Scrutatio

Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Abrogio di Milano (Santo)


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I. Vita e opere. Le fonti principali della vita di A. sono la Vita Ambrosii, scritta dal diacono Paolino nel 422 su suggerimento di Agostino, e il suo epistolario. Aurelio A. nasce a Treviri il 334 o 337 (la differenza è data dalla diversa interpretazione dell'Ep. 59,4 sui movimenti migratori di allora) dal padre Ambrogio, nobile romano funzionario della prefettura imperiale delle Gallie e, per parte di madre (se ne ignora il nome) quasi certamente della gens Aurelia, e terzogenito dopo Marcellina e Satiro. A., dopo lo studio della retorica a Roma (vi era giunto prima del 35254 - periodo di consacrazione a vergine consacrata della sorella Marcellina - con la madre e i fratelli dopo la morte prematura del padre), inizia la carriera (cursus honorum) nella prefettura d'Italia, Illirico e Africa trasferendosi a Sirmio con il fratello Satiro. Nel 370 A. entra a far parte come consularis del Senato Romano ricevendo il titolo di clarissimus. Nel 374, ancora catecumeno, succede per acclamazione popolare all'ariano Aussenzio ( 374) nella sede vescovile milanese. Battezzato il 30 novembre, A. viene consacrato il 7 dicembre del 374 (altri anticipano la data al 1o dicembre del 373). Da quel momento A. si dedica alla sua attività pastorale studiando la Bibbia, Filone, Plotino, i Padri Greci. La sua attività di pastore è dominata principalmente dal problema ariano. Esso incide profondamente sulla comprensione dei suoi rapporti episcopali con l'Impero e sulla sua teologia spirituale che ha una spiccata dimensione cristologica.

Gli scritti di A. vengono suddivisi, di solito, in due modi: per genere e temi o in relazione all'influsso delle fonti da lui utilizzate. Quanto alla suddivisione per genere e temi si hanno: - Opere esegetiche: Hexaemeron, De paradiso, De Cain et Abel, De Noe, De Abraham, De Isaac et anima, De bono mortis, De fuga saeculi, De Jacob et vita beata, De Joseph, De patriarchis, De Helia et ieiunio, De Nabuthae historia, De Tobia, De interpellatione Job et David, De apologia prophetae David, Enarrationes in XII psalmos davidicos, Expositio psalmi CXVIII, Expositio Evangelii secundum Lucam, Expositio Isaiae prophetae (frammenti in CCL 14, 403?408), Tituli (21) come didascalie di episodi dell'AT e del NT per la basilica ambrosiana (se ne discute l'autenticità).1 - Opere più strettamente ascetico?morali: De officiis ministrorum, De virginibus ad Marcellinam, De viduis, De virginitate, De institutione virginis et de s. Mariae virginitate perpetua, Exhortatio virginitatis. - Opere più strettamente teologiche e liturgiche: De fide ad Gratianum, De Spiritu Sancto, De incarnationis dominicae sacramento, Explanatio symboli ad initiandos, Explanatio fidei (fr. da Teodoreto in PG 83, 181?188), De mysteriis, De sacramentis (attribuzione discussa), De poenitentia, De sacramento regenerationis sive de philosophia (si conservano frammenti), Inni (18, se ne ritengono autentici 4). - Discorsi: De excessu fratris; De obitu Valentiniani; De obitu Theodosii; Sermo contra Auxentium de basilicis tradendis. - Epistulae (91, la 23 non è ritenuta autentica). Tre epigrafi in distici.2

