maledizioni di 3, 14 ss).

II. IL PECCATO DI ISRAELE
Il peccato, Come ha segnato le origini della storia dell‘umanità, così segna pure l‘origine della storia di Israele. Questi, fin dalla sua nascita, rivive il dramma di Adamo. A sua volta, dalla propria esperienza impara e ci insegna Che cos è il peccato. Due episodi sembrano particolarmente istruttivi. 1. L’adorazione del vitello d’oro. - Al pari di Adamo, e, se possibile, ancor più gratuitamente, Israele è stato Colmato dei benefici di Dio. Senza alcun suo merito (Deut 7, 7; 9, 4 ss; Ez 16, 2-5), in virtù del solo amore di Dio (Deut 7, 8) - perché Israele era «peccatore» né più né meno delle altre nazioni (cfr. Gios 24, 2. 14; Ez 20, 7 s. 18) -, è stato scelto per essere il *popolo particolare, privilegiato tra tutti i popoli della terra (Es 19, 5), costituito «figlio primogenito di Dio» (4, 22). Per liberarlo dalla schiavitù del faraone e dalla terra del peccato (quella dove non si può *servire Jahve, secondo 5, 1), Dio ha moltiplicato i prodigi. Ora, nel preciso istante in cui Dio «Contrae alleanza» Con il suo popolo, si impegna Con esso, Consegnando a Mosè «le tavole della testimonianza» -(31, 18), il popolo domanda ad Aronne: «Facci un dio Che Cammini dinanzi a noi» (32, 1). Nonostante le prove che Dio ha dato della sua «fedeltà», Israele lo trova troppo lontano, troppo «invisibile». Non ha fede in lui; preferisce un dio alla sua portata, di cui possa calmare l‘*ira mediante *sacrifici, in ogni Caso, un dio che possa trasportare a piacer suo, invece di essere obbligato a *seguirlo e ad obbedire ai suoi comandamenti (cfr. 40, 36 ss). Invece di «Camminare Con Dio», vorrebbe che Dio Camminasse con lui. Peccato «originale» di Israele, rifiuto di obbedire che più profondamente è un rifiuto di Credere a Dio e di abbandonarsi a lui, 1 primo che Deut 9,7 menzioni, e che in realtà si rinnoverà in ognuna delle innumerevoli ribellioni del «popolo dalla dura Cervice». Specialmente quando, più tardi, Israele sarà tentato di offrire un Culto ai «Baal», accanto a quello che rendeva a Jahve, Ciò avverrà sempre perché rifiuterà di vedere in Jahve l‘unico «sufficiente», il Dio cui deve la sua esistenza, e di servire a lui solo (Deut 6, 13; Mt 4, 10). E quando S. Paolo descriverà la malizia propria del peccato d‘idolatria, anche nei pagani, non esiterà a riferirsi a questo primo peccato di Israele (Rom 1, 23 = Sal 106, 20). 2. I «sepolcri della cupidigia». - Subito dopo l‘episodio del vitello d‘oro, Deut 9, 22 ricorda un altro peccato di Israele, Che anche S. Paolo evocherà presentandolo come il tipo dei «peccati del deserto» (1 Cor 10, 6). Il senso dell‘episodio è abbastanza Chiaro. Al Cibo scelto da Dio e distribuito miracolosamente, Israele preferisce un Cibo di sua scelta: «Chi Ci darà carne da mangiare? ... Ora deperiamo, privi di tutto: i nostri occhi non vedono più che la manna!» (Num 11, 4 ss). Israele rifiuta di lasciarsi guidare da Dio, di abbandonarsi a lui, di piegarsi a Ciò che nel pensiero di Dio doveva Costituire l‘esperienza spirituale del *deserto (Deut 8, 3; cfr. Mt 4, 4). La sua *cupidigia sarà soddisfatta; ma, al pari di Adamo, saprà quanto costa all‘uomo sostituire le sue vie e quelle di Dio (Num 11, 33).