La suddivisione degli scritti di A. in relazione all'influsso delle fonti contempla due blocchi: gli scritti giovanili, quelli sino al 385387 di marca filoniana e neoplatonica; gli scritti della maturità, quelli dopo il 385387 d'ispirazione basiliana. Il passaggio dal primo periodo al secondo è caratterizzato da tre fattori: l'apertura di A. ad Origene, la scoperta del valore spirituale del Cantico dei Cantici, il confronto con il neoplatonismo. Sulla base ermeneutica di un triplice senso delle Scritture (letterario, etico, spirituale) A. utilizza l'allegoria per ricavarne soprattutto il senso tropologico o morale. Egli non fa un commento sistematico della Scrittura e, se si prescinde dal Vangelo di Luca, commenta in genere fatti e personaggi dell'AT secondo il modulo filoniano di trattare un argomento partendo dal mondo biblico. I titoli stessi dei trattati di A. si ispirano, infatti, principalmente a personaggi della Sacra Scrittura.
Per la comprensione dei suoi scritti, quindi, della sua eredità spirituale va tenuta presente anche la vicenda socio?politica in cui vive il vescovo milanese.3

L'attività pastorale di A. raggiunge gli uomini eminenti del suo tempo come l'intero popolo di Dio, ben oltre l'area milanese. Egli, infatti, è presente ad esempio all'entrata di Paolino ( 431) a vescovo di Nola, alla creazione di nuove sedi episcopali del Nord Italia e dei loro vescovi (Ep. 63 alla Chiesa di Vercelli, un piccolo trattato sulle elezioni episcopali). A. è un vescovo il cui episcopio è il mondo o il saeculum (secondo l'accezione agostiniana del De civitate Dei), egli perciò si fa carico di far lievitare l'esigenza evangelica nel cuore di un vescovo collega (il caso di Paolino di Nola, Ep. 58), dell'Imperatore (Teodosio viene invitato ad entrare nel luogo pubblico dei penitenti, Ep. 51), come delle categorie dei semplici cristiani (ad es. Ep. 63, alla Chiesa di Vercelli).

Un rapporto particolare A. ha con il popolo di Dio, di cui sfrutta tutta la capacità assembleare, in particolare nelle assisi liturgiche. Egli incrementa notevolmente il tenore di quelle assisi, creando quell'insieme di riti, di formulari e di inni denominato liturgia ambrosiana. Per primo introduce antiphonae, hymni ac vigiliae e il canto liturgico alternato (Paolino, Vita Ambrosii in PL 14, 31). Grazie anche all'opera di Simpliciano (il vescovo succeduto ad A.) e ad Eusebio di Vercelli (449?452) si viene costituendo un corpus liturgico rimasto unico nella storia dell'Occidente cristiano. La liturgia ambrosiana è testimonianza di un antiarianesimo dichiarato. Sviluppa, infatti, un forte cristocentrismo relativo alla persona di Cristo: Incarnazione, nascita verginale, accentuazione dell'umanità e divinità e, conseguentemente, della mariologia, in particolare degli aspetti di verginità e maternità. La liturgia ambrosiana conserva sempre, nell'arco della sua formazione (dal sec. IV al sec. X) e nel passaggio culturale dalla fase romano?italica a quella barbaro?longobarda, la centralità del mistero del Cristo creatore e salvatore del cosmo e dell'uomo, datale da A. Il 4 aprile, sabato santo del 397, A. muore. A. è un vescovo cosciente di dover gestire da responsabile della religione la Chiesa cattolica. Egli la difende perciò con tutti i mezzi a disposizione contro chicchessia, sia pure l'Imperatore. Appoggia incondizionatamente i principi favorevoli alla Chiesa, ponendo i fondamenti dei diritti da riconoscere da parte delle istituzioni civili alla religione cristiana. A. morente pronuncia una famosa risposta che resta impressa anche in Agostino: « Non sono vissuto in mezzo a voi in modo da vergognarmi di continuare a vivere, ma nemmeno temo di morire poiché abbiamo un Signore buono » (Vita Ambrosii 45).