III. L‘INSEGNAMENTO DEI PROFETI
Tale è precisamente la lezione che Dio non Cesserà di ripetergli per mezzo dei suoi profeti. Come l‘uomo, che pretende di farsi da solo, non può pervenire Che alla propria rovina, così il popolo di Dio si distrugge non appena devia dai sentieri (cfr. *via) che Dio gli ha tracciati: in tal modo il peccato appare come l‘ostacolo per eccellenza, in verità il solo, alla realizzazione del disegno di Dio su Israele, al suo regno, alla sua «gloria», identificata in concreto con la gloria di Israele, popolo di Dio. Indubbiamente, sotto questo aspetto, il peccato del capo, del re, del sacerdote, riveste una responsabilità particolare e si comprende Come sia menzionato di preferenza; ma non esclusivamente. Già il peccato di Achan aveva fermato l‘esercito di tutto Israele dinanzi ad Ai (Gios 7), e sovente i profeti fanno responsabili delle sventure della nazione proprio i peccati del popolo nel suo Complesso: «No, la mano di Jahve non è troppo corta per salvare, né il suo orecchio troppo duro per sentire. Ma le vostre iniquità hanno scavato un abisso tra voi ed il vostro Dio» (Is 59, 1 s). l. La denunzia del peccato. - La predicazione dei profeti consisterà quindi in gran parte nel denunziare il peccato, quello dei Capi (ad es. 1 Sam 3, 11; 13, 13 s; 2 Sam 12, 1-15; Ger 22,13) e quello del popolo: di qui le enumerazioní di peccati che sono così frequenti nella letteratura profetica, ordinariamente in riferimento più o meno diretto al Decalogo, e che si moltiplicano con la letteratura sapienziale (ad es. Deut 27, 15-26; Ez 18, 5-9; 33, 25 s; Sal 15; Prov 6, 16-19; 30,11-14). Il peccato diventa una realtà molto concreta, e noi veniamo a sapere quel che l‘abbandono di Jahve produce: *violenze, rapine, giudizi iniqui, menzogne, *adulteri, spergiuri, omicidi, usura, diritti vilipesi, in breve tutti i disordini sociali. La «*confessione» inserita in Is 59 rivela quali sono in concreto queste «iniquità» che «hanno scavato un abisso tra il popolo e Dio» (59,2): «I nostri peccati ci sono presenti e noi riconosciamo i nostri torti: prevaricare e rinnegare Jahve, cessare di seguire il nostro Dio, parlare di oppressione e di rivolta, e proferire in cuor nostro parole mendaci. Il giudizio è messo da lato e la giustizia sta in disparte, perché la verità incespica sulla piazza pubblica e la rettitudine non si può presentare» (59,13 s). Molto tempo prima Osea non parlava in modo diverso: «Non c‘è né sincerità, né amore, né conoscenza di Dio nel paese, ma spergiuro e menzogna, assassinio e furto, adulterio e violenza, omicidio su omicidio» (Os 4, 2; cfr. Is 1, 17; 5, 8; 65, 6 s; Am 4, 1; 5, 7-15; Mi 2, 1 s). La lezione è capitale: chi pretende di costruirsi da solo, indipendentemente da Dio, lo farà ordinariamente a spese altrui, specialmente dei piccoli e dei deboli. Lo proclama il salmista: «L‘uomo che non ha posto in Dio il suo rifugio» (Sal 52, 9) «rumina il delitto per tutto il giorno» (v. 4), mentre «il giusto confida nell‘amore di Dio in eterno e per sempre» (v. 10). Non era forse già quello che suggeriva l‘adulterio di David (2 Sam 12)? Ma da questo episodio, di Cui sappiamo il posto Che occupa nella concezione giudaica del peccato (cfr. il Miserere), emerge un‘altra verità non meno importante: il peccato dell‘uomo non attenta soltanto ai diritti di Dio, lo colpisce per Così dire al cuore. 2. Il peccato, offesa di Dio. - Certamente il peccatore non potrebbe colpire Dio in se stesso; la Bibbia rispetta troppo la trascendenza divina per non ricordarlo all‘occasione: «Si versano libagioni a dèi stranieri per ferirmi. Sono proprio io Che essi feriscono, oracolo di Jahve, o non piuttosto se stessi per loro propria confusione?» (Ger 7, 19). «Se pecchi, in che cosa lo colpisci? Se moltiplichi le tue offese, gli procuri forse qual che male?» (Giob 35,6). Peccando contro Dio, l‘uomo non perviene che a distruggere se stesso. Se Dio ci prescrive leggi, non lo fa nel suo interesse, ma nel nostro, «affinché siano tutti felici e viviamo» (Deut 6, 24). Ma il Dio della Bibbia non è quello di Aristotele, indifferente all‘uomo e al mondo. a) Se il peccato non «ferisce» Dio in se stesso, lo ferisce anzitutto nella misura in cui colpisce coloro Che Dio ama. Così David «colpendo con la spada Uria l‘Ittita e prendendogli la moglie», pensava senza dubbio di aver leso soltanto un uomo, e per giunta un non israelita: aveva dimenticato che Dio si era Costituito garante dei diritti di ogni persona umana. In nome di Dio, Natan gli ricorda che ha «disprezzato Jahve» stesso e sarà punito in conseguenza (2 Sam 12, 9 ss). b) Più ancora, il peccato, «scavando un abisso tra Dio ed il suo popolo» (Is 59, 2), Colpisce per ciò stesso Dio nel suo disegno d‘amore: «Il mio popolo ha cambiato la sua *gloria con l‘impotenza!... Hanno abbandonato me, fonte di acqua viva, per scavarsi Cisterne, cisterne screpolate che non tengono l‘acqua» (Ger 2, 11 ss). c) La rivelazione biblica, a mano a mano che scoprirà le profondità di questo *amore, permetterà di comprendere in qual senso reale il peccato dell‘uomo può «offendere» Dio: ingratitudine del figlio nei confronti di un *padre amantissimo (ad es. Is 64, 7), anzi, di una *madre che non potrebbe «dimenticare il frutto delle sue viscere, quand‘anche le madri dimenticassero» (Is 49, 15), soprattutto infedeltà della *sposa, che si prostituisce ad ogni passante, indifferente all‘amore instancabilmente fedele del suo sposo: «Hai visto ciò Che ha fatto Israele, la ribelle?... Io pensavo: ?Dopo aver fatto tutto questo, ritornerà a me?; ma essa non ritornò!... Ritorna, Israele ribelle!... Io non avrò più per te un volto severo, perché sono misericordioso» (Ger 3, 7. 12; cfr. Ez 16; 23). A questo stadio della rivelazione il peccato appare essenzialmente come la violazione di rapporti personali, Come il -rifiuto dell‘uomo di lasciarsi amare da un Dio che soffre di non essere amato, che l‘amore ha per così dire reso «vulnerabile»: mistero di un amore che non troverà la sua spiegazione che nel NT. 3. Il rimedio del peccalo. - 1 profeti non denunziano il peccato e non ne rivelano la gravità che per invitare più efficacemente alla *conversione. Infatti, se l‘uomo è infedele, Dio rimane sempre *fedele; l‘uomo rifiuta l‘amore di Dio, ma Dio non Cessa di offrirgli questo amore; finché l‘uomo è ancor Capace di ritorno, Dio lo sollecita a ritornare. Come nella parabola del figliuol prodigo, tutto è ordinato a questo ritorno desiderato, scontato: «Perciò io chiuderò la sua via con spine, ostruirò la sua strada affinché non trovi più i suoi sentieri; essa andrà dietro ai suoi amanti e non li raggiungerà, li cercherà e non li troverà. Allora dirà: ritornerò al mio primo marito, perché ero più felice una volta che non ora» (Os 2, 8 s; cfr. Ez 14, 11; ecc.). Di fatto, se il peccato consiste nel rifiuto d‘amore, è chiaro che non sarà cancellato, tolto, perdonato Che nella misura in Cui l‘uomo accetterà di amare nuovamente; supporre un «*perdono» Che possa dispensare l‘uomo dal ritornare a Dio, sarebbe lo stesso Che voler che l‘uomo ami dispensandolo dall‘amare! L‘amore stesso di Dio gli vieta quindi di non esigere questo ritorno. Se egli si proclama un «Dio geloso» (Es 20, 5; Deut 5, 9; ecc.), si è perché la sua *gelosia è un effetto del suo