II. L'eredità teologica e ascetico?spirituale di A. sarebbe da collocarsi per gli studiosi nell'ambito di tre indirizzi del sec. IV: la tendenza sociale dell'ascesi evangelica, quella monastica eudemonistico?individuale e quella filosofica a carattere naturale?istintiva.4
La spiritualità ambrosiana presenta in realtà una grande sintesi delle idealità del suo tempo, sviluppando nella linea dell'uomo saggio la sapientia a fondamento delle virtù e la caritas quale sua pienezza (plenitudo). L'uomo, tuttavia, nella visione antropologica di A., essendo sempre indebitato verso Dio, solo grazie all'umiltà può entrare nell'azione misteriosa di Cristo quale causa della sua salvezza e non può fare affidamento sul suo operato (il merito). L'umiltà è intesa dal vescovo milanese non tanto come una virtù tra le virtù, quanto condizione d'animo di fronte a Dio.
Tre sono, quindi, i poli di articolazione della spiritualità ambrosiana: la virtù (tra etica ed ascetica), la carità e Cristo. 1. Si ha per A. un'ascesi dello spirito radicata nello stesso spirito, di derivazione stoica dell'etica ciceroniana e d'influsso origeniano per il rapporto tra l'anima e il Verbo. Essa riguarda il silenzio o la moderazione nel parlare (cf Off. 1,18,67). L'umiltà poi è la forma di ascesi spirituale contro la superbia nella scia di Cristo umile (cf Ibid. 3,5,6). Se a Cicerone ( 43 a.C.) era stato più facile scrivere sulla gloria, ammirandola per se stessa e a causa del bene che spinge l'uomo ad agire, con il cristianesimo, e soprattutto con A., l'umiltà entra a far parte, oltre che della sfera della coscienza individuale, anche della formazione pratica della vita. L'uomo giusto, perciò, anche in caso di offese, col tacere conserva l'umiltà per seguire l'umile Signore (cf Ibid. 1,6,21). La pienezza delle virtù, se non contempla l'umiltà che è capace di supplire anche alle virtù mancanti (cf Expl. ps. 118,20,4), è sterile. Se essa non trova molto spazio nel De officiis lo ha tuttavia nei commenti ai salmi, soprattutto nel salmo 118 che si ispira al Cantico dei Cantici e al Vangelo di Luca, scritti ambrosiani più liberi da modelli filosofici. C'è poi da notare che con il De officiis ministrorum si ha in A. il passaggio dall'etica stoica a quella cristiana. Ciò si riscontra nella diversa definizione del summum bonum, distinguendo tra vita beata (il summum bonum immanente dello stoicismo) e vita eterna (il summum bonum trascendente della fede cristiana) (cf Off. 2,5,18). 2. Gli esercizi di ascesi corporale sono motivati in A. dalla destinazione eterna dell'uomo. I giorni giudaici di digiuno (lunedì e giovedì) vengono spostati dai cristiani nei giorni di mercoledì e venerdì. A. utilizza per la sua comprensione del digiuno soprattutto due omelie di Basilio: In ebriosos (Hom. 14) e l'Exhortatoria ad sanctum baptisma (cf Hom. 13).
A. dedica poi molti discorsi alla castità, che considera non un privilegio delle sole vergini bensì un dovere di tutti i fedeli. Diverso, infatti, è per lui solo il modo in cui la castità si realizza nei singoli stati di vita. « La virtù della castità è triplice: matrimoniale, vedovile e verginale... ognuna ha la sua validità nel proprio stato. In ciò sta la ricchezza della tradizione della Chiesa: A. predica la verginità, ma non rifiuta il matrimonio » (Vid. 4,23). La verginità è vista anzitutto come un abito mentale che è richiesto a tutti. « O vergine - scrive A. - cerca dunque Dio, anzi cerchiamolo tutti » (Virg. 15,93). La vita verginale non si limita alla conservazione della castità, essa comprende l'intera scala delle opere virtuose (cf Ibid. 10,54). La sola verginità della carne (virginitas carnis) non è ancora un merito perché vi si deve aggiungere una mente casta (integritas mentis) (cf Ibid., 4,15). La verginità è stata resa possibile sulla terra solo dopo la venuta di Cristo (cf Ibid., 1,3,11). Nel sec. IV la castità costituisce il punto nodale del pensiero cristiano riguardo al dogma, alla morale e alla prassi della vita. Alcune correnti cristiane del tempo amano scagliarsi contro la carne (caro) leggendola nell'ottica del sesso sino ad identificarla con esso.5 Il piacere sensuale, di conseguenza, viene considerato un male: l'anima può perdere il dominio della sua parte razionale. In tale ottica anche A. identifica l'istinto sessuale con il serpente del paradiso (cf Ser. 49; Ep. 63,14). Per lui la sessualità non comprende l'uomo intero ma solo la sua parte fisica, quella relativa al ventre, perché l'anima è senza sesso (cf Lc 2,28; Fid. 4,3,28). Ciò che si concede alla sessualità è perciò una concessione fatta al ventre, vale a dire ai bisogni istintivi dell'uomo. A., tuttavia, per impostazione mentale e pratica, è portato a valutare concretamente le possibilità umane di seguire il Vangelo. Evitando perciò posizioni di radicalizzazioni, egli coinvolge sempre sul possibile (cf Expl. ps. 118s. 5,18). 3. La sequela Christi: A. fa leva non tanto sul perseguimento della virtù in sé, quanto sull'imitazione di Cristo. Nell'ultimo paragrafo del De Isaac ad esempio, dietro la descrizione del sommo bene, fa risplendere il volto personale di Dio e di Cristo. L'unirsi a Dio è beatitudine, è voluptas (cf Isaac 8,78) e « la fonte di questa vita per tutti è Cristo » (Ibid. 8,79). Una spiritualità, quella ambrosiana, possibile ad ogni cristiano perché Cristo nasce nel cuore di ognuno, mediato da quel processo incarnazionistico discensionale, che dal cuore di Dio Padre giunge al cuore della vergine Maria e a quello del credente (Expl. ps. 118s. 6,6; Isaac 4,31) dove viene deposto il seme della divinizzazione dell'uomo (cf Expl. ps. 118s. 12,16).