amore (cfr. Is 63,15; Zac 1, 14); se pretende di procurare, egli solo, la felicità dell‘uomo, creato a sua immagine, si è perché egli solo può farlo. Quanto alle Condizioni di questo ritorno, si troveranno indicate sotto le voci *espiazione, *fede, *perdono, *penitenza-conversione, *redenzione. La prima condizione da parte dell‘uomo è evidentemente che rinunzi alla sua volontà d‘indipendenza, che accetti di lasciarsi f4*re da Dio, di lasciarsi amare, in altre parole, rinunzi a ciò che costituisce il fondo stesso del suo peccato. Ora egli si avvede che precisamente questo si trova fuori del suo potere. Affinché l‘uomo sia perdonato, non basta Che Dio si degni di non respingere la sposa infedele; occorre di più: «Facci ritornare e noi ritorneremo!» (Lam 5,21). Dio stesso andrà quindi alla ricerca delle pecore smarrite (Ez 34); darà all‘uomo un «cuore nuovo», uno «spirito nuovo», «il suo stesso spirito» (Ez 36, 26 s). Sarà «la nuova alleanza», quando la legge non sarà più scritta su tavole di pietra, ma nel *cuore degli uomini (Ger 31, 31 ss; cfr. 2 Cor 3, 3). Dio non si accontenterà di offrire il suo amore, né di esigere il nostro: «Jahve tuo Dio *circonciderà il tuo cuore ed il Cuore della tua posterità, in modo che tu ami Jahve tuo Dio con tutto il tuo cuore e Con tutta la tua anima, affinché viva» (Deut 30, 6). Anche il salmista, confessando il suo peccato, supplica Dio stesso di «lavarlo», di «purificarlo», di «creare in lui un cuore puro» (Sai 51), persuaso Che la *giustificazione del peccato esige un atto strettamente divino, analogo all‘atto Creativo. Infine il VT annunzia Che questa trasformazione interna dell‘uomo che lo strappa al suo peccato si compirà grazie all‘oblazione sacrificale di un *servo misterioso di cui nessuno, prima della realizzazione della profezia, avrebbe potuto sospettare la vera identità.

IV. L‘INSEGNAMENTO DEL NT
Il NT rivela che questo servo venuto per «liberare dal peccato» (Is 53, 11), non è altri Che il Figlio stesso di Dio. Non è quindi sorprendente Che il peccato vi occupi un posto non minore Che nel VT, né soprattutto che la rivelazione completa di ciò Che ha fatto l‘amore di Dio per vincere il peccato permetta di scoprirne la vera dimensione e nello stesso tempo la funzione nel disegno della sapienza divina. 1. Gesù ed i peccatori, a) Fin dall‘inizio della catechesi sinottica vediamo Gesù in mezzo ai peccatori. Egli infatti è venuto per essi, non per i giusti (MC 2,17). Servendosi del vocabolario giudaico dell‘epoca, egli annunzia loro Che i loro peccati sono «rimessi». Non già Che, assimilando in tal modo il peccato ad un «debito», anzi, usandone talvolta il termine (Mt 6, 12; 18, 23 ss), egli intenda suggerire Che esso poteva essere perdonato con un atto di Dio che non avrebbe richiesto la trasformazione dello spirito e del cuore dell‘uomo. Al pari dei profeti e di Giovanni Battista (Mc 1, 4), Gesù predica la *conversione, un mutamento radicale dello spirito che ponga l‘uomo nella disposizione di accogliere il favore divino, di lasciarsi manovrare da Dio: «Il regno di Dio è vicino: pentitevi e credete alla buona novella» (MC 1, 15). Per contro, dinanzi a chi rifiuta la luce (Mc 3, 29 par.) o immagina di non aver bisogno di perdono, Come il fariseo della parabola (Lc 18, 9 ss), Gesù rimane impotente. sb) Perciò, come già i profeti, egli denunzia il peccato dovunque si trovi, anche in coloro che si credono giusti perché osservano le prescrizioni di una legge esterna. Infatti il peccato è dentro il cuore, donde «escono i disegni perversi: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, frodi, lascivia, invidia, diffamazione, orgoglio, stoltezza; sono tutte queste cose cattive che escono dal di dentro e contaminano l‘uomo» (Mc 7, 21 ss par.). E questo perché egli è venuto «a portare a compimento la legge» nella sua pienezza, ben lungi dall‘abolirla (Mt 5,17); il discepolo di Gesù non può accontentarsi della «*giustizia degli scribi e dei farisei» (5, 20); senza dubbio la giustizia di Gesù si riduce in definitiva al solo precetto dell‘*amore (7,12); ma il discepolo, vedendo agire il suo maestro, conoscerà a poco a poco quel che significhi «amare» e correlativamente ciò che è il peccato, rifiuto d‘amore. c) Lo conoscerà specialmente sentendo Gesù che gli rivela l‘inconcepibile *misericordia di Dio per il peccatore. Pochi passi del NT meglio della parabola del figliuol prodigo o piuttosto del padre misericordioso (Le 15, 11 ss), tosi vicina d‘altronde all‘insegnamento profetico, manifestano in qual senso il peccato è un‘offesa di Dio e quanto sasebbe assurdo concepire un *perdono di Dio che non comportasse il ritorno del peccatore. Al di là dell‘atto di disobbedienza che si può supporre - benché il solo fratello maggiore vi faccia allusione per opporlo alla sua propria obbedienza (v. 29 s) -, ciò che ha «contristato» il padre è la partenza del figlio suo, la volontà di non essere più figlio, di non più permettere al padre di amarlo efficacemente: ha «offeso» il padre privandolo della sua presenza di figlio. Come potrebbe «riparare» questa offesa se non Col suo ritorno, accettando nuovamente di essere trattato come un figlio? Perciò la parabola sottolinea la gioia del padre. Escluso un simile ritorno, non si potrebbe concepire alcun perdono; o meglio, il padre aveva perdonato da sempre; ma il perdono non raggiunge efficacemente il peccato del figlio se non nel ritorno e mediante il ritorno di questi. < ‘ d) Ora questo atteggiamento di Dio nei confronti del peccato, Gesù lo rivela ancor più mediante i suoi atti Che mediante le sue parole. Non soltanto accoglie i peccatori Con lo stesso amore e la stessa delicatezza del padre della parabola (ad es. Lc 7, 36 ss; 19, 5; Mc 2, 15 ss; Gv 8, 10 s), a rischio di scandalizzare i testimoni di una simile misericordia, incapaci di Comprenderla Come lo era stato il figlio maggiore (Lc 15, 28 ss). Ma agisce direttamente Contro il peccato: trionfa, per primo, di *Satana al momento della *tentazione; durante la vita pubblica strappa già gli uomini a questo potere del demonio e del peccato che è costituito dalla *malattia e dalla possessione (cfr. Mc 1,23), inaugurando in tal modo la funzione del *servo (Mi 8, 16 s), in attesa di «dare la propria vita in riscatto» (Mt 10,45) e di «spargere il suo sangue, il sangue dell‘alleanza, per una moltitudine in remissione dei peccati» (Mt 26,28). 2. Il peccalo del mondo. - S. Giovanni, più ancora della «remissione dei peccati», pur Conoscendo l‘espressione tradizionale (Gv 20, 23; 1 Gv 2, 12), parla di› Cristo che viene «a togliere il peccato del mondo» (Gv 1, 29). Al di là degli atti singoli, egli scorge la realtà misteriosa che li produce: una potenza ostile a Dio ed al suo regno, alla quale Cristo si trova di fronte. a) Questa ostilità si manifesta anzitutto concretamente nel rifiuto volontario della *luce. Il peccato possiede l‘opacità delle tenebre: «La luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie» (Gv 3, 19). Il peccatore si oppone alla luce perché la teme, «per paura che le sue opere siano svelate». La odia: «Chiunque fa il male odia la luce» (3, 20). Accecamento volontario, accecamento amato, perché non si riconosce come tale: «Se foste Ciechi, sareste senza peccato. Ma voi dite: vediamo. Il vostro