A. precisa poi l'Incarnazione di Cristo nel cuore del credente esplicitandone la forma assunta. E quella del Servo sofferente, del Cristo della passione e della morte in croce, radice di ogni virtù del cristiano e della sua crescita spirituale (cf Ibid., 6,33; 12,16), partecipando egli alle sofferenze?energia del Crocifisso (cf Ex. Lc. 7,176?186). « La Chiesa - egli scrive - ...dopo aver partorito il Verbo e averlo seminato nel corpo e nelle anime degli uomini per mezzo della fede nella croce e nella sepoltura del corpo del Signore, sceglie per ordine di Dio la società del popolo più giovane » (Ibid. 10,134). A. riannoda così ogni rapporto del credente e della Chiesa con Cristo alla fonte iniziatica che è Cristo crocifisso e sepolto, sottolineandone sempre la stretta interdipendenza. « Cristo, egli sintetizza, è la fede di tutti; la Chiesa è, per così dire, la norma della giustizia, il diritto comune di tutti; infatti essa insieme prega, insieme agisce, insieme è messa alla prova » (Off. 1,142). Tale esplicitazione traduce in teoria spirituale il concetto dell'iniziazione cristiana ai misteri, cui A. dedica molta parte della sua attività letteraria (cf De mysteriis, De sacramentis) e pastorale. Il vescovo di Milano è da considerarsi, inoltre, a giusto titolo il fondatore della spiritualità liturgica in Occidente. I sacramenti, infatti, costituiscono per A. il legame con il vivere cristiano. Questo consiste nella crescita di Cristo nel credente, anzi il vivere è l'esplicitazione del rito celebrato che, a sua volta, dà al rito liturgico o sacramento la possibilità di crescita, evitando di abortire il Cristo.

La sequela del Signore si colloca per A. fondamentalmente nell'amore, così come nei Vangeli Cristo lo cercava. A proposito della donna che aveva unto di unguento profumato i piedi di Gesù, A. commenta: « Il Signore (di quella donna) non cercò quindi il profumo, ma ne amò l'amore » (cf Ex. Lc. 6,28). In tale prospettiva il vescovo di Milano evita di leggere la sequela evangelica come una nuova legge da osservare nella linea dell'osservanza mosaica. Egli, commentando il salmo 118, nota in proposito che il salmista al custodivi della legge aggiunse il dilexi, per mostrare che l'osservanza non è nata dal timore ma da un'esigenza di amore. L'eredità spirituale ambrosiana si inscrive, in sintesi, nella comprensione del Verbo incarnato secondo la fede nicena, esplicitata sul piano teologico antiariano, sul piano liturgico cristologicamente e sul piano del vissuto nella carità quale sua pienezza. Un ruolo particolare, poi, ha nella spiritualità di A. l'uso del Cantico dei Cantici. Se nel De Isaac egli delinea una spiritualità individuale ispirata a Gesù, nel Cantico dei Cantici, assieme al De Isaac, l'Expositio psalmi 118 e il De virginitate (opere degli anni 387?390), pone in rapporto Cristo, la Chiesa e il cristiano. Se l'equazione di Origene Verbum?anima portava ad una spiritualità individuale, in A. emerge nel binomio Cristo?Chiesa, una, ecclesiale, sacramentale. Nella stanza nuziale Cristo, infatti, consegnò alla sua Chiesa le chiavi per poter aprire i tesori della scientiae sacramentorum (cf Expl. ps. 118, 1,16) al fine di trovare i sacramenta baptismatis (cf Ibid. 2,29). La Chiesa, infatti, ha due occhi: uno più penetrante (acutior) che vede i mistica, e uno meno acuto (dulcior) che vede i moralia (cf Ibid. 11,7 e 16,20). Ciò che negli scritti dogmatici di A. è presentato come frutto dell'azione redentrice di Cristo, nell'ambito del Cantico dei Cantici si trasforma in spiritualità ecclesiale: Ecclesia vel anima, vale a dire la Chiesa è l'humus dell'anima cristiana ed essa non è mai un'entità astratta perchè vive nelle anime.

A. delinea nel De Isaac vel anima la spiritualità dell'anima singola nel rapporto Verbum?anima. L'anima, più che nella sua distinzione da corpus e mens, è indicata come sinonimo di uomo credente. Si parla dell'anima perché il progresso spirituale era allora dato, in chiave platonica (plotinianaporfiriana), dall'attività dell'anima. A., applicando il triplice modo di leggere le Scritture (morale, naturale e mistico) ai libri di Salomone (i Proverbi, la sapientia moralis; l'Ecclesiaste, la sapientia naturalis; il Cantico, la sapientia mystica: cf Ex. Lc. prol 2; Expl. ps. 118, 1,3; Isaac 4,23), indica con tale ripartizione contenuta nel Cantico, i gradi successivi di conoscenza dell'anima nel suo progressivo rapportarsi al Verbo (cf Isaac 4,14; 4,27; 8,68). Il sensus moralis è lo sforzo di essere virtuosi; il sensus naturalis è il distacco dalle cose terrene, l'abbandono dei visibilia e sensibilia (cf Ibid. 4,11; Expl. ps. 118, 8,18 e 14,38); il « senso mistico » è la compiutezza nell'amore (cf Isaac 4,24?26): tre sensus che corrispondono all'ascesa dell'anima a Dio attraverso l'institutio, il processus e la perfectio. A. distingue generalmente nel processus animae quattro gradi ascensionali (cf Ex. Is. 6,50): il desiderio del Verbo; la ricerca del Verbo; il superamento della concupiscenza carnale « attraverso gli sforzi della virtù » (Isaac 4,16); la sequela Christi quando l'anima, respirando il profumo della fede (cf Ibid. 4,37), produce frutti di carità (cf Ibid. 5,47). Il Verbo ritrovato dall'anima pone questa nella tensione di aiutare altre anime (cf Ibid. 4,11; 6,53). E la perfezione nell'amore che corrisponde al dono di Dio che è Cristo stesso. Si suole distinguere in A. una spiritualità ispirata da Gesù (quella etica della sequela) e una ispirata da Cristo che tende al Kyrios glorificato 6 che riporta la distinzione fatta a suo tempo da E. Bömminghaus, (Iesus Frömmigkeit...).

Quanto alla questione di una mistica ambrosiana, va osservato che essa non va equiparata ai fenomeni mistici di accezione semantica moderna, ma va letta nell'ambito della tradizione origeniana del senso mistico e dell'unione dell'anima con il Verbo. Il senso mistico (sensus mysticus) della Scrittura è cogliere il senso spirituale della Parola di Dio, oltre quello letterario e morale, penetrando nei secreta mysteria, ad esempio nell'amore di Gesù per il suo popolo. Nel descrivere l'unione dell'anima con il Verbo, A. parla, tuttavia, di una mors mystica e in diversi gradi, dell'anima che già su questa terra abbandona e fugge i legami del corpo. Ma ciò è detto in senso etico. A. si esprime nei seguenti termini: « Evadi dal corpo, completamente - dice Cristo all'anima - tu non puoi essere presso di me, se non sei prima emigrata dal corpo, perché colui che si trova nella carne, si è allontanato dal regno di Dio » (Isaac 5,47). « Caro » e « corpus », « mundus » e « terra » sono per A. non solo realtà biologiche e spaziali, ma etiche e teologiche. Il credente opera il transgressus ex terris con la fede e le opere (cf Isaac 5,47; Expl. ps. 118, 8,18). Alla meta stoica della lotta etica, l'imperturbabilità, fanno riscontro in A. la fiamma dell'amore che unisce l'anima al Verbo e la morte mistica del morire al peccato che si traduce nel con?morire con Cristo, partecipando alla passione e alla morte di Cristo. Lo sposo divino poi, nella linea del Cantico dei Cantici, non comanda ma attira e l'anima non teme ma brama.

Il legame dell'anima con il Verbo è chiaramente rapportato, infine, in A. all'intelligenza delle Sacre Scritture: « Bevi dapprima l'Antico Testamento, per bere poi anche il Nuovo Testamento... Coloro che bevvero nel tipo furono saziati, coloro che bevvero in verità furono inebriati. Una buona ebbrezza che infuse gioia e non portò alcuna confusione. Una buona ebbrezza che fortificò il passo dello spirito sobrio » (Expl. ps. 118, 1,33). A. plasma la struttura spirituale della Chiesa milanese a livello del singolo credente e dell'Ecclesia chiamata allora a nuovi compiti di guida morale e spirituale della società. Note: 1 Ed. S. Merkle, in Römische Quartalschrift, 10 (1986), 185?222; 2 Si riportano tutti i titoli degli scritti ambrosiani perché hanno, apertamente o in filigrana, la presenza di due componenti: il problema ariano e quello della vita morale dei cristiani; 3 Sotto Valentiniano I prevale la politica del non intervento, quindi una reciproca liberalità tra i vari gruppi religiosi. Attraverso poi i popoli invasori delle istituzioni romane, appoggiati dall'imperatore di Oriente, l'arianesimo viene veicolato in Occidente. L'azione di A. di fronte alla penetrazione dell'arianesimo in Occidente è continua e di vaste proporzioni consequenziali per il futuro assetto tra Chiesa e Impero. Nel 379 l'imperatore Teodosio viene conquistato interamente alla causa cattolica, un dato che porta all'editto antieretico del 22 aprile del 380 e all'editto di Tessalonica « cunctos populos », che pone la fede cattolica a unica religione pubblica dell'Impero. A. ottiene la restituzione ai cattolici di una basilica occupata dagli ariani e fa sentire il suo intervento presso l'imperatore in occasione dei Concili di Aquileia del 381 e di Roma del 382 e, soprattutto presso Graziano, per la controversa questione della statua della Vittoria portata in Senato da dove viene tuttavia rimossa nel 382, e forse non è estraneo alla recrudescenza delle leggi antipagane. Sotto Valentiniano II, cui Agostino dedica il discorso ufficiale, A. fa occupare dai fedeli, in occasione della Pasqua del 386, la Basilica Porziana voluta dal vescovo ariano Aussenzio. La Corte imperiale, che ha proclamato la libertà di culto per gli ariani, minaccia la pena di morte a chi la impugni. A., rinchiusosi con i fedeli nella basilica porziana che viene assediata dalle truppe imperiali, costringe Valentiniano II a revocare i provvedimenti. L'eccidio di Tessalonica del 390 porta A. ad abbandonare Milano per non incontrare Teodosio e a scrivergli una lettera riservata invitandolo alla penitenza pubblica. L'imperatore, emanata prima a Verona una legge sulla condanna a morte da non eseguire prima di trenta giorni dalla sua pubblicazione, ritorna a Milano chiedendo, tramite il magister officiorum Rufino, la penitenza pubblica che assolve nel Natale del 390. L'anno 391 segna, con una serie di leggi emanate da Teodosio, la fine ufficiale del paganesimo: proibizione di ogni culto esteriore pagano, chiusura dei templi, distruzione del Serapeo di Alessandria; emanazione di una legge contro gli apostati dalla fede cristiana. Nell'anno seguente vengono proibite anche le forme private del culto pagano; 4 E. Bickel, Das asketische Ideal bei Ambrosius, Hieronymus und Augustin, in Neue Jahrbucher f.d. klass. Altertum, Geschichte u. deutsche Literatur und Paedagogie, 19 (1916), 455; 5 W. Chubart, Religion und Eros, München 1944; 6 in K. Baus, Das Gebet zu Christus beim hl. Ambrosius, Trier 1952, 128ss.

Bibl. Aa.Vv., Cento anni di bibliografia ambrosiana (1874?1974), Milano 1981; G. Bardy, s.v., in DSAM I, 425?428; K. Baus, Das Gebet zu Christus beim hl. Ambrosius, Trier 1952; E. Bickel, Das asketische Ideal bei Ambrosius, Hieronymus und Augustin, in Neue Jahrbucher f.d. klass. Altertum, Geschichte u. deutsche Literatur und Paedagogie, 19 (1916), 437?474; Id., Das Nachwirken des Origenes in der Christus?Frömmigkeit des heiligen Ambrosius, in Römische Quartalschrift, 49 (1954), 21?57; E. Bömminghaus, Iesus Frömmigkeit oder Christusfrömmigkeit, in Zeitschrift fur Askese und Mystik, 1 (1925), 252?265; P. Borella, Il rito ambrosiano, Brescia 1964; P. Courcelle, Plotin et St. Ambroise, in Revue de Philologie, 76 (1950), 29?56; E. Dassmann, La sobria ebbrezza dello spirito. La spiritualità di sant'Ambrogio vescovo di Milano, Milano 1975; V. Grossi, La verginità negli scritti dei Padri. La sintesi di S. Ambrogio: Gli aspetti cristologici, antropologici, ecclesiali, in Aa.Vv., Celibato per il regno, Milano 1977, 131?164; J. Huhn, Das Geheimnis der JungfrauMutter Maria nach dem Kirchensvater Ambrosius, Würzburg 1954; H. Lewy, Sobria ebrietas. Untersuchungen zur Geschichte der antiken Mystik, Giessen 1929; A. Madeo, La dottrina spirituale di sant'Ambrogio, Roma 1941; A. Paredi, S. Ambrogio e la sua età, Milano 19933; B. Parodi, s.v., in BS I, 985?989; C. Sorsoli - L. Dattrino, s.v., in DES I, 106?109; A.M. Triacca, Ambrosiana (liturgia), in DPAC I, 153?156.

Autore: V. Grossi
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)