peccato rimane» (9, 41). b) Un accecamento così ostinato non si spiega se non Con l’influsso perverso di *Satana. Di fatto il peccato asservisce a Satana: «Chiunque commette il peccato è uno schiavo» (Gv 8, 34). Come il Cristiano è figlio di Dio, il peccatore è «figlio del demonio, peccatore fin dall‘origine», e «ne compie le opere» (1 Gv 3, 8-10). Ora, tra queste opere, Giovanni ne rivela due, l‘omicidio e la *menzogna: «Fin dall‘origine egli fu omicida e non perseverò nella verità, perché non C‘è verità in lui; quando dice le sue menzogne, le trae dal suo intimo, perché è mentitore e padre della menzogna» (Gv 8,44). Omicida, egli lo fu infliggendo la morte all‘uomo (cfr. Sap 2,24) ed anche ispirando a Caino di uccidere il fratello (1 Gv 3,12-15); lo è oggi ispirando ai Giudei di mettere a morte colui che dice loro la *verità: «Voi volete uccidere me, che vi dico la verità che ho intesa da Dio... Fate le opere del vostro padre, e sono i desideri del vostro padre che voi volete fare» (Gv 8,39-44). c) A loro volta omicidio e menzogna non si spiegano se non con l’*odio. A proposito del demonio, la Scrittura parlava di gelosia (Sap 2,24); Giovanni non esita a parlare di odio: Come l‘incredulo ostinato «odia la luce» (Gv 3, 20), così i Giudei odiano Cristo e Dio suo Padre (15, 22 s): i Giudei, cioè il mondo asservito a Satana, chiunque rifiuta di riconoscere Cristo. E questo odio giungerà di fatto all‘uccisione del Figlio di Dio (8, 37). d) Tale è la dimensione di questo peccato del mondo di cui Gesù trionfa. Lo può fare perché egli è senza peccato (Gv 8, 46; cfr. 1 Gv 3, 5), «uno» con Dio suo Padre (Gv 10, 30), «luce» pura «in cui non Ci sono tenebre» (1, 5; 8, 12), verità senza traccia alcuna di menzogna o di falsità (1, 14; 8,40), infine, e forse soprattutto, «amore», perché «Dio è amore» (1 Gv 4, 8), e se, durante la sua vita, egli non ha Cessato di amare, la sua morte sarà un atto di amore tale che non se ne possa concepire uno maggiore, la «consumazione» dell‘amore (Gv 15, 13; cfr. 13, 1; 19, 30). Perciò questa morte fu una *vittoria sul «principe di questo mondo». Questi crede di condurre il gioco, ma Contro Gesù non può nulla (14, 30) e sarà lui ad essere «cacciato fuori» (12, 31). Gesù ha vinto il mondo (Gv 16,33). e) Lo prova non soltanto il fatto che Gesù possa «riprendere la vita Che ha dato» (Gv 10 17), ma, forse più ancora, Che faccia partecipi della sua vittoria i suoi discepoli: il cristiano, divenuto «figlio di Dio» per aver accolto Gesù (1, 12), «non Commette il peccato, perché è nato da Dio» (1 Gv 3, 9); più ancora, finché rimane in lui il «seme divino», cioè probabilmente, Come si esprime S. Paolo, «finché si lascia muovere dallo Spirito di Dio» (Rom 8,14 s; cfr. Gal 5, 16), egli «non può peccare». Di fatto Gesù «toglie il peccato del mondo» (Gv 1, 29) «battezzando nello Spirito» (v. 33), cioè comunicandogli lo *Spirito, simboleggiato dall‘*acqua misteriosa sgorgata dal costato trafitto del crocifisso come la fonte di cui parlava Zaccaria, «aperta alla casa di David per il peccato e l‘impurità» (Gv 19, 30-37; cfr. Zac 12, 10; 13, 1) e Che Ezechiele vedeva «uscire da sotto la soglia del tempio» e trasformare le rive del Mar Morto in un nuovo *paradiso (Ez 47, 1-12; Apoc 22,2). Certamente il cristiano, anche se *nato da Dio, può ricadere nel peccato (1 Gv 2, 1); ma «Gesù si è fatto propiziazione per i nostri peccati» (1 Gv 2, 2), ed ha Comunicato lo Spirito agli apostoli appunto perché possano «rimettere i peccati» (Gv 20, 22 s). 3. La teologia del peccato secondo S. Paolo. a) Un vocabolario più ricco permette a Paolo di distinguere ancor più nettamente il «peccato» ?(gr. bamartìa, al singolare) dagli «atti peccaminosi», Chiamati di preferenza, fuori delle formule tradizionali, «colpe» (alla lettera «Cadute», gr. paràptoma) o «trasgressioni» (gr. paràbasis), senza punto voler diminuire la gravità di questi ultimi. Così il peccato commesso da Adamo nel paradiso, di cui si sa l‘importanza Che vi annette l‘apostolo, è successivamente Chiamato «trasgressione», «colpa» e «disobbedienza» (Rom 5, 14. 17. 19). In ogni Caso, nella morale di Paolo, l‘atto peccaminoso non occupa certamente un posto minore Che nei sinottici, Come mostrano le liste di peccati, così frequenti nelle sue lettere: 1 Cor 5, 10 s; 6, 9 s; 2 Cor 12, 20; Gal 5,19-21; Rom 1,29-31; Col 3,5-8; Ef 5, 3; 1 Tim 9; Tito 3, 3; 2 Tim 3, 2-5. Tutti questi peccati escludono dal regno di Dio, Come talvolta è detto espressamente (1 Cor 6,9; Gal 5,21) . Ora, vi si noterà, esattamente Come nelle liste analoghe del VT, l‘accostamento dei disordini sessuali dell‘*idolatria e delle ingiustizie sociali (cfr. Rom 1, 21-32 e le liste di 1 Cor, Gal, Col, Ef). Si noterà parimenti la gravità attribuita da Paolo alla «cupidigia» (gr. pleonexìa), a quel peccato che Consiste nel voler «possedere sempre di più», vizio Che gli antichi latini Chiamavano avarizia e che rassomiglia molto a ciò che il Decalogo (Es 20,17) vietava sotto il nome di «concupiscenza» (cfr. Rom 7, 7): Paolo non si accontenta di accostare questo peccato all‘idolatria; li identifica tra loro: «quella cupidigia che è idolatria» (Col 3, 5; cfr. Ef 5, 5). b) Al di là degli atti peccaminosi, Paolo risale al loro principio: essi sono nell‘uomo peccatore l‘espressione e l‘esteriorizzazione di quella forza ostile a Dio ed al suo regno di cui parla S. Giovanni. Il solo fatto Che Paolo gli riservi praticamente il termine di peccato (al sing.) gli Conferisce già un rilievo singolare. Ma l‘apostolo si applica soprattutto a descriverne sia l‘origine in ciascuno di noi, sia gli effetti, con sufficiente precisione per offrire l‘abbozzo di una vera teologia del peccato. Il peccato, presentato Come una «potenza» personificata, al punto che talvolta sembra confondersi con il personaggio di *Satana, il «dio di questo mondo» (2 Cor 4, 4), nondimeno se ne distingue: esso appartiene all‘uomo peccatore, è dentro di lui. Introdotto nel genere umano dalla disobbedíenza di Adamo (Rom 5, 12-19) - e Come per ripercussione nello stesso universo materiale (Rom 8, 20; cfr. Gen 3, 17) -, il peccato è passato in tutti gli uomini senza eccezione, trascinandoli tutti nella *morte, eterna separazione da Dio,f quale i dannati subiscono nell‘*inferno; indipendentemente dalla *redenzione, tutti, secondo la frase di S. Agostino, esatta a condizione di essere ben compresa, formano una «massa damnata». E Paolo si compiace nel descrivere a lungo questa situazione dell‘uomo «venduto al potere del peccato» (Rom 7, 14), ancora capace di «simpatizzare» Con il bene (7, 16. 22), perfino di «desiderarlo» (7, 15. 21), il che prova che non tutto in lui è corrotto, ma assolutamente incapace di «compierlo» (7,18), e, pertanto, necessariamente votato alla morte eterna (7, 24), «salario» o meglio ancora «termine», «compimento» del peccato (6, 21-23). c) Simili affermazioni fanno talvolta accusare l‘apostolo di esagerazione e di pessimismo. Ciò significa dimenticare anzitutto che Paolo, formulandole, fa astrazione dalla *grazia di Cristo: la sua stessa argomentazione ve lo costringe, dal momento che egli sottolinea l‘universalità del peccato e la sua tirannia al solo fine di stabilire l‘impotenza della *legge e di esaltare l‘assoluta necessità dell‘opera liberatrice di Cristo. Più ancora, Paolo non ricorda la solidarietà di tutta la umanità con *Adamo se non per rivelare una altra solidarietà molto superiore, quella di tutta l‘umanità Con Gesù Cristo; nel pensiero di Dio, *Gesù Cristo, l‘antitipo, è primo (Rom 5,14); il che equivale a dire che il peccato di Adamo e le sue conseguenze non sono stati permessi se non perché Gesù Cristo ne doveva trionfare e con una tale sovrabbondanza che, ancor prima di esporre le rassomiglianze tra la funzione del primo Adamo e quella del secondo (5, 17 ss), Paolo ci tiene a segnarne le differenze (5, 15 s). Infatti la vittoria di Cristo sul peccato non è, per Paolo, meno splendida che per Giovanni. II cristiano *giustificato dalla *fede e dal *battesimo (Gal 3, 26 ss; cfr. Rom 3, 21 ss; 6, 2 ss) ha operato una rottura totale con il peccato; morto al peccato, è diventato, con Cristo morto e risorto, un essere nuovo (Rom 6, 5), una «nuova *creatura» (2 Cor 5,17); non è più «nella carne», ma «nello Spirito» (Rom 7, 5; 8, 9), pur potendo, finché vive in un «Corpo mortale», ricadere sotto il dominio del peccato e «piegarsi alle sue voglie» (6, 12), se rifiuta di «camminare secondo lo Spirito» (8,4). d) Dio non trionfa soltanto del peccato. La sua *sapienza «dalle risorse infinite» (Ef 3, 10) ottiene questa vittoria servendosi del peccato. Ciò Che costituiva l‘ostacolo per eccellenza al regno di Dio ed alla salvezza dell‘uomo ha una funzione nella storia di questa salvezza. In effetti, proprio a propo. sito del peccato, Paolo parla della «sapienza di Dio» (1 Cor 1, 21-24; Rom 11, 33). In particolare, meditando sul peccato, che fu indubbiamente per il suo Cuore la ferita più pungente (Rom 9,2) ed in ogni caso uno scandalo per il suo spirito, l‘*incredulità di Israele, egli comprese che questa infedeltà, d‘altronde parziale e provvisoria (Rom 11, 25), entrava nel *disegno salvifico di Dio sul genere umano e Che «Dio non aveva racchiuso tutti gli uomini nella disobbedienza Che per fare misericordia a tutti» (Rom 11, 32; cfr. Gal 3, 22). Perciò esclama Con un‘ammirazione riconoscente: «O abisso della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono insondabili i suoi decreti ed incomprensibili le sue vie!» (Rom 11, 33). 1(e) Ma questo mistero della sapienza divina, Che per la salvezza dell‘uomo si serve persino del suo peccato, non si rivela in nessun caso più Chiaramente che nella passione del Figlio di Dio. Di fatto, se Dio Padre ha «dato il suo Figlio» alla morte (Rom 8, 32), lo ha fatto per collocarlo in condizioni tali da poter compiere l‘atto di *obbedienza e di amore maggiore che si possa concepire, ed operare in tal modo la nostra *redenzione passando, egli per primo, dalla condizione carnale alla Condizione spirituale. Ora le circostanze di questa morte, ordinate a Creare le Condizioni più favorevoli per un simile atto, sono tutte effetto del peccato dell‘uomo: tradimento di Giuda, abbandono degli apostoli, viltà di Pilato, odio delle autorità della nazione giudaica, crudeltà dei carnefici, e, al di là del dramma visibile, i nostri propri peccati, per la cui *espiazione egli muore. Per permettergli di amare come nessun uomo ha mai amato, Dio ha voluto che il suo Figlio si facesse vulnerabile al peccato dell‘uomo, fosse soggetto agli effetti malefici della potenza di morte che è il peccato, affinché noi, grazie a questo atto supremo di amore, fossimo soggetti agli effetti benefici della potenza di vita che è la giustizia di Dio (2 Cor 5,21). Infatti «Dio fa Cooperare tutto al bene di coloro Che lo amano» (Rom 8, 28), tutto, anche il peccato.

Autore: S. Lyonnet
Fonte: Dizionario teologico